Di Draghi ce n’è uno

 

Le amministrative nelle grandi città non hanno riservato straordinarie sorprese. La sconfitta della conflittuale coalizione di destra era stata prevista dai sondaggi anche se non in queste dimensioni. I risultati di Milano e Napoli sono clamorosi e fanno sorgere qualche dubbio sull’annunciato trionfo della strana coppia Meloni-Salvini alle prossime politiche, ma nella democrazia senza partiti, dominata dai social, le tendenze durano lo spazio di uno spoglio e ogni elezione fa storia a sé.

Pur con queste premesse, i risultati delle comunali della settimana scorsa qualche spunto di riflessione lo offrono, eccome. Si sono raggiunti nuovi record di astensionismo, del tutto imprevisti. Si era sempre pensato che il cittadino si sentisse più coinvolto dai problemi pratici dell’amministrazione della sua città che non dalle tematiche strettamente politiche, spesso astruse. L’affluenza alle urne sta lì a sconfessare clamorosamente questa tesi.

A nulla sono servite le orde di candidati che avrebbero dovuto spronare al voto amici e conoscenti. Per accoglierli tutti a Roma la scheda elettorale sembrava un lenzuolo, ma le 39 liste presentate per il consiglio comunale e i 22 candidati a Sindaco non sono bastati a raggiungere la fatidica soglia del 50% dei votanti. Molte candidature sono apparse presuntuose ed inutili. Se si escludono i 4 candidati “credibili”, gli altri 18 non hanno ottenuto, tutti insieme, il 4% dei voti.  Tanto impegno è, dunque, riuscito a smuovere meno del 2% degli elettori.

Unica sorpresa positiva, nella capitale, l’imprevisto successo di Calenda, la cui lista – una sola, e già questo è un merito – è stata la più votata, ha sfiorato il 20% e superato la somma dei voti delle liste del sindaco uscente. Battere la Raggi non basta a Carlo Calenda per andare al ballottaggio, ma gli dà una grande soddisfazione. Poiché non si può dire che ecceda in simpatia o sia un maestro nell’arte della comunicazione, ne consegue che gli elettori gli hanno riconosciuto serietà e competenza: di questi tempi è già una gran bella notizia.

Il caso Calenda ci porta a ritenere che la causa prima di questa ulteriore ondata di assenteismo sia il Governo “tecnico” e la figura stessa di Draghi, molto lontana dagli standard della politica.  Draghi fa, gli altri parlano: una frase sentita mille volte che racchiude la sintesi del giudizio comune sui meriti del presidente “alieno” sostenuto, per stato di necessità, dalla stragrande maggioranza del parlamento. Le tante sciocchezze dette dai leader politici prima, durante e dopo la campagna elettorale, non hanno scalfito la serena determinazione di Mario Draghi, che continua serenamente per la sua strada. Ed evidenzia, pur senza rimarcarla mai, l’enorme distanza che lo separa dalla politica. Differenza che viene quotidianamente percepita dagli elettori e che li ha spinti a disinteressarsi, quasi ovunque, dello scontro fra candidati ritenuti non all’altezza.

Di Draghi ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno, verrebbe da dire parafrasando antica filastrocca. E questo è il problema dei problemi. Per uscire dalla gravissima crisi economica e sociale innescata dalla pandemia che istituzioni e politica, fiaccate da anni di decadenza, mai avrebbero saputo superare, è stato chiamato, anche grazie alla vigile determinazione di Mattarella, un “tecnico” di assoluto prestigio, quel che si diceva “una riserva della Repubblica”. Purtroppo, l’ultima.

Non c’è un altro Draghi. Non possiamo nemmeno sdoppiare quello che abbiamo, mentre è evidente che ne servirebbero due, uno a Palazzo Chigi e uno al Quirinale. Nel breve periodo, si potrebbe rieleggere Mattarella e chiedere a Draghi di continuare a guidare il Governo. Per farlo ci vorrebbe un Parlamento saggio ed unito: non è l’identikit né della Camera, né del Senato. Stando così le cose, forse è meglio che Draghi, a inizio anno, salga subito al Colle.   

La prospettiva delle prossime politiche vede un duello fra coppie di alleati concorrenti: Meloni – Salvini contro Letta-Conte. Non resta che sperare che al Quirinale ci sia qualcuno in grado di tenere ai vincitori una mano sulla testa. E magari anche un paio di briglie.

 

11 ottobre 2021