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CHI DECIDE IN SANITA'

 CAPITOLO QUINTO 

EVOLUZIONE DELLA SPESA SANITARIA IN CAMPANIA

Premessa

Il giudizio sulla funzionalità ed efficienza del settore unitario costituisce sicuramente un elemento di valutazione rilevante nell'opinione pubblica, in merito all'operato dell'amministrazione regionale e delle amministrazioni locali.

Tale realtà deriva principalmente dall'ex evoluzione del concetto di sanità: non più cura ed assenza dì malattie, ma ricerca del benessere psico-fisico e della qualità della vita.

La sanità oggi deve garantire condizioni socio-sanitario ritenute accettabili e deve porre attenzione particolare alla prevenzione (dalle malattie, dagli infortuni, alt ambiente, ecc,) ed alle condizioni emarginanti (anziano. handicap.tossicodipendenza ecc.).

A questa evoluzione qualitativa. si è accompagnala. anche se in misura giudicata insufficiente. una espansione quantitativa  in termini di strutture, personale e spesa.

In Campania il solo servizio sanitario pubblico occupa direttamente più di 50 mila persone ed ha rapporti di convenzione (persone e/o strutture) con oltre 30 mila unità.

La spesa dei SSR ha raggiunto nel 1990. con tendenze incrementali stimate attorno alla percentuale del 1,5% per anno. i 7.400 miliardi di lire, equivalenti a quasi 1,3 milioni pro-capite.

Sono elementi quantitativi sintetici, ma che consentono di caratterizzare la rilevanza dell'impegno pubblico nel settore e di valutarne l'impatto nel contesto sociale.

Il Consiglio regionale e l'Amministrazione regionale devono pertanto continuare e potenziare l'impegno nel set­tore sanitario, finalizzandolo alle condizioni di sviluppo possibili c compatibili con le risorse disponibili.

A questo Cine condurremo un'analisi delle risorse finanziarie, delle risorse strutturali e del personale, relativamente alla media nazionale.

5.1. Analisi economico-finanziaria regionale.

Prima di entrare nel merito di questa analisi, ritenia­mo opportune alcune considerazioni di carattere demogra­fico.

La popolazione della regione Campania ammonta a 5,63 milioni di unità (censimento 1991) e rappresenta circa il 10.1 % del totale nazionale (elaborazione su dati Istat).

Nell'ultimo decennio (1980‑1990) l'incremento me­dio di popolazione è stato dello 0,71 % all'anno e risulta più che triplo rispetto al corrispondente dato nazionale (0,21 %). Nello stesso periodo la popolazione campana è aumentata in assoluto di 399 mila unità (circa 40 mila unità all'anno). Tale incremento rappresenta 1/3 del complessivo incremento nazionale, che è stato di sole 1,2 milioni di unità.

La Campania è la seconda regione italiana per peso demografico, superata soltanto dalla Lombardia, che ha una popolazione di 8,9 milioni di unità.

L'analisi delle caratteristiche demografiche pone in rilievo l'elevata presenza di popolazione "giovane" in Campania rispetto al contesto nazionale:

‑ la popolazione con meno di un anno di etàè pari ad 81 mila unità (1,4% del totale) e supera in numero anche quella della più popolosa Lombardia (74,8 mila unità);

‑ la popolazione con meno di 15 anni di età ammonta ad 1,3 milioni di unità (22,6% del totale) ed equivale a quella della Lombardia;

‑ al contrario la popolazione anziana (oltre 64 ami di età) ammonta a 613 mila unità (10.6% del totale) e risulta inferiore alla popolazione anziana di molte regioni con peso demografico complessivo inferiore alla Campania.

Dopo aver riportato questi dati, cominciamo col considerare il finanziamento del servizio sanitario che è costituito da:

‑ FSN, che costituisce la quasi totalità delle entrate; UUSSLL (95%);

‑ contributi al SSN delle province e regioni a statuto speciale;

‑ altre entrate delle UUSSLL (altri trasferimenti dal settore pubblico, proventi per ticket ed attività a pagamento).

Nel periodo 1985‑91 il FSN è raddoppiato:

‑ a livello nazionale si passa da 38.222 miliardi del 1985 a 77.550 miliardi del 1991;

‑ in Campania si passa da 3.597 miliardi nel 1985 a 7.210 miliardi nel 1991.

Il dato più certo del periodo 1985‑1990 indica un incremento medio annuo del FSN, pari ad una percentuale del 11,1% sia per la Campania che per il totale nazionale. Tuttavia se si considerano i dati pro‑capite, emerge un ritmo di incremento delle assegnazioni finanziarie alla Campania inferiore al riferimento nazionale. Infatti:

‑ nel 1985, a livello nazionale, si aveva una dotazione finanziaria di 671 mila lire pro-capite ed in Campania tate dotazione era di 639 mila lire, equivalente al 95,2% del dato nazionale;

‑ nel 1990 la dotazione pro‑capite sale a 1.126 mila lire quale media nazionale e a 1.042 mila lire in Campania (92,5% del dato nazionale); emerge quindi una riduzione nella dotazione pro‑capite che è dovuta ad una elevata crescita della popolazione della Campania;

‑ il ritmo di crescita della dotazione finanziaria procapite, quindi, nel periodo 1985‑1990, è del 10,9% annuo a livello nazionale e del 10,3% per la Campania (elaborazione su dati SCPS, Ministero della Sanità).

Sostanzialmente la Campania, che è partita all'atto della istituzione del SSN da condizioni svantaggiate rispetto al riferimento medio nazionale, ha avuto assegnazioni finanziarie crescenti ma con ritmo inferiore al dato medio nazionale. Tale realtà difficilmente può consentire le condizioni di un recupero nello sviluppo quali‑quantitativo del SSR.

Un altro elemento che evidenzia le difficoltà, in cui versa la regione campana, per il miglioramento della qualità e della quantità delle strutture, anche dal punto di vista operativo, è la spesa delle AASSLL, che ogni anno risulta superiore al finanziamento disponibile. Infatti i dati riferiti al periodo 1985‑1991 indicano, per il totale nazionale. che la spesa del SSN è passata da 42.063 miliardi nel 1985 a 78.000 miliardi nel 1991, con un incremento totale del 70,4% ed un incremento medio annuo del 12,5%; mentre per le AASSLL della Campania la spesa è passata, per lo stesso periodo, da 3.933 miliardi a 7.500 miliardi, con un incremento totale del 70,9% ed un incremento medio annuo del 12,7%.

In termini di riferimento pro-capite si ha la seguente situazione:

‑ nel 1985 la spesa sanitaria pro‑capite a livello nazionale è stata di 736 mila lire ed in Campania di 699 mila lire (95% rispetto alla media nazionale);

‑ nel 1991 la spesa pro‑capite italiana è salita a 1.594.504 lire ed in Campania a 1.502.115 lire (94,2%) (elaborazione su dati SCPS. Ministero della Sanità).

Dato che la spesa ha avuto un ritmo di incremento analogo a livello nazionale ed in Campania, ne consegue che la riduzione di spesa pro‑capite in Campania è legata alla ancora forte dinamica di incremento della popolazione residente (incremento di circa 40 mila unità all'anno, su un totale nazionale di 120 mila).

Un ulteriore dato che ci permette di evidenziare il basso sviluppo delle strutture sanitarie della Campania ed anche una loro minore produttività, rispetto alla media nazionale, è desunto dal basso livello di spesa totale e dall'ancor più basso livello di spese per acquisto di beni e servizi.

Ad esempio, nel 1989 il costo delle strutture sanitarie delle UUSSLL è stato di 38.451 miliardi a livello nazionale e di 2.957 miliardi in Campania.

In termini percentuali la quota della Campania è del 7,7% e, quindi, nettamente inferiore al peso demografico (10,1%). indicato all'inizio di questo paragrafo.

Ci proponiamo, adesso, di affrontare in dettaglio il tema di un confronto tra la spesa sanitaria in Campania e quella in altre Regioni italiane. Per fare ciò. si è ritenuto opportuno condurre un'analisi specifica relativa all'anno 1991.

Questa scelta deriva da una circostanza del tutto peculiare che si è verificata nelle procedure di accertamento della effettiva spesa determinatasi in quell'anno.

Ci riferiamo al fatto che solo per il 1991 è possibile disporre di dati di spesa regionali perfettamente confrontabili tra di loro in quanto "certificati" da un organismo centrale di verifica.

Infatti la legge 30 dicembre 1991,n°412 concernente disposizioni in materia di finanza pubblica (legge di accompagno alla finanziaria 1992), previde. all'ars. 4. comma 16, la costituzione, nell'ambito della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome, di una apposita Tecnica per la verifica degli andamenti di spesa nelle distinte regioni.

In effetti, con apposito Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, tale Commissione fu regolarmente insediata e nel corso del 1992, poté procedere alle operazioni di verifica della spesa sanitaria verificatasi nelle singole regioni nel 1991.

Tali operazioni hanno costituito una vera e propria certificazione della spesa regionale che rende particolarmente interessante e rilevante l'analisi della spesa 1991.

Nelle tabelle che seguono, vengono riportate alcuni risultati della anzidetta verifica di spesa.

Per snellire la presentazione dei risultati ci siamo limitati a riportare i risultati relativi solo ad un gruppo dì sette regioni scelte quali rappresentative delle tre aree geografiche del Nord, del Centro e del Sud.

Nella tabella I. dove viene presentato il confronto della spesa pro capite totale tra la Campania e le altre regioni ri­portate, si evidenzia come le regioni del Centro‑Nord pre­sentino una spesa pro capite nettamente più alta rispetto alle regioni meridionali. La stessa tabella evidenzia come tale diversa spesa sia espressione di una diversa dotazione strut­turale espressa attraverso il parametro del numero di posti letto per 1.000 abitanti. Nell'allegato A al Piano Regionale Ospedaliero per il triennio 1997‑1999 approvato con legge Regionale n.2 del 26 febbraio 1998, il Consiglio Regionale della Campania parte dalla determinazione del fabbisogno regionale di posti letto ospedalieri collegati agli ambiti ter­ritoriali ed alle funzioni.

Con la suddetta legge regionale viene previsto un in­cremento di 4935 posti letto. nonostante venga rispettato il parametro di riferimento generale indicato dalla legge 537/ 93 che ha abbassato i precedenti standard di posti letto all'attuale 5,5

Per mille abitanti, di cui I riservato alla riabilitazione ed alla lungo degenza.

Nella tabella 2 viene presentato il dato relativo al nu­mero di dipendenti per 1000 abitanti. Anche qui si evince una diversa dotazione di personale tra le varie regioni. Un dato interessante presentato in tabella, è quello relativo al costo medio per unità lavorativa dove tale gradiente Nord­Sud è meno evidente. Infatti su tale dato gioca un molo de­terminante le diverse politiche per la gestione del personale tra le varie regioni (nuove assunzioni, ricorso al lavoro stra­ordinario, incentivazione, ecc.)

Nella tabella 3 vengono presentati i dati relativi al to­tale della spesa specialistica pro capite. Qui è evidente il primato della regione Campania dovuto principalmente al peso della spesa sostenuta per la specialistica convenzionata esterna, dato che si conferma anche negli anni successivi ad esempio nel periodo 1995/6 il più alto costo per rispetto a tutte le altre regioni italiane. Nel 1995 la Regione Campania spende per la specialistica convenzionata esterna 270,453 miliardi e 365,359 miliardi nel 1996, con un incremento del 35,09%.

Nella tabella 4 viene invece presentato il dato relativo alla diversa spesa farmaceutica nelle diverse regioni attraverso due indicatori e cioè il numero di ricette annue per abitante e la spesa farmaceutica pro capite. Anche qui si evidenzia il primato della regione Campania. Questo dato è confermato anche in anni successivi infatti nel triennio 1995971a spesa farmaceutica in Campania ammonta a 1193.913 miliardi per il 1995; a 1350,914 miliardi per il 1996 e a 1515.,529 miliardi per il 1997 che pur presentando nel triennio suddetto un trend di aumento della spesa del 25.34% più alto della media nazionale del 21,48% è tanto più oneroso in quanto già partiva dal più alto tasso di spesa farmaceutica pro capite in Italia.

In breve, dall'insieme dei dati presentati, sembra potersi evincere non solo una diversa entità quantitativa della spesa pro capite in Campania rispetto alle regioni del Centro Nord, ma anche una diversa composizione qualitativa di tale spesa.

Infatti, in Campania, il peso percentuale delle spese per assistenza farmaceutica e specialistica è percentualmente molto più forte rispetto a dette regioni, quasi a compensare la minore dotazione strutturale ospedaliera espressa dal minor numero di posti letto per 1000 abitanti.

5.2. Squilibri strutturali e territoriali infraregionali.

La consistenza del personale e delle strutture sanitarie, cui si accennava nei precedente paragrafo, merita un approfondimento in funzione della loro distribuzione sul territorio regionale.

Nel 1990 il personale dipendente del SSR della Campania ammonta a 51,5 mila unità, rappresentando I'8,3% del totale nazionale ed equivalente ad 8,9 dipendenti per mille abitanti, contro un tasso di 10,8 a livello nazionale (SCPS‑Ministero della Sanità).

Emerge pertanto una notevole carenza di personale dipendente, che esprime un chiaro segno dell'inadeguato sviluppo delle strutture a gestione diretta delle UUSSLL.

Tale carenza può essere così valutata:

‑deficit di 10.800 dipendenti con riferimento alla dotazione media nazionale di 10,8 dipendenti per mille abitanti (cioè 62.300 dipendenti in Campania);

‑ deficit di 17.800 dipendenti con riferimento allo standard previsto dalla L.R. n.36/1987 di 12 dipendenti ogni 1000 abitanti (cioè 69.300 dipendenti in Campania).

A1 deficit complessivo regionale di personale dipendente, si associano ed aggravano il problema le distorsioni territoriali nella distribuzione del personale esistente: alcune UUSSLL sedi di grandi presidi ospedalieri, concentrano una quota rilevante di personale dipendente e di conseguenza determinano situazioni di ulteriore carenza nelle altre UUSSLL.

In particolare può essere rilevato che soltanto nove UUSSLL (culle 61 in cui è suddiviso il territorio regionale) presentano dotazioni di personale superiore allo standard di 12 dipendenti per 1000 abitanti. Queste 9 UUSSLL concentrano il 50°/u della dotazione regionale di personale a fronte di una quota del 20% della popolazione residente.

Emerge poi la presenza di numerose UUSSLL. con dotazioni minime di personale: 21 UUSSLL. hanno meno di 4 dipendenti per mille abitanti ed 11 di queste hanno meno di due dipendenti. Si può rilevare in termini generali che sono le popolose UUSSLL della fascia metropolitana, che circonda la città di Napoli, ad avere più vistose carenze di personale dipendente (Relazione sanitaria‑Regione Campania‑Assessorato alla Sanità, marzo 1991).

Al deficit di personale si aggiunge anche un deficit della rete ospedaliera che nella nostra regione dispone di 25.953 posti letto, un numero che è ben lontano dallo standard che ne prevede 37.525; inoltre sono da considerare anche le distorsioni territoriali che vedono la concentrazione della rete ospedaliera in un numero ridotto di UUSSLL.

In particolare 24 UUSSLL hanno dotazione di posti letto inferiore a due, mentre ben 7 non hanno presidi di ricovero e cura.

5.3. Considerazioni conclusive e proposte.

Dall'analisi svolta emerge che la realtà del SSR campano è di una debolezza complessiva espressa in termini di personale, strutture ospedaliere e livello di spesa.

Tale situazione risulta inoltre aggravata da una concentrazione delle risorse in poche UUSSLL: il 20% di queste concentra il 50% delle risorse esistenti e, di conseguenza, le rimanenti presentano squilibri ancor più accentuati.

Da ciò deriva una maggiore complessità nelle indicazioni di sviluppo in quanto la dimensione degli interventi, finalizzati al raggiungimento di un livello di sviluppo pari a quello medio nazionale, inferiore comunque al livello delle regioni più dotate del Centro‑Nord Italia, è certamente rilevante perché necessiterebbe di un incremento di almeno 15.000 unità di personale dipendente, l'attivazione di circa 10.000 nuovi posti letto ospedalieri ed un aumento della spesa corrente di circa 1000 miliardi (circa+ 15%).

Inoltre sarebbe necessaria la definizione delle priorità territoriali con riferimento alle circa 30 UUSSLL che presentano gravi deficit nella dotazione di strutture sanitarie di base.

Tali azioni devono essere perseguite in presenza di una realtà economico‑finanziaria caratterizzata da aspetti ricchi di contraddizioni:

1. il finanziamento statale risulta nettamente insufficiente a coprire il costo ordinario di un SSR decisamente carente; il disavanzo annuo delle UUSSLL si avvicina ai 1000 miliardi;

2. le procedure di assegnazione e di utilizzo dei finanziamenti con vincolo di destinazione sono tali che le UUSSLL riescono ad utilizzarne meno del 20% all'anno;

3. allo stesso modo le procedure di assegnazione e dì utilizzo dei finanziamenti in conto capitale sono tali che le UUSSLL riescono a spendere meno del 10% dei fondi disponibili;

4. l'eventuale contenimento e razionalizzazione di spese la cui incidenza pro capite è superiore al riferimento medio nazionale, potrebbe generare un risparmio massimo teorico dì 300‑400 miliardi annui;

5. in base alla normativa vigente le UUSSLL sono chiamate a coprire il disavanzo dell'anno precedente mediante alienazione dei patrimonio non soggetto a vincoli e la regione è chiamata a coprire, con proprie disponibilità di bilancio, una parte del disavanzo relativo all'esercizio dell'anno in corso.

Emerge da quanto detto la necessità di un confronto a livello nazionale finalizzato da una parte ad ottenere risorse finanziarie adeguate, rispetto all'attuale livello di spesa (eliminazione potenziale del disavanzo) e tendente, d'altra parte, ad ottenere risorse aggiuntive finalizzate all'adeguamento dei servizi.

Nello stesso tempo è necessaria una decisa azione della regione mirante all'utilizzazione piena di tutte le risorse potenzialmente disponibili, ma che presentano complesse procedure burocratico amministrative di utilizzazione.

Per quanto riguarda l'analisi territoriale di alcune voci dì spesa pro capite, si evidenzia l'estrema variabilità di tali indici relativi a prestazioni di diagnostica strumentale in convenzione esterna, assistenza riabilitativa ed assistenza farmaceutica (Relazione sanitaria‑Regione Campania‑Assessorato alla Sanità, marzo 1991).

Questo dato di variabilità può essere ascritto in parte a differenze nel bisogno sanitario delle popolazioni, ma può derivare miche da comportamenti amministrativi svincolati da qualsiasi controllo e da fenomeni di iperconsumismo non giustificati da un reale bisogno sanitario.

A tale proposito giova ricordare, ad esempio, che ancora nell'anno 1997 l'incremento della spesa farmaceutica, in Campania, è stato, rispetto al 1995, del 25,34% (321,616 miliardi di lire), a testimonianza di un immutato "costume" di spesa e, nella più rosea e benevola delle ipotesi, di una "stasi culturale" che caratterizza il comportamento del cittadino assistito, il quale privilegia il ricorso al farmaco, perché il sistema sanitario non offre tuttora credibili ipotesi prevenzionali. né si manifestano correzioni di rotta nel considerare la spesa sanitaria come un bene da rispettare e tutelare nell'interesse della collettività e, quindi, di ciascuno di noi.

Vale la pena, a questo punto, di riferirsi a dati più recenti relativi alla spesa sanitaria, anche per capire se gli interventi del legislatore di riforma del servizio sanitario nazionale, a partire dal decreto legislativo n.502/92 e fino alla legge delega n.419/98, consentano di intravedere una inversione di tendenza nel rapporto spesa‑qualità delle prestazioni sanitarie.

Nel 1998 la spesa corrente complessiva del Sistema sanitario nazionale (SSN), stimata a febbraio 1999, ammonta a 113.376 miliardi di lire (pari a 1.969 mila lire pro capite) e assorbe il 5,6% del PIL.

La spesa sanitaria pro-capite fa registrare un persistente andamento diversificato a livello delle distinte regioni.

Così in Campania la spesa sanitaria pro‑capite nel 1995 ammonta a 7.431 mila lire, a fronte delle 1.413 della Calabria (la più bassa), delle 1.917 della Provincia Autonoma di Bolzano, delle 1.908 dell'Emilia Romagna, delle 1.895 della Liguria, rispetto alla media nazionale che è di 1.621 mila lire.

Nel 1998 la spesa sanitaria pro-capite in Campania è di 1.873 mila lire, mentre il valore più elevato si registra ancora una volta a Bolzano con 2.508 mila lire e quello più basso in Basilicata con 1.690 mila lire.

Questo diverso andamento dovrebbe indurre. soprattutto le Regioni, a considerare la Sanità come un settore d'intervento capace di offrire livelli di assistenza uniformi su tutto il territorio nazionale anche attraverso un più serio controllo di spesa basato, innanzitutto sulla verifica dei risultati prefissati.

Intanto è utile richiamare i meccanismi principali della legge finanziaria per il 1998 n.449/97 e la legge collegata n.450/97 per il contenimento della spesa sanitaria nel periodo medio‑lungo mediante l'ottimizzazione della spesa e la responsabilizzazione degli operatori:

Poteri di controllo e vigilanza sull'attività di spesa delle Aziende sanitarie, definizione di limiti annuali dì spesa, adozione di azioni correttive, funzione di indirizzo dell'attività del medico di base, attività dell'Osservatorio centrale per l'acquisto dì beni e servizi, vigilanza sull'attuazione del Piano sanitario nazionale ed attivazione di interventi necessari ad eliminare sprechi ed inefficienze, inquadramento in ruolo degli specialisti ambulatoriali convenzionati.

Un riferimento alla spesa per il personale è d'obbligo, in quanto si tratta di una componente importante dei costi del sistema sanitario.

Tale componente di spesa è cresciuta costantemente, tra il 1995 ed il 1997. in termini relativi rispetto al totale delle spese corretti totali.

Pur permanendo la deroga al blocco delle assunzioni di personale del comparto sanitario soltanto subordinatamente all'effettiva realizzazione della ristrutturazione della rete ospedaliera e quindi previa rideterminazione degli organici e/o l'applicazione delle misure di mobilità del personale stabilita dalla legge 662/96, gli incrementi di spesa già registrati nel 1996 (+ 7,1 %) si confermano maggiori, nel 1997 (+ 11%).

Risulta, inoltre, interessante osservare che a fronte di un peso relativo per il personale rispetto alle spese correnti totali pari al 40,1% a livello nazionale nel 1992, al 42,4 nel 1995 e al 43% nel 1997, il valore medio delle regioni meridionali è passato, rispettivamente, dal 40,1% al 43,6%, al 44.1%, quello delle regioni centrali, rispettivamente, dal 38,8% al 41,8%, al 42,6% e quello delle regioni settentrionali, infine, dal 41,3%, al 42,2°/, al 43,3%. (Rapporto Sanità 1998)

Il personale del servizio sanitario nazionale, non sempre amato, non sempre distinto tra le sue componenti "lassiste" e quelle addirittura "eroiche" e professionalmente eccellenti, andrebbe sottoposto a normativa ancora più chiara c precisa, che, sulla scia del processo di privatizzazione in atto del rapporto di lavoro, sappia premiare chi effettivamente serve l'attività pubblica, rispetto a chi di tale attività si serve per tornaconto personale. Lo stesso scontro sulla dirigenza unica, che ha reso difficoltosa la emanazione del decreto legislativo di attuazione della legge delega 419/98, è il segno di una sopravvivenza di atteggiamenti conservatori per il mantenimento di privilegi `automatici" indipendenti dalle effettive prestazioni sanitarie.

Emerge di conseguenza la necessità di sottoporre ad un controllo più rigoroso e puntuale le spese erogate dalle UUSSLL per singole voci ed i comportamenti prescrittivi del personale medico dipendente e/o convenzionato, che sono all'origine della formazione della spesa.

Per quanto riguarda l’adeguamento e lo sviluppo delle strutture esiste una disponibilità teorica, per il SSR della Campania, dì circa 500-600 miliardi annui per tutto il decennio degli anni 90 (Relazione sanitaria Regione Campania-Assessorato alla Sanità, marzo 1991).

E’ questa una disponibilità di rilievo che. se correttamente utilizzata, può contribuire efficacemente a colmare gli squilibri territoriali esistenti.

E’ peraltro opportuno rilevare che la realtà storica del periodo esaminato, valida anche per il contesto nazionale, indica scarsa capacità di tradurre in opere finite le disponibilità finanziarie.

In altri termini risulta agevole la fase iniziale che conduce a definire in termini generali l'intervento e ad impegnare la relativa spesa, mentre la seconda fase, quella di attuazione, si perde nelle procedure tecnico-burocratico-amministrative finalizzate ad ottenere le licenze-ad espletare le gare di appalto, ad eseguire i lavori.

Tutto ciò deve costituire oggetto di particolare attenzione da parte delle competenti autorità regionali, che devono porre in essere attività di controllo e di supporto nei riguardi delle UUSSLL, al fine di consentire la trasformazione in opere finite delle risorse finanziarie disponibili.

Per completare queste considerazioni sulla spesa sanitaria, appare utile un rapido accenno finanziamento corrente del servizio sanitario nazionale.

Nel 1998 il finanziamento complessivo del SSN, pari a 104.541 miliardi (1.816 mila lire pro-capite), è risultato così composto:

- 62.231 di IRAP, addizionale IRPEF e contributi di malattia (residui '97) attribuiti direttamente alle regìoni;

- 4.514 miliardi di entrate proprie delle aziende sanitarie;

‑ 5.730 miliardi di partecipazione delle regioni a statuto speciale;

- 32.065 miliardi di F.S.N.

Una ultima considerazione, che ci permette di ribadire quanto detto in premessa, riguarda la partecipazione dei cittadini che non identificano più la sanità nella sola cura. ma la considerano come protesa a garantire condizioni di vita socio-sanitaria per la salvaguardia del benessere psicofisico.

Pertanto l'attenzione va rivolta alla prevenzione soprattutto ambientale ed alle categorie più deboli ed emarginate.

Questa estensione dell'ambito di competenza del settore sanitario potrebbe diventare attuabile, a nostro avviso, favorendo sia il volontariato finalizzato all'integrazione dell'azione dei servizio pubblico, spesso carente, sia la partecipazione dei cittadini alla reale gestione della sanità.

E’ proprio sul volontariato occorre soffermarsi, brevemente, per inquadrare il rapporto tra occupazione-tecnologia-settore pubblico (e, quindi, anche sanità).

"La vita - diceva Oscar Wilde - è ciò che succede mentre noi pensiamo ad altro".

Accade, infatti, che oggi la velocità dei cambiamenti ci trova impreparati a comprendere "ciò che succede impedendoci di riconoscere il prezzo del progresso.

L'economia globale sta determinando un paradosso che, soprattutto in Italia negli anni '60 non sarebbe stato né concepibile né tollerato.

Non è raro, infatti, che aziende di rilevante importanza strategica e di dimensioni ragguardevoli, annuncino accresciuti livelli di competitività e considerevoli aumenti di profitto unitamente a massicci dimagrimenti occupazionali.

E quando gli esperti salutano con enfasi la ripresa economica, abbiamo imparato a disilluderci: non è imminente l'arrivo di nuovi posti di lavoro.

Forse se ne stanno accorgendo anche quei giovani che attendono di fare il loro ingresso nel mondo del lavoro e gli stessi lavoratori o tecnici o manager espulsi da attività lavorative senza tanti complimenti, a causa dell'indebolimento strutturale dei settori tradizionali: agricoltura - industria servizi.

Oggi il settore dominante è il settore della conoscenza -"knowledge sector"-che impegna una élite di imprenditori, tecnici, scienziati, esperti di informatica e telecomunicazioni, professori universitari di livello superiore, consulenti.

A questa categoria di "lavoratori" fanno ricorso le aziende e gli enti pubblici per risolvere i propri problemi, mettendo in crisi apparati aziendali e burocratici che sembravano inossidabili.

Sicché, oggi, il conflitto, fin qui insanabile, è tra i detentori della conoscenza - la "knowledge" - soprattutto nel campo delle comunicazioni ed un esercito crescente di senza lavoro che nella scala del disagio sono posti in un gradino inferiore rispetto ai lavoratori che risultano, sempre più numerosi in eccesso.

"Nel prossimo secolo, il mercato ed il settore pubblico avranno un ruolo sempre più ridotto nella vita quotidiana delle persone in tutto il mondo.

Il vuoto di potere verrà colmato probabilmente dal diffondersi, alternativamente, o di una subcultura criminale o da una maggiore partecipazione al terzo settore .

...Per quanto riguarda quelli per i quali non ci sarà spazio nel mercato del lavoro, gli stati si troveranno di fronte a scelte alternative: finanziare il rafforzamento delle forze di polizia e degli apparati giudiziari con la costruzione di elefantiache strutture edilizie destinate a nuovi tribunali e nuove carceri per imprigionare la sempre più vasta società criminale, o finanziare forme alternative di sostegno per il lavoro nel terzo settore.

Le organizzazioni, fondate sullo spirito comunitario, agiranno sempre più come arbitri e difensori nei confronti delle forze del mercato e dello stato burocratico, fungendo da promotori e sostenitori della riforma politica e sociale.

Le organizzazioni del terzo settore probabilmente si attribuiranno anche la funzione di fornire una quantità sempre più ampia di servizi di base, con il progressivo allontanamento dello stato dall'aiuto e dall'assistenza di singoli e comunità in stato di bisogno.

La globalizzazione del settore privato e la diminuzione dell'importanza di quello pubblico significheranno che la gente sarà costretta a organizzarsi in comunità di interesse per garantirsi un futuro. Il successo della transizione verso l'era post-mercato dipenderà in larga misura dalla capacità di un elettorato nuovamente attivo, che agisce attraverso coalizioni e movimenti, di trasferire efficacemente quanta più parte è possibile dei guadagni di produttività dal settore privato al terzo settore, in modo da rafforzare e approfondire ì legami sociali e le infrastrutture locali.

Solo riuscendo a costruire comunità locali forti e capaci di auto‑sostenersi. la gente di tutte le nazioni potrà affrontare le forze dello spiazzamento tecnologico e della globalizzazione dei mercati che stanno minacciando il benessere - se non la stessa sopravvivenza -di buona patte del consorzio umano.” (Jeremy Ritkin-La fine del lavoro)

A proposito del volontariato, un'interessante riflessione è riportata nel testo "Storia della Medicina e della Sanità nell'Italia contemporanea, dove fautore G. Cosmacini sostiene :"Oggi il volontariato che rimonta anch'esso molto addietro nel tempo, ha molte più ragioni che in passato per esistere ed affermarsi. Molto più numerose sono, infatti, le situazioni di vita - inerenti ai momenti cruciali del "mestiere di vivere": nascere, ammalarsi, invecchiare, morire - che richiedono attitudini e comportamenti di benevolenza. aiuto e gratuità in un mondo per altri aspetti ostile, indifferente, egoista. Tali attitudini e attività sono offerte e prestate da una pluralità di organismi sociali nei quali ha particolare rilievo quella struttura associativa, volontaria e autonoma, che nel presente è più che mai necessaria laddove c'è l'esigenza che i servizi alla persona noti siano devoluti agli interventi dello Stato, stretti nella forbice tra richieste e risorse, o ai meccanismi del mercato, messi in moto da spinte diverse da quelle altruistica e solidaristica.

Oggi si fa un gran parlare di solidarietà.

Occorre intendersi bene: i servizi sanitari efficienti, l'assistenza agli aventi bisogno. la difesa degli emarginati e dei disabili sono diritti dei cittadini, non beni da erogare per benevolenza.

In questo contesto di complessa evoluzione e di non sempre facile comprensione da dove si può iniziare per riformare utilmente la Sanità?

Può apparire ingenuo o semplicistico. Eppure per non sentir parlare più di mala‑sanità, occorrerebbe partire dalla riforma della professione medica, fondata soprattutto sull'aggiornamento vero da effettuarsi presso le strutture ospedaliere per i medici del territorio e presso le strutture universitarie o di alta specializzazione per i medici ospedalieri per mi periodo prefissato ogni auto.

Gli interessati, interpellati, hanno già risposto che i contratti di categoria già prevedono molte ore annue di "formazione e aggiornamento".

Chi abbia una conoscenza anche minima del mondo della sanità si chiede:" Come, dove e con quali risultati si fa aggiornamento?"

La risposta andrebbe affidata oltre che ai cittadini e alle loro organizzazioni di auto‑aiuto e di autotutela, quali le organizzazioni dei malati cronici e il Tribunale dei malati, anche alle società scientifiche delle categorie interessate e alle istituzioni pubbliche e private.

Inoltre bisogna avviare la verifica del "miglioramento continuo della qualità dell'assistenza. anche attraverso la realizzazione di progetti di interesse sovraregionale", come indicato alla lettera d del comma 8 dell'art.l del Decreto legislativo 229/99. Questo significa non solo operare per inserire all'intemo del SSN i criteri della Qualità delle strutture assistenziali ma anche arrivare ad una criteriologia per la verifica della professionalità degli operatori, come lo stesso decreto dispone per la dirigenza sanitaria, con la definitiva scomparsa della seconda dirigenziale e la verifica quinquennale per gli incarichi di responsabilità affidati dal DG ai sanitari dell'ormai ruolo unico.

Si ha l'impressione che il confronto (che eufemismo!) in atto per il futuro della sanità sia tuttora incentrato più sull'assetto degli interessi in campo che sulle ragioni dei cittadini e degli operatori.

Dopo l'approvazione, il 18 giugno del 1999, da parte del Consiglio dei Ministri del decreto legislativo di riforma della Sanità (tra sedute tormentate e polemiche dure tra i vari esponenti del Governo D'Alema), il Sole 24 Ore pubblica, il 19 giugno successivo, un commento dal titolo non equivoco "Troppo Statalismo".

Le conclusioni dell'articolista (Piero Micossi) hanno un tono tutt'altro che tranquillizzante ...." perché la sanità, che potrebbe rappresentare occasione di crescita economica e di crescita positiva del rapporto tra Pubblica Amministrazione e cittadini, è ancora per anni destinata a essere fonte di conflittualità sociale ed economica nonché di degrado organizzativo. Dovremo ora attendere il prossimo provvedimento di riordino del Servizio Sanitario Nazionale".

D'altra parte risulterebbe del tutto irrealistico pensare che il settore sanitario, in un contesto socio‑economico di così complessa evoluzione, nel quale non è ancora definito un unico scenario, possa rimanere estraneo ai conflitti di interesse.

In un diverso contesto nazionale, il primo ministro inglese nel delineare un progetto di riforma sanitaria finalizzata a" restituire fiducia, eccellenza, ed affidabilità al sistema pubblico, perse a causa della frammentazione istituzionale ed organizzativa, "ha tenuto a ribadire che "il settore pubblico sia meglio posizionato rispetto al settore privato o al terzo settore per risolvere la crisi del sistema sanitario, garantendo il diritto di ogni paziente ad accadere adeguatamente ai servizi e a ricevere una assistenza di elevata qualità in modo uniforme su tutto il territorio nazionale." (Magaldi-Cuccurullo).

La ministra della Sanità Rosy Bindi„ dichiara (Corriere della Sera del 19/6/1999): "È una Riforma che vuole rafforzare il Servizio sanitario pubblico e conferma il suo carattere solidaristico e universalistico fondato su uguali opportunità di accesso ai livelli assistenziali".

Il Ministero della Sanità è impegnato ora a produrre una notevole mole di lavoro. con la predisposizione di oltre 20 provvedimenti derivati sotto forma di nuovi decreti ed una serie di atti di coordinamento e di indirizzo, cui seguiranno svariati provvedimenti regionali e locali.

Assisteremo al solito spettacolo di congestione normativa in cui l'interesse alla salute si oscurerà irrimediabilmente oppure ci sarà un colpo di reni delle diverse burocrazie che renderanno semplice e scorrevole la lettura dei provvedimenti ed agevole la loro applicazione?

O è, invece, auspicabile che, al di là delle tradizionali forme di rappresentanza, i cittadini - utenti riescano ad individuare modalità e percorsi, che consentano una effettiva "umanizzazione" della sanità, un adeguamento delle tecnologie e delle strutture sanitarie, la verifica delle cure basata sulla evidenza.

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