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ASSOCIAZIONE SOCIALISTI EUROPEI

Napoli, 14 MARZO 1999

Nel secolo passato il riformismo venne a significare la prassi politica propria della socialdemocrazia in contrapposizione alle istanze rivoluzionarie anarchiche e marxiste ortodosse.

All'indomani della rivoluzione di ottobre ma soprattutto l'atteggiamento scaturito dalla posizione dei grandi partiti socialisti europei sulla "GRANDE GUERRA" determinò la grande profonda spaccatura al loro interno: la strategia delle riforme, che implicava la partecipazione dei socialisti al la direzione dei governi "borghesi" fu rifiutata in nome della sacrosanta " lotta di classe" che avrebbe prima o poi portato alla rivoluzione e alla dittatura del proletariato.

La profonda divisione delle forze di sinistra, sulla base di questi presupposti, portò nel nostro paese alla inevitabile sconfitta della democrazia e al trionfo del FASCISMO.

Le tesi staliniane sul socialfascismo (riformismo, socialdemocrazia=fascismo) furono abbracciate con convinzione, un decennio più tardi, in Germania dai comunisti tedeschi che preferirono il crollo della repubblica di Weimar e l'ascesa al potere di Adolf Hitler alla strategia riformatrice della SPD.

Il dibattito sulle riforme e sul riformismo si riaccese in maniera prorompente, dopo il 1945. In questo caso, anche i socialisti italiani ritennero che le esperienze riformistiche dei partiti progressisti europei si erano rivelate fallimentari; Pietro Nenni esaltò la " natura operaia " del P.S.I. e dichiarò che il "socialismo dei ceti medi è il bonapartismo, è il fascismo, è l'hitlerismo: tutti movimenti ispirati al mito nazione. Il socialismo dei ceti medi è " borghese ". Dopo la batosta elettorale del 1948 e soprattutto dopo i fatti del 1956, entrambi i partiti della sinistra italiana riscoprono la cultura delle riforme. Lo spostamento: lento graduale delle posizioni P.C.I. circa il rapporto tra democrazia borghese e democrazia socialista ebbe inizio proprio subito dopo le rivelazioni del rapporto Kruscev sui crimini di Stalin e la repressione sovietica della rivolta di Budapest.

II P.C.I. finì per accettare il valore permanente delle libertà civili e politiche racchiuse nella democrazia parlamentare e non, più una semplice approvazione di esse ai fini di una utilità tattica.

II P.S.I. elaborò. nel contempo con Nenni e Lombardi, la strategia delle riforme di struttura che avrebbero trasformato la società italiana del boom economico in una società socialista e prese, per la prima volta, a comportarsi come un soggetto autonomo, non rinnovando il patto di unità d'azione con i comunisti. Il dibattito su riforme e riformismo si riaprì negli anni del centrosinistra, fra quanti sostennero la necessità di riforme correttive del sistema neocapitalistico e quanti, invece. ipotizzarono una sequenza di riforme di struttura che unissero il capitalismo al socialismo in un processo continuò al di là del dilemma tra le riforme correttive e riforme di struttura prevalse una terza posizione che lo storico Paul Ginsborg ha definito "minimalista", quella della D.C.: riforme si, ma non in contrasto con le esigenze strategiche del partito al potere.

Il centrosinistra fu in sostanza una montagna destinata a partorire un topolino: non fu varata la riforma urbanistica, fortemente osteggiata dentro e fuori il Parlamento: la nazionalizzazione dell'energia elettrica non colpì gli interessi monopolistici che intendeva danneggiare; i forti squilibri dell'economia italiana non furono sanati. In altri Paesi, la sostanziale unità delle forze della sinistra, in nome delle riforme ha, invece, portato a grandi trasformazioni.

Le condizioni delle classi subalterne sono profondamente cambiate, negli ultimi cento anni , proprio grazie al fervore riformistico (non rivoluzionario) della sinistra progressista. Alcune delle riforme più significative degli ultimi anni (ad esempio lo Statuto dei lavoratori ) sono state approvate proprio grazie all'impegno delle forze che si ispiravano ad un chiaro progetto di riforme democratiche nel quadro dell'ordinamento costituzionale.

La drammatica divisione della sinistra ed il problema ideologico del rapporto tra riforma e rivoluzione, non ha giovato alla causa del riformismo. 11 tipo di risposta dell'esigenza di trasformazione della società italiana varia con il trascorrere del tempo: se negli anni '60 il drappello dei riformisti giustamente si batteva per alcune nazionalizzazioni, allo scopo di attutire gli squilibri di uno sviluppo fuori controllo. oggi può essere considerata una battaglia "riformista " anche una battaglia a favore di un provvedimento di privatizzazione in funzione antimonopolistica.

La trasformazione del P.C.I. in P.D.S. ed il crollo del comunismo sovietico hanno accresciuto il drappello di coloro che si dicono riformisti: la logica delle riforme, si è affermata in via definitiva come una unica strada per migliorare le condizioni dei ceti meno abbienti e dei lavoratori. L'Europa intera, di fronte alle imponenti trasformazioni determinate dall'ennesima rivoluzione tecnologica e neocapitalistica. si è affidata alle forze riformista di ispirazione socialdemocratica, allo scopo di dare una risposta chiara a nuovi bisogni e nuove esigenze: fine del lavoro, invecchiamento della popolazione, crisi del Welfare State, immigrazione.In questa fase cruciale, quanto mai bisognosa di riforme e di una cultura delle riforme, il riformismo è indispensabile: ma anch'esso deve modificare le proprie caratteristiche per poter rispondere alle domande di una società nuova, in un quadro generale. dalle prospettive ancora ignote.

Un giudizio storico più sereno ed equanime del periodo contrassegnato come " centrosinistra "deve dopo tanti anni essere espresso in quanto ha rappresentato l'ingresso delle istanze sociali e popolari ed ha realizzato l'ammodernamento dell'Italia: cosa che fece dire al compagno Amendola che le condizioni di vita delle masse popolari non erano state mai migliori nella storia d'Italia. E' anche vero che la divisione della sinistra, espressione della divisione mondiale in sfere di interessi c di partiti" fratelli "determinava una oggettiva debolezza del riformismo.

                                E.R. Magaldi                                         C. Bolognino

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