CAPITOLO
SETTIMO
L’ULTIMO
SOGNO: L’ALTERNATIVA SOCIALISTA
Nel marzo del 1974 L. tenne un lungo
discorso a Torino, nel quale, ritornando sul centro sinistra, sottolineò uno
dei limiti più vistosi di quella esperienza : l’esclusione di fatto delle forze
di sinistra dagli strumenti essenziali dello Stato e delle istituzioni.
La
presa di poteri, il controllo degli organi istituzionali non elettevi doveva
essere il principale obiettivo delle sinistre. Naturalmente L. ribadiva che le
direzione politica dello sviluppo doveva essere sostenuta da un movimento di
massa: in assenza di questo “ l’opera istituzionale si muta nella migliore
delle ipotesi in tecnocrazia, nella peggiore in governo autoritario” il momento
strutturale, che L. ammetteva di avere trascurato nella prima teorizzazione del
riformismo rivoluzionario doveva necessariamente collegarsi al momento
sovrastrutturale ( cioè le riforme promosse dall’alto attraverso il controllo
dell’apparato istituzionale, dovevano essere sostenute dall’azione di massa a
livello strutturale).
D’altra parte, per la prima volta, L.
rispondeva alle critiche di quanti bollavano la strategia del riformismo
rivoluzionario con l’accusa di “ riformismo “ spicciolo .
In
quest’accusa vedeva implicita una critica e una diffidenza nei confronti dei
partiti tradizionali della sinistra, che avrebbero dovuto gestire a livello
istituzionale la nuova strategia: ancora una volta perciò; riteneva necessaria
una profonda ristrutturazione della sinistra. Nello stesso tempo rispondeva a
coloro che chiedevano la “ non integrabilità al sistema “ delle riforme
rivoluzionarie:
“ Ci sono delle riforme che possono essere
integrate, che sono anche facilmente integrabili nel senso che non implicano costi eccessivi per il sistema,
ma che per le condizioni obbiettive della società nel momento in cui esse
vengono promosse, o per l’esistenza di strati arretrati nella compagine degli
interessi costituiti, scatenano una violenta lotta, cosi che, più che
l’ottenimento della riforma, vale l’importanza educativa della lotta che è
stata svolta e sostenuta per guadagnarla, e che come tale aumenta, migliora ed
esalta la coscienza rivoluzionaria delle masse, ne accresce la forza, la
fiducia un sé, e deprime l’avversario…”
[1].
Ma se L. già guardava ad un’alternativa chiara al potere democristiano, l
prospettive per la politica italiana erano ben diverse: nell’autunno del ’73 il
neosegretario comunista Berlinguer lanciava la strategia del “compromesso storico”.
La
risposta di L. è fortemente negativa: non è tanto criticabile, affermava il “
nome ( compromesso) quanto l’aggettivo ( storico )del quale va respinto il
rapporto privilegiato con la DC che ipotizza come scelta strategica a lungo
termine “
[2].
L’ ingegnere intuiva con molto anticipo che
una scelta di questo tipo avrebbe emarginato il PSI e si sarebbe risolta in un
mero accordo di vertice tra i due maggiori partiti in funzione della
stabilizzazione del sistema. Intanto era uno dei principali protagonisti per il
PSI, della battaglia referendaria per il divorzio. Definiva senza mezzi termini
la crociata fanfaniana “ una battaglia incivile” e riteneva “ il clericalismo”
incompatibile con “la coscienza cristiana “
[3].
I due leader più anziani e prestigiosi del
partito si impegnarono al massimo: a Nenni fu affidato il compito di
pronunciare in televisione l’appello finale del PSI per il “ no “. L. tenne a
Roma il 16 maggio un lungo discorso in cui annunciava che “ il quadro politico
dopo il voto era completamente mutato”.
La clamorosa vittoria del fronte laico, dopo
il voto del 12 maggio suscitò immediate reazioni: le stragi del 28 maggio e del
4 agosto riproponevano in maniera brutale la “ strategia della tensione “. Si
temevano nuove trame eversive, si diffidava dei servizi segreti. L. fu tra i
primi a chiedere un’inchiesta parlamentare all’indomani della strage di
Brescia, denunciando l’esistenza di archivi segreti riguardanti un numero
elevato di cittadini, nelle mani dei servizi d’informazione.
Intervenendo al CC del partito chiedeva
l’intensificazione della lotta al fascismo da parte del governo, e avanza
accuse di inefficienze e di complicità nei confronti del SID
[4].
Nel momento in cui la classe operaia non accettava più di considerare il proprio
salario come una variabile dipendente del profitto, L. metteva in guardia dal
pericolo, sempre in agguato del fascismo. In un discorso pronunciato il 24
gennaio del ’75 all’Università di Milano, in cui si ricordava la resistenza
lombarda e i suoi eroi , si espresse in questi termini:
“ ‘E indubbio che una classe dirigente che
si trovi in difficoltà nella preservazione del suo potere e del suo ascendente,
ha un impulso a sottrarre lo stato al controllo delle classi antagoniste (…)
non pensate che il fascismo non sia una tentazione permanente (…) nelle
contraddizioni di un società ingiusta perché sperequata c’è una radice fascista
che può, in circostanze favorevoli, venire alla luce e diventare pericolosa (…)
“
[5].
Nell’ottobre del ’74 Rumor dava le
dimissioni. Inizia l’ultima fase del centro sinistra. Il nuovo governo Moro –
La Malfa, si reggeva soltanto sull’appoggio esterno del PSI. Si definivano tendenze favorevoli, sul
lungo periodo, alla strategia del compromesso storico ; se Moro cominciava a
parlare di “ strategia dell’attenzione “ della maggioranza verso i comunisti,
De Martino proponeva il tema dell’asse preferenziale DC – PSI, strettamente
funzionale ad un accordo tra i tre maggiori partiti. Ma la sinistra lombardiana
si opponeva con vigore a questo disegno. elaborando la linea dell’alternativa.
Spetterà alla federazione socialista di Trento , a maggioranza
lombardiana e reduce da un clamoroso successo alle elezioni regionali del
novembre ’74, riproporre con forza, attraverso un convegno, il tema
dell’alternativa. Tutti i relatori insisteranno su due tesi: L’alternativa è
necessaria in quanto è la diretta conseguenza della crisi della DC ; bisogna
rifiutare la linea del compromesso storico e la proposta de martiniana dell’
<< asse preferenziale >>, ritenuta ad essa ausiliaria.
L’intervento di L. tiene conto della
situazione internazionale, caratterizzata da un’estrema debolezza del
capitalismo e da un’estrema vitalità, soprattutto in Italia, del movimento
operaio e sindacale ( ciò è provato dall’alta inflazione nonostante il calo
della produzione). In questo clima il nostro propone con forza, il problema
della “ transizione al socialismo” che non può che avvenire all’insegna
dell’<<autogestione >> ;
<< Se bastasse la
padronanza dell’apparato produttivo cioè la proprietà statale dell’industria,
per creare il socialismo, dovremmo dire che la Cecoslovacchia è un paese
socialista e invece è un paese di capitalismo di stato, se vogliamo, ma non un
paese socialista...".
Il rifiuto del modello burocratico
staliniano esige la prospettiva di un’economia autogestita: “ non si tratta più
soltanto di un problema di direzione, ma di partecipazione “ aggiunge, “ che
appunto partendo dalla fabbrica e partendo dalla gestione della fabbrica,
implichi sistemi di autogestione nel consumo “ per potere costruire a poco a
poco “ una società realmente partecipata , una società in cui il rapporto
gerarchico (…) sia contestato e giorno per giorno eroso, attraverso forme di
autogestione e di autoresponsabilità “.
La situazione italiana, a differenza di
quella francese , vede un partito comunista, particolarmente sensibile a questi
temi e disposto a non “ idoleggiare l’incremento del tasso di sviluppo “ come fa il PCF. Se PS
e PCF sono riusciti a concordare un programma comune, ciò è ancora più facile
in Italia. Alla tesi berlingueriana, in base alla quale le sinistre non sarebbero riuscite a governare, neanche
se avessero ottenuto il 51% dei voti L. diede una risposta a Trento, ben
precisa:
“ Non si tratta di sapere se si governa con
il 51% , perché si può avere benissimo il 90 % e non avere quella massa di
consensi persuasi, di interessi creati attorno a questa vittoria elettorale,
per potere realmente consentire a quelle forze vittoriose di sinistra ( che
avessero avuto il 51% o l’80%) di
iniziare non un’opera riformistica, ma un’opera di trasformazione reale della
società… mentre invece ci possono essere anche vittorie del 51% sostenute e
ottenute in un clima teso, in cui si siano suscitati degli interessi e delle
attese coerenti e persuase, in cui si conta d appoggiare un nuovo governo (…)
per iniziare un’opera reale di trasformazione del sistema (…) non è ignoto a
nessuno che molte situazioni parlamentaristiche ed elettorali sono in ritardo
rispetto a movimenti reali nella società, che ci può essere una vittoria del
515 ottenuta con un consenso che magari e del 70 % 0 dell’80%, che non si è
ancora tradotto in consensi elettorali, ma che tuttavia esiste ed esiste in
misura in cui sia stati capaci di promuoverlo proprio con un progetto che abbia
persuaso la maggior parte della gente della necessità e dell’utilità di una
trasformazione sociale “
[6].
L’obiettivo rimaneva quello di una nuova
società, che offrisse a tutti, non tanto “ la speranza di vivere meglio quanto
diversamente ”. Il discorso di L. e degli uomini della sua corrente superava
quel tanto di generico e di astratto che fino a quel momento aveva
caratterizzato la prospettiva dell’alternativa . Come ha scritto uno dei protagonisti, “ la sinistra socialista “ a
Trento “ comincia a ripudiare la sua vocazione minoritarie , secondo i critici,
settaria, e a porsi come possibile classe dirigente del partito “
[7]
.
Non a caso, dopo poche settimane, alla
conferenza organizzativa del partito di Firenze si manifestarono forti
assonanze tra i discorsi dei lombardiani e quelli degli autonomisti, tutti
contrari alla linea del segretario De Martino ( “ La direttrice di marcia “
aveva dichiarato L. in quella occasione “ deve essere quella della alternativa
“ ). Le elezioni regionali del 15 giugno dimostrarono che il paese era
profondamente mutato. Gli elettori, stanchi di scandali, avviliti dalla crisi
economica, ammalati dal nuovo corso europeista, premiavano la sinistra: il
rapporto conflittuale con la DC sembrava giovare i socialisti , che
guadagnavano due punti in percentuale, ma che colmavano il divario con il PCI,
che guadagnava sei punti, tallonando una DC in brusca discesa.
I socialisti sembravano raccogliere le
indicazioni di L. Nelle maggiori città italiane (Napoli, Roma, Milano, Torino,
Genova, Venezia) si formavano per la prima volta giunte di sinistra, e alle
tradizionali “ regioni rosse “ (Emilia , Toscana, Umbria , Marche) si
aggiungevano la Liguria, il Piemonte, il Lazio.
Qualche anno dopo, L. darà un giudizio particolarmente lucido sull’esperienza delle nuove amministrazioni: riconoscerà che i problemi delle grandi città, i fenomeni di malessere e di degrado, non sono stati affrontati e risolti, che gli elementi che possono ricondursi a una strategia più complessiva, quella della transizione verso forme di socialismo, non si sono concretizzati, al di là delle affermazioni declamatorie. Tuttavia dirà che “le premesse ci sono “, ricordando che le amministrazioni di sinistra, “…Possono (…) rappresentare una sorta di – laboratorio sociale – strutture in grado di produrre , di lavorare, di organizzare in modo diverso da quello tradizionale, possono configurare una prima anche se ancora esile – rete di contropoteri – vasti e articolati nella società“ [8].
Il sogno di L. non si avvererà. Di lì a poco alcune giunte di sinistra saranno travolte anche perché avevano governato riproponendo gli stessi vizi della DC, nell’esercizio del potere. Intanto la DC, disarcionando Fanfani, eleggeva un nuovo segretario, Benigno Zaccagnini, e apriva un dialogo col PCI.
L. nella primavera del ’75 era ritornato sul “ compromesso storico “ affermando che
“ …l’inseguire la DC nel sogno di una sua possibile trasformazione, in modo da renderla disponibile per una partecipazione della società italiana che , per la sua natura stessa, è assolutamente incompatibile con la DC e con la sua struttura di potere e profittare di questo potere per farsene uno strumento per autoliquidarsi, tutto questo è fuori da ogni ipotesi probabile, da ogni ipotesi seria di condotta della nostra vita politica “ [9].
Tuttavia, accettava, sempre mantenendo fermo l’obiettivo dell’alternativa socialista, la prospettiva di “ un compromesso “ transitorio per affrontare i problemi più drammatici del paese. Bisognava però, tener ferma una condizione: che il compromesso fosse portato avanti da tutta la sinistra, e non “ per sedicente autoproclamazione” o “ per tacito incarico” da una parte sola di essa.
Inoltre L. affermava con estrema chiarezza che un eventuale compromesso diretto ad attaccare, a demolire “ in modo chiaro , motivato, esplicito” il potere stesso della DC [10]. In un articolo su “ il Mondo “ , in polemica con Bufalini, tra l’altro, ricordava che l’alternativa di sinistra non era “ una strategia di soli schieramenti né un semplice espediente di alternanza al potere ( anche se il diritto all’alternanza deve essere rigorosissimamente garantito) “ ; essa significava “ l’accesso a un governo da cui parta il processo di transizione graduale verso una organizzazione socialista della società e dello stato “.
La strategia comunista del compromesso storico e quella dell’alternativa, riposavano, per L. , su due analisi differenti della “ crisi del capitalismo “.
L. , in questa fase, era fermamente convinto della “ impossibilità di uscire – durevolmente – dalla crisi del sistema “ anche se ciò non significava che “ il capitalismo sia pronto a morire “:
di qui derivava la sua posizione di una “ transizione al socialismo “ e non soltanto di una “ alternativa democratica con elementi di socialismo “ della ipotesi del PCI.
D’altra parte ricordava a Bufalini che i comunisti e socialisti non potevano confondersi in - una indiscriminata unità - per le forti differenze esistenti tra i due partiti, ad esempio, per quanto concerneva la loro organizzazione interna:
“Se un partito proletario - scriveva – deve prefigurare nel suo regime interno lo stato e la società di domani, non vi è dubbio che la struttura che dà libertà e diritto di espressione organizzata alle correnti e quella giusta per un partito che prefiguri lo stato e la società di domani come non autoritari e pluralistici “ [11].
Aggiungeva che la pratica correntizia del PSI era degenerata, ma rispetto al centralismo burocratico del PCI manteneva un valore esemplare. Qualunque prospettiva, concludeva, di trasformazione profonda della società e dello Stato, esigeva come condizione necessaria l’unità non fosse dominata da una linea culturale fondata sul diritto di sbagliare, sull’- esperimento – e sull’ – errore – soggetti a permanente verifica democratica.
L. riscopriva così, teorizzando l’alternativa, la sua appartenenza al filone “ autonomista “ del socialismo italiano:
“ Senza pretese egemoniche di partito ma con esigentissime pretese egemoniche di linea, la credibilità di un alternativa riposa sulla crescita del partito socialista ma anche nella vastissima area orientata verso il socialismo democratico, di un vasto consenso, anche elettorale, che renda credibile e vincente la costruzione di una società e di uno Stato non solo tolleranti ma realmente liberi perché concretamente democratici.
In tale contesto la rivendicazione dell’autonomia socialista esprime un significato ben più profondo e impegnativo di quanto mai ne abbia avuto nel passato “ [12] . Nei mesi in cui L. faceva queste riflessioni sembrò che tutto il PSI accogliesse le sue tesi.
Alla fine del ’75 il sistema politico sembrava assestarsi attorno ad un asse DC – PCI che emarginava i socialisti . De Martino, deciso a rompere, pur tra molte ambiguità, la stretta nel quale il partito sembrava invischiato, aprì la crisi di governo (adducendo come pretesto la politica economica di Moro e La Malfa) e convocò il XL congresso . Intanto lanciava la parola d’ordine dell’alternativa.
Nella prefazione a un libro sull’<< alternativa socialista >> L. riconosceva che “ l’alternativa , da posizione utopistica o addirittura avventuristica quale era in tempi anche molto recenti autorevolmente giudicata, ha guadagnato un arco amplissimo di consensi, fino al punto di essere adottata, quale linea politica di prospettiva, dal PSI, questa volta unanime (…) :
“ Quando parliamo di alternativa – ribadiva – non vogliamo riferirci a forme alternative di costume e di gestione o a quello che è stato genericamente chiamato << diverso modo di governare >> ma di una ipotesi precisa: un governo si sinistra col compito di iniziare la transizione verso una società socialista. ’E in questi termini che il CC del PSI ha definito la linea politica adottata sia pure circondandola di riserve circa i modi e i tempi; ed è in questi termini che, sciogliendo le riserve e le ambiguità, il prossimo congresso nazionale del partito dovrà concretizzare l’iniziativa “.
L’alternativa non si identificava, aggiungeva, con la mera alternanza di partiti o blocchi di partiti al potere nell’ambito del sistema capitalistico; l’obiettivo fondamentale era “ la fuoriuscita dal capitalismo “ di fronte ai pericoli per la democrazia nascenti dalla crisi mondiale del sistema, non più in grado di fornire quelle risorse necessarie ad assicurare il consenso agli ordinamenti democratici. Un eventuale governo di sinistra, per L. , avrebbe avuto due compiti essenziali:
“La prima cosa, modificare le regole del gioco in modo che le strutture e i meccanismi statuali e collaterali dello Stato , che nella società attuale giocano automaticamente a favore di chi detiene il potere economico, giochino invece in modo imparziale, facendo guadagnare alle forze popolari una effettiva parità. La seconda , connessa alla prima è che l’opera di un governo alternativista di sinistra deve essere capace di determinare una situazione tale che ove dovesse cedere il potere di governo ad altri , questi non sia in condizioni di ripristinare la situazione precedente democraticamente, cioè di demolire l’opera iniziata dalle sinistre ( …) si tratta cioè in sintesi di rendere quanto più possibile autonoma e tendenzialmente autogestita la società “ [13] .
A ridosso del XL congresso L. insisteva, dunque, perché il partito sciogliesse “ riserve e ambiguità “ sulla linea dell’alternativa. Tuttavia non soltanto il congresso non sciolse i nodi del problema, ma De Martino accettò ancora l’impostazione della DC ( un governo ostinatamente chiuso ai comunisti, almeno formalmente ) per qualche mese, astenendosi sul voto a un monocolore guidato da Aldo Moro . Dopo l’ennesimo scontro tra DC e PSI si pronunciava definitivamente, per le elezioni anticipate.
Nel congresso preelettorale ( Roma, 4 – 6 marzo ’76 ) l. riproponeva la propria concezione dell’alternativa come avvio della transizione al socialismo, e contestava preoccupazione secondo la quale “ l’alternativa al sistema capitalistico “ potesse essere qualcosa di avventuroso o di irrealistico :
“ In effetti non è così, perché oggi un dato nuovo di enorme rilievo è che il processo di accumulazione del capitalismo… ha cessato di svolgere una delle sue funzioni: non riesce più, cioè a far derivare dall’aumento degli investimenti un contestuale aumento dell’occupazione…”.
L’analisi di L. parte dall’ipotesi dello sfruttamento dei paesi sottosviluppati del terzo mondo che nell’arco di un trentennio avrebbe consentito “ il processo di accumulazione “ e rafforzato il sistema capitalistico: una parte delle risorse prelevate dai paesi del terzo mondo erano devolute a vantaggio delle masse popolari per acquisire consenso, cioè una “ condizione di tranquillità sociale “.
Disoccupazione, modificazione dei rapporti con il terzo mondo, crescente indebitamento sono i sintomi più evidenti della crisi profonda dei meccanismi di acquisizione del consenso da parte del capitalismo. Bisognava perciò uscire dal sistema, per gestire l’economia in maniera completamente diversa, sulla base di tre principi fondamentali:
A ) Una nuova distribuzione del lavoro - tutti devono lavorare , ciascuno per minore tempo -
B ) Una perequazione drastica dei redditi
C ) Una revisione drastica del modo
di produrre e del modo di consumare
rinunciando a un’economia di
spreco
[14].
Un programma ben definito per un
governo PCI –PSI alternativo al potere
democristiano e al sistema capitalistico. La relazione di De Martino,
sostanzialmente favorevole alla linea dell’alternativa fu votata all’unanimità
: ma in realtà, i sostenitori del segretario e gli autonomisti ( al congresso
di Roma Nenni il suo ultimo appassionato discorso congressuale ) davano
dell’alternativa una interpretazione
completamente diversa da quella di L.
Per la maggioranza era una mera ipotesi di
schieramento, condizionata da un “ riequilibrio “ delle forze tra PCI PSI e
dalla crescita dell’autonomia dei comunisti rispetto all’URSS. Gli autonomisti,
poi, ne facevano soprattutto uno slogan da contrapporre alla strategia del
compromesso storico. Lo stesso Giolitti, intervistato qualche mese più tardi
dalla “ Stampa “ , parlava di “ alternativa riformista “. Se l’alternativa era
intesa come “ passaggio al socialismo “
[15]
era inutile parlarne.
La campagna elettorale fu imperniata sul
tema dell’eventuale partecipazione de PSI ad un governo di emergenza : De
Martino dichiarò che il PSI non avrebbe fato parte di un governo senza il PCI.
I risultati furono, per molti militanti del partito, una vera delusione. Lo
spostamento a sinistra dell’elettorato ( il PCI saliva al 34,4 % ) non premiò
il PSI , che riconfermò le posizioni del ’72, fermandosi al 9,6 %.
Dopo il 20 giugno, la linea di De Martino fu
messa sotto accusa. In realtà non si comprese, a caldo, il vero significato
della risposta dell’elettorato, che si era concentrato, seguendo uno schema
bipartitico sui due maggiori contendenti.
Anche la DC, difatti, manteneva i suoi voti,
a scapito dei partiti di centro – destra
più piccoli. Il CC del luglio, tenutosi all’hotel Midas, faceva di De Martino
un capro espiatorio, eleggendo come segretario, il delfino di Nenni, Bettino
Craxi. In realtà gli autonomisti non si impadronirono del partito: a reggere il
PSI furono chiamati il demartiniano Manca e il lombardiano Signorile che
affiancarono Craxi nella segreteria. In sostanza vi fu un cambio generazionale,
di cui si fecero garanti, sullo sfondo , i leader più anziani: Nenni, Lombardi,
Mancini. Non a caso, sebbene Craxi, avesse fatto dell’autonomia del PSI dal PCI
una battaglia e fosse stato bollato dal “ Manifesto “ come “L’amerikano “, L. sostenne che “ un cattivo vescovo si può rilevare un buon
papa “
[16].
Infatti, anche dopo il ribaltone la
piattaforma programmatica del partito ( governo di emergenza con il PCI )
rimase identica, tanto che De Martino, col senno di poi, riterrà del tutto
ingiustificata la sua defenestrazione. Per il momento Craxi è a capo di una
direzione collegiale, ma il Midas segnò la gravissima sconfitta dei
sindacalisti e degli intellettuali di “ mondoperaio “, che puntavano ad una
rinnovamento più radicale di linea, di
stile e di organizzazione del PSI e miravano a eleggere nuovo segretario
Giolitti.
C’è da chiedersi cosa sarebbe avvenuto negli
anni successivi se Giolitti fosse effettivamente divenuto leader del “
rinnovamento “. Sta di fatto che L. partecipò a pieno titolo alla congiura
contro De Martino ordita dai capi corrente più giovani. E se ne sarebbe pentito
amaramente.
All’inizio il nuovo segretario seguì
pedissequamente le indicazioni del vecchio gruppo dirigente: alla fine di
agosto il PSI partecipava con la DC e il PCI al governo Andreotti. Il governo
della “ non sfiducia “ ( entrambi i partiti della sinistra si astenevano) .
Nel settembre del 76’ L. partecipava ad un
convegno promosso dalla rivista “ fabbrica aperta “. Intervenendo nella
discussione, tornò sul tema della crisi degli equilibri capitalistici. La crisi
occupazionale poteva essere affrontata soltanto nel quadro di “ un nuovo
modello di sviluppo “, puntando ad una riduzione del tempo di lavoro , del
tempo settimanale o del tempo orario.
Le chiavi di volta per superare la crisi,
erano tre. Riallacciandosi al discorso congressuale L. chiedeva “ una maggiore
equalitarismo dei redditi “ “ che è la vera lotta all’inflazione “ (
l’inflazione non si alimenta se non c’è un sovrappiù spendibile a disposizione
di certi ), di “ cambiare la ripartizione del lavoro “ ( lavorare tutti per un
tempo minore ) e infine organizzare “ un diverso modo di produrre “ ( produrre
materiali diversi , eliminare le sacche enormi di disperdimento, di
sterilizzazione, di spreco delle risorse ) ; su quest’ultimo punto L. si
soffermava a lungo, richiamandosi ad una tesi socialista e marxista essenziale:
far corrispondere la produzione con il “ valore d’uso “. In una società
realmente democratica, le scelte prioritarie nell’ambito della produzione
dovevano essere democratiche: “ Ecco perché al socialismo – osservava – si
affianca l’autogestione perché l’utilità sociale dev’essere definita
democraticamente, perché la scelta delle priorità, la scelta di quello che è
socialmente utile , a cui dare l’esclusività, o almeno la prevalenza non può né
deve essere una scelta imposta autoritariamente dalla presunta saggezza dei
tecnocrati “
[17]
L’operazione trasformistica guidata da
Andreotti (l’inserimento anche del PCI
nel quadro della solidarietà nazionale) contribuisce nel ’77 ad acuire
tensioni sociali. Il governo della “ non fiducia “ fronteggerà l’inflazione in
maniera tradizionale, aumentando le tariffe e bloccando la scala mobile.
All’insofferenza operaia verso questi provvedimenti si aggiunge quella degli studenti
; aumenta la violenza politica, si moltiplicano i fenomeni di terrorismo, fanno
la loro comparsa le famigerate pistole
P38. In questo clima la sinistra, cosiddetta minore ( compresi i radicali) accusano in particolare il PCI
di “ collaborare “ con il nemico.
Questo è il quadro nel quale il
neosegretario del PSI si rafforza emarginando lka vecchia guardia (Mancini, De
Martino) e sbarazzandosi di Manca (al CC del maggio ’77) ritenuto “ troppo
filocomunista “.
L’alleanza tra autonomisti e lombardiani (
quidati da Claudio Signorile ) è in questa fase determinante, Craxi intuì dalla
fine del ’76 che “il compromesso storico“ rendeva “superflua“ l’esistenza
di due diversi partiti della sinistra.
Di qui la necessità di una “politica socialista“ distinta da quella del PCI, se non addirittura contrapposta ad essa, che
consentisse al PSI di mantenere la propria identità. A questo scopo un gruppo
di intellettuali socialisti di tendenza autonomista e lombardiana elaborarono “
il progetto socialista “ che mirava ad adeguare “ i fini e i mezzi dell’azione
socialista, trascendendo i limiti del socialismo europeo e rifiutando i modelli
del socialismo reale “
[18]
.
Questa impostazione puntava all’aggregazione
di forze e ceti diversi della società industriale avanzata, per raggiungere
l0obiettivo della continua trasformazione del sistema attraverso una sempre più
alta capacità di " governare “ democraticamente i conflitti. L’analisi su
cui si fondava il “ progetto “ era ben diversa da quella di L. : si rifiutava
la schema dicotomico della società e la strategia delle “ azioni di massa “.
La conflittualità della società
neocapitalistica non era dovuta alla tradizionale lotta di classe ( anzi si
assisteva ad una omologazione tra i vari ceti ) ma alla incapacità del sistema
di mantenere le promesse di stabilità e di benessere su cui s’era rafforzato
fino a quel momento.
La strategia craxiana, mutava aspetti
importanti dalla teoria lombardiana dell’alternativa ( non a caso sul “
progetto “ si fondava l’alleanza delle due correnti che dominavano il partito
di quegli anni ) : ma il superamento del “ marxismo cririco “ e l’apertura ai
ceti medi lasciavano presagire l’abbandono per gli anni a venire di qualsiasi
prospettiva alternativistica, almeno nel senso che L. dava alla parola “
alternativa “ ( come superamento del sistema capitalistico in crisi ).
Infatti il vecchi L. continuava a sperare
che la solidarietà nazionale avesse un carattere transitorio : si trattava
soltanto di scrivere il programma del futuro governo delle sinistre: “ quanto
al PSI, scriveva nell’ottobre del ’77, è attraverso la costruzione di questo
programma che esso si costruisce la nuova identità, e , quindi, definisce
l’atteggiamento nei confronti delle varie forze politiche “ e aggiungeva:
“ … in una situazione in cui le
differenziazioni ci sono anche nella classe operaia non è più accettabile lo
schema dell’alleanza operai – ceti medi, né pare utile la formula dei ceti medi
produttivi, che non si capisce bene che cosa siano ( … ) su questa scelta
programmatica ( l’alternativa ) si definisce l’identità del partito socialista
e si sciolgono le ambiguità che qualcuno può vedere nella formula
dell’alternativa. Ma in effetti, anche per il modo come sta procedendo la
discussione del programma e la preparazione del congresso , non è che ci siano
due versioni del congresso, non è che ci siano due versioni dell’alternativa:
da una parte c’è l’alternativa vera e
propria e dall’altra parte c’è il vuoto. Quanto poi alla tentazione di speculare
sullo scontento emergente a sinistra, evidentemente questa tentazione c’è, come
c’è anche una tendenza a forme rinnovate di vecchio anticomunismo (…) “
[19].
Era questo un modo per ribadire, con
assoluta coerenza, che il PSI doveva spendere “ il piccolo capitale di cui dispone “ in un’unica maniera :
attraverso la lotta per un modo diverso di produrre per una società socialista
a cui pensava:
“ si tratta di abolire la divisione del
lavoro, le gerarchie, la dipendenza del lavoratore manuale dal lavoratore
intellettuale ( … ) la società socialista è una società in cui tutti sono più o
meno uguali economicamente, e proprio questa condizione di eguaglianza
economica sviluppa e mette in grado di sviluppare tutte le differenze, le
originalità, la capacità creativa subordinarli alla gerarchia, alla dipendenza,
al salario, a tutti gli altri strumenti di articolazione della società borghese
(…) “ .
Bisogna cambiare le strutture perché
altrimenti la lotta – contro il parassitismo, contro le rendite, contro la
corruzione sarebbe stata inutile, in quanto il sistema le produceva, non la DC.
Anche se le sinistre fossero state al governo con le stesse strutture, le cose
non sarebbero cambiate.
In questo discorso L. pone al centro il
problema del “ durare “ : nel caso in cui fossero andate al governo le sinistre
non avevano scelta: dovevano favorire l’autogestione, cioè la scomposizione del
potere in tanti centri diversi dello stato centrale :
“ Compagni, non facciamoci illusioni, fino a
quando c’è il potere accentrato dello stato, che sia in mano alla destra o alla
sinistra, questo stato tende per sua natura a burocratizzarsi, a essere
accentratore ed ad avere una tendenza al dispotismo (…) il vero pluralismo non
sta soltanto nei partiti politici sta nelle diversità delle funzioni e dei
poteri (…) noi socialisti siamo antigerarchici (…) siamo impegnati a
irrobustire lo stato ma a togliergli le attribuzioni che ha confiscato in gran
parte alla società, a diffondere il potere, a socializzare la politica per
costruire la società socialista “
[20].
Questa era l’utopia del vecchio L. l’ex
azionista libertario riusciva ad immaginare soltanto questo socialismo, un
socialismo antigerarchico, pluralista, realmente democratico, l’unico
socialismo possibile, il socialismo realizzato.
Nel gennaio del 1978 Andreotti dava le
dimissioni . I legami del PCI con la classe operaia si stavano pericolosamente
allentando e Berlinguer alzava la posta per riconfermare la solidarietà
nazionale: il PCI chiedeva di entrare nel governo.
Grazie all’abilità di Aldo Moro si giunge a
un compromesso : i comunisti voteranno a favore ( come i socialisti ) di un
governo, sempre presieduto da Andreotti, esattamente identico al precedente. Si
trattava in sostanza dell’ennesima vittoria dello schieramento moderato.
Intanto il partito armato irrompeva sulla
scena politica. Partecipando a modo suo, alle trattative: il 16 marzo le
brigate rosse rapivano Aldo Moro e
massacravano la sua scorta. Intervistato
il giorno successivo alla strage dall’Avanti! L. rispondeva con fermezza a La
Malfa che aveva proposto, a caldo, di ripristinare la pena di morte ( “ L’aggressività della repressione è uno
degli scopi del terrorismo “ ) e avanzava seri sospetti suo ruolo dei servizi
segreti, soprattutto stranieri ( “ d’altra parte i soli servizi segreti
efficienti in Italia non sono stati certo quelli italiani, ma proprio quelli
stranieri di varia estrazione “ )
[21]nella
vicenda.
Nei mesi successivi Craxi e Signorile,
soprattutto per distinguere la loro linea politica da quella della “ fermezza “
dei due partiti maggiori, sosterranno, con scarsi risultati sul piano pratico,
l’ipotesi di una trattativa con i terroristi alla scopo di salvare la vita di
Moro.
L. condivide in pieno la scelta del suo partito.
Qualche tempo dopo in un’intervista polemizzerà aspramente con la DC e il PCI :
“ a mio giudizio - dichiarerà – ha pesato non poco il fatto che entrambi questi
due partiti hanno scarso senso dello stato, e hanno usato questo tremendo
episodio per autoattribuirselo “ di tutte le argomentazioni opposte alla “
trattativa “ l’unica valida era quella secondo cui si sarebbe creato un
precedente pericoloso “
[22]
.
In un clima tesissimo e dominato dalla
polemica tra i sostenitori della fermezza e quelli della “trattativa “, al palazzo dello sport di
Torino si svolgeva il XLI congresso del PSI ( 30 marzo – 2 aprile 1978 ).
Craxi e Signorile fecero proprio il progetto
socialista. Nelle intenzioni del segretario il partito doveva puntare
all’alternativa socialista tenendo conto della necessità di “ tappe necessarie
chiarificatrici “ : il partito socialista doveva favorire una vasta convergenza
di riformatori laici e cattolici per garantire l’alternativa tenendo presente
che essa era possibile solo “ con un PSI
più forte “ e “ più autonomo “ nel quadro dell’Europa occidentale dei suoi
valori, delle sue istituzioni, delle sue alleanze
[23].
La relazione craxiana era ambigua, fatta per
mettere d’accordo un po’ tutti, e soprattutto per coniugare “ autonomia “ e “
alternativa “ ( tra l’altro Craxi aveva affermato che il PCI era “
l’interlocutore privilegiato “ dei socialisti ).
Infatti mentre De Martino e Mancini si
opponevano al progetto, L. vi aderiva. Già intervenendo nel dibattito
precongressuale aveva spiegato le ragioni di questa scelta : l’alternativa
fondata sull’elaborazione di un programma comune tra PCI e PSI non poteva prescindere dalla
necessità dell’ << autonomia >> cioè della non subalternità dei
socialisti rispetto ai comunisti :
“ chi parla di partito unico della classe
operaia – scriveva – deve dimostrare che si tratti di un obiettivo praticamente
realizzabile sia pure di tempi mitici e anche se lo fosse , desiderabile ( … )
. Esso , a mio avviso impoverirebbe sia
i comunisti che i socialisti mentre la dialettica fra essi in
collaborazione unitaria arricchirebbe tutta la sinistra “
[24].
Se il progetto riconosceva il marxismo come
uno – non l’unico – dei filoni ideologici del socialismo italiano ciò non
poteva che far piacere a L. ,che da anni propugnava il superamento delle
categorie veteromarxiane nell’analisi dei fenomeni sociali e politici. A
Torino, polemizzando con De Martino che difendeva il marxismo come non l’unica,
ma la principale ideologia del partito.
L. sosteneva che “ oggi abbiamo bisogno,
oltre che delle categorie marxiste, di categorie diverse che si sono
esplicitate in un secolo di dibattiti “.
Nel discorso di Torino, tra l’altro, dava
un giudizio assai aspro del governo di solidarietà nazionale, anche perché la
formula non era in grado di produrre serie riforme:
“ bisogna eliminare il potere di veto che i
corpi separati dello stato compresa tutta la pubblica amministrazione hanno
esercitato e continuano ad esercitare rispetto a qualsiasi riforma avanzata che
leda gli interessi costituiti ( … ) è essenziale modificare le cause che
portano al disordine cause che consistono nelle ingiustizie della società.
Nelle riforme che si potrebbero fare e non si fanno… “
[25]
.
Ancora una volta il vecchio inguaribile
sognatore insisteva sulla necessità impellente della “ riforma del riformatore
“.
Qualunque riforma sarebbe stata priva di
effetti dirompenti ( e i fatti negli anni successivi, gli avrebbero dato
pienamente ragione )senza modifiche profonde del sistema burocratico, cui in
sostanza era deputata la corretta applicazione della riforma stessa. Il “
progetto socialista “ non avrà modo di affermarsi.
Il 9 maggio viene trovato il cadavere di
Moro. Le amministrative del 14 maggio premiano il PSI e sembrano confermare un
giudizio positivo dell’elettorato sulla proposta della “ trattativa “ .
L’11 giugno si tiene il referendum indetto
dai radicali contro la legge del finanziamento pubblico ai partiti:
l’elettorato conferma la legge ma il 43% dei voti si esprime contro. Questo
risultato per L. “ era un sottoprodotto
del distacco dai partiti di larghe fette dell’elettorato e dell’opinione
pubblica “.
Ad essere in crisi, osservava L. con
notevole preveggenza “ è il partito chiuso “, incapace di stare in contatto con
i movimenti che nascono nella società “, il partito incapace di stabilire con
essi un rapporto che non sia quello dell’integrazione e della satellizzazione “
[26].
Il sistema dei partiti iniziava la sua lunga
crisi. Da allora si parlò con maggiore frequenza di “ partitocrazia “, di cui
il “ compromesso storico “ era massima espressione.
Il governo Andreotti, nonostante fosse
appoggiato da tutta la sinistra non produsse quelle riforme strutturali a cui
pensava L. : un professore della corrente di L. Giorgio Ruffolo, aveva proposto
di inserire nella legge di riforma sanitaria l’istituzione di una assemblea
elettiva che stabilisse una qualche forma di controllo delle USL da parte degli
utenti: si trattava di una proposta ispirata a criteri antigerarchici e antiburocratici,
una riforma che incideva sulle strutture del sistema sanitario tradizionale
proprio nella maniera indicata da R.L. .
Naturalmente non fu presa in considerazione
e si stabilì che gli amministratori delle USL fossero nominati dai consigli comunali
.
Fu il primo passo verso la lottizzazione
sistematica delle cariche del servizio sanitario nazionale , una delle cause
principali del clamoroso fallimento della legge di riforma
[27].
All’inizio del ’79 apparve chiaro quanto L.
aveva previsto diversi anni prima : l’ingresso del PCI nell’area di governo non
determinava grandi cambiamenti in senso riformatore.
Berlinguer ritirava la fiducia ad Andreotti
adducendo a pretesto le “ inadempienze programmatiche “ della DC. Ripetendo la
stessa esperienza di Nenni del 1964. Sfumato il tentativo di ricucire la
solidarietà nazionale da parte di La Malfa ( che tentava di assegnare un
incarico di governo almeno a un deputato indipendente, eletto nelle liste
comuniste ) si convocano le elezioni anticipate.
Le elezioni del 3 giugno segnavano il primo
vistoso arretramento del PCI, che perdeva il 4% dei voti ( a favore delle liste
radicali ) mentre il PSI confermava il risultato del ’76.
A una settimana di distanza le prime
elezioni per il parlamento europeo accentuavano questa tendenza ma segnavano un
lieve incremento di voti per i socialisti ( 11% ).
La campagna elettorale di Craxi aveva
riesumato gli slogan “ terzaforzisti “ e aveva
Sottolineato l’autonomia del PSI rispetto al
PCI.
Per la prima volta il segretario socialista
si era impegnato a garantire comunque la
“ governabilità “del paese .
Ma il vecchio L. , che aveva sostenuto la
campagna elettorale con l’impegno e l’energia di sempre ( il 3 giugno fu
riconfermato deputato a Milano ) aveva ribadito le ragioni
dell’<<alternativa >>.
A Venezia . in febbraio, dimostrava di aver
intuito quali fossero le prospettive per il decennio che si apriva; la crisi
del capitalismo era una “ crisi di trasformazione “ non di morte.
“ Il capitalismo sotto i nostri occhi si sta
trasformando e si sta sbilanciando, certamente su modelli nuovi ma costruiti
sulla base del profitto e dello sfruttamento, cioè la logica che sempre usa il
capitale per superare le sue crisi ( … ).
I dati attuali della ricerca scientifica,
con quello che si è già raggiunto in tema di automazione e di progresso tecnico
dimostrano che il lavoro necessario per produrre ciò che oggi produciamo, è
diminuito e diminuirà sempre di più utilizzando tutto quello che le innovazioni
tecniche in fatto di automazione rendono già disponibile … “ 28 .[28]
Per rispondere a queste trasformazioni,
ribadiva per l’ennesima volta, si doveva puntare a ridurre l’orario di lavoro,
L. percepiva con chiarezza il pericolo dell’annullamento delle differenze tra
la politica economica della destra e quella della sinistra : l’egemonia
culturale della classe dominante , ammoniva L. stava imponendo come vincoli
naturali a parte della sinistra, cose che scientificamente non erano certe;
per sanare l’inflazione e rilanciare il
processo produttivo anche una parte della sinistra si stava convincendo che
occorresse moderare la spesa pubblica e la politica salariale.
Se è vero che una moderazione dell’attività
sindacale implicava maggiori profitti, in una situazione come quella italiana,
con le aziende fortemente indebitate, i maggiori profitti avrebbero sic et
simpliciter sanato questi debiti; gli investimenti non producevano
automaticamente nuova occupazione: ciò sarebbe avvenuto solo se ci fosse stato “
un programma vincolante “ una coercizione nell’uso delle risorse” e “ un
controllo reale da parte dei lavoratori “.
Quanto alla spesa pubblica, essa non era superiore in Italia a
quella degli altri paesi, ma nel nostro paese mancava " un apparato fiscale
realmente moderno ed efficiente “ che consentisse di colmare la spesa con la
tassazione.
Per la soluzione di questi problemi
occorreva “ un indirizzo innovativo, anche se prudente e graduale “.
Si potevano accettare “ gli obblighi della congiuntura “ ma sapendo
che questi obblighi non potevano tradursi in “ subalternità permanente “ del
movimento operaio alle scelte o alle soluzioni offerte dal mondo capitalistico.
Sul piano politico L. invitava Berlinguer ad
abbandonare la linea del compromesso
storico e a proporre con decisione la linea dell’alternativa. Ciò implicava un
superamento del leninismo e dei vecchi schemi ideologici.
Anche la battaglia per l’Europa non poteva
essere generica, ma bisognava porre il problema della “ …Trasformazione fondamentale dell’Europa,
una trasformazione necessaria, ben diversa da quel modello di Europa che si è
retto fino ad oggi (…) bisogna introdurre come elemento per la nostra economia,
per lo sviluppo dell’Europa il criterio della qualità della vita, della piena
occupazione, della riduzione dell’orario di lavoro (…).
Compagni noi vogliamo un’Europa socialista
che regoli il suo sviluppo non sul criterio capitalistico del profitto ma sul
criterio umano e socialista del tenore di vita, della qualità della vita
un’Europa che non produca soltanto utili, ma produca merci “
[29].
L’unità europea , secondo L. , non poteva
seguire il modello americano, non poteva puntare a creare un immenso mercato,
cercando di eguagliare i consumi americani, a spese soprattutto del terzo
mondo; anche a livello europeo si doveva imporre un modello alternativo,
estraneo alla logica capitalistica.
All’indomani delle elezioni del 3 giugno il
PCI, stanco di essere, per usare la espressione di Napolitano,” in mezzo al
guado “ passava all’opposizione.
Nel luglio del ’79 il presidente Pertini
conferiva l’incarico a Craxi per formare il governo. L. si era pronunciato
espressamente negativamente sulla prospettiva di una presidenza socialista,
perché inevitabilmente avrebbe implicato la esclusione dei comunisti ed una
maggiore apertura a destra ( ad esempio il PLI ).
Il tentativo fallisce . Da quel momento
inizia all’interno del partito uno scontro nel quale la posta in gioco è il
controllo del PSI.
L’asse Craxi – Signorile entra in crisi. Il
leader socialista sembra avere abbandonato il “ progetto socialista “ e punta
con decisione alla governabilità, assicurando con l’astensione del PSI la
sopravvivenza del governo Cossiga.
Signorile insiste per la formazione di un
governo di “ emergenza “ con la presenza del PCI. Nell’autunno del’79 si
formava un cartello anticraxiano ( lombardiani, manciniani e demartiniani ) che
mirava a imporre alla DC un governo di coalizione con il PCI “ senza
subordinate “.
Frattanto la battaglia all’interno del
partito si svolgeva anche attraverso la conquista di posizioni si sottogoverno:
il presidente dell’Eni, il lombardiano Mazzanti, coinvolto in una vicenda di
tangenti, si dimetteva ed era sostituito da un democristiano. Il craxiano
Formica denunciava che il denaro estorto da Mazzanti era destinato a favorire
Andreotti, uomo di punta di un disegno politico volto a includere il PCI nel
governo, emarginando Craxi.
L. interveniva nella polemica intervistato
alla fine di dicembre: intervistato per il settimanale l’<<Espresso >> da Paolo Mieli,
proponeva un governo d’emergenza per combattere le due piaghe del momento :
l’inflazione e il terrorismo.
Pur confermando la simpatia umana per Craxi,
lamentava che il segretario guidava il partito “ secondo i criteri del
fuhrerprinzip “ ( fa tutto di testa sua senza mai consultare i dirigenti del
partito… cambia troppo spesso l’idea guida che propone al partito, un giorno è
terzoforzista, in altro vuole la riforma costituzionale, un altro ancora chiede
la presidenza del consiglio , poi torna a parlare di governo di emergenza... il
partito è disorientato e paralizzato )
[30]
.
Nel gennaio del 1980 in un comitato centrale
drammatico la linea della sinistra prevaleva e L. veniva eletto presidente del
partito, sostituendo Pietro Nenni , scomparso il 31 dicembre 1979, che
ricopriva la carica di presidente dal 1972.
In realtà la vittoria del cartello
anticraxiano era una vittoria di Pirro. Il congrasso democristiano, nel
febbraio, aveva sancito la vittoria dei moderati, ostili al PCI e propensi a
considerare un PSI sempre più autonomista e moderato come “ interlocutore
privilegiato “.
Nel gennaio i socialisti avevano votato la
fiducia a Cossiga, per ratificare il decreto antiterrorismo, bloccato dall’ostruzionismo
dei radicali.
Lo scontro all’interno del PSI continuerà
fino a marzo. I rapporti del SISDE sul PSI, successivamente pubblicati
dall’<<Espresso >>, rivelano un particolare interesse dei servizi
segreti alla battaglia interna al partito: un rapporto del 26 gennaio ’80
rivela i retroscena della riconferma di Craxi dopo il CC ( Giolitti, l’uomo sul
quale le sinistre avevano puntato per
rovesciare Craxi si è rivelato un “ fallimento “ per la mediocrità del suo
intervento).
Gli uomini dei servizi annotavano però che
Craxi avrebbe avuto serie difficoltà “
con R.L. la cui naturale bizzosità di carattere è aggravata da un
arteriosclerosi che lo ha ulteriormente incattivito “
[31].
Il nuovo presidente del partito, tuttavia,
aveva delle ragioni politiche evidenti, che lo spingevano a criticare
continuamente l’operato del segretario, e no era soltanto, come sembrano
ritenere gli spioni del SISDE, un “ vecchio arteriosclerotico “.
Craxi , secondo L. , garantendo la sopravvivenza di un governo
traballante, con il PCI alla opposizione, sconfessava apertamente le decisioni
prese al congresso di Torino. Il vecchio leader avvertiva lucidamente che la
personalità di Craxi si era affermata a tal punto che il partito rischiava di
perdere qualsiasi forma di democrazia interna.
Ciò spiega la polemica da lui iniziata il 4
marzo, culminata, dieci giorni dopo, con le sue dimissioni da presidente del
PSI .
L. ricordava a Craxi di attenersi,
nell’annunciare i propositi del partito, a quanto “ collegialmente è stato
deliberato “ e sosteneva che la crisi del governo Cossiga era
“
una necessità “
[32].
Di fronte alla reazione arrogante di Craxi
L. si dimetteva . Forattini commentava
l’episodio sulla “ Repubblica “ con una vignetta, nella quale il vecchio L. era
effigiato come Gesù Cristo, mentre scendeva, buttando via i chiodi, da una
croce nera sormontata dal faccione di Craxi .
Il partito sembrava a pezzi: alla vigilia
del CC del PSI, il giorno delle dimissioni di Cossiga, intervistato da “
Repubblica “, L. preannunciava la richiesta di una netta inversione di rotta
della linea politica socialista, e si pronunciava, polemizzando aspramente con
Craxi, a favore di un governo “ di emergenza “
[33].
Il CC del 20 marzo segnava una dura
sconfitta del cartello anticraxiano: il passaggio di alcuni esponenti della
sinistra al gruppo di Craxi ( Manca e De Michelis ) consente al segretario di
prendere in pugno la situazione.
Il PSI parteciperà alle trattative per la
formazione del secondo governo Cossiga, e vi entrerà con ben nove ministri (
dopo 6 anni di mancata presenza diretta all’interno del governo ). L’unica
modesta soddisfazione che L. riusciva ad ottenere era l’allontanamento dal
governo del PSDI e del PLI.
Da quel momento, con la definitiva
acquisizione del PSI allo schieramento moderato, inizia la lunga crisi della
corrente di pensiero di R.L.
Dopo il successo alle elezioni regionali,
anche i giovani dirigenti della corrente, Cicchitto e Signorile, si convertono
al craxismo.
Per il °42 congresso si profila un accordo
volto ad assicurare alle posizioni di Craxi una vastissima maggioranza. L. ,
profondamente deluso dall’atteggiamento dei suoi, tuona contro “ il pateracchio
“, ma si ritira per conto proprio, ormai quasi ottantenne.
Negli ultimi anni L. sarà ancora una volta
isolato, una delle poche voci di dissenso in u partito che assomiglia sempre di
più al PCI degli anni ’50. Intervenendo al XLII congresso ( Palermo, 22- 26
aprile 1981 ) dimostrerà di non avere perso la verve polemica degli anni d’oro;
esordisce con una velenosa battuta contro la relazione craxiana “ Nei miei sogni notturni pensavo a un
episodio vecchio di 800 anni quando S.Bonaventura chiamato a polemizzare con
S.Tommaso D’Acquino, stracciò il suo discorso, avendo colto valutazioni nuove
nelle argomentazioni del suo interlocutore…Ma non è il caso del mio discorso “.
Nel suo intervento L. sembrava ripercorrere
tutte le tappe fondamentali della sua carriera politica; dalla formazione
cattolica dei primi anni, che affiora dalla battuta iniziale, alla polemica
rivisitazione del centro – sinistra:
“ Oggi il sistema produttivo, per innovarsi
ha bisogno di una diffusa mobilità del lavoro ( … ) non si può ignorare il dato
obiettivo che qualsiasi processo di mobilità incontra il più rilevante ostacolo
delle enormi difficoltà che si verificano per gli insediamenti abitativi in
considerazione del rifiuto della DC , di realizzare una moderna, razionale
riforma urbanistica…” .
Fino all’insistenza per l’alternativa e per
una nuovo rapporto tra PSI e PCI:
“ Nel PCI gli erasmi ( i riformatori ) ci
sono, sono molti e autorevoli, sono disposti a battersi e lo dicono; e allora
io dico che le condizioni per tendere ad un’intesa col PCI, anche di governo ci
sono, proprio perché ci sono gli erasmi (…) “.
L. polemizzava aspramente contro la
decisione di Craxi di avallare l’installazione degli “ euromissili “.
“ ‘E democraticamente immatura la Gran
Bretagna, perché sia i conservatori sia i laburisti sono stati concordi nel
rifiutare lo SME? Il Belgio, l’Olanda, la Danimarca, sono subalterni all’URSS,
perché si oppongono all’installazione dei missili? (…)” .
Contro la retorica del “ mercato “
ricordava che esso “ è un supporto necessario per un sistema economico e politico
che non voglia cadere nell’autoritarismo, ma che va controllato e reso coerente
con la programmazione, non mitizzato “ e concludeva
“ combattere oggi per il socialismo non è
uno slogan desueto e vetusto ma una necessità alla quale il nostro partito
spero non vorrà mai rinunciare “
[34]
.
Al termine dell’intervento i delegati del
congresso rimasero in piedi per tre lunghissimi minuti per applaudire L.
Un acuto commentatore descriveva “ una
realtà di partito che segue Craxi perché più di ogni altro gli ha fatto
riscoprire l’orgoglio di essere socialista ma il cuore batte a sinistra “
[35]
.
Ma il PSI sembrava rinunciare alla
necessità a cui L. lo richiamava nel suo discorso: in maggio venivano rese note
le liste degli affiliati alla Loggia P2.
Le degenerazioni affaristiche coinvolgevano
il PSI. Tra gli affiliati alla organizzazione di Gelli, figuravano anche alcuni
esponenti del PSI, tra cui Fabrizio Cicchitto, un giovane stimatissimo da L.,
divenuto il leader principale della sua corrente. L. appare sconvolto dalla
scoperta dei “ poteri invisibili “ che inquinano la vita della democrazia, ( si
domanderà, intervistato dai giornali “ come si farà a rassicurare il paese che
le nostre istituzioni sono ancora vive? “ )
[36].
Non esita a prendere una decisione dolorosa:
l’espulsione di Cicchitto dal gruppo della sinistra socialista. Nel luglio dopo
l’arresto del banchiere Calvi, Craxi attaccherà in parlamento duramente la
magistratura.
Dall’estate dell’81 il segretario comunista
Berlinguer comincia a parlare di una “ questione morale” che riguarda i
partiti, in particolare la DC e il PSI. Nell’ottobre il partito espelleva un
esponente storico come Tristano Codignola perché aveva lanciato con altri “ un
appello ai socialisti “ nel quale si lamentava la crisi della democrazia
interna, da un lato e l’insorgere della questione morale, dall’altro, Giolitti
commentava la notizia come “ un segnale d’allarme “ “ una manifestazione
d’intolleranza “
[37].
Erano questi i segnali più vistosi della
crisi di un partito, ormai impegnato soltanto a conquistare posizioni di potere
in gara con la DC e completamente estraneo ai movimenti e ai fermenti in atto
nella società. L’intervento di L. alla conferenza organizzativa di Rimini,
viene accolto dalla platea al grido di viva L. , viva il socialismo “
[38],
ma alla fine il progetto assai nebuloso di “ grande riforma istituzionale “ del leader maximo offuscherà il prestigio
dell’ottuagenario ex ingegnere.
L. , chiuso in un ostinato silenzio,
trascorre gli ultimi anni guardando soprattutto a ciò che accade al di fuori
del partito; è profondamente colpito dal movimento per la pace, sarà l’unico
socialista a votare, in direzione, contro la installazione dei missili a
Comiso. Si dedicherà alle questioni internazionali. Alla vigilia di nuove
elzioni politiche anticipate, volute da Craxi per misurare i rapporti di forza
con la DC, L. rilascerà un’intervista alla rivista l’<<Astrolabio
>>in cui annuncia di non volersi candidare ( sono stanco della vita parlamentare).
A chi gli rimproverava di essere l’ultimo
utopista rimasto nel PSI rispondeva che “ se non c’è un po’ di utopia, un fine
elevato, non si raggiungono neanche gli obiettivi intermedi “.
Si soffermava con estrema lucidità sui
problemi di politica internazionale: manifestava la propria contrarietà
all’intervento dell’Italia nel Libano e
confermava la propria antipatia per l’alleanza atlantica ( mantengo tuttora un
animo neutralista, ma devo dire che l’Italia all’interno di quella alleanza è
stata sempre troppo subordinata all’America ).
Parlando con il suo intervistatore si
mostrava particolarmente sensibile ai problemi posti dal movimento pacifista:
“ non c’è un solo uomo ragionevole al
mondo, affermava, disposta a credere che i negoziati di Ginevra possano
concludersi positivamente. A Ginevra si sta controllando il riarmo, non il
disarmo (…)…Qualunque sia l’equilibrio o lo squilibrio attuale che casomai può
essere superato soltanto dalla scoperta di un arma capace di infliggere il
primo colpo , è più ragionevole fermarsi
al livello attuale degli armamenti e impegnarsi a ratificare il SALT 2 “.
“Affinché si possa arrivare ad una soluzione
definitiva del controllo nucleare ”
aggiungeva L. “ è necessario che si raccordino l’azione politica e diplomatica
con l’azione popolare “.
Il controllo popolare era indispensabile dal
momento che tecnici e diplomatici delle due superpotenze si incontravano
segretamente. Pur manifestando grande simpatia ed interesse per i movimenti
popolari occidentali a favore della pace L. osservava “ “purtroppo ai movimenti
popolari occidentali manca un interlocutore valido in Oriente “ e riconfermava
la propria concezione dell’Europa anche per quanto riguardava l’organizzazione
della difesa dei paesi membri della comunità:
“ ‘E necessaria l’unità etica europea oltre
che una maggiore coesione nel campo della politica estera e militare (…) sarà
utile affidare la difesa dei paesi agli armamenti non nucleari e alle milizie
popolari (…) se non ci fosse la follia atomica “
[39]
.
Sul ruolo della sinistra europea L. non
aveva dubbi: non esisteva una sinistra europea.
L’internazionale socialista era un organismo
burocratico che raggruppava forze eterogenee, specie dopo l’allargamento
dell’internazionale ai partiti di ispirazione socialista dei paesi extraeuropei
.
L’anziano leader guardava infine con
preoccupazione ai problemi del terzo mondo, in particolare al crescente
indebitamento verso i paesi più ricchi di quei popoli.
Intanto il 26 giugno 1983 gli italiani erano
chiamati, per la quarta volta consecutiva, a rinnovare il parlamento con un
anno di anticipo. Il risultato deludeva
le aspettative di Craxi : la DC, il cui segretario De Mita aveva presentato
agli elettori un programma di stampo reganiano – thactheriano ( tagli alla
spesa pubblica, inasprimento delle imposte indirette , fine
dell’assistenzialismo ) subiva un vero e proprio tracollo, passando dal 38 % al
32,9 % , il PCI teneva mentre i socialisti guadagnavano poco più dell’1 % dei
voti.
Nella roccaforte del PSI di Milano, le
perdite erano vistose e in parte avvantaggiavano il PRI. I repubblicani,
trainati dall’ << effetto Spadolini >> ( ibuoni risultati,
soprattutto di immagine, conseguiti dal primo presidente laico del consiglio
nella storia della repubblica, alla guida del governo tra il maggio del 1981 e
il novembre del 1982) balzavano al 5,1 %.
Il vecchio L. sarà tra i primi a criticare
Craxi, a cui attribuisce la responsabilità per l’esito assai deludente delle
elezioni.
Il partito uscito dall’appuntamento
elettorale non era più quello di una volta : giustamente Giorgio Bocca commentava che gli elettori
milanesi avevano preferito Colucci, craxiano di ferro, uno dei campioni del
rampantismo e del “ socialismo amministrativo “ all’onesto L.
E
Craxi sfruttava la “ rendita di posizione “ ottenuta con le elezioni, avviando
lunghe trattative con la DC e divenendo , il 4 agosto, il primo presidente del
consiglio socialista.
Al CC del 3 agosto l’unico intervento che
esprime una vibrata protesta contro quello che sta accadendo è quello del
vecchio L. Dopo aver condannato la “ mercantile trattativa sull’assegnazione
dei ministeri che getta generale discredito di fronte alla pubblica opinione “
chiedeva la formazione di un governo rispetto al quale i socialisti si
astenessero
[40].
Fu l’ultimo intervento volto ad imprimere
una linea politica diversa al partito, ormai egemonizzato da una maggioranza di
tipo “ bulgaro “.
Anche negli ultimi mesi di vita la passione
politica non verrà meno ( dichiara: “ cerco una coesistenza pacifica con la
vecchiaia “).
Solo le condizioni di salute, molto gravi,
non gli consentono di recarsi al congresso di Verona nel 1984. L’ultimo
intervento di R. L. al convegno di Roma della sinistra socialista, il 29 giugno
1984 rivela la profondità dell’analisi di una situazione, solo apparentemente
favorevole al PSI, ma carica di incognite per il futuro.
Le elezioni europee per L. erano state un
clamoroso insuccesso. Il partito era isolato:
“ In campo internazionale pesa un isolamento
motivato da una nostra assenza rispetto al movimento di massa per la pace (
… ) la nostra estraneazione e
opposizione rispetto al movimento di massa per la pace rivela una grave
incapacità di essere presenti nella società, distinguendosi da ciò che ogni
movimento spontaneo ci può essere di un
equivoco e di torbido ma cogliendone viceversa gli aspetti positivi...".
Sottolineando che il successo del PCI era “
un aspetto positivo “ che rivelava una tendenza alla “crescita complessiva “ della sinistra,
coerentemente ammoniva :
“ Non dobbiamo accantonare il disegno
strategico dell’alternativa non dobbiamo rinunciarvi per non urtare la sensibilità dei nostri attuali
alleati di governo … il nostro compito è di essere stimolatori di processi di
cambiamento e di riforma nella nostra azione di governo e nella società ( …)
saremo destinati a divenire una forza politica in estinzione se ci limitassimo
a gestire una governabilità fine a se stessa, senza dare ad essa un segno
evolutivo ( … ) non possiamo assistere da spettatori spesso scettici e ostili a
ciò che avviene in campo sociale nelle lotte per i diritti civili, nella lotta
per la pace ( … ) non possiamo limitarci ad essere “ il partito delle tavole
rotonde “ (…)
[41].
L. lanciava un segnale d’allarme ben
preciso: “ Il PSI rischia di diventare un partito che non ha più ragione di
vita “. Cosa che si è puntualmente verificata dopo dieci anni di ingabbiamento
nella formula pentapartitica, di spartizione selvaggia dello Stato da parte dei partiti di governo, di
dissoluzione di qualsiasi progetto socialista di trasformazione della società e
delle istituzioni, di affarismo e corruzione sistematica.
Ancora una volta, la profezia di L. ,
l’ultima profezia, trovava piena conferma negli avvenimenti.
Terminava così una delle esperienze più
interessanti nel panorama politico del nostro dopoguerra.
Un compagno fedele, ricordandolo a pochi
anni di distanza dalla morte, sottolineò che nei suoi discorsi non comparivano
mai frasi come “ io l’avevo detto, io l’avevo previsto “.
La sua volontà di lotta lo portava a
guardare sempre avanti, ad aggiornare in continuazione le proprie idee sempre
però inserendole in continuità con il nucleo fondamentale: la trasformazione
continua dello stato e della società italiana.
Anche negli anni in cui appariva un “
passatista “ affermando che “ il socialismo è all’ordine del giorno “ le sue riflessioni, ad esempio, sulla
struttura economica, si sono rivelate di sorprendente attualità: l’idea per la
quale la ripresa produttiva non produce necessariamente occupazione, le ultime
considerazioni sulla disoccupazione come fenomeno strutturale della economia
postindustriale e neocapitalistica si sono rivelate, ai giorni nostri, tuttora
valide.
In fondo era rimasto, come abbiamo
sottolineato all’inizio, un militante del partito d’azione, un partito troppo
moderno e avanzato, per un’Italia ancora arretrata e uscita stremata da un
conflitto di proporzioni immani , in cerca di casa sicura, di un obrello sicuro
incarnato da partiti – chiesa, i grandi partiti di massa.
Di
qui il libertarismo, l’impostazione gradualista che accompagnava L. in
tutto il periodo della militanza nel PSI.
L’ipotesi terzaforzista, riformatrice, negli
anni del frontismo, quando il PSI si trovava schiacciato da due grandi partiti
autoritari; il riformismo rivoluzionario, negli anni in cui i grandi
cambiamenti lasciavano sperare nella possibilità di cambiare il sistema senza
rovesciarlo, con il centro – sinistra; il sogno dell’alternativa, negli ultimi
anni in cui il PCI sembrava essere divenuta una forza credibile di governo, in
grado di realizzare un socialismo antiautoritario e antigerarchico: di qui
anche l’attenzione costante di L. per la società aperta, per una società sempre
più libera e autonoma dall’apparato oppressivo dello Stato.
Ciò spiega la sua sintonia col “ movimento “
, con i gruppi in fermento nella società
; l’insistenza sul tema dell’autogestione, sull’idea di un socialismo realmente
pluralista e democratico, perché fondato sull’autonomia della società dallo
Stato; la polemica contro il partito chiuso, scarsamente legato alle masse, il
partito monopolistico, che si ritira dalla società, “ il partito delle tavole
rotonde “.
Sarà stato un revenant, un grande utopista
ma i nodi cruciali del suo pensiero sono attuali ancora oggi.
Il suo merito maggiore, come uomo politico,
fu di aver compreso che il sistema politico italiano era colpito da una
malattia difficile da combattere: il trasformismo, ovvero il perpetuarsi del blocco
politico – economico dominante attraverso i successivi cambi di regime fino
alla repubblica e attraverso l’inserimento nell’area governativa dei partiti di
opposizione, dopo la resistenza e il consolidamento dell’egemonia
democristiana.
Negli ultimi anni vedeva anche nel
compromesso storico il rischio che si risolvesse in “ un’operazione giolittiana
di trasformismo “.
Comprese che non i partiti dominanti, ma il
sistema politico ed economico producevano inevitabilmente i vizi e le
degenerazioni che impedivano il corretto funzionamento delle istituzioni
democratiche.
Per la natura particolare del capitalismo
italiano, un capitalismo “ monopolistico “ e di Stato, arrivò a teorizzare la
necessità di affossarlo ma gradualmente, attraverso un processo di lunga lena,
che si valesse principalmente del concorso e del sostegno della gente comune,
ma che richiedeva un intenso sforzo unitario di quanti erano decisi a cambiare
le cose .
Guardando alle riflessioni di L. a distanza
di anni, i fatti sembrano avergli dato ragione.
Tuttavia il sogno degli ultimi anni, quello
di una società socialista, sembra essere assai più lontano di allora.
Si sarebbe tentati di dar ragione a quanti,
tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 lo definivano “ il poeta
del socialismo “ e “ l’ultimo grande
utopista “.
Ma a queste ironiche definizioni si potrebbe
rispondere con le sue stesse parole
“Se non c’è un po’ di utopia, un fine
elevato, non si raggiungono nemmeno gli obiettivi intermedi “.
[1] Cfr. R.L. : Riforme e rivoluzione dopo la seconda guerra mondiale, Discorso tenuto a Torino, 20 marzo 1974, cit. in “ Riforme e riformismo nella storia contemporanea “ a cura di G. Quazza, Torino, 1977, pp. 311 - 335
[2] Cfr. Intervento al CC del 6 giugno del ’74 in “ Avanti ! “ 7 giugno 1974 .
[3] Cfr. Intervento al CC del 5 aprile ’74 .
[4] Cfr. Intervento al CC del 6 giugno ’74. L. tra l’altro, si chiedeva come mai un giornalista del Corriere della sera , Zicari , che aveva accusato il SID di aver conosciuto fin dal ’70 i propositi eversivi di gruppi fascisti non era stato interrogato da alcun magistrato.
[5] Cfr. R.L. : La resistenza italiana, cit. p. 223.
[6] Cfr. R.L. : Nasce dalla realtà la necessità dell’alternativa di sinistra. Discorso al convegno della sinistra socialista sul tema “ la crisi della DC e i problemi dell’alternativa”, Trento, 15 – 16 aprile 1975 in AA.VV. Crisi della DC e alternativa socialista, Venezia, 1975, pp. 129 –146.
[7] Cfr. Covatta , op. cit. , p. 113.
[8] Cfr. R.L. : Prefazione a “ Per una sinistra di governo “ di Umberto Dragone, Milano, 1979.
[9] Cfr. Crisi del capitalismo e alternativa, Disc. Di R. L. al convegno della sinistra socialista, Roma, aprile ’75, in AA.VV. Dal centro sinistra all’alternativa, Milano, 1976, pp. 213 – 19.
[10] Ivi , p.218.
[11] Cfr. R. L. : “ L. risponde a Bufalini “ su “ il Mondo “, 16 ottobre ’75, n. 42, p.30
[12] Ivi.
[13] Cfr. AA.VV. L’alternativa socialista. Autogestione e riforme di struttura; prefazione p. 9 – 12, Milano, gennaio ’76.
[14] Cfr. R.L. : Intervento al XL congresso , Roma, 4 marzo 1976, cit. in Colarizzi : scritti politici 1963 – 78 , cit.
p. 267 – 71 .
[15] Cfr. Giolitti: op. cit. , pp.195 –196 “ ma L. – riconosce Giolitti – è un uomo rispettabilissimo, come è rispettabile l’utopia “
[16] Cfr. Galli : op. cit. , p. 300 – 301.
[17] Cfr. R.L. : Discorso al convegno di fabbrica aperta, Roma, 10 – 11 settembre ’76. Pubblicato in “ fabbrica aperta “ nn. 7 – 8 agosto settembre 1976, pp. 56 – 63 .
[18] Cfr. Covatta, op. cit. , pp. 278 – 289 .
[19] Cfr. R.L. : rompere, cambiare le regole del gioco, durare in il Manifesto, 23 ottobre 1977.
[20] Cfr. “ La transizione al socialismo “ discorso al circolo G. Pescetti, Firenze, dicembre 1977, cit. in Colarizzi, op. cit. ,pp. 278 –289 .
[21] Cfr. inter. all’<< Avanti !>>, 17 marzo 1978.
[22] Intervista su Mondoperaio n. 11, 1979, p. 132.
[23] Cit. in Galli, op. cit. , p. 309.
[24] Cfr. R. L. : Autonomia e alternativa in Avanti! , 19 febbraio 1978.
[25] Cfr. R. L. : Intervento al XLI congresso del PSI, Torino , 30 marzo ’78 in Avanti! 1 aprile.
[26] Intervista cit. p.132.
[27] Cfr. Ginsborg, op.cit.,p.529.
[28] Cfr. R.L. : “ In Italia In Europa con i socialisti per l’alternativa “ , discorso pronunciato al Palasport di Venezia, 18 febbraio 1979, Ed Avanti ! pp. 13 – 15 .
[29] Ivi pp. 31 – 34 .
[30] Cfr. R.L. : Questo Bettino non è un “ leader è un fuhrer “ , intervista a Paolo Mieli in l’<<Espresso >>, 23 dicembre ’79.
[31] Cfr. Taci, Il SISDE ti spia a cura di A.Padellaro, supplemento al n.1 del 7 gennaio 1994 dell’Espresso, p. 30 .
[32] Cfr. Dichiarazione a “ Repubblica “ 4 marzo 1980.
[33] Cfr. Intervista in “ repubblica “, 19 marzo ’80. “ Non perdere la testa “ dichiara L. “ ma è necessario che ci sia una testa “, “ La presidenza socialista offerta dalla DC sarebbe contro l’alternativa di sinistra “.
[34] Cfr. Intervento al XLII congresso del PSSSI in “ Avanti! “, 24 aprile 1981.
[35] In “ Espresso “, 3 maggio ’81.
[36] Cfr. Dichiarazione di R.L. cit. in l’<<Espresso >>,31 maggio 1981.
[37] Cfr. Giolitti , op. cit. , p. 210.
[38] Cfr. int. Alla conferenza programmatica di Rimini, i aprile 1982. In Avanti! 2 aprile ’82. Il discorso di L. era dominato dai problemi di politica estera. In caso di fallimento, affermava, delle trattative in corso a Ginevra bisognava rivedere la posizione del PSI in merito all’installazione dei missili a Comiso. Il pericolo di una guerra atomica era reale: “ basta riflettere sul fatto che la costruzione di costosissimi rifugi antiatomici in molti paesi anche neutrali, dalla Svezia alla Svizzera, sta diventando un fatto diffuso, non è più il capriccio di qualche originale. E quando i ricchi cominciano a preoccuparsi, ciò vuol dire che il pericolo è reale, perché i poveri sono abituati alla miseria e alla morte, i ricchi no “ Il PSI, impegnandosi a fondo nella lotta per la pace, che doveva costruire un nuovo internazionalismo che mettesse in discussione i blocchi contrapposti . Un grande afflato internazionalista era infatti necessario per sorreggere, anche nella politica interna, una reale vocazione riformatrice.
[39] Cfr. Intervista a R.L. in l’<<Astrolabio >>, 16 maggio 1983.
[40] Cfr. Intervento al CC del 3 agosto ’83, cit. , in “ Avanti! “ 4 agosto.
[41] Int. Al convegno della sinistra socialista, Roma, 29 giugno ’84, in Avanti!, 30 giugno 1984.