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Ricorrenza per un illustre e famoso uomo italiano : Giovanni Agnelli PDF Stampa E-mail
Scritto da gaetano   

Si coglie l'occasione per ricordare degnamente un grande uomo italiano attraverso un articolo del periodico "Simbol"  fondato da Amedeo Savastano negli anni '90. Enzo  Rosario Magaldi

 

 

Dò volentieri , per la pubblicazione, un'articolo che descrive la vita di Giovanni Agnelli scritto da Ernesto Filoso e tratto dal mio periodico. Amedeo Savastano

Anche lontano dall’austero palazzone beige in Corso Marconi a Torino, c’era attesa per quel che venerdì 30 giugno il presidente avrebbe detto agli azionisti Fiat. Ma non più di tanto. L’Italia è un paese di super bene informati. Si sapeva chel’auto tira, era noto il consolidamento della grande famiglia di aziende che fa capo a lui. E tuttavia Agnelli ha sorpreso un po’ tutti annunciando risultati che segnano un primato assoluto per la «sua » azienda: il settore automobilistico, con 2.300.000 vetture vendute nel 1988, torna a costituire il motore del Gruppo, il quale conosce nell’attuale fase affermazioni record. Nel comunicare risultati che di fatto lo confermano primo industriale europeo all’indomani delle elezionì continentali, elevandone la fama oltre i limiti raggiunti, l’Avvocato come al solito non tradisce emozioni. Risponde con affabilità alle domande che gli vengono rivolte, anche se gl’interrogativi sottintesi, all’incirca, sono sempre gli stessi: fino a che punto la sua azione influenza la scena internazionale, in qual misura il suo potere si trasferisce nel sistema italiano. Le risposte si rivelano di ancor maggiore interesse. Ha annunciato due operazioni, da mille miliardi l’una. Con la prima, si prende un deciso impegno in difesa dell’ambiente. Con la seconda, denominata « Buy-back », già approvata in maggio dal Consiglio di amministrazione, il Gruppo parte alla caccia delle proprie azioni per comprarle e rivender le La futura offerta sarà aperta anche ad azionisti, dipendenti e pubblico in genere, segno che si vuoi conservare alla Fiat quel vecchio carattere di azionariato quasi popolare, diffuso abbastanza per guadagnarle partecipazione e simpatie. L’obiettivo di fondo è però quello di attirare partecipazioni minoritarie e scambi azionari che accrescano la vocazione internazionalista del colosso industriale italiano. Il trend del 1989 si profila vieppiù favorevole: a fine anno dovrebbe esserci un incremento del 17 per cento; cioè ci si avvia verso i 52.000 miliardi di fatturato, che corrispondono a circa la metà del deficit pubblico. lI 20 gennaio di quest’anno Gianni Agnelli fu chiamato a rispondere davanti alla Commissione Industria del Senato se per caso il suo impero non stesse crescendo troppo e lui rispose che il suo fatturato rappresenta soltanto il 4 per cento del Prodotto interno lordo, contro il 9 per cento della Volvo in Svezia e il 13 pèr cento della Philips in Olanda. lI 30 di giugno segna una data culmine: mai stati così bene, ora si può guardare al Duemila. Tenuto conto che, come ciliegina sulla torta, prevede di qui a poco l’auto «pulita» (« il problema riguarda i politici, per noi ci sarà solo un leggero aumento di costi »), è il successo assoluto. Premesso che la Fiat non è tutta e solo Gianni Agnelli, giacché ci sarà pur qualcosa che non dipenda totalmente da lui, è pure il coronamento di un’eccezionale carriera. Ma che cos’ha dentro, l’uomo più conosciuto d’italia, persino «more admired than Pope », come ha scritto di recente un giornale inglese.Una volta disse: «Si possono avere cattive abitudini, non si possono avere cattive qualità ». Polemico com’è, alludeva di sicuro alle abitudini degli altri. A lui va riconosciuto l’esser rimasto fedele alle proprie origini, e la cosa, perdurando da 68 anni, è indice di qualità. Questione d’immagine? No, di stile. In Gianni Agnelli, sembra rivelatrice la sua predilezione per il titolo della più borghese professione del mondo, del resto portato di diritto. L’avvocatura poggia sulla forza della parola, cioè del pensiero giuridico; il termine rinvia all’idea di Giustizia, che col danaro e il comando poco hanno a che tare. Gli imperatori indossavano la toga del magistrato, mai quella dell’avvocato. Lui, imperatore dell’industria e della finanza, tra l’offuscarsi e l’abbagliare, ha scelto. Così, tra Giovanni e Gianni ha preferito il nome meno altisonante. Forse sono tra le poche scelte che ha fatte. « Non ho mai avuto la possibilità di scegliere », ha confessato qualche mese fa. L’inesistente avvocato Agnelli, stimato professionista torinese, è colui che sarebbe stato se il destino gli avesse dato, precocemente, un’altra impronta. Diversa da quella che il nonno stesso gl’impresse a partire da quando, appena quattordicenne, suo padre Edoardo, che aveva fatto appena in tempo a fargli apprezzare l’arte conducendolo con i fratelli ai musei di Napoli, Atene, Costantinopoli, Gerusalemme (e lui ne continua il collezionismo e la passione per le visite alle gallerie) perdette la vita in un incidente automobilistico (lui stesso, più tardi, scampò a un incidente del genere, di cui reca ancora i postumi nelle gambe). Gli ordini del futuro senatore Giovanni non si discutevano: tante ore di studio, tante ore di libertà. Un bilancio a pareggio sgradito all’aitante giovanottino assediato dalle fanciulle. « Come studente era un gran casinista », ricorda sua sorella Susanna. Insegnare a vedere il mondo dalla cima della piramide dev’essere un’ardua impresa educativa. Come l’automobile si progetta in relazione agli sforzi da compiere, alle resistenze da vincere, certi caratteri si formano in amorevole officina. L’avvenire del ragazzo coincideva con l’aspirazione dichiarata del fondatore della Fiat a vedere la fabbrichetta di automobili messa su con pochi soci e pochi mezzi, crescere fino a tener testa alla crescente importazione dall’estero. Appena cinque anni prima Henry Ford, rivoltando il concetto di vettura quale bene di lusso, aveva cominciato a mettere « l’America sulle ruote »; Giovanni Agnelli, premiato per questo coi laticlavio come il suo immediato e intramontabile successore Valletta, voleva metterci l’italia, almeno quella della nuova borghesia. Per costruire il futuro bìsogna costruire l’uomo. Ancor oggi il nipote, da 23 anni presidente della Fiat, rimane il prototipo più riuscito, nonostante l’« Unità» avesse profetato: «Tutto potrà accadere, tranne che uno degli Agnelli possa tornare a dirigere una sola delle industrie create dal terribile nonno ». E invece le caratteristiche del continuatore della motorizzazione generalizzata sono quelle del gentiluomo piemontese di lunghe radici: mai un gesto o una parola di troppo, ma anche larghe concessioni agli svaghi e all’eleganza, purché siano salvi lo scrupolo e la competenza nel lavoro. La dedizione assoluta alla causa dell’impresa, innanzitutto. Vissuta quasi come un sacerdozio o piuttosto come punto d’onore unito all’orgoglio aristocratico. Come si vede, c’è tutto il Piemonte post-sabaudo, nel senso che si sente l’eco di una Torino privata del suo ruolo di capitale con annessi prestigio politico e splendori cortigiani, affollatasi frattanto di contadini e montanari in cerca di lavoro e non più di arruolamenti, pur distante dal mare e da ogni fonte di materie prime, che aspirava a ricapitalizzare nelle produzioni civili le tradizionali risorse militari. Cinquant’anni dopo, la città doveva conoscere nuove invasioni di senzalavoro provenienti da più remote montagne, attirati dal miraggio della ‘paga sicura. Poi, agl’inizi degli anni Ottanta, la grande crisi, il ritorno al sindacalismo primordiale, il licenziamento di 131.000 dipendenti. Con la riconversione industriale a mano a mano, la macchina ha scacciato l’operaio. Oggi i reparti dislocati nella periferia torinese sembrano più immensi, nelle fantascientifiche solitudini della robotica. A 18 anni, Gianni, che frattanto aveva perso anche la madre, fu mandato a studiare in America. In realtà doveva tener d’occhio quel che avveniva nel campo dei rivali. Vi rimase poco, disgustato dalla sporcizia, dalla violenza, dalla segregazione fra bianchi e neri che regnavano nella fabbrica di Detroit. Del resto serviva a poco imparare, dal momento che l’azienda familiare si stava convertendo alla produzione bellica. Partì per il fronte russo. Là seguiva le officine dì riparazione dei veicoli e spesso divideva il rancio coi soldati. Ma non ci fu veicolo da prendere, mentre l’Armir lasciava diecine di migliaia di morti nella neve: il giovane ufficiale di cavalleria a casa dovette tornarsene a piedi. A guerra finita e Fiat ricostruita, conclude la scapolaggine d’oro che Io vedeva spesso, col fratello Umberto, in compagnia di attrici (una volta aveva annunciato così il programma della sua vita: « A me quel che piace sono le macchine veloci, il tappeto verde e le belle ragazze »), prendendo in moglie la figlia del principe Caracciolo di Castagneto, diplomatico di origini meridionali, e di un’americana. È il 1953. Le nozze si celebrano in un castello vicino a Strasburgo, alla presenza del Gotha europeo. Marella ha 26 anni; scompare come fotografa, brillerà per la raffinata eleganza. Va a vivere con Gianni nella vecchia villa di famiglia in cima alla collina sulla riva destra del Po, gli dà due figli: Edoardo e Margherita. Aveva messo in conto che il matrimonio durasse poco; invece il « gran patron », tenendo fuori soltanto la vela e gli sci, oggi Repubblica» del 4 luglio ‘89) è sul punto di dire <(Basta, farò il patriarca: meno Juve e più nipoti; è giunta l’ora di pensare alla mia successione ». Verrà il giorno che lascerà davvero. Ma quel giorno chi potrà dire che ha preso al Paese più di quanto ha dato? Gianni Agnelli emerge dal ritratto che ne dà Enzo Biagi in «Dinastie» come un uomo di grande equilibrio. Si può pensarne quel che si vuole, però quant’è diverso da un Gey Ar, questo capo-Dinasty all’italiana! L’anno scorso, chiamato a spiegare agli studenti della Sorbona le ragioni del suo successo, ha affermato senza esitazioni: « Non voglio malintesi: quando si parla del successo di qualcuno si pensa sempre a chi s’è fatto da solo, al self-made-man. lo non lo sono affatto. Quello che ho, l’ho ereditato. Devo tutto al diritto di proprietà e al diritto societario. Ho ereditato persino gli uomini che hanno amministrato il patrimonio. Insomma, non sono un esempio che tutti possono seguire ». ppure, poiché anche la modestia ha un limite, qui sbaglia sapendosi obbligato a sbagliare. Primo, perché è forse più difficile conservare un patrimonio, anzi accrescerlo, secondo la parabola dei talenti, che crearselo; secondo, perché il valore dell’Avvocato, ancor più che nell’azione, soggetta ai giudizi più svariati, sta nell’esempio. La formazione che la sua famiglia, tra le cinquanta più ricche del mondo, gli ha data, e quella da lui assunta per scelta diretta, lo hanno fatto aderire a un modello antropologico di imprenditore fino a qualche tempo fa abbastanza in auge. Ma di fronte a certe degenerazioni della società italiana, a certi modi di accumulare la ricchezza, la differenza è enorme. C’è sempre più gente che ritiene possibile trattare affari, organizzare il lavoro, tenere uomini alle proprie dipendenze, senza i presupposti soggettivi. Che sono testimoniati dai modi dell’azione. All’ interno della logica capitalistica, i modi stanno a indicare che questa logica ha vari livelli. Agnelli riesce a nascondere il peso che gli grava sulle spalle, anche se talvotla sembra prevalere il temperamento aristocratico, e allora mette una certa distanza fra sé e l’imprenditore -Noi uomini d’affari siamo considerati più di quanto meritiamo -; talvolta mette in mostra invece il senso di responsabilità sociale. Ad esempio, in quest’ultima assemblea degli azionisti, tra le affermazioni che hanno fatto più scalpore c’è questa: «Il vero problema del Sud è la malavita, che ha assunto nel meridione livelli più vicini a un’economia colombiana o peruviana che non mediterranea, e ruota su dimensioni diverse senza preoccuparsi delle attività industriali. La criminalità organizzata, ancor più che essere ostile all’ imprenditoria, addirittura ne prescinde ed è profondamente estranea alle problematiche del mondo industriale ». Altro che azionariato, nessun altro investimento dà mille lire per ogni lira investita. Il volume d’affari della malavita raggiunge nel paese quello di una mega-industria che per raggiungere i livelli attuali ha impiegato circa un secolo e ha richiesto il sacrificio di centinaia di migliaia di operai e le speciali capacità di migliaia di dirigenti. È qui che il pensiero imprenditoriale eleva la propria discriminante morale. Anche in altri campi però le posizioni ideologiche di Agnelli si distinguono per peculiarità e coerenza. Sono noti, ad esempio, l’atteggiamento di distacco nei confronti dei partiti politici, che indica una precisa divisione di ruoli e competenze, nonché le sue riserve in merito alle imprese a partecipazione pubblica. Del resto la Fiat non è azienda che baratta il proprio potere: sono anche noti i suoi clamorosi ritiri da partecipazioni di cui non abbia avuto la possibilità di esprimere i vertici. È un impero forte, ma esercitato senza arroganza. È questo requisito che gli conferisce forza, che gli conserva il prestigio anche nei momenti più impervi e discussi.