LINEE GUIDA PER IL PROGRAMMA DEI VERDI IN REGIONE CAMPANIA

 

Queste pagine vogliono essere un contributo dei Verdi della Campania scritto con l’aiuto e le sollecitazioni di Amministratori, Consiglieri, Associazioni, Professionisti, Cittadini e tanti altri che hanno voluto partecipare a questa sfida che noi Verdi affrontiamo con la consapevolezza di chi ha a cuore i veri problemi della comunità.
 
Consideriamolo quindi, un programma ancora aperto a idee e a proposte nuove.

 

UNA REGIONE FORTE, CERNIERA TRA EUROPA E MEDITERRANEO

 

1. Democrazia e partecipazione

2. Piena attuazione del decentramento amministrativo

3. Dal controllo ambientale allo sviluppo sostenibile

4. L’emergenza rifiuti

5. La questione energetica

6. La sicurezza sociale ed una più equa redistribuzione della ricchezza

7. La manutenzione del territorio

8. Aree naturali protette

9.  Una nuova agricoltura sempre più “fattore” di sviluppo

10. L’identità culturale e sociale

11. La sicurezza stradale

12. Contro la camorra

13. Progetto giovani

 

1. Democrazia e partecipazione

Si dice, ed è vero, che le fondamenta della democrazia sono due: la partecipazione e la trasparenza.

Partecipazione, perché per rendere la democrazia effettivamente operante è necessario che i cittadini trovino al di là del voto i canali giusti per influenzare la formazione delle decisioni ed incidere sull’esercizio del potere. Trasparenza, perché chi governa è obbligato a rendere conto a chi è governato di ciò che intende fare e di quel che fa.

Ambedue questi pilastri sono fortemente compromessi.

Durante gran parte del 900, furono i partiti, in particolare quelli di massa, ad offrire modalità e strumenti efficaci per la partecipazione dei cittadini alla politica, svolgendo un ruolo essenziale nell’avvicinare le popolazioni alle istituzioni. La crisi delle ideologie ha però trascinato con sé anche gli ideali ed i valori intorno ai quali i cittadini si erano organizzati per l’affermazione dello loro idee e la difesa dei propri interessi, nobilitandoli. I partiti hanno di conseguenza progressivamente perso il ruolo di strumenti della partecipazione e di qualche controllo sugli eletti. E’ esplosa così la crisi della rappresentanza: la distanza tra politica, istituzioni e cittadini è di nuovo aumentata.

Anche la trasparenza è in sofferenza. Non solo per l’aumentata distanza della politica e delle istituzioni dai cittadini, ma anche per l’insorgere del leaderismo, fenomeno del tutto omogeneo alle molteplici sfaccettature della società dell’immagine, nella quale l’apparire conta assai più dell’essere e la notizia crea la realtà e non viceversa. Il cittadino non solo non dispone più dei mezzi per influenzare attraverso i canali della politica i processi decisionali del potere, ma non conosce più nemmeno la reale portata delle decisioni che vengono prese.

Ciò è particolarmente grave nel contesto di una società sempre più complessa nella quale è aumentato, e minaccia di aumentare ancora, il numero delle relazioni tra le diverse componenti della organizzazione sociale e dell’ordinamento statuale e quindi il numero delle decisioni da prendere. Per fronteggiare la complessità si è pensato bene di concentrare i processi decisionali, di restringere cioè il numero delle sedi dove “si conta”, dove si prendono le decisioni importanti.

La democrazia insomma si è ridotta a mera modalità, esposta ad ogni sorta di manipolazione, di selezione delle “rappresentanze” che in non pochi casi vanno somigliando sempre più a gruppi oligarchici. I cittadini, come quelli che un tempo non a caso si chiamavano sudditi, sono tornati ad essere destinatari forzatamente passivi di decisioni adottate da un potere lontano.

Si continua a chiamare democrazia, ma questa per sua natura non sopporta deleghe totali ed in bianco. Una possibile risposta alla crisi della democrazia si può forse intravedere negli esperimenti di democrazia partecipativa che si stanno dispiegando alla scala urbana.

Nei grandi, medi e piccoli Comuni, la società civile si organizza in forme diverse e varie per interloquire con l’istituzione a sé più vicina, per analizzare e discutere i problemi avvertiti come rilevanti per la vita di ciascuno, formula indirizzi di soluzione, influenza il processo decisionale e ne segue da vicino lo svolgimento. La società tenta di uscire dall’anonimia e dalla supinità e ridiventare comunità che riannoda i fili della propria identità.

 

Quanto esperienze del genere, se diffuse, possano essere decisive per rivitalizzare le società meridionali è semplicemente evidente. Del pari evidente è che esse possano essere decisive per il miglioramento della qualità dei sistemi sociali del Mezzogiorno.

Negli anni recenti l’agenda dei problemi che i governi delle città meridionali sono chiamati ad affrontare si è molto allungata. Ciò è dovuto a processi articolati e complessi che riguardano la forma stessa delle città, i mutamenti avvenuti di carattere sociale ed economico, i mutamenti di carattere politico. Nuove domande coinvolgono l’azione delle amministrazioni locali: il sostegno allo sviluppo economico locale; la definizione di nuovi assetti economici e territoriali in risposta alla crisi della grande industria e dei settori economici tradizionali; la definizione di interventi idonei a valorizzare le risorse endogene e a reggere la competizione dei sistemi territoriali.

Nel campo dei processi di trasformazione territoriale nascono nuove domande: di riqualificazione di aree degradate (periferie urbane, aree periurbane) o di riutilizzazione di parti di città che hanno perso la loro funzione (aree industriali, aree ferroviarie, grandi e piccoli contenitori urbani); di miglioramento della qualità ambientale e più in generale di innalzamento della qualità dell’abitare; legate al consumo culturale e al tempo libero (non a costi proibitivi che escludono ulteriormente le fasce deboli della società). Le aree dimesse dovranno essere riutilizzate per aumentare la dotazione di verde pubblico e di spazi sociali.

Ogni capoluogo di provincia dovrà dotarsi di un parco pubblico.

E’ importante ricordare che tutte queste nuove domande si sommano a quelle più tradizionali, di manutenzione urbana, di erogazione dei servizi, di risposta ai pressanti fenomeni di povertà ed esclusione sociale.

La costruzione di politiche che puntano a rispondere efficacemente alle nuove domande sopra accennate non può avvenire senza la mobilitazione di attori locali (imprenditori, tecnici, intellettuali, terzo settore) ed il coinvolgimento degli abitanti come protagonisti dei processi di riqualificazione, perché non esistono soluzioni tecnocratiche a questi problemi. La partecipazione svolge un ruolo centrale per rispondere all’esigenza di orientare una pluralità di soggetti diversi verso obiettivi comuni, creando una importante infrastruttura immateriale per lo sviluppo. Esperienze recenti ma significative in questo campo sono ad esempio i percorsi di Agenda 21 Locale, i nuovi municipi e i bilanci partecipati. Attraverso percorsi di partecipazione della comunità locale è, infatti, possibile programmare e calibrare interventi realmente efficaci, vicini alle esigenze dei cittadini, degli operatori economici e sociali; interventi che, nei vari campi, mettono a valore le caratteristiche identitarie delle città, le risorse territoriali endogene e innescano meccanismi virtuosi di innalzamento della qualità della vita della comunità nel suo insieme, dei singoli quartieri. Ciò si è dimostrato vero in varie realtà meridionali, ad esempio, nel campo dei servizi e delle politiche sociali (piani di zona legge 328) rendendo possibile, con la partecipazione della comunità e del terzo settore, la creazione di servizi ed attrezzature innovative che rispondono alle nuove esigenze delle famiglie e a particolari bisogni sociali ancora inevasi.

Altri esempi significativi riguardano, ad esempio, i programmi di riqualificazione di ambiti urbani degradati realizzati con il diretto coinvolgimento degli abitanti e degli operatori economici e sociali lì insediati. E’ il caso di alcuni programmi di tipo integrato (Urban e in parte i Contratti di Quartiere) realizzati in alcune città meridionali che, con un paziente lavoro di ricucitura e di integrazione, dovrebbero mettere insieme politiche per lo sviluppo locale, riqualificazione di spazi pubblici, recupero ambientale, con risultati positivi proprio perché appropriati al contesto e duraturi. Un lavoro, questo, che difficilmente potrebbe essere svolto dall’alto. Tali programmi hanno dato risultati positivi solo nelle città dove hanno funzionato i meccanismi di partecipazione dei cittadini e delle associazioni.

L’azione dell’amministrazione locale, dunque, diviene efficace soprattutto quando assume il ruolo di facilitatore della mobilitazione delle risorse già esistenti, in una concezione del progetto urbano come progetto multi-dimensionale e partecipato.

La Regione Campania non può non assumere questo percorso come elemento fondante della propria politica, facilitandone il divenire e strutturando, in particolare sulle politiche ambientali, sociali e di governo del territorio, una prassi che possa diventare nel tempo organica e costitutiva di un nuovo modello di “governance”.

2. Piena attuazione del decentramento amministrativo

e del passaggio delle competenze dalla Regione alle Province e ai Comuni

 

Un passaggio decisivo per migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa, dove, naturalmente i tempi decisionali diventano essenziali e sostanziali, sarà quello di accelerare il processo di decentramento amministrativo che, attesa la volontà del legislatore che ha già determinato le competenze e la strada da seguire anche attraverso le modifiche del titolo V della Costituzione e del D. Lgvo 112, deve presupporre l’esclusiva competenza alla Regione della programmazione e dell’azione legislativa, con l’attribuzione alle Province ed ai Comuni della gestione amministrativa. La Regione Campania fa ancora troppa gestione e questo non solo è improprio ma determina ritardi notevoli nella soluzione di problemi. Viceversa la vetustà del quadro normativo regionale (al di là di una serie di nuove leggi approvate nella legislatura che si sta completando – anche se resta grave la non approvazione dello Statuto e della legge elettorale) non dà certezze allo sviluppo di una corretta e tempestiva azione amministrativa.

 

Questa è una delle questioni centrali da risolvere, prima la si attua e prima il sistema nel suo complesso recupera efficienza ed efficacia.

3. Dal controllo ambientale allo sviluppo sostenibile

Dovrà essere sempre più preponderante l’attivazione degli strumenti propri dell’Agenda 21 locale per lo sviluppo sostenibile regionale che mutua, sul piano locale, i principi sviluppati al Vertice di Rio de Janeiro del 1992 prima e di Johannesburg del 2002 poi, che punta, anche e soprattutto sul piano locale a non consumare oltremodo le poche risorse della terra e a conservarne per le future generazioni. La metodologia dell’Agenda 21 locale presuppone una forte e spinta partecipazione dei cittadini e dei gruppi d’interesse, degli attori sociali a definire un vero e proprio Piano di Azione Ambientale che sarà la linea maestra per le politiche ambientali e sociali della Regione Campania.

I principi dello sviluppo sostenibile dovranno essere il cuore pulsante dell’Ente in tutte le sue articolazioni e soprattutto dovranno determinare un nuovo modello di sviluppo che dovrà contaminare tutto e tutti. Sarà elaborato un vero e proprio vademecum di “buone pratiche” ambientali e sociali cui tutte le componenti sociali dovranno attenersi, in modo volontario per certi aspetti, ma anche in modo autoritativo per altri (acquisti ambientali, certificazioni EMAS e/o ISO 14000, indirizzi per elaborazioni di capitolati d’appalto che presuppongano l’utilizzazione di materiali poveri derivanti dalle raccolte differenziate, codici etici, regolamenti edilizi con le regole derivanti dai principi dello sviluppo sostenibile, riduzione del consumo idrico, energie alternative ecc…). Emblematica sarà la realizzazione, tra gli altri interventi sui quali la Regione Campania sta investendo da tempo nel campo della mobilità sostenibile, di una vera e propria politica sull’uso della bici e sulla realizzazione di piste ciclabili sulle aree ferroviarie dismesse, a partire da quella della Circumvesuviana da Scisciano a Napoli.

Sarà istituito un Ufficio Ag 21 intersettoriale (la conferenza dei dirigenti coordinatori dell’Ente) per l’analisi della rispondenza degli atti da far assumere alla GR e/o al CR ai principi dello sviluppo sostenibile.

Se lo sviluppo sostenibile è la prospettiva nella costruzione di un modello di sviluppo alternativo a quello attuale, più corretto sul piano ambientale e più equilibrato sul piano sociale che, però, ci porta ad una prospettiva di medio-lungo periodo, “la questione ambientale” e quello del controllo delle fonti di inquinamento impongono una più decisa azione di monitoraggio e di intervento nella eliminazione dei punti critici più evidenti.

Insieme all’ARPAC e ai tanti soggetti competenti, ivi compresi le Province e i Comuni, partendo dal fondamentale documento, che è “il rapporto sullo stato dell’ambiente”, bisognerà intervenire subito su alcune criticità:

·         inquinamento dell’aria (in particolare traffico e emissioni industriali),

·         inquinamento dei suoli (uso dei pesticidi, cimiteri autoveicoli, abbandono di rifiuti, ecc..),

·         inquinamento delle acque (reti idriche, falde, inquinamento marino ecc..),

·         inquinamento elettromagnetico (centrali termoelettriche, antenne telefonia, elettrodotti).

Insieme a questi interventi sarà utile conseguire un altro dato che potrà essere elaborato con l’aiuto delle ASL e di istituti sanitari specializzati: uno studio epidemiologico che metta in relazione nelle diverse aree territoriali, in termini di casualità/effetto, le fonti di inquinamento con le malattie (tumori, leucemie ecc…).

Sarà utile, a questo proposito, lavorare ad una maggiore connessione tra sanità e ambiente:

- promuovendo l'impegno dei medici per la salvaguardia dell'ambiente;

- privilegiando le politiche di prevenzione ambientale;

- sostenendo i medici e i pediatri di base nel ruolo di tutela del proprio assistito per le cause ambientali;

- attivando, nell'ambito di un efficace sistema di monitoraggio ambientale, una rilevazione epidemiologica delle patologie organiche tumorali e non, correlabili alle problematiche territoriali recenti e passate (in particolare per lo smaltimento illegale di rifiuti tossici e radioattivi avvenuto nell'ultimo decennio);

- avviando, nello specifico, un registro dei tumori, al momento inesistente, avvalendosi della cooperazione attiva dell'Isde nazionale (International Society of Doctors for the Environment) e delle rappresentanze regionali e provinciali dell’associazione “Medici per l’ambiente”, con cui stabilire protocolli di intesa.

4. L’emergenza rifiuti

Sui rifiuti è necessario preliminarmente trovare una soluzione all’enorme quantità di immondizia (cosiddetto CDR stoccato, pari a ca. 2.800.000 mc) che c’è già, che provoca lo stato di emergenza e che viene continuamente sballottata da un sito all’altro, con grande lucro per chi preleva e trasporta, grandi costi per la comunità e nessun vantaggio ambientale. Bisogna affrontare con coraggio questa questione, in parte inviando il CDR negli impianti del Nord e della Germania o conferendo i rifiuti a grandi discariche ad alta tecnologia per il recupero del gas o determinando una riconversione delle centrali elettriche e delle cementerie che attualmente utilizzano olio combustibile o peggio ancora carbone.

 

Ma il problema non lo si risolve a valle, ma a monte: l’immondizia per il  50% circa è costituita da imballi (buste, bottiglie, confezioni). Qualsiasi cosa è confezionata con il sistema usa e getta, quasi tutto in plastica o in cartone. Si tratta di cambiare questa modalità di commercializzazione dei prodotti, agendo, se possibile anche con la leva fiscale: dove si sono introdotte pesanti tassazioni sulle confezioni usa e getta non biodegradabili i rifiuti si sono ridotti di un terzo già nei primi mesi e si è in breve tempo ripristinato il sistema del “vuoto a rendere” che del resto ha funzionato benissimo fino a poco più di un decennio fa, mentre i produttori di imballi usa e getta o hanno implementato prodotti biodegradabili o hanno cambiato settore. Questa riduzione dei rifiuti a monte ed il contestuale flusso finanziario proveniente da chi non vuole rinunciare all’usa e getta e sceglie di pagare molto pur di continuare ad inquinare, può permettere un rafforzamento delle capacità operative per la raccolta differenziata, che in alcuni casi può arrivare per l’effetto congiunto della tassazione degli imballi, della conseguente riduzione a monte e delle maggiori risorse finanziarie, ad una riduzione dei volumi a valle (molto forte) di oltre il 70%. Così tutto il sistema tornerebbe in equilibrio. Un buon piano territoriale, che salvaguardi le vocazioni agricole e i centri urbani, in una logica di confronto positivo con le comunità locali, potrebbe definire le localizzazioni dei siti per la chiusura del ciclo dei rifiuti.

Contenuto irrinunciabile del piano, ma soprattutto della sua procedura di costruzione, approvazione ed implementazione –secondo il principio cardine che un buon piano non è un fatto tecnico ma socio-politico e tecnico, per cui un buon piano è un buon processo di piano- dovrà essere la corretta e condivisa percezione che ogni ciclo tecnologico utilizzabile per la gestione dei rifiuti ha i suoi vantaggi e svantaggi sia dal punto di vista ambientale che economico, e comporta conseguenze a monte sulle modalità di raccolta del rifiuto (con conseguenti ulteriori conseguenze economiche, organizzative e sociali), e che tutti i materiali componenti i rifiuti (frazione umida, 27 %; vetro, 20 %; plastica, 13 %, metalli, 5%; carta e cartone, 24 %; legno, 10 %; pericolosi, 1 %) sono indirizzabili a destinazioni alternative (se non altro alla discarica), ciò che si pone è la scelta di modelli di raccolta-selezione-impiantistica adeguati.

Sotto questo profilo in linea generale il problema è di individuare un modello (con le sue variazioni locali) che unisca nel modo migliore:

-          la compatibilità ambientale,

-          l’idoneità tecnica,

-          la condivisione sociale,

-          la sostenibilità economica.

Senza il pieno rispetto di tutte e quattro le dimensioni ogni soluzione non sarà tale, nel senso che –ad esempio- una soluzione che non affronti l’intero problema posto dalle masse di rifiuti da trattare ogni giorno si rende disponibile a soluzioni tampone di emergenza che spesso sono fonte di problemi maggiori; del resto una soluzione che non sia socialmente condivisa non sarà implementata per i prevedibili e giustificati movimenti di protesta che provocherà; ancora, se non è economicamente sostenibile andrà a gravare i cittadini che pagano le tasse per il servizio o le finanze pubbliche distogliendo risorse preziose per lo sviluppo o per le politiche pubbliche ed il welfare; infine, se non è ambientalmente pienamente compatibile scaricherà sulle attuali e future generazioni danni non accettabili.

Sotto questo profilo ciò che bisogna comprendere è che il problema va letto nell’ambito del modello di sviluppo (produzione-distribuzione-consumo) che lo genera, nel senso che occorre valutare le conseguenze di ogni soluzione sia in funzione degli impatti ambientali diretti sia di quelli indiretti.

Ad esempio:

-          il recupero della plastica come materia comporta consumi energetici, di materiali, economici mentre consente il vantaggio di una minore produzione di polimeri vergini –a livello globale- con conseguente minore consumo di materie prime non rinnovabili;

-          viceversa, il suo recupero come energia comporta diversi impatti sul sistema di raccolta e comporta, di nuovo, minore consumo di materie prime non rinnovabili ma questa volta sotto forma di combustibili fossili altrimenti bruciati per produrre l’energia o il calore. Del resto però la seconda modalità immette residui di combustione in atmosfera, incrementando l’effetto serra e le altre trasformazioni del clima, per cui bisogna inserire questa dimensione, bilanciando per correttezza anche le immissioni in atmosfera sia della plastica sia del metano altrimenti bruciato per Kw prodotto;

-          le due alternative d’uso hanno anche significativi e diversi impatti sui sistemi di raccolta messi in essere (il recupero energetico è ovviamente meno esigente in termini di selezione dei materiali e quindi impiega a tal fine meno lavoro); e sulla dimensione economica (la raccolta in modo differenziato, impegnando più lavoro e mezzi –anche per la necessaria selezione a valle- ha costi maggiori cui fanno fronte gli utili derivanti dal recupero dei materiali; la valorizzazione energetica ha minori costi di raccolta ma solo l’utile della vendita di energia a fronte, pèrò, di ingenti investimenti economici per gli impianti; l’invio in discarica è probabilmente la forma più economica –non a caso la più usata- ma quella che spreca più materia);

-          infine bisogna tenere conto degli impatti socio-politici generati.

In conseguenza di ciò ogni modello si intenda perseguire deve essere posto rigorosamente sotto il controllo della sfera pubblica e delle istituzioni civili. Anche in relazione alla nota compromissione del sistema in essere di gestione dei rifiuti con ambiti criminali nei confronti dei quali la vigilanza è, e deve essere sempre, altissima. È fondamentale, in altre parole, che il/i processi di pianificazione e programmazione siano rigorosamente condivisi e partecipati ai diversi livelli, in essi dovranno essere incardinate le più rigorose procedure di valutazione integrata (ambientale ed economica) disponibili. Tali procedure di valutazione non dovranno essere un momento isolato ma avere carattere continuo (essere attive nella fase di scelta, implementazione e revisione) ed essere supportate da idonei strumenti informatici e comunicativi.

È in questo senso che una politica integrata per i rifiuti deve partire da uno sforzo irrinunciabile, straordinario e prioritario per porre le scelte, le motivazioni di queste, le informazioni dalle quali partono, il percorso operativo seguito per la loro formazione, sotto l’attenzione della sfera pubblica. Deve anche essere supportata da un monitoraggio costante dei flussi, condotta il più possibile con dispositivi automatici (ad es. controllo satellitare dei vettori e strumentale dei siti), anch’esso reso disponibile a tutti in tempo reale. Bisogna, infine, investire sui controlli da parte degli organi preposti.

Ma è anche necessario che la gestione torni alle competenze dei poteri ordinari. Anche sotto questo profilo ed a causa di ciò, bisogna attivare senza indugio un processo di ri-programmazione che tenga anche conto dell’esistente e di alcune scelte non reversibili (come i sette impianti già costruiti ed operativi) ma ne superi i limiti attraverso uno sforzo straordinario di uscita dall’emergenza. Appare anche necessario sciogliere i consorzi, inefficienti e costosi, e istituire un Ente Unico Provinciale articolato per ambiti territoriali di ottimizzazione, entro cui definire i siti, con il principio che ogni ambito, ogni comunità deve prendersi un pezzo del ciclo: un pò per ciascuno, insomma, tenendo conto delle necessità di efficienza ed efficacia dei sistemi di smaltimento.

Al di là, poi, del merito della realizzazione dei termovalorizzatori, materia sottratta appunto ai poteri ordinari, per i quali rimane un giudizio fortemente critico nell’impostazione data dal bando Rastrelli, sia per la tecnologia utilizzata, sia per la localizzazione definita in aperto contrasto con le comunità locali, la Regione Campania dovrà rielaborare e far approvare, nei primi 6 mesi, una legge regionale sul ciclo integrato dei rifiuti che faccia ritornare ai poteri ordinari la gestione dei rifiuti con la creazione di un organismo che veda coinvolti le 5 province e i rispettivi 5 capoluoghi nel pianificare ed individuare tutti i siti necessari per un giusta gestione dei rifiuti.

 

La Regione Campania dovrà inoltre sostenere, anche economicamente, l’azione dei Comuni:

 

-          nell’effettuare la raccolta differenziata innanzitutto della frazione organica a partire dalle grandi utenze (mercati, fruttivendoli, ristoranti ecc..).;

-          nell’inserire criteri di premialità o penalità per i Comuni che dovranno in modo capillare attivare la raccolta differenziata con particolare riguardo alla materia effettivamente recuperata;

-          nella realizzazione di piccoli impianti per il compostaggio della frazione dei rifiuti umidi (biodegradabili) da 6 o 12 t/g massimo;

-          nella realizzazione di Isole ecologiche in ciascun comune con la possibilità, per chi conferisce rifiuti differenziati, di avere dei bonus sul risparmio della tassa/tariffa;

-          nel creare una task force per i controlli sulla raccolta differenziata, anche attraverso l’introduzione della figura della “guardia ecologica”;

-          nell’effettuare la raccolta differenziata specifica delle plastiche utilizzate in agricoltura, come le pellicole usate per le serre, per evitare il rischio che vengano bruciate in quanto producono ingenti quantità di diossina che compromettono la qualità dei prodotti agricoli.

-          nel rivedere le abitudini di consumo, a partire dalle pubbliche amministrazioni, orientandole (anche attraverso la leva fiscale) verso un minore uso di materia ed energia ed una minore produzione di rifiuti;

-          nello spendere la massima energia nel fornire corrette informazioni ai cittadini ed alle amministrazioni (spiegando modalità, vantaggi e conseguenze di ogni scelta ed alternativa);

-          nel creare effettivi luoghi di espressione della società civile e delle amministrazioni locali, avviando meccanismi di cooperazione istituzionale;

-          nel superare l’attuale frammentazione che vede sistemi di raccolta diversi da comune a comune (crea confusione e rende più onerosa la successiva selezione e riciclo) avviando un coordinamento a scala provinciale;

-          nel reimpostare quindi la logica di funzionamento delle filiere della selezione-riciclaggio curando l’effettiva qualità del materiale raccolto e selezionato e controllandone con attenzione i flussi;

-          nel concentrare una particolare attenzione sui rifiuti urbani pericolosi;

-          nell’avviare un programma di monitoraggio puntuale dei flussi di rifiuti industriali ed in particolare delle aree di stoccaggio temporaneo.

 

Per quanto attiene all’immediato è necessario un deciso cambio di politica e azioni immediate e conseguenti.

-          pretendere garanzie forti sulla qualità del CDR già stoccato (cioè del rifiuto tal quale) e di quello nuovo:

-          la totale esclusione dell’alluminio e del vetro;

-          la rigorosa manutenzione dei filtri e degli impianti esistenti di CDR;

 

-          la modifica dei trattamenti di stabilizzazione della FOS negli impianti di CDR, per adeguare i tempi di trattamento ai flussi effettivamente ricevuti;

-          la minimizzazione dell’invio della FOS in discarica, anche attraverso successivi stadi di trattamento se necessari;

-          soprattutto il più rigoroso controllo diretto, pubblico e strumentale del ciclo produttivo del CDR e dei relativi flussi (esiste un sistema pubblico in avviamento di monitoraggio dei ciclo RSU-CDR che può essere esteso anche al controllo interno degli impianti e inspiegabilmente non viene attivato da anni);

-          trovare soluzioni diverse dall’incenerimento per il CDR sino ad oggi stoccato che anche la Commissione VIA del Ministero dell’Ambiente oggi finalmente riconosce come non adeguato;

-          recuperare la materia in esso contenuta quando possibile;

-          applicare tecniche di inertizzazione realmente efficaci e conferirlo in siti controllati in regione o altrove;

-          solo in estrema ratio valorizzarlo energeticamente ma solo in impianti già esistenti e comunque attivi con altri combustibili e sotto le più esigenti garanzie;

-          attivare subito il monitoraggio strumentale integrato aria-suolo-acqua del territorio di Acerra e degli impianti di CDR esistenti.

 

 

Solo dopo aver dato seguito ai punti sopra descritti si potranno definire i luoghi e tempi per l’eventuale creazione di termovalorizzatori di piccola dimensione ed a tecnologia avanzata.

5. La questione energetica

È impossibile risolvere il deficit energetico costruendo nuove centrali termoelettriche di grande taglia alimentate a gas metano di importazione. Che la Campania importa la maggior parte dell’energia elettrica che consuma è un dato incontrovertibile. Ma è altrettanto fuor di dubbio che, con la costruzione di grandi centrali termoelettriche, la Campania importerà gas metano al posto dell’energia elettrica. Dunque, le cose non cambiano sotto il profilo della dipendenza energetica. Il gas metano è una fonte energetica fossile che l’Italia importa prevalentemente dalle ex Repubbliche dell’Unione Sovietica e dall’Algeria.

Sotto il profilo meramente quantitativo il deficit attuale di energia elettrica della Regione ammonta

a 13.200 GWh annui, cui contribuiscono, in modo molto eterogeneo, le cinque province campane:

·         per il 49,5% vi concorre la Provincia di Napoli,

·         per il 19,8% la provincia di Salerno,

·         per il 18% la provincia di Caserta,

·         per circa l’8,6% la provincia di Avellino,

·         per il 4,1% quella di Benevento.

 

In Campania risultano già autorizzate due grandi CCGT alimentate a gas metano:

·         Orta di Atella in provincia di Caserta da 780 MWe

·         Teverola in provincia di Caserta da 400 MWe (in aggiunta ad una preesistente centrale da 150 MWe).

A queste si deve aggiungere quella di Sparanise, in provincia di Caserta, da 780 MWe per la quale, essendosi concluso positivamente la VIA, seguirà, probabilmente a breve, il decreto di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio da parte del Ministero delle Attività Produttive.

Si tratta quindi di tre nuove grandi CCGT di grande taglia, tutte concentrate in una sola provincia, per un totale di ben 1.180 MWe.

Attualmente assistiamo ad un vero e proprio paradosso. Da un lato le regioni sono impegnate alla preparazione dei PER, forti anche della modifica in senso federalista del titolo V della Costituzione della Repubblica, che affida loro la potestà legislativa concorrente in materia energetica. Dall’altro lato il Governo, attraverso una legislazione d’urgenza (decreto e legge sblocca-centrali), ha favorito l’approvazione di numerosissimi progetti per la costruzione di centrali di grandi dimensioni (400, 800 e 1200 MWe) fuori da ogni logica di pianificazione energetico-ambientale, in aperto conflitto con i poteri delle regioni.

Si è venuto, quindi, a determinare così un caso di dualismo fra governo centrale e governo periferico.

Nelle more della redazione del Piano Energetico Regionale (PER) della Campania, l’Assessorato alle Attività Produttive e Fonti Energetiche ha predisposto le Linee guida in materia di politica regionale e di sviluppo sostenibile nel settore energetico adottate con Deliberazione della G. R. n. 4818 del 25 ottobre 2002. In esse si afferma, tra l’altro, che: “La costruzione di nuovi impianti di produzione di energia elettrica nonché la modifica ed il ripotenziamento degli impianti esistenti saranno limitati per quanto necessario per assicurare la copertura del deficit elettrico corrispondente al fabbisogno previsto per l’anno 2010, copertura attuata con almeno il 25% di potenza generata da impianti alimentati da fonti rinnovabili di energia ed assimilati.

 

La riduzione del deficit energetico elettrico dovrebbe essere solo uno degli obiettivi strategici del PER in corso di redazione. L’altro obiettivo, altrettanto strategico dovrebbe essere la riduzione, entro il 2010, di emissioni in atmosfera di gas climalteranti, in accordo con gli impegni sottoscritti in sede comunitaria dall’Italia con la ratifica del protocollo di Kyoto che è entrato in vigore il 16 febbraio 2005. In tal senso la Regione ha anche sottoscritto il Protocollo di Torino, in forza del quale insieme alle altre regioni italiane, si è impegnata a redigere, in tempi brevi, il piano energetico-ambientale regionale (PEAR) in una logica di sviluppo sostenibile che prevedeva tra l’altro:

·         l’elaborazione di un Piano Energetico Ambientale, sulla base dei singoli bilanci energetici che privilegi:

·         le fonti rinnovabili e l’innovazione tecnologica;

·         la razionalizzazione della produzione elettrica;

·         la razionalizzazione dei consumi energetici, con particolare riguardo al settore civile anche attraverso l’introduzione della Certificazione Energetica;

·         il raccordo dei diversi settori di programmazione ai fini della sostenibilità complessiva;

·         la promozione nel settore produttivo dell’ecoefficienza e della cooperazione internazionale.

Le previsioni dell’International Energy Agency (IEA) valutano che la “Risorsa Efficienza” può valere quanto l’incremento della richiesta di energia elettrica al 2020.

Il risparmio energetico è equiparabile ad una vera e propria fonte energetica – stimata anche nel 30% nel breve e medio periodo e al 50% nel lungo periodo.

La Regione Campania dovrà rispettare esattamente le linee guida della citata delibera regionale e del protocollo di Torino, iniziando da subito a elaborare un piano di interventi per utilizzare pannelli solari e/o fotovoltaici per gli edifici pubblici (progetto comuni solarizzati).

6. La sicurezza sociale ed una più equa redistribuzione della ricchezza

Il tema della sicurezza sociale e di una più equa redistribuzione della ricchezza è un tema decisivo per il nostro territorio e, anche se non può essere assunto tra le competenze in senso stretto dell’Ente regionale, è fondamentale occuparsene con specifiche competenze professionali, anche ricorrendo a strumenti indiretti capaci di lenire i gravi disagi sociali che una gran parte della popolazione, in particolare nelle periferie degradate, vive. La sperimentazione del “reddito di cittadinanza” va esattamente in questa direzione e va analizzata, corretta e, se possibile, implementata.

La ricostruzione di un tessuto sociale disarticolato e pericoloso, perché fonte di affermazioni di disvalori che possono essere messi immediatamente in relazione al fenomeno camorristico, è un obiettivo indispensabile se si vuole costruire una migliore qualità della vita.

Da un lato ci sono ancora sacche di povertà vera, di chi non riesce a mettere in tavola un piatto di pasta o non ha i servizi indispensabili per una vita appena decente, dall’altra la mancanza di scolarizzazione o di fenomeni di analfabetismo di ritorno, rappresentano le due facce di una medaglia ed un punto critico forte nel processo di sviluppo o sarebbe meglio dire di non sviluppo di alcune delle nostre aree.

A partire dagli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale di cui la Regione Campania si è dotata per rispondere al suo ruolo di coordinamento per l'individuazione e la realizzazione di politiche di sviluppo territoriale, si intende integrare i macro obiettivi e le strategie d'intervento con i Piani Sociali di Zona e quindi con le politiche che riguardano più da vicino il cittadino e la comunità in cui vive. Pertanto le politiche sociali vengono intese in senso trasversale, non solo per lo sviluppo di qualificati servizi alla persona, ma soprattutto come espressione dell'attenzione alla qualità della vita e quindi alla qualità dei rapporti tra le persone e tra i cittadini e le istituzioni, alla sicurezza e al senso di protezione, alle forme di partecipazione e quindi di cittadinanza attiva, alla valorizzazione delle culture locali e la promozione delle competenze e dei saperi da orientare al lavoro e all'impresa. Si guarda dunque alla filiera istituzionale Regione-Province-Comuni come al complesso di soggetti politico-amministrativi che raccolgono, integrano e coordinano le esigenze dei territori e le orienta ad una maggiore consapevolezza “ecologica” e sociale. Le politiche di sviluppo e le politiche economiche devono saper valutare “impatti” ambientali e sociali e porre le responsabilità istituzionali come garanzia di una più significativa partecipazione dei cittadini.

Una menzione specifica meritano le politiche di inclusione sociale degli extracomunitari.

E’ necessario intervenire con una politica di aiuto alle imprese, in particolare quelle agricole della piana del Sele e del Casertano, per dotare gli extracomunitari che lavorano in questo settore di alloggi dignitosi, senza i quali qualunque politica di inclusione sociale diventa difficilmente realizzabile.

La regione, sulla base di un monitoraggio, e per situazioni di particolare disagio dovrà prevedere contributi per la ristrutturazione di fabbricati rurali da destinare ad alloggi per gli extracomunitari e/o particolari forme di agevolazioni contributive sulla locazione di alloggi destinati allo stesso scopo. Analoghe politiche vanno indirizzate all’istituzione di abbonamenti di favore le in trasporto pubblico.

Nei Piani di zona sociali dovranno essere potenziati gli interventi a favore degli immigrati, con particolare riferimento alle famiglie, al sostegno scolastico dei minori, all’orientamento ed alla formazione.

La Regione dovrà dare continuità e, possibilmente potenziare, gli interventi progettuali, sperimentali e fortemente innovativi realizzati in concertazione con gli Enti Locali e molte associazioni di volontariato in alcune realtà della Campania a forte concentrazione di immigrati, partendo anche dall’approvazione della legge regionale già all’attenzione del Consiglio. Una specifica attenzione dovrà essere data alle problematiche dei moltissimi rifugiati politici che aspettano anche due anni per avere il previsto colloquio, senza poter né lavorare, né sottoscrivere contratti d’affitto.

7. La manutenzione del territorio

Bisogna elaborare un grande piano di manutenzione straordinaria del territorio trovando già da subito i migliori strumenti per una costante ed efficace manutenzione ordinaria (dissesto idrogeologico, costoni marini, sottosuolo, strade, scuole ecc..)

In questo contesto va inserita la questione delle alberature stradali e dell’alberatura delle vaste superfici asfaltate dei parcheggi che contribuiscono non poco all’effetto serra con il fenomeno dell’irradiamento termico. Occorrerà emanare quindi una legge che renda obbligatorio alberare vaste superfici asfaltate, utilizzando essenze della flora arborea campana, al fine di mitigare l’effetto serra, nonché di contribuire su scala regionale all'attuazione del Protocollo di Kyoto.

La Regione Campania si è dotata di uno dei più moderni e più apprezzati regolamenti per l’utilizzo dell’ingegneria naturalistica. Nella nuova legislatura sarà data maggiore attenzione a questo campo che, tra l’altro, è occasione di lavoro sia nella fase di realizzazione dell’opera che per l’indotto che si viene a creare.

Dovranno essere recuperate con interventi di ingegneria naturalistica le aree di cava dismesse, in particolare nel territorio casertano, esempio di disastro ambientale.

Dovrà essere approvata una nuova legge regionale (testo coordinato) in materia di attività estrattive; il Piano regionale delle attività estrattive dovrà recepire le richieste delle associazioni ambientaliste.

 

La manutenzione del territorio montano, in particolare quello delle aree naturali protette, vedrà sempre più impegnati gli operai idraulico-forestali che, ottenuto ormai il contratto di lavoro a tempo indeterminato, rappresentano una fenomenale risorsa umana per mantenere puliti i sentieri, le foreste, le aree di sosta, i greti dei torrenti dei parchi campani.

8. Aree naturali protette

Il grande sforzo compiuto dalla Regione Campania nel settore delle aree naturali protette, che ha portato alla creazione di una quindicina circa di nuove aree naturali protette e alla tutela di oltre il 25% di territorio regionale, deve trovare compimento nella nuova legislatura, nel corso della quale bisognerà mettere in atto un sistema gestionale e pianificatorio moderno e all’altezza del compito chiamato a svolgere.

Si tenga presente, infatti, che le aree naturali protette regionali e nazionali devono tutelare la preziosa e insostituibile biodiversità regionale e, nel contempo, garantire nuove forme di economia durevole alle popolazioni territorialmente interessate.

Per fare ciò è necessario dotare la Regione Campania delle giuste competenze tecniche, passando attraverso la creazione dell’Agenzia regionale dei Parchi, o la creazione di un apposito Assessorato, o, in subordine, di una nuova area di coordinamento. Si tenga presente che al momento, invece, la materia è frammentata in più assessorati con conseguenze poco utili, come è facile immaginare, al territorio protetto e agli stessi abitanti.

9. Una nuova agricoltura sempre più “fattore” di sviluppo

La Regione Campania deve promuovere, sempre più, un’agricoltura di qualità, rispettosa della biodiversità, che crei prospettive economiche di sviluppo in un quadro di sana imprenditoria nel settore agroalimentare e che valorizzi il ruolo dell’agricoltore semplicemente attuando quella “multifunzionalità”, che con l’azione di governo dell’allora Ministro dell’agricoltura, Alfonso Pecoraro Scanio, si è stabilita come svolta epocale di un sistema economico che era stato ormai trascurato e abbandonato da troppo tempo.

La difesa dell’ambiente deve assolutamente intrecciarsi con la tutela dell’agricoltura, naturale, tipica, rurale. Non si può più rischiare di trovarci di fronte ai problemi affrontati in passato come quello della “mucca pazza” e per questo è importante il ruolo delle Regioni nella difesa della tipicità agroalimentare, in un quadro di promozione e innovazione nel settore agricolo e zootecnico. Sono tanti i giovani e le donne che hanno riscoperto l’agricoltura, che accedono ai finanziamenti europei erogati dalle Regioni per la Pac, lo Sviluppo rurale e l’agricoltura biologica ed è a loro e alle future generazioni, che occorre garantire una politica agricola legata allo sviluppo sostenibile del territorio. Un’azione a sostegno di questo percorso è una politica che incentivi la ricomposizione fondiaria (vedi misura POR 4.10) e la realizzazione di aggregazione dei piccoli produttori in termini associativi e/o cooperativistici.

Le linee guida perché l’agricoltura regionale sia sempre più fattore di sviluppo sono:

·         No agli OGM

·         Sostegno dell’AGRICOLTURA BIOLOGICA

·         Promozione dei PRODOTTI TIPICI E TRADIZIONALI

·         Sviluppo delle “FILIERE CORTE”

·         Strategie per la PAC e i Piani di Sviluppo Rurale orientate sempre più alla sostenibilità

·         Una legge regionale di orientamento in agricoltura

·         Individuazione dei distretti agroalimentari e dei distretti rurali di qualità

·         Trasformazione dell’ERSAC in agenzia regionale per la sicurezza alimentare

·         Recupero dell’ENERGIA dall’ AGRICOLTURA

 

Gli o.g.m. (organismi geneticamente modificati) sono un rischioso salto nel buio, in particolare per il nostro modello agricolo e la nostra economia, che in una fase di recessione mondiale ha trovato proprio nella produzione agroalimentare, legata alla tradizione ed alla qualità, un confronto capace di crescere. Gli o.g.m. appaiono pertanto sempre più uno strumento della guerra commerciale scatenatasi tra le due sponde dell'Atlantico, oltre che uno strumento delle multinazionali per spostare sempre più valore dai bilanci degli agricoltori a quelli dell'industria.

E’ necessario scongiurare il pericolo della diffusione di piante ed alimenti o.g.m. nella nostra Regione e rendere sempre più stringenti i controlli sull’introduzione surrettizia di tali organismi.

 

L’agricoltura biologica è il modello di sviluppo rurale che La Regione Campania deve coerentemente perseguire. Il no alla chimica si ritrova con i valori della tipicità e della biodiversità.

Non serve riepilogare i vantaggi di questa scelta strategica sull’ambiente, sull’economia rurale, sulla manutenzione del territorio e delle falde acquifere, sui consumi energetici, sulla sicurezza alimentare e sulla salute dei consumatori, peraltro noti e condivisi da tempo.

Valorizzazione del biologico insieme con l’origine della produzione e del territorio, risulta un approccio vincente e, soprattutto, fornisce ad intere aree del nostro Paese l’opportunità di conversione del sistema e non più della singola azienda che affronta da sola le difficoltà del percorso verso il bio.

 

E’ necessario rafforzare le filiere corte, agricoltura-consumatori, agricoltura-ristorazione, come vendita diretta, come presenza di produttori biologici nei mercati rionali, come sinergie tra comparti produttivi. Negli appalti per la refezione e la somministrazione alimentare andrebbero incentivate le imprese che garantiscono la valorizzazione del biologico e del tipico. Anche supportare le organizzazioni commerciali dei produttori attraverso la creazione di piattaforme logistiche e commerciali rappresenta un buon esempio di intervento pubblico (società miste). Le amministrazioni pubbliche devono entrare in una logica di promozione/informazione continua del biologico e non affidarsi ad attività isolate ed occasionali. Anche le attività di valorizzazione all’estero richiedono un ripensamento che superi la mera logica di contributo ai costi fieristici delle imprese campane in terra straniera.

E’ comunque prioritario il rilancio e la qualificazione della produzione sementiera con metodo biologico, anche attraverso un maggiore protagonismo dei produttori e delle imprese sementiere, oltre ad investimenti adeguati anche in ricerca e sperimentazione verso varietà e sistemi di produzione e lavorazione adatti all’agricoltura biologica.

I prodotti agroalimentari tradizionali (PAT), individuati in base al D.M. MiPAF 350/99 (finora ai soli fini di garantirne la commercializzazione in deroga alle norme sanitarie) rappresentano la più autentica espressione delle produzioni territoriali: gli interventi di sviluppo rurale da ridefinire in relazione alla revisione della PAC, dovranno comunque contemplare azioni orizzontali tese a valorizzare il paniere di referenze che i singoli distretti rurali regionali esprimono per vocazione storica, con particolare riguardo alle preparazioni alimentari che, sia nella filiera animale che vegetale, sono diretta espressione di ecotipi locali fondamentali per conservare un elevato tenore di biodiversità in agricoltura.

Finora l’elemento di relazione con la biodiversità agricola (relazione tra prodotto alimentare ed ecotipo locale) non è stato mai formalmente esplicitato nella formazione degli elenchi regionali, con il rischio che le preparazioni alimentari, benché tradizionali, se conseguite con varietà e razze “globali” fungano da cavallo di Troia per scalzare dal territorio gli ultimi presìdi della relazione tra ambiente e sapori, quali gli ecotipi locali che sono l’unico strumento efficace per contrastare le dinamiche feroci della globalizzazione del gusto.

 

Nell’affrontare questioni inerenti le attività agricole, le produzioni, gli alimenti dell’ agricoltura biologica, non si può oggi non tener conto dell’organizzazione e delle strategie del sistema distributivo alimentare italiano.

E’ un dato, che la GDO nel comparto agro-alimentare italiano controlli attualmente più del 60% dell’offerta complessiva nazionale. Ovviamente con forti differenziazioni tra aree geografiche. E nei prossimi anni il trend di crescita e di espansione delle grandi superfici commerciali (super e ipermercati) sarà tra i più veloci e aggressivi in tutte le regioni.

Per questi motivi appare opportuno cercare di delineare nuovi percorsi commerciali che possano valorizzare le produzioni locali, essere fruibili ai consumatori del territorio d’origine delle merci, bypassando la serie di intermediazioni che portano a speculazioni ed aumenti, dove il produttore e il consumatore diventano i soggetti più spremuti.

 

In questa direzione si collocano due iniziative strategiche per la Regione Campania, che deve lavorare ad una propria legge di orientamento: la individuazione dei distretti agroalimentari e rurali previsti dalla legge di orientamento in agricoltura, in modo da collegare sempre di più i prodotti di qualità ad un territorio di qualità e la trasformazione dell’ERSAC in agenzia per la sicurezza alimentare, in modo tale che sia riannodato il rapporto di fiducia tra agricoltori e consumatori.

 

La direttiva europea del maggio 2003 ha triplicato la quantità di carburanti totali prodotta dall’ agricoltura e quindi suscettibili di esenzione dalle accise. Dal 2,5% del totale si è passati al 6% del totale con un incremento di superficie agricola coltivabile a biomasse per energia di circa 1.500.000 ha per tutta l'Europa.

In Italia, ad oggi, possono essere prodotte fino a 300.000 tonnellate di biodiesel da agricoltura da cui possono dedursi le accise. Nei fatti però, il nostro Paese non ne produce che poche centinaia di ha e, quindi, di fatto l’intero quantitativo proviene dall’estero.

Il biodiesel, ma più ancora gli oli lubrificanti da agricoltura, rappresentano una straordinaria risorsa per il futuro energetico del pianeta e per la salubrità dell’aria e dell’acqua. Il biodiesel puro (solo quello puro) è biodegradabile al 100% quindi è fondamentale il suo impiego in ambiente marino, diporto e cabotaggio, nelle aree protette e in tutte le aree sensibili ambientalmente.

Ovviamente, resta fondamentale il tipo di coltivazioni, per non deturpare il pianeta con contributi di inquinanti e quindi di nuovi idrocarburi veicolati sui campi per produrre più colture industriali, causando una beffa per il pianeta e un danno per le finanze. Ecco che vanno incrementate le colture sostenibili e vanno sviluppate le sementi che richiedono ridotti apporti di azoto e per le latitudini Italiane anche colture non idroesigenti.

Quindi è giunta l’ora delle fattorie energetiche, non più gasolio agricolo ma libertà di prodursi il biodiesel in proprio da varie oleaginose e in particolare da girasole e canapa (di cui la Campania è stata grande produttrice fino agli anni ’60).

Le positive esperienze di leggi regionali come quella in Toscana per la coltura industriale della canapa possono essere sviluppate anche in Campania dove è necessario sostituire colture non più produttive e non sostenibili.

10. L’identità culturale e sociale

Per poter andare bene avanti e capire la propria prospettiva, analogamente alle persone, i diversi territori della Regione devono guardare indietro, alla loro storia, alle loro tradizioni, al complesso delle loro vocazioni specifiche. Questo, non certo per tornare indietro, ma per ritrovare la loro identità e fondare i processi di sviluppo su questi forti, ancora per poco, valori. Non è solo una operazione di tipo culturale (che impone peraltro uno specifico lavoro culturale), ma è soprattutto la possibilità di far crescere e sviluppare economicamente e socialmente, in modo omogeneo e congruo, ciò che è stato, in termini moderni ed integrati.

Non c’è un’unica ricetta per l’intera Regione Campania. Essa è composta da tante diversità che devono diventare il punto di forza per i processi di sviluppo che non possono prescindere dalla crescita culturale, sociale e civile delle diverse popolazioni presenti nelle aree omogenee.

La Regione Campania deve mettere l’identità al primo posto perché riavvicina l’Ente ad una dimensione che deve essere recuperata: la gente che abita un territorio, una comunità di persone, uomini e donne, che con il territorio che abitano hanno un rapporto di scambio creativo.

Si possono tesorizzare le esperienze nate dal basso e che, ancorché non tutte riconosciute istituzionalmente, possono frenare la spinta alla crescente richiesta di “nuove” province (Unione dei Comuni, Patti territoriali, Agenzie di sviluppo locale, Piani Integrati Territoriali, Piani Integrati in aree rurali, Piani sociali di zona). L’attenzione che bisognerà mettere su questo versante (per facilitare nuove aggregazioni e/o assumere come riferimento quelle già realizzate) è di dare vita ad ambiti territoriali che siano coerenti con le diverse politiche sviluppate e da sviluppare (politiche sanitarie, scolastiche, di sviluppo locale, sociali ecc..).

11. La sicurezza stradale

Ogni anno sono decine di migliaia i morti e feriti sulle nostre strade. La casistica ci dice che dipendono moltissimo dal comportamento umano, abbastanza dalle condizioni di sicurezza dei veicoli, in misura ridotta dalle condizioni delle strade. E’ opinione diffusa, invece, che non esiste una sola causa (l’imprecisione è dovuta alla inevitabile semplificazione delle statistiche), ma esistono le cosiddette concause. In questo il fattore inadeguatezza delle strade è decisivo. E, in ogni caso, anche se fosse vera la scala di priorità, pensare che anche una sola vita umana può dipendere dalla inefficienza degli Enti pubblici proprietari delle strade impone a questi ultimi un salto di qualità nella gestione delle strade stesse:

12. Contro la camorra

Una delle opzioni fondamentali per costruire una Regione forte è e resta la lotta alla camorra nella sua accezione di organizzazione malavitosa e nell’accezione dei mille quotidiani comportamenti camorristici cui la gente perbene è costretta a subire. E’ una delle battaglie più importanti per vincere la sfida dello sviluppo del nostro territorio.

Bisogna lavorare:

13. Progetto giovani

I giovani sono una categoria particolarmente a rischio, non solo per la mancanza di lavoro che rimane la priorità assoluta, ma anche e soprattutto per la mancanza di riferimenti culturali. Le agenzie formative tradizionali (famiglia, scuola ecc..) affannano e non riescono a costruire nuove scale di valori. Anche dal punto di vista politico c’è poca attenzione e comunque scarsa considerazione. Partendo dalla rete Informagiovani bisognerà sviluppare un vero e proprio “Progetto giovani”, sfruttando in positivo ciò che in moltissime realtà istituzionali è stato già fatto.

In questo quadro diventa assolutamente non rinviabile il problema degli spazi sociali e di aggregazione giovanile. Il fenomeno dei centri sociali occupati e autogestiti pone all’attenzione della politica, non solo la mancanza di spazi fisici dove il mondo associativo possa sviluppare le proprie iniziative, ma anche la necessità di esprimere istanze culturali e sociali “altre”, che non rispondano alle culture (sarebbe meglio dire in alcuni casi non culture) dominanti che fanno riferimento solo al “mercato” (televisione spazzatura, circuito distributivo cinematografico che veicola solo films di cassetta, informazione sempre più ossequiosa alle “veline”). I giovani non sempre possono permettersi di pagare cinema, teatro, musica, e soprattutto non vogliono subire programmazioni che non condividono e sono, nei fatti, “normalizzanti”. Hanno bisogno di spazi dove autorganizzarsi, dove possono programmare loro gli spettacoli, le feste, dove non sia la nuova piazza costruita intorno ai centri commerciali il luogo del loro incontro e dell’inevitale “consumo”. Il patrimonio pubblico (comunale, provinciale e regionale), troppo spesso abbandonato, il più delle volte venduto, in nome delle compatibilità economiche, per fare caserme o peggio ancora a speculatori che dovranno costruire altri vani, altre case, molto spesso brutte case, deve essere utilizzato per questi scopi, per costruire o meglio far costruire nuovi modelli di socialità.

 

 

Il Presidente Regionale dei Verdi della Campania

Alberto Patruno

 

Responsabile Regionale del Programma

Enzo Falco