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Il carro di Mirabella Eclano. Articolo tratto dal quotidiano Buongiorno Irpinia del 16/10/2010 PDF Stampa E-mail
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La festa del carro di Mirabella Eclano (AV) offre all'arch. Franco Cassano lo spunto per una riflessione sulla realtà urbanistica ed architettonica dei luoghi dell'alta Irpinia. Enzo Magaldi

 

 

 

 

Il carro e la mediocrità dello spazio urbano

Assistere oggi alla “grande tirata” del Carro di Mirabella Eclano, festa rituale con cadenza annuale, nel sabato che precede la terza domenica di settembre, credo che meriti un approfondimento che vada al di là della semplice cronaca della spettacolare festa di popolo, della straordinaria macchina da festa: un monumentale obelisco di paglia e legno costruito su di un carro trainato da buoi, che rimanda immediatamente, nelle forme e nei rapporti, all’obelisco dell’Immacolatella, in marmo bianco e bardiglio, realizzato nel settecento in Napoli, nella piazza del Gesù.
Insomma una vera e propria opera d’arte, progettata intorno al 1600 e successivamente perfezionata nella II metà dell’ottocento da Stanislao e Generoso Martino. La stessa è miracolosamente sopravvissuta fino ai nostri giorni grazie al paziente lavoro di eccellenti artisti artigiani ancora attivi nei territori dell’Irpinia.
Nata come rito di ringraziamento, la cui eco va rintracciata nelle antiche feste pagane, proponeva  simbolicamente l’abbraccio tra due mondi, due culture, quella contadina e quella urbana, materializzato in un percorso, immutato da sempre, di circa due chilometri, fortemente antropizzato e disordinatamente urbanizzato soltanto da alcuni decenni.


La sua monumentale presenza annuale, una sorta di sogno onirico che irrompe per un giorno nella nostra realtà contemporanea, magnificata dalle diverse sfaccettature orografiche del tragitto, è sufficiente a decifrare la insipienza della nostra storia urbanistica ed architettonica recente, anche se tale fenomeno culturale di decadenza, è bene ricordarlo, è comune a tante parte delle realtà regionali del nostro paese.
La sapienza costruttiva dei nostri maestri artigiani, ben sintetizzata nelle eleganti forme barocche e nelle perfette misure del carro, fa da contrappunto alla mediocre qualità dello spazio urbano rappresentato dal disordinato sviluppo urbanistico nonché dalla inesistente qualità architettonica dei fabbricati costruiti senza identità sui bordi del tracciato.
Tale risultato, generato da una colpevole gestione dell’uso del territorio negli ultimi decenni, è l’espressione fallimentare della riduzione dell’antica cornice ambientale, scelta originariamente quale contesto ideale teso a magnificare il rito di ringraziamento, in un contesto completamente  stravolto.
Ridotta a una sorta di semplice atto amministrativo dal momento dell’apposizione del vincolo di salvaguardia ambientale da parte della Soprintendenza per i Beni Architettonici ed Ambientali, tale cornice è sopravvissuta solo in termini di “superficie” all’avanzata frenetica della città contemporanea, quale regressiva espressione del primato del bene individuale rispetto a quello collettivo.
E’ questo il senso vero della riflessione di un addetto ai lavori, da aggiungere ai numerosi commenti e contributi profusi nel tempo sulla magnifica festa.
L’architettura del carro rappresenta, infatti, una significativa sintesi di quel consolidato sapere di accumulo,  che ha consentito di tramandare fino ad oggi quanto di meglio le generazioni che ci hanno preceduto sono state in grado di metabolizzare.
Questo sapere, purtroppo, è stato frettolosamente dissipato, in particolare, con gli incoerenti interventi urbanistico-edilizi realizzati, successivamente agli eventi sismici del 1962 e del 1980-81, nel Centro Storico di Mirabella Eclano. Interventi che hanno prodotto un sistematico saccheggio  della morfologia e dei segni linguistici quali componenti essenziali del patrimonio identitario della comunità.
Lo stesso atteggiamento di radicale abbandono a confrontarsi con quel sapere risulta simmetricamente riscontrabile nell’analisi delle successive espansioni urbane della città,  prodotte a partire dal secondo dopoguerra e fino ai nostri giorni.
Tutto ciò è il risultato di scelte amministrative che si sono affermate, evidentemente, per la mancanza di un robusto argine di resistenza culturale, spianando, così, la strada ad una scellerata e volgare stagione di decadenza culturale in tema di trasformazioni territoriali.
Infatti, se con gli interventi realizzati nel Centro Storico abbiamo sacrificato pezzi consistenti del patrimonio storico-culturale della comunità con le recenti espansioni urbanistiche abbiamo distrutto un significativo pezzo del nostro paesaggio rurale anch’esso, al pari dell’altro, da considerare patrimonio indisponibile della collettività.
Crea stupore e malinconia vedere il Carro passare attraverso corridoi di fabbricati anonimi dove l’entusiastica generosità dei giovani mirabellani è messa a dura prova dallo sforzo fisico di mantenere in equilibrio, attraverso il tiro delle funi, la possente macchina da festa.
Perfino la Madonnina posta in cima al Carro sembra restare sempre più addolorata difronte a tale depauperamento del contesto urbano.
Questo disorientamento è solo epidermicamente attenuato dalla gioia catartica sprigionata dai giovani locali, focosamente eccitati nelle pittoresche schermaglie tese ad esaltare le distinzioni geografiche della provenienza cittadina.
Il senso unitario della composizione sociale è, viceversa, religiosamente ed intimamente veicolato nella liberatoria impresa, una sorta di filo conduttore intergenerazionale, di condurre, integro  fino alla meta il simbolo per eccellenza dell’identità cittadina.
L’essenza  di questo contributo vuole essere quella, prendendo come pretesto la metafora del Carro, di sollecitare una profonda discussione sulla necessità  culturale della salvaguardia dei Centri Storici  e dei paesaggi rurali dell’Irpinia, parte importante del patrimonio culturale della nostra Regione, nell’ambito dell’eterno conflitto tra città e campagna, contesti urbani e contesti rurali.
Anche se un’inversione di tendenza, così come sollecitata, è bene ricordarlo, può affermarsi solo se diventerà patrimonio condiviso da un’ampia parte della società civile. Si potrà così condizionare significativamente qualsiasi manovra urbanistico-programmatica delle Amministrazioni locali sul governo del territorio che non vada nella direzione della salvaguardia e della valorizzazione  degli irrinunciabili valori dell’identità dei luoghi.
Solo così potremo evitare che in un futuro, non certo lontano, il nostro paesaggio rurale possa continuare a trasformarsi in un sorta di garden city ed i Centri Storici in anonimi luoghi sempre più pesantemente condizionati dal fenomeno della desertificazione sociale e sviliti da interventi edilizi inadeguati.
Franco Cassano (Architetto)