NUOVE PASSIONI OLTRE IL RANCORE Stampa
Scritto da Enzo Magaldi   

Pubblichiamo queste riflessioni convinti della passione e tenacia con cui E. Paolozzi porta avanti, non da oggi , le sue idee.

Enzo R. Magaldi



ERNESTO PAOLOZZI
O - O
Oltre il rancore: l’Italia della speranza. È questo lo slogan semplice, quanto efficace, scelto da Sinistra liberale per presentare le sue idee, le sue sensibilità, la sua proposta al Paese.
Per superare la più grave crisi economica del dopoguerra e ricostruire la democrazia italiana dopo la deflagrazione del sistema politico del paese, dilaniato da opposti populismi, è necessario liberare la società e la politica dei vincoli delle corporazioni, dalle stanche oligarchie di potere, dalle pigre consuetudini di chi ritiene che il mondo non possa cambiare. Promuovere la mobilità sociale quale sinonimo di equità, libertà, democrazia, attraverso l’abolizione dei privilegi corporativi che lacerano il tessuto sociale e deprimono la crescita economica e il progresso civile. Affermare l’individualità contro il meschino egoismo, come rispetto della creatività, in sé portatrice del valore dell’alterità, della socialità, della solidarietà. Questo, in estrema sintesi, il compito che si prefigge la sinistra liberale.
Se ne discute oggi alle 17 all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (Palazzo Serra di Cassano — via Monte di Dio 14) in un incontro al quale prenderanno parte il deputato Sandro Gozi, il senatore Andrea Marcucci e Gianfranco Passalacqua, coordinatore di
Sinistra liberale,
che si confronteranno con intellettuali e rappresentanti del mondo politico e associativo.
Si tratta, a mio modo di vedere, di compiere una vera e propria rivoluzione, culturale prima ancora che politica, nell’ambito di una sinistra invecchiata, stanca, priva di creatività. Potremmo dire, quasi come in uno slogan, si tratta di recuperare, seriamente e rigorosamente, le idee di libertà nell’orizzonte della sinistra. Idee di libertà che non coincidono, e forse non hanno proprio niente a che vedere, con il cosiddetto pensiero unico liberale che dominerebbe il mondo contemporaneo. Una sinistra liberale si oppone al dirigismo tecnocratico che domina l’Unione europea dei nostri giorni in favore di un’Europa etico-politica. Sogna, forse, che il Parlamento europeo, eletto dai cittadini, dai popoli, come si dice con enfasi forse esagerata, si proclami costituente e costruisca una nuova Europa che, paradossalmente, si avvicini all’Europa delineata dai padri fondatori nel dopoguerra.
Ritiene che alla crisi dello Stato sociale si debba rispondere con un nuovo Stato sociale, fondato sulla garanzia dei diritti individuali più che sulle rendite corporative; che l’intervento dello Stato serva a garantire uguali possibilità alle persone e non a ostacolare la libera creatività di individui e gruppo. Che si tratti di aprire un’attività commerciale senza dover passare sotto le forche caudine di una burocrazia ottusa e invasiva, figlia di un micidiale cocktail di sinistrismo normativo e frainteso liberalismo tecnocrate. Che si tratti di poter liberamente insegnare e apprendere, nelle università e nelle scuole, senza sottoporsi a un mortificante sistema di valutazione, anch’esso figlio di contrapposti cascami culturali di destra e di sinistra, il tecno-positivismo e la buromeritocrazia, riuniti in una miscela letale e annichilente.
Una sinistra liberale spera che le città italiane siano sottratte alla cultura del divieto e del vincolo, dalla chiusura della strade e delle piazze alla proibizione di mangiare panini o sedersi sulle panchine. Una cultura malata e trasversale, alla destra e alla sinistra, al leghismo e al grillismo. Una sorta di biopolitica, per dirla con Foucault, che esercita un potere coercitivo di fatto, difficilmente riconoscibile in quanto potere perché dissimulato da presunti valori etici o da altrettanto presunte verità scientifiche oggettive e incontrovertibili. Potere tanto più forte e insidioso giacché si presenta col volto della lotta contro il potere costituito. È il capovolgimento, a cui assistiamo sbalorditi e atterriti, di movimenti inizialmente rivoluzionari, come quelli degli indignati, degli arancioni, dei grillini e così via, in ingranaggi dal timbro autoritario, se non totalitario.
Tanti altri esempi potrebbero farsi, ma ciò che conta è cominciare a immettere nel dibattito politico un nuovo metodo e elementi nuovi di discussione. Solo così, io penso, si potrà evitare che l’inevitabile (perché è inevitabile se si vuol vincere) nascita nella sinistra di un partito con una forte e riconoscibile leadership personale si tramuti in un nuovo partito personale, effimero quanto pericoloso. Una leadership nuova, come potrebbe essere quella di Matteo Renzi o d’altri, che si radichi nel territorio ma, soprattutto, in una cultura politica dai contorni chiari, riconoscibili. Suscitare nuove passioni, generose, per lasciarsi alle spalle un’Italia rancorosa e annichilita.
© RIPRODUZIONE RISERV