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CAPITOLO QUINTO

IL TEORICO DEL CENTRO-SINISTRA

    Alla fine degli anni ’70 alla domanda di un giornalista che gli chiedeva se gli anni che vanno dal 1948 al 1956 fossero stati anni perduti per il socialismo italiano, L. rispondeva:

   “Né anni perduti né anni esemplari, si impara anche dai propri errori… E in politica gli errori si pagano sempre, come in una scienza esatta”[1].

   Le lunghe battaglie di L. per le riforme dimostrano ampiamente che quegli anni non furono completamente perduti: dopo la lunga notte dello stalinismo, il PSI, con il 12% dei voti, rimaneva il terzo partito del paese ed era pronto a lanciare nuove iniziative politiche: ma gli avvenimenti degli anni successivi avrebbero dimostrato che gli errori dell’esperienza frontista sarebbero stati pagati a caro prezzo.

   Il congresso di Torino (il XXXI del PSI – 31 marzo –2 aprile 1955) segna l’inizio della lunga marcia che dovrà portare al centro-sinistra. Mentre, con Scelba prima, con Segni poi, il centrismo agonizzava e la DC fanfaniana prospettiva una “politica conciliante” con il PSI , Nenni lanciava l’idea di una collaborazione con i cattolici nel quadro di un impegno riformatore coerente e determinato.

   L. assumeva la posizione di Nenni ma, con minore genericità, “sottolineando quello che sarebbe stato il suo leit-motiv per un decennio”[2], affermava che le riforme possono essere realizzate solo “contro qualcuno”:

   “un piano organico come per esempio il piano Vanoni, può essere realizzato soltanto contro qualcuno, cioè contro le forze monopolistiche accampate nei punti di passaggio obbligati dell’azione economica (…) non possiamo condizionare il nostro appoggio e la nostra partecipazione a una nuova maggioranza se non a questa chiara individuazione di azioni concrete, e solo se esse saranno onestamente valutate dai nostri avversari, una collaborazione che non sia una capitolazione sarà possibile e sarà considerata come una cosa propria da tutta la classe operaia, se no, no”.

   Insomma soltanto su una “piattaforma programmatica concreta è possibile istituire un dialogo con i democristiani: da questo momento in poi soltanto la logica delle riforme può giustificare la partecipazione al governo del PSI… Se no, no“ ripete L.

   D’altra parte l’ingegnere non mutava una virgola delle posizioni assunte fino a quel momento sui rapporti con gli alleati d’oltre oceano: “In politica internazionale il PSI non pensa ad un rovesciamento delle alleanze. Reso impossibile dall’alto costo che esigerebbe l’inserimento dell’Italia nell’economia del blocco orientale, ma a una revisione realistica dei rapporti con gli Usa che esercitano l’egemonia in modo da consentire sul piano politico di erodere e sterilizzare gli elementi esplosivi di guerra del patto atlantico. E , sul piano economico di instaurare nuovi rapporti non di servitù e di accattonaggio. Ma di collaborazione…”[3].

   E’ interessante notare che a parte  le proteste di Vecchietti e di quella  che verrà denominata dopo i fatti d’Ungheria la sinistra “ corrista “ del partito delineata da Nenni e L. del teorico più acuto del socialismo italiano, Lelio Basso.

   Ma il suo discorso conteneva delle argomentazioni ben diverse da quelle di Vecchietti : Basso ricordava che la DC era il partito “del grande capitale e più in generale degli interessi economici dominanti nella vita italiana” ; per questo la DC era “ l’erede del fascismo, intendo l’erede della funzione politica che il fascismo ha esercitato in difesa degli interessi del grande capitale”; i dirigenti della DC fanfaniana proponevano l’apertura a sinistra in perfetta coerenza con questa funzione:

    “ E’ il ritorno alla politica tradizionale della classe dominante. Che ostinatamente rifiuta la possibilità di un’alternativa democratica e concepisce soltanto la possibilità di assimilare nuovi gruppi che si pieghino alle sue esigenze “ [4] .

   In realtà le critiche di Basso mettono in luce, con grande anticipo sui tempi, quella che sarà la ragione fondamentale del fallimento del centro - sinistra, e  a distanza di un decennio saranno condivise da Nenni, che avrebbe riconosciuto che il discorso di L. si poneva “ al punto di approdo “ piuttosto che a quello di “partenza “ del processo di avvicinamento alla DC [5], rispondeva che le critiche di Basso avevano un fondamento; ma affermava che se i socialisti avessero mantenuto la coscienza delle loro finalità, non ci sarebbero stati “ rischi “ di cedimenti trasformistici: giustamente è stato osservato che potrebbero essere parole di Filippo Turati.

   Gli avvenimenti del 1956 daranno una brusca accelerazione al processo di sganciamento del PSI dal PCI. Lo stesso  Basso dopo il XX congresso del PCUS e le denunce dei crimini di Stalin da parte di Nikita Kruscev, riconoscerà in febbraio la validità di una “ formula italiana “ per il socialismo e sosterrà l’esigenza di una nuova linea per il PSI .

    L. in un articolo su “ il Mondo “ afferma che è venuta l’occasione storica per fare del PSI “ il partito egemone della rivoluzione italiana “. La fine della visione catastrofica del potere attraverso la guerra o la rivoluzione apre nuove prospettive per una politica riformatrice. Due sono per L. le tendenze fondamentali del movimento operaio occidentale:

   “ L’una indirizzata alle riforme rispettose dell’ordine proprietario dello stato borghese e tendenti essenzialmente all’equità nella ripartizione del reddito.

    Cioè la tendenza   a creare e a consolidare lo Stato  di benessere, il welfare state …

L’altro filone è quello che sempre all’interno dello stato e utilizzando gli strumenti della democrazia politica, punta sulle riforme rivoluzionarie, cioè sulle riforme dirette a infrangere il quadro dell’ordine proprietario esistente per creare non già lo stato di benessere, ma la società senza classi “ [6].

   Dopo il fallimento del marxismo tradizionale, si tratta di considerare lo Stato non con la violenza rivoluzionaria ma costruendo all’interno dello Stato stesso “centri efficienti di controllo e di lotta ai grandi monopoli “ istituendo in questa maniera “gli strumenti per un passaggio legale e pacifico alla società socialista “.

   Occorre perciò liquidare una “ politica di mera potenza caratteristica dei partiti comunisti e il PSI non può che essere  “ il naturale interprete di questa prospettiva “ , liberandosi dai condizionamenti del PCI [7]. E’ questa la prima occasione in cui L. delinea quella che sarà la strategia delle riforme di struttura, nucleo principale dell’interpretazione lombardiana del centro – sinistra.

           Fin dal primo momento si tratta più che altro della definizione dei “ mezzi mediante  i quali possono essere raggiunti determinati obiettivi, “ gli indicatori cruciali della via da percorrere nel lungo e difficile viaggio verso il socialismo “ [8].

   Obiettivi almeno in questa fase assai vaghi se si pensa all’impegno profuso di L. per l’attuazione del piano Vanoni, che certo poteva essere considerata  una riforma neokeynesiana, nata forse sul terreno d’incontro tra la cultura marxista e cultura “ riformista “, ma non una riforma di “ struttura “. Intanto l’invasione da parte dell’Unione Sovietica dell’Ungheria, il soffocamento del tentativo democratico de Nagy e Meleter apre la strada ad un vero e proprio “ revisionismo “ nel PSI.

     L. né sarà uno dei  protagonisti: nell’intervento conclusivo del dibattito parlamentare sulla tragedia Ungherese esprime la “nostra (del partito) aperta solidarietà coi lavoratori ungheresi “ [9] . Il 19 novembre intervenendo al CC del partito chiede la rottura del patto d’unità d’azione con il PC ricordando però che :

   “di fronte al problema sollevato dalla rivoluzione ungherese e alle posizioni contrapposte assunte dal PSI e dal PCI non si tratta di cercare una equivoca mediazione, metà movimento operaio e metà carrarmati ma di sostenere la giustezza della posizione socialista e su di essa chiamare anche i comunisti  [10].

   Infine, arriva al clamoroso ritiro dell’attività del Comitato dei Partigiani della Pace : proporrà al Consiglio mondiale di Helsinki l’approvazione di un documento di condanna dell’intervento militare sovietico. In seguito ricorderà che l’Odg “curiosamente trovò molti appoggi nel corso della riunione del Comitato politico. Ma, alla fine mi ritrovai solo a votarlo” [11].

   Tuttavia  L. rimarrà fedele alle posizioni contrarie di ogni forma  di imperialismo e alla logica dei blocchi, assunte negli anni precedenti : in coerenza con gli interventi del ’56, nell’estate del ’58 condannerà con forza l’intromossione degli affari interni del Libano degli angloamericani volta ad impedire l’ingresso del partito comunista libanese al governo; in quella circostanza lo sbarco delle truppe americane a Beirut, dopo l’elezione del presidente musulmano Fuad Chebab, non gli sembrerà tanto dissimile dall’intervento dei sovietici in Ungheria[12]. I termini della condanna vengono riproposti da L. al congresso di Venezia ( febbraio 1957 ) :

   “Vi è una tragica contradddizione tra le tesi di Gramsci sui consigli rivoluzionari degli operai e il fatto che, allorchè questi consigli , per la prima volta dopo la rivoluzione di ottobre sono stati scambiati adirittura e definiti come gruppi reazionari e fascisti . I fatti pongono, quindi, al PSI  il compito di divenire la guida non solo dellla classe operaia, aggiunge, ma di un ampio schieramento democratico che faccia dell’Italia una democrazia moderna“.

                    Quanto ai rapporti col PCI non si tratta di fare “una politica di concorrenza al PCI… ma una politica di critica aperta ai vertici e di profonda e costante unità alla base… l’unità del movimento operaio non si è mai raggiunta attraverso una ispirazione dogmatica, ma attraverso un’azione costante, di tuttii giorni, essa è un punto di arrivo cui si giunge attraverso le lotte politiche che cementano gli interessi e i bisogni della classe operaia”.

   L. tendeva a distinguersi da Nenni soltanto sulle questioni riguardanti il rapporto con il PSDI: dopo l’incontro nenni – Saragat di Prolognan, il segretario socialista imperniava gran parte del suo intervento al teatro S.Marco sul tema dell’ <unificazione socialista>, mentre L. aveva affermato replicando al discorso di Matteo Matteotti (allora segretario del PSDI ) secondo il quale l’unificazione “ si poteva fare a freddo “ che l’unificazione “ si fa a caldo o non si fa”.

   Il PSDI doveva andare all’opposizione. La collaborazione (dei partiti operai al governo di maggiornza borghese ) doveva avvenire “ su basi programmatiche avanzate di riforma. Un simile governo doveva essere sostenuto da una ondata popolare in ascesa “ sola garanzia per non capitolare e corromperci noi stessi “ ; quello che importa oggi, conclude L. per tutto il movimento operaio è non stare fermi. L’immobilismo mentre l’avversario si muove non ha nessuna giustificazione davanti alla storia “[13].

   Insomma fin dalle prime avvisaglie di un ravvicinamento dei socialisti ai saragattiani, il teorico delle riforme rivoluzionarie, che non possono mantenere ma scardinare “ l’ordine borghese “ manifesta un’aperta insofferenza.

   La svolta socialista, fondata sulla costruzione del socialismo nella libertà e nella democrazia subiva però a Venezia uno smacco temporaneo, ma del tutto inaspettato:

la linea politica prescelta restava ingabbiata dall’apparato partitico morandiano e la “ sinistra “ di Valori e Vecchietti otteneva la maggioranza nella direzione del PSI.

   L’asse Nenni – Lombardi riuscirà a  prevalere anche numericamente soltanto di lì a poco, al congresso di Napoli.

   Nel 1957 viene tra l’altro, istituito il MEC. In autunno il parlamento italiano autorizza la ratifica del trattato costitutivo della Comunità Europea. La politica del PSI a riguardo è in gran parte ispirata proprio da R. L.

   Già in febbraio sull’ < Avanti ! > metteva in luce le ambiguità del trattato e soprattutto i suoi limiti dal momento che esso avrebbe portato alla nascita non di una unione economica fra i sei paesi già partecipanti alla CECA ma semplicemente alla nascita di una unione doganale:

   “ occorre sfatare due illusioni  - scrive – che la comunità delle sei nazioni abbia strategie economiche paragonabili a quelle degli Stati uniti d’America da un lato e dell’Unione Sovietica dall’altro, illusione che è all’origine della convinzione secondo cui basta abbattere le barriere doganali interne della piccola Europa per dar vita a un mercato di caratteristiche competitive e di stabilità confrontabili con i due grandi mercati dominanti: la seconda illusione è che la riduzione prima e l’abbattimento poi delle barriere doganali dia luogo a un < mercato libero > nel quale cioè il gioco competitivo sia assicurato in condizione di massima libertà di concorrenza e regolato solo dai costi e dai prezzi … nel mondo di oggi non esistono mercati liberi ma organizzati , i movimenti delle merci, degli uomini e dei capitali avvengono secondo linee di forza potentemente influenzate e spesso direttamente create dai grandi interessi nazionali e internazionali organizzati e strettamente interferenti, con mille legami, con l’azione dei governi e delle amministrazioni pubbliche… “ [14]

   Fermo è in L. il convincimento che occorre una politica economica comune tra i paesi complementari e concorrenti, la semplice unione doganale sarebbe un disastro. “Altrimenti, aggiunge avverrà che il nuovo mercato non sarà già regolato dal libero gioco dei prezzi, ma congiuntamente, da un lato dalla potenza economicamente più forte, che è la Germania, dall’altro dai grandi monopoli nazionali, cartellizzati internazionalmente, i soli che per le loro dimensioni e per loro legami internazionali  possiedono i requisiti di convertibilità e trasferibilità indispensabili per sottrarsi alle conseguenze del < grande terremoto > derivante dall’abbattimento delle tariffe e sfruttare il nuovo mercato ai loro fini…” [15].

   “ L’alternativa perciò non è fra mercato largo e mercato protetto e nemmeno tra mercato largo e mercato ristretto ma fra - mercato regolato da forze democratiche responsabili ( governi e parlamenti ) e mercato affidato a forze irresponsabili ( monopoli e cartelli ) – “

      il mercato  comune offre a L. anche l’occasione per rilanciare un suo cavallo di battaglia: la necessità di rendere compatibili fra loro i diversi piani di sviluppo nazionali, attraverso i quali si esprime ” il particolarismo economico dei diversi stati “ dovrebbe spingere l’Italia a promuovere “ una politica organica di sviluppo economico di ampia prospettiva “ :  “ Per fare l’Europa “ , aggiunge   “ bisogna dimostrarsi capaci di non disfare l’Italia” .

   Il 27 luglio  L. avrebbe ripetuto questi assunti nel discorso alla camera con il quale motivava il voto favorevole dei socialisti sull’istituzione dell’EURATOM e l’astensione sulla CEE. Per quanto riguarda l’energia nucleare L: affermava che si trattava di “ iniziative completamente nuove e sulle quali la presa degli interessi costituiti non ha avuto ancora largo modo di esercitarsi “: tuttavia denunciava l’arretratezza del nostro paese in materi a di ricerche, chiedeva il ricorso ad un decreto legge, polemizzava aspramente con Malagodi ricordando che l’iniziativa privata nel campo dell’energia nucleare era nulla .

   Quanto alla CEE L. ribadiva la sua adesione condizionata in questi termini:

“per noi socialisti…ha un senso in quanto esso ( trattato ) sia capace di evolvere verso una politica economica comunitaria che renda compatibili tra loro i diversi piani nazionali di sviluppo e che in prospettiva prefiguri un vero e proprio piano collettivo comune ai sei paesi “.

   In altre parole soltanto se il trattato si fosse proposto di arrivare ad un mercato omogeneo, eliminando disparità tra le aree territoriali di differente sviluppo e struttura avrebbe avuto un significato: il semplice abbattimento delle barriere doganali avrebbe a suo avviso, invece, “ aggregato le disparità “, e avrebbe aggravato le condizioni di inferiorità dei paesi più deboli economicamente [16].

   D’altra parte con grande preveggenza L. vedeva nell’allargamento del mercato un’occasione per ammodernare la macchina produttiva italiana ( il sistema produttivo italiano era debole perché L’Italia importava materie prime ed esportavva manufatti facilmente surrogabili ) e fortemente polemico con i comunisti che avevano votato contro la ratifica del trattato, ricordava che “ il Mec non è figlio del CED “e che se  “ il Mec amplia (va) la base territoriale della potenza e dello strapotere dei  monopoli e dei cartelli “ “ l’area di intervento, l’area di sviluppo delle aree democratiche e delle forze del lavoro, specialmente di quelle sindacali “ avrebbe trovato “ una dilatazione importante nella costituzione del mercato unico “.

   L’impulso europeista di L. , un retaggio del suo passato azionista sarà quindi determinante nel processo di revisione in atto nel PSI , che da questo momento sarà più sensibile alle tematiche federaliste.

   Il suo  europeismo avrà sempre un carattere “ laburista di sinistra “ volto a cogliere gli aspetti positivi del processo di unificazione europea soltanto qualora in esso le classi lavoratrici non abbiano un ruolo subordinato. Intanto il PSI si prepara, all’insegna dello slogan dell’ < alternativa democratica > a cogliere un importante successo elettorale: con il 14,2 %  alle elezioni politiche del 1958 si confermerà determinante sul piano parlamentare rispetto ad una DC , che all’insegna della promessa di un “progresso senza avventure “ aumenterà i propri consensi del 2 % dei suffragi. Nelle intenzioni di Nenni e Lombardi l’alternativa democratica mira a conquistare legalmente le strutture dello Stato democratico, stipulando alleanze con settori progressivi della borghesia  e coi cattolici allo scopo di instaurare , in una fase successiva, il socialismo  superando le resistenze più ottusamente conservatrici.

   Ma il partito che otteneva  quella percentuale era profondamente diviso se si pensa che per un Lelio Basso l’ < alternativa > aveva un significato completamente diverso:

per L. essa era un incoraggiamento agli sforzi di Fanfani e alla politica di “apertura a sinistra “, per Basso , invece era proprio un invito ad abbandonare quella politica, allo scopo di mandare la DC all’opposizione.

   Dopo lo  “sfaldamento “ del partito seguito al crollo del sistema accentratore creato da Morandi, per evitare di ripetere gli errori di Venezia nell’estate Nenni decide di organizzare una vera e propria corrente autonomista, con L. , De Martino e i dirigenti più vivaci tra i giovani come Mancini e Cattani.

   Fin dall’inizio essa si rivela assai debole nel sindacato: Santi, un sostenitore di Basso, e Foa della corrente dei “carristi “ guidata da Vacchietti e Valori, sono i massimi dirigenti socialisti della CGIL [17].

   Lo scopo di Nenni, alla vigilia del XXXIII congresso è di prendere saldamente nelle proprie mani le redini del partito. Sarà proprio R.L. a polemizzare aspramente con la sinistra dei Foa, dei Basso e Libertini al congresso di Napoli ( gennaio 1959 ).

Intervenendo il 16 gennaio contro le posizioni di Foa, che ipotizzava un controllo degli investimenti dal basso e un impiego delle lotte rivendicative per allargare  

Il conflitto e favorire uno “ sbocco rivoluzionario “ ricordava che …

   “ Oggi se noi vogliamo operare seriamente  dobbiamo necessariamente prendere atto della correlazione intima e del reciproco condizionamento tra strutture e sovrastrutture “ poiché “ nella società moderna lo Stato è anche imprenditore, è anche assuntore di iniziative economiche, è anche industriale, non è più, dunque, solo sovrastruttura ma anche struttura “ [18] .

   Per modificare i rapporti di forza a favore dei lavoratori occorre agire dall’esterno perché “ non è sempre vero che il cuore, il punto sensibile del sitema sia la fabbrica, sia la cascina “:

   “ Agire ( cioè ) in modo da modificare le condizioni che rendono possibile   in Italia questo accentuarsi di potere e strapotere oppressivo del padronato e questa condizione è l’esistenza di una massa di disoccupati permanenti (…) oggi il nodo del problema si determina su un altro piano, su un altro livello, si determina al livello della  decisione sugli investimenti che sfuggono sempre più all’ambito circoscritto della fabbrica , (…) non bisogna sparare dove l’avversario non è bisogna sparare dove l’avversario è (…) [19].

   Dopo aver denunciato gli squilibri tra una zona e l’altra del paese, l’arretratezza “ alivello balcanico “ nel Mezzogiorno, aggiungeva:

“ Dove dunque, e su quale piano, a quale livello si opera la saldatura tra le due Italie e insieme la saldatura tra le due condizioni di lavoratori se non a livello politico? (…) si salda forse attraverso una mimetizzazione dell’azione di massa (…) no, essa si salda in sede politica, e necessariamente politica perché non esiste altro terreno su cui raggiungere l’avversario e costringerlo a fare i conti (…) questo problema non si raggiunge altro che a livello politico, al livello istituzionale e il primo gradino del livello istituzionale è il livello parlamentare   con la conseguente necessità di non indulgere alla tentazione che sarebbe forte di svilire e di sottovalutare l’importanza dell’azione politica anche nel suo aspetto parlamentare”.

   In sostanza L. ribadiva i termini della sua “ via democratica e rivoluzionaria “ accettare la lotta nello Stato e poi considerarlo il principale avversario da battere come faceva la “ sinistra “ del PSI gli pareva un’assurdità :

“bisognava aprirsi una breccia nel cuore dello Stato , uno stato inteso come struttura , cioè suscettibile di essere riformato dall’interno e quindi di diventare strumento capace di piegare il sistema alle esigenze della democrazia e dell’interesse pubblico “  [20] . La strategia delle riforme di struttura implicava la conquista dell’apparato statale dall’interno, iniziando con lo spezzare i vincoli tra Stato e monopoli e approdando alla fine di un lungo processo, dalla Stato democratico allo Stato socialista [21].

   Bisogna riconoscere che L : tra i fautori delle riforme di struttura, giunge con Giolitti, con molto anticipo, a non sottovalutare le sovrastrutture, specialmente le strutture politiche nel processo di “ trasformazione totale “. Tuttavia, anche per lui, come giustamente ha sottolineato il Ginsborg, in questa fase si può parlare di “ generico radicalismo sulla questione dei contenuti veri e propri “ ;

d’altra parte però   L. sembra intuire che le acque stagnanti dello Stato avrebbero implicato la riforma del riformatore, cioè la riforma dell’amministrazione dello Stato;

proprio la mancata coscienza della necessità inderogabile di una riforma di questo genere sarà una delle cause principali del naufragio della progetto riformatore del centro sinistra  [22].

   Quanto alla politica delle alleanze, L. rispondendo alle critiche di Basso e Foa sullo “ splendido isolamento “ in cui rischiava di trovarsi il partito se non avesse scelto tra la DC e il PCI  ricordava che “ l’alternativa democratica è una prospettiva a lunga scadenza “ , perché presuppone per la sua realizzazione una “ modificazione profonda dei rapporti di forza nel nostro paese “ :

 “ se noi considerassimo immobile la situazione quale è oggi determinata dai rapporti di forza tra i partiti che sono poi riflesso dei rapporti di forza tra le classi sociali del nostro paese (…) non esisterebbero prospettive per l’alternativa democratica, ma non esisterebbero neppure speranze per la repubblica italiana (…) se noi affermassimo e siamo unanimi nell’affermarlo che la DC quale è oggi non c’è nulla da fare (…) se noi affermassimo che le masse del PCI e lo stesso PCI sono eternamente vincolate a una posizione,  è chiaro che non ci sarebbe nulla da fare (…) il vero problema è questo: è possibile o no una modificazione profonda delle forze politiche esistenti capace di dar luogo a una maggioranza alternativa a quella attuale ?… 

   A Foa che accusava Nenni di non aver compreso che il “ dinamismo dei monopoli “ rispondeva che il compito del partito socialista è incoraggiare i fermenti nella sinistra cattolica e sollecitare la crisi nella DC, allo scopo di determinare l’esito, cioè  “ la fine della lunga pratica dell’unità politica dei cattolici italiani nello stesso partito : questa era una delle ragioni dell’ < autonomia > ; occoreva, infatti, offrire ai lavoratori cattolici una prospettiva < seria > realizzabile e concreta  e perciò efficace“ soprattutto per il suo “ carattere democratico “.

   Quanto ai rapporti con il PCI  L. insisteva sulla loro intensificazione ma senza che comportassero “ un’alleanza politica generale “ :

   “  … Tale preventiva alleanza politica che io mi auguro che ci sia domani,  <afferma >, oggi non c’è ;  perché sui problemi grossi e decisivi non siamo d’accordo; (…) <altrimenti > si dovrebbe onestamente parlare di unità organica, di fusione tra i due partiti e per questa le condizioni non esistono (…).

   Il processo di autonomia dei comunisti dall’Unione Sovietica è appena agli inizi;

dopo aver manifestato delusione per l’atteggiamento del PC che “ pregiudizialmente per il fatto che il MEC possa essere vantaggioso o svantaggioso per l’economia italiana “, si mostra fiducioso per quanto potrà avvenire in futuro, in un quadro ricco di possibilità di apertura e di rinnovamento, sia in Oriente che in Occidente.

   Il vigoroso intervento di L. rafforzò a Napoli la posizione di Nenni che conquistò la maggioranza del partito con il 58,3 % dei voti. Tuttavia l’impostazione lombardiana non teneva conto in maniera sufficiente della crescita del PCI, dopo la crisi del  ’56 e della natura di “PARTITO CONSEVATORE DI MASSA “ della DC , ampiamente favorito dai responsi delle urne in una  democrazia parlamentare : infatti, l’insuccesso dell’alternativa democratica non significa la fine di ogni speranza per la repubblica, <come diceva Lombardi> la repubblica continuerà ad esistere all’insegna dell’egemonia democristiana [23] .

   Il PSI nenniano con l’ambigua formula dell’ < alternativa democratica > rintuzzate le perplessità della sua sinistra, si preparava così a collaborare con Fanfani. Frattanto L. metteva a punto il progetto socialista per la crescita del ruolo delle aziende a partecipazione statale nella economia italiana : nel settembre del ’59 figura tra i promotori di un convegno sulle aziende pubbliche a Salsomaggiore; nella relazione introduttiva tra l’altro sottolinea che le aziende a partecipazione statale devono essere gestite secondo “ criteri di efficienza, di produttività e di redditività non meno rigorosi di quelli propri di una sana azienda privata “[24], la scelta degli organi di amministrazione e dei dirigenti deve essere ispirata sia al “ criterio dell’economicità della gestione, e quindi della capacità e della competenza, sia a quello della separazione precisa  tra settore pubblico e privato … “ L’industria pubblica doveva essere uno strumento che da un lato eliminasse le strozzature economiche che impedivano il < decollo  > delle zone arretrate del paese, dall’altro limitasse il potere dei monopoli, consentendo anche una gestione di alcuni settori meno ispirata al criterio del massimo profitto “.

   Interessante è la sostanziale accettazione della realtà delle cose, per quanto riguarda l’economia, e l’affiorare della vecchia tesi azionista di una economia a due settori:

   “ Noi concepiamo l’impresa pubblica, nella situazione italiana come operante in una economia di mercato. Un economia, cioè nella quale il coordinamento delle decisioni imprenditoriali è fatto a posteriori attraverso il meccanismo e attraverso il sistema dei prezzi, e non in una economia interamente pianificata nella quale, invece, il coordinamento è fatto ante hoc, cioè in sede di piano , questa non è una constatazione obiettiva degli orizzonti possibili nella situazione italiana “

   L. aveva imposto queste tesi, come ricorda Giolitti nelle sue memorie , già nella primavera, sul settimanale “ Italia Domani “ nell’ambito di un nutrito confronto di idee tra lui , Foa , La Malfa , Giolitti ed Ernesto Rossi; tra l’altro , L. aveva prospettato una “ opportuna anzi necessaria contrattazione “ nell’ambito di una economia di mercato, in cui fossero stati inseriti elementi decisivi di pianificazione “ tra stato e sindacati “ . Curioso ed imbarazzante al tempo stesso fu l’intervento di Rossi che, lamentando di non sapere che cosa veramente fossero le riforme di struttura, evidenziava la necessità di tenere conto dei mezzi disponibili nel tempo e nello spazio per raggiungere determinati fini e concludeva :

   “chiedere riforme radicali senza considerare che lo stato è oggi un grande bestione senza cervello significa chiedere l’aumento delle strutture parassitarie, delle pratiche camorristiche, degli sperperi del pubblico denaro “ [25].

   La “ lezione “ di Rossi si sarebbe rivelata, assai pregnante, soprattutto tenendo conto del sostanziale  fallimento della gestione dell’impresa pubblica, delle degenerazioni affaristico-clientelari e del ruolo della potentissima borghesia di Stato di tendenza democristiana posta alla guida delle partecipazioni statali negli anni successivi .

   Il tentativo di inserire i socialisti nella compagine governativa susciterà molte reazioni : dopo la momentanea sconfitta di Fanfani, la nascita col consenso di tutte le destre del governo Segni, le prese di posizione della confindustria e della curia, la formazione del governo Tambroni nel marzo del ’60, con i voti determinanti del MSI, la ventata antifascista che né seguirà, dimostreranno che la prospettiva del centro-sinistra suscitava molti timori: i fatti di Genova, il luglio 1960, accelereranno il processo; il governo delle “ convergenze parallele “ permetterà a Fanfani di ritornare a galla e a Nenni di rilanciare il suo progetto.

   Il governo Tambroni appare a L. fin dal primo momento come un tentativo da parte di tutte le forze sociali e politiche  ostili ad ogni tipo di apetura a sinistra di bloccare, anche ricorrendo all’autoritarismo, qualsiasi rinnovamento dell’assetto di governo.

   Tende, infatti, all’indomani della crisi del governo Segni a non identificare la minaccia fascista nei gruppetti di estrema destra. La destra economica e politica in Italia è per L. nella DC e ad essa “ fascisti e monarchici offrono solo un supporto supplementare “ [26].

   Tambroni, si limiterà a prendere provvedimenti demagogici, come la diminuzione del prezzo della benzina e dello zucchero, sottolineando i meriti della DC nel cosidetto miracolo economico, clamorosamente confermato, proprio all’inzio del ’60 dall’attibuzione da parte del Financial times dell’oscar per la stabilità alla lira. Proprio col discorso parlamentare in cui respingeva la linea economica del governo Tambroni L. fu tra i primi a mettere in evidenza i limiti del miracolo italiano; bassi salari, aggravamento degli squilibri tra nord e sud, scarsa capacità contrattuale dei sindacati dei lavoratori .

   D’altra parte la ripresa delle lotte operaie, ricordava profeticamente L. , avrebbe bruscamente interotto il miracolo e rallentato i ritmi di sviluppo raggiunti negli anni precedenti  [27]. Quanto ai provvedimenti specipici del governo, la diminuzione del prezzo della benzina, avrebbe incoraggiato “ la politica della motorizzazione “, L. si chiede se “ sia giustificata… una politica… che stabilisca come prioritario il consumo dell’automobile, che stabilisca di incremenatre e di incoraggiare (…) i trasporti privati su strada. La decisione governativa per L. privilegiava certi consumi rispetto ad altri in funzione di interessi monopolistici ( la Fiat) .

   Questo avrebbe significato “ accaparrare fin da oggi centinai di miliardi di risorse per strade, autostrade, gomme, riparazioni, officine di montaggio, alberghi “ e “ le risorse accaparrate per questo scopo saranno inevitabilmente sottratte alla politica del Mezzogiorno, alla politica della scuola, ala bonifica, alla ricerca scientifica “.

   Con enorme anticipo emergono in questa occasione i termini della discussione sul “ modello di dviluppo “ scelto per la nostra economia, che seguirà molti anni dopo.

Fallita la disatrosa esperienza di Tambroni, nascerà in Italia il primo governo che si regge sul voto di astensione dei socialisti.

   Su questo punto emergeranno i primi punti di  frizione in seno alla maggioranza autonomista tra i nenniani e i lombardiani. Se Nenni sottolinea fin dall’inizio l’importanza politica dell’accordo, che porterà alla restaurazione del quadro democratico, L. insiste sulla necessità di un accordo programmatico che impegni la DC sul terreno delle riforme. Questo è lo sfondo dell’ intervento con il quale evidenzierà il 17 dicemnbre soprattutto gli aspetti negativi del coloquio Nenni – Moro che avrebbe portato, all’indomani delle elezioni amministrative alla formazione in città come Firenze, Genova e Milano delle prime giunte di centro-sinistra  [28] .

   Alla vigilia del XXXIV congresso lo stesso Nenni lamentava l’esistenza di “ grosse difficoltà “ nel PSI  [29] . Il congresso che si apre il 15 marzo nel teatro lirico di Milano avrebbe consentito un chiarimento in seno alla maggioranza autonomista e dato il lascia passare alla politica del centro sinistra : gli autonomisti otterranno il 55 % dei voti e ricuciranno lo strappo con  Nenni, pur insistendo sulla distinzione tra “ democrazia borghese “ e  “ democrazia socialista “ affermerà che essenziale “ è dare stabilità ed equilibrio alla democrazia, concludendo che “ la svolta di sinistra “ è possibile. Il discorso di L. si distinguerà fin dall’inizio per l’interpretazione “ più radicale “ del centro sinistra .

   L. dichiarerà esplicitamente che il movimento operaio non ha né “ lo strumento teorico che ci garantisca la fine del capitalismo” né una teoria che dimostri come la crisi del capitalismo “ sbocchi necessariamente nel socialismo “,  pur confermando,  la sua certezza della fine del capitalismo,  in linea con la sinistra  marxista tradizionale [30] .

   Tuttavia ribadisce come aveva fatto a Napoli che non esistono più le condizioni della rivoluzione violenta e della didattura del proletariato; che è possibile la costruzione del socialismo all’interno delle strutture esistenti; insiste soprattutto sulla politica di programmazione che non può entrare in conflitto con le strutture e le sovrasturtture della società capitalistica, che è lo “strumento della progressiva espropriazione del potere capitalistico “ ; definisce una posizione nei riguardi dei comunisti destinata a trovare una larga eco :

   “ Noi siamo stati concordi nell’escludere un’alleanza generale con il partito comunista, il nosrto non è stato e non è , e non vuole essere anticomunismo, né viscerale , né  di altra qualificazione se io dovessi dire una parola arrischiata , compagni, direi che noi  non siamo né anticomunisti, ne filocomunisti : noi siamo acomunisti ( per dirla col filosofo ) Merleau – Ponty “ [31].

   Insomma se i comunisti si fossero offerti per un’appoggio incondizionato alle riforme di struttura essi non sarebbero stati discriminati. Giustamente il più autorevole degli sconfitti della “sinistra “ ( che aveva ottenuto il 35 % dei voti congressuali ) Vecchietti sottolineò maliziosamente che erano emerse all’interno della maggioranza di autonomia due linee, entrambe favorevoli all’incontro DC – PSI ma con diversi obbiettivi : la prima osservò vecchietti “ pone l’accento sull’ipotesi offensiva “ . Del resto non molto tempo prima negli ambienti conservatori si era detto che “ la programmazione voluta  dall’onorevole L. condurrà dritto drittto ad una democrazia popolare non dissimile da quella realizzata in Polonia o in Iugoslavia [32] “ , mentre i comunisti avevano manifestato simpatia per L. , pur avendo tuonato a più riprese contro il processo di “ socialdemocratizzazione “ in atto nel PSI  [33].

   Quanto agli americani, sebbene nenni e il suo vice De Martino avessero sostanzialmente accettato la collocazione internazionale dell’Italia, e avessero dichiarato di essere favorevoli alla NATO , qualora avesse avuto un carattere meramente difensivo, forti erano le ostilità nei riguardi di L. : il segretario di Stato Dean Rusk aveva, nell’ottobre del 1961 inviato un telegramma all’ambasciata americana in cui si lamentava, con preoccupazione, che L. chiedeva il ritiro delle truppe americane, il riconoscimento della Cina comunista, una lotta incessante contro l'’mperialismo, e si paventava il pericolo dell’ingresso del PSI nel governo italiano [34].

   Nonostante le difficoltà L. mette a punto l’esperimento di collaborazione con la DC anche perché è convinto, come affermava commentando il programma economico del XXII congresso del PCUS, che è possibile non “ perdere l’autobus “ del neocapitalismo trionfante, non per “ fargli da tergicristallo” me per guidarlo verso scopi conformi agli interessi collettivi del paese: insieme ad altri economisti e uomini politici come Saraceno e La Malfa, ritiene che i tassi di espansione dell’economia italiana rimangano, almeno fino al 1980, gli stessi dei primi anni del boom economico.  Di qui l’illusione della programmazione che consetirebbe entro vent’anni “ una acquisizone gratuita o prezzi simbolici dei prezzi essenziali “ e ciò porterebbe ad ottenere nell’ambito dell’economia di mercato gli stessi risultati che si propone il programma economico del PCUS  [35].

   La conferenza fu l’occasione anche per riconoscere l’evoluzione in atto nel PCI. Ma L. ricordava che giudicare lo stanilismo come un cancro che aveva aggredito un corpo sano, significava applicare gli stessi canoni interpretativi usati dal liberalismo  nei confronti del fascismo, significava chiudere gli occhi sulle carenze del sistema che aveva permesso l’insorgere e il permanere del regime staliniano. Sarebbe stata possibile una nuova politica su riforme “ capaci di rovesciare il corso della politica italiana, di modificare le strutture statuali e sociali in senso democratico “ cioè se il PCI avesse adottato la strategia del riformismo rivoluzionario [36].

   L’occasione per chiarire meglio il significato e il contenuto delle riforme di struttura è offerta dal convegno organizzato alla fine di ottobre del ’61 da sei riviste ( “ il mondo”, “ l’espresso “, “ critica sociale “, “ mondo operaio “, “ Nord e Sud “, e  “ Il Ponte “ )  [37] al quale sono presenti gli esponenti più autorevoli di aree politiche della sinistra non comunista, un vasto fronte riformatore che unisce socialdemocratici come Luigi Preti e socialisti come lo stesso L.

   In questa occasione L. espose una serie di proposte di riforma che sarebbero state la condicio sine qua non il PSI avrebbe appoggiato un governo di centro sinistra; applicazione della costituzione e istituzione delle regioni, nazionalizzazione dell’industria elettrica, riforma scolastica e universitaria, servizio sanitario, riforma fiscale con l’istituzione dell’imposta cedolare d’acconto sui dividendi delle società per azioni, riforma urbanistica, riforma della federconsorzi e abolizione dell’istituto mezzadrile, infine una politica coerente di programmazione.

   Al di là dell’enfasi anticapitalistica, appare evidente il carattere meramente “ riformistico “ delle proposte di L. Queste riforme non avrebbero in alcun modo fracassato il sistema, ma nascevano  dall’esigenza di dare una risposta, elaborata sugli studi più vanzati e le ricerche più raffinate in materia urbanistica, finanziaria e industriale alle imponenti trasformazioni in atto nel paese.

   Quanto alla vaghezza di cui erano accusati i teorici del “ riformismo rivoluzionario “, L. , come ha sottolineato Ginsborg rispose che la natura “ strutturale  delle riforme, la loro “ non integrabilità “ nel sistema capitalistico si poteva definire “ solo caso per caso, secondo i rapporti di forza e le condizioni della società “ [38].

   Evidentemente queste riforme, in questo momento, avevano un carattere dirompente in una società gravata da privilegi e monopoli di ogni genere. La resistenza dei gruppi sociali interessati fu talmente forte che alla fine gli esiti furono assai deludenti : lo stesso L. sarebbe arrivato a dire che in Italia non c’erano state né riforme, né rivoluzione.

   Comunque all’inizio del 1962 ritenne che valesse la pena di tentare la strada delle riforme, nel quadro di un accordo con la DC che dopo il congresso di Napoli tendeva

esplicitamente la mano ai socialisti. Nel gennaio i socialisti mettevano a punto il loro piano di politica economica, predisposto da una commissione presieduta da R. L.

   Il documento approvato dal CC del partito, poneva al centro del programma da far accettare a Moro e Fanfani una poltica di piano alternativa sia da una pianificazione “ regololata “ dai monopoli sia “ a sistemi di pianificazione pubblica a carattere autoritario e centralizzato “ :

   “ Tutto questo complesso di esigenze non sono delle cose da fare, sono le cose da fare “.

Bisogna dire che lo scarso peso che nel documento si dava, come rilevano i comunisti, all’azione delle masse e al ruolo dei sindacati rendeva assai debole la posizione contrattuale dei socialisti. Ma in seguito, soprattutto a proposito della politica di programmazione L. riconoscerà l’errore.

    Il 3 marzo Fanfani annunciava un programma di programma di governo in cui si accettavano i punti salienti della piattaforma preparata dal PSI per la svolta a sinistra.

Giustamente L. dirà che il miglior centrosinistra fu quello che non esisteva ancora:

il governo Fanfani che includeva PSDI e PRI, si reggeva sull’astensione dei socialisti, ufficialmente non contrattata, ma riuscì in pochi mesi a realizzare importanti riforme: la più incisiva fu quella della nazionalizzazione dell’energia elettrica.

    Il provvedimento coalizzerà fin dall’inizio vasti interessi minacciati: per evitare turbamenti in borsa L., che presiedeva una sorta di governo ombra messo in piedi dal PSI per seguire la realizzazione del programma, e il ministro del bilancio La Malfa, ritenevano si dovesse procedere  per decreto legge: si procederà in maniera diversa e la proposta verrà approvata dalla camera dei deputati in maniera definitiva in settembre.

   Il 20 maggio L. aveva sostenuto che la nazionalizzazione dell’energia elettrica avrebbe facilitato le riforme di struttura negli altri settori e in luglio alla camera lodava il provvedimento, dichiarandosi convinto che l’ENEL avrebbe potuto diminuire i costi e le tariffe esistenti, rispondendo così realmente “ alla domanda potenziale di energia “ cioè al “ fabbisogno nazionale “ . Le aziende elettriche

Private, per il loro carattere frammentario, non avevano mai potuto soddisfare queste esigenze.

   Il leader socialista metteva in luce anche  alcuni difetti del disegno di legge, come l'esclusione della nazionalizzazione delle aziende municipalizzate, ma lo giudicava importante perché “ infligge un grave colpo ai monopoli ed è destinata a diventare uno strumento indispensabile per l’attuazione del piano “  [39] .

   Evidentemente  L. riteneva che i maggiori limiti della legge, denunciati soprattutto in sede parlamentare dal PCI , come la mancata elezione di un consiglio di amministrazione largamente rappresentativo, sarebbero stati superabili nel quadro di una coerente politica di piano, non a caso ribatteva alle opposizioni che gli interessi democratici a una giusta politica dell’energia già sarebbero stati esrcitati “ in sede di piano sugli organi istituzionalmente chiamati a dare all’ente l’indirizzo, sia in materia di tariffe, sia in materia politica “ .

   In realtà gran parte della carica riformistica della legge si esaurì proprio perché non vi fu alcuna programmazione e la valutazione di L. non tenne conto al momento, di questa prospettiva. Del resto la portata della nazonalizzazione fu attenuata anche dal fatto che l’indennizzo fu corrisposto in contanti ai baroni dell’elettricità, che il progetto intendeva colpire .

   Nel comitato ristretto che seguiva l’attuazione della riforma Colombo e Guido Carli, allora governatore della Banca d’Italia, riuscirono ad imporsi su L. e La Malfa, favorevoli alla soppressione dei monopoli a vantaggio dei piccoli azionisti; temendo l’eccessiva dispersione della somma e valutando in maniera errata le capacità imprenditoriali degli ex elettrici ( nelle loro intenzioni i capitali sarebbero stati reinvestiti nel settore produttivo ) , Carli e Colombo, dopo un aspro dibattito, ebbero partita vinta: tuttavia non va sottovalutato il fatto che L. era convinto di potere condizionare le società indennizzate :

discutendosi il provvedimento nella commissione L. riconobbe che  la nazionalizzazione avrebbe potuto favorire la formazione di nuovi monopoli  in altri settori, ma ricordò nel contempo che   < il sistema escogitato si regge tutto su una previsione  >       “ Sul fatto cioè che una massa di capitale, formata dalle annualità versate per il riscatto e dagli eventuali riscontri delle annualità successive, possa essere controllata e indirizzata verso certi settori ubbidienti a una programmazione nazionale. Tutta questa prospettiva si regge sulla prospettiva della programmazione “.

   Se è vero, per dirla con La Malfa, che lui e L. “ ebbero il torto di cedere “ sul tema delle modalità dell’indennizzo, si deve però ammettere che il piano Carli fu accettato per una fiducia, forse ingenua, nel processo riformistico in movimento.

   Esso, secondo L. , avrebbe portato inevitabilmente alla programmazione. Una volta tagliate le unghie ai baroni dell’elettricità, sarebbe stata la volta degli evasori fiscali, poi dei grandi speculatori dell’edilizia e così via fino alla programmazione dello sviluppo economico :  i fatti avrebbero dimostrato che si trattava di pura illusione [40] .

   Dopo l’approvazione di due importanti riforme, la scuola media unificata e l’obbligo di frequenza fino ai 14 anni, e la cedolare d’acconto sui titoli era chiaro che la DC era arrivata, per dirla con Tamburrano, “ alle colonne d’Ercole del suo riformismo se addirittura non le aveva superate “ [41].

   Moro, che era riuscito a rassicurare, in primavera, la destra interna del partito, candidando alla presidenza della repubblica un avversario del centro sinistra, Antonio Segni, risultato eletto con i voti determinanti del MSI, era seriamente preoccupato:

si avvicinavano le elezioni politiche e l’elettorato moderato era terrorizzato dall’eventualità di nuove riforme.

   Fin dall’autunno l’allora segratario democristiano aveva subordinato l’attuazione di un’altra importante riforma, la costituzione delle regioni, ad una rottura definitiva tra PCI e PSI nelle amministrazioni locali e del sindacato. La risposta di Nenni e L. fu all’inizio  “accomodante “ . L. chiariva che questo sarebbe avvenuto se la DC e il PSI avessero fatto un accordo di legislatura volto a realizzare un vasto programma di riforme. I rapporti tra i due partiti della sinistra erano quanto mai tesi: il saluto portato, in rappresentanza del PSI da L. al X congresso  del PCI, suonò per molti come un addio : dopo aver aspramente criticato i comunisti per l’attacco portato all’ <autonomismo> del partito del lavoro albanese L. riconosceva che i rapporti tra i comunisti e socialisti registravano in quel momento “ la fase di massima tensione dalla liberazione ad oggi “ [42] per lo svolgimento di un disegno politico. 

   “ Conseguenza diretta di risposte differenti ed opposte che socialisti da una parte e comunisti dall’altra si sono sforzati di dare (…) ai problemi si strategia e di tattica che si sono proposti al movimento operaio “ [43].

   L’8 gennaio del ’63 durante un incontro tra i rappresentanti dei partiti della maggioranza Moro poneva un freno deciso all’attività riformatrice del governo Fanfani: chiedeva la completa rottura dai socialisti col PCI nella CGIL ( allora guidata proprio da un socialista della corrente di sinistra, Vittorio Foa ) prima di attuare l’ordinamento regionale. La risposta di Nenni, due giorni dopo fu energica: la CC dell’11 gennaio parlò di atto brutale, ma sia lui che L. si pronunciarono a favore della permanenza del PSI nella maggioranza.

   Pertini ebbe a dire con sdegno: “ Basta una poltrona per piacerci ? “ si riferiva alla discussione apertasi sulla nomina del consiglio di amministrazione dell’Enel, che tanto stava a cuore a L.

Nel febbraio venne chiamato alla presidenza dell’Enel  il moroteo Di Cagno; i socialisti ottennero la vicepresidenza dell’ente per il  “ lombardiano “ Grassini.

   Fu l’inizio della lottizzazione sistematica delle cariche negli enti pubblici fra i due principali partners della coalizione governativa. L’atteggiamento di L. in tutta la vicenda appare, contradditorio: non molto tempo prima alla destra che accusava il governo di aver creato un altro carrozzone L. aveva risposto “ con franchezza “ alla camera :

   “ Noi socialisti non poniamo nessuna candidatura, difenderemo l’ente anche contro noi stessi contro i tentativi di interferenza e di clientelizzazione “.

   In seguito avrebbe svelato Tamburrano i retroscena dell’accordo con i democristiani: “ Mi sono opposto alla nomina di Di Cagno a presidente dell’Enel perché non credeva alla nazionalizzazione e l’aveva avversata. Non ho proposto socialisti. E’ noto che ho fatto il nome di Ippolito che credeva al provvedimento. Ho proposto  Menichella ( l’ex governatore della Banca d’Italia assai stimato da Nenni come manager esperto e al di sopra delle parti ). Moro si impuntò. A questo punto ho chiesto la vicepresidenza per Grassini che credeva nella legge e che per capacità e per esperienza era in grado di controllarne l’applicazione “ [44].

   E Nenni avrebbe aggiunto: “ il PSI ritenne che uomini di sua fiducia posti in posizione di potere e di controllo del potere avrebbero potuto se non altro frenare l’invadenza democristiana e clericale facendo pesare gli interessi dei lavoratori e criteri diversi di gestione pubblica … “ [45].

   Sta di fatto che nonostante la buona fede dei due leader del PSI, col centrosinistra ha inizio quella sistematica “ spartizione delle spoglie “ col contributo dei socialisti che tanti danni ha arrecato alle aziende pubbliche, segnate da una gestione prevalentemente “politica” e inquinate da fenomeni di clientelismo e corruzione.

   Nei mesi successivi all’iniziativa di Moro si spegne ogni attività riformatrice del governo Fanfani. Il progetto di riforma urbanistica presentato dal ministro dei lavori pubblici, un esponente della sinistra DC, Fiorentino Sullo, che prevedeva l’esproprio generalizzato delle aree fabbricabili e l’istituzione del diritto di superficie fu affossato. Se rapidamente approvato, il disegno di legge avrebbe salvato dalla speculazione edilizia molte città italiane.

   L’opposizione da parte dei gruppi interessati fu intensa. Sullo e L. furono accusati di voler “ nazionalizzare “ i terreni. Lo stesso Moro, con un clamoroso intervento sul “ popolo” sconfessò apertamnete l’operato del suo ministro, a pochi giorni dalle elezioni. Alcuni anni dopo L. cercò di spiegare il perché della “ tenace resistenza del blocco storico dominante in Italia contro ogni tentativo serio di riforma urbanistica moderna, resistenza che ha visto permanentemente associati i settori così detti avanzati del capitalismo con quelli agrari, cioè l’alleanza del profitto con la rendita “ :

   “ In Italia …(…) la interconnesione tra posizione di rendita e posizione di profitto tra forme tecnologiche avanzate e forme arretrate di sfruttamento singolo e collettivo interno ai luoghi di produzione ed esterno, è tale da aver costituito fino ad oggi la base più solida di unità delle classi dominanti sia durante il fascismo che nel prefascismo e nel post-fascismo “ [46].

   Anche un tentativo di razionalizzazione, come la riforma urbanistica, attuata con successo in molti paesi europei, nell’analisi lombardiana, terrorizzava il blocco sociale egemone. Per la natura del capitalismo italiano si deve riconoscere che anche i gruppi più moderni ed avanzati erano contrari ad una riforma del genere : se Valletta, nel ’62 aveva dato un prudente benvenuto al centrosinistra, era vero che la FIAT e gli Agnelli avevano interessi corposi nell’ambito della speculazione teriera.

Tuttavia, occorre sottolineare che la riforma fu sabotata grazie al peso dei piccoli propietari della casa di abitazione, vera e propria base elettorale della DC.

   Il blocco creato dalla convergenza degli interessi dei grandi speculatori e dei piccoli proprietari fu determinante  nel naufragio della legge Sullo. Nella sua analisi L. sembra non tenere sufficientemente conto di questo importantissimo fattore.

   Il voto del 28 aprile 1963 confermava l’inquietudine dell’elettorato democristiano.

La DC ( 38 % dei voti ) perdeva una parte cospicua di voti a favore del PLI di Malagodi. Il PSI a malapena manteneva i suoi voti mentre il PCI, sull’onda della ripresa delle lotte operaie e del fenomeno dell’immigrazione dal sud al nord del paese, saliva al 25 % . Era un chiaro avvertimento per Moro .

   L’elettorato più moderato temeva che la DC cedesse alle “ pretese “ dei socialisti.

Bisognava liquidare fanfani e interrompere il programma delle riforme. Un centrosinistra guidato dallo stesso Aldo Moro avrebbe garantito nel contempo la stabilità politico-parlamentare, e un asvolta moderata che avrebbe insabbiato le riforme più importanti. Per il blocco Moro-Doroteo l’aumento del controllo statale in economia aveva avuto un unico motivo profondo “ mutare la situazione a vantaggio della DC e della borghesia di Stato “ [47] ; non c’era bisogno di andare avanti. Ben diverse indicazioni leggevano nel risultato elettorale i socialisti: al CC del 17 maggio Nenni dichiarava che “ il centro sinistra ha sofferto di quello che non ha fatto, non di quello che ha fatto “ mentre L. chiedeva di riprendere con decisione la strada delle riforme. “ Non si tratta  “ affermava “ di aumentare o diminuire il prezzo “ “ ma di esigere solo il prezzo adeguato, che non è fissato dal PSI ma risultante dalla natura dei problemi della società italiana “ .

   D’altra parte L. e Giolitti affermavano che la discriminazione anticomunista non poteva essere la piattaforma ideologica del centro-sinistra e il PCI doveva essere sfidato “ sul terreno delle riforme “. Si profila così, mentre sono in corso le trattative alla Camilluccia per la nascita di un nuovo governo di centro sinistra l’incrinatura tra nenniani e lombardiani. Al convegno della Lungara, alla fine di maggio, L. detterà delle vere e proprie condizioni alla DC : in primo luogo, attuazione del programma di riforme ( regioni, legge agraria, riforma urbanistica  ) : in secondo luogo, adozione di provvedimenti anticongiunturali nel quadro della programmazione economica e delle riforme di struttura anche in un periodo di non espansione dell’economia.

   Per L. le cause profonde dell’iniziale recessione sono le strozzature dell’economia italiana, che solo riforme strutturali possono rimuovere. Nenni non tiene sufficientemente conto degli ammonimenti di L. : arriverà infatti, a concordare con Moro un programma in cui la portata riformatrice della legge urbanistica è drasticamente ridimensionata ; la rinuncia all’esproprio generalizzato, l’elemento qualificante del progetto di Sullo, induce L. a respingere in blocco nel corso della riunione di corrente, il programma concordato.

   Al CC del 16-17 giugno i lombardiani non ratificheranno l’accordo, unendo i loro voti a quelli della sinistra del partito. Alle 3 del mattino della “notte di San Gregorio“ L. prendendo la parola al cc affermava che il problema principale era quello della carica politica del governo, a suo avviso inesistente; illustrava i punti deboli del progarmma : la rinuncia al diritto di esproprio per la legge urbanistica, la rinuncia ad attribuire poteri decisivi agli enti di sviluppo in agricoltura, la scuola “per la quale era rimasto aperto il problema delle sovvenzioni agli istituti privati“, le regioni la cui attuazione “rimaneva condizionata ad un contesto politico non accettabile per i socialisti ( rottura a livello locale con il PCI )“ .

   La riunione fu concitatissima, alcuni parlarono di “notte dei lunghi coltelli“ e di “25 luglio di Nenni senza autombulanza“ , Pertini gridò : “Maramaldi la pugnalata alla schiena, i falliti degli altri partiti venuti a covare le uova nel nostro“ . L. ed altri ex azionisti come Brodolini e Gatto vanivano bollati, per questo vizio di origine“ [48].

   I cosiddetti  “Gregoriani“ vennero esposti nei giorni successivi ad un vero e proprio “tentativo di linciaggio morale“ per usare un’espressione dello stesso L. riferita da Nenni [49]. In realtà in quei giorni emersero con chiarezza due concezioni dell’accordo con la DC: per il momento era quella dei lombardiani a prevalere .

   Moro attendeva i risultati del congresso socialista, previsto per l’ottobre e intanto teorizzava una delimitazione “chiara“ della maggioranza verso i comunisti, auspicando la ricomposizione della maggioranza in seno al PSI, nel senso voluto da Nenni. Nel frattempo Leone varava un governo “ponte“ , destinato a gestire l’ordinaria amministrazione fino all’autunno.

   Il XXXV congresso all’Eur, segnava una ricomposizione della corrente autonomista e dava il vi alibera alla parteipazione diretta dei socialisti nel governo. Il discorso di L. tuttavia fu profondamente diverso, nei toni da quello di Nenni, ed ebbe una netta impostazione neomarxista.

   Se Nenni paventava il pericolo di una svolta autoritaria e si richiamava “alle cose che si posssono fare“ in democrazia L. vedeva un pericolo di “neocapitalismo trionfante“ :

   “il neocapitalismo è in grado di dare una risposta al problema dell’occupazione, è in grado di assicurare un minimo di livello di redditi, un certo tipo di accumulazione del capitale , di espansione dell’economia (…) un modello di sviluppo certamente pagato con costi sociali elevatissimi (…) e tuttavia valido a suo modo nel breve e nel medio periodo“.

   Occorreva perciò, per L. favorire una “ economia dinamica di sviluppo “ che superasse il dilemma consumi o produzione, e nel contempo rispondere alla domanda che veniva dalla classe operaia, “ non di pane ma di potere “, attraverso una programmazione democratica .

   Bisognava “creare un meccanismo contestativo e contrapposto al modello di sviluppo della borghesia“. Ma soprattutto L. irritò gli autonomisti nenniani non solo perché, tra l’altro si riservava un giudizio di merito sul programma di  Moro , ma perché   rifiutava categoricamente, riprendendo una posizione espressa sull’Avanti ! il 30 gennaio, ogni accettazione della forza multilaterale integrata nella NATO , progettata qualora i paesi europei avessero rinunciato al riarmo atomico nazionale.

     A proposito si espresse con estremo rigore: “ Il rifiuto dell’ideologia del Patto Atlantico… E’ l’onore del partito e noi non depositiamo l’onore del partito alle soglie di nessun ministero ! “ [50].

   Il dissenso di Nenni rimase. Tuttavia L. facilitò la ricomposizione della maggioranza attorno a lui. Il CC eletto alla fine del congresso comprenderà 59 autonomisti e 40 “carristi“ . Della maggioranza 44 nenniani, 8 lombardiani e 7 “incerti“ pronti a fare l’ago della bilancia.

   Il discorso di L. trovò larga eco nel paese : Montanelli lo definì “ sovversivo irresponsabile “, Il “ Messaggero “ e il “Corriere della Sera“ sostennero che l’eventuale partecipazione di governo di L. avrebbe messo in pericolo la libertà e la democrazia [51] . L’ingegnere , nel momento in cui la sinistra era fortissima nel partito, avrebbe potuto ribaltare la maggioranza e far prevalere la “ sua “ concezione del centro – sinistra . Tuttavia non mosse un dito per favorire la nascita di nuovi equilibri.

   In seguito avrebbe spiegato a Tamburrano di aver fatto una scelta consapevole. Aderisce all’alleanza, certo che sarebbe stata sciolta. Questa rottura sarebbe avvenuta con il programma di riforme. L. mira , attraverso di esso,  a provocare profonde alterazioni nel rapporto tra le forze politiche: nella Dc lo scontro tra i moderati e progressisti spaccherà il partito : nel PCI si comprenderà l’importanza della politica riformatrice e alla fine prevarranno coloro che sono favorevoli ad appoggiarla.

   Il governo di centro – sinistra avrebbe, insomma, fatto da cartina al tornasole; sarebbero emerse le forze realmente favorevoli alle riforme di struttura: si sarebbe formato uno schieramento omogeneo, completamente nuovo, a sostegno delle riforme. Queste previsioni non si avverarono.

   Secondo L. gli errori, da lui commessi furono due : in primo luogo pensò che lo scontro tra DC e PSI espoldesse più tardi. A pochi mesi dal congresso di Roma, però, il primo governo Moro entrò in crisi senza che fosse maturato il processo di formazione di nuovi schieramenti. Inoltre la politica delle riforme di struttura, aveva per L. un “ difetto illuministico “ : i lavoratori non potevano capirla perché non risolveva immediatamente i loro problemi.

   Essa mirava a liberare le risorse necessarie per i nuovi investimenti sociali, ma i frutti si sarebbero visti soltanto dopo due anni, si potrebbe aggiungere che, ancora una volta , L. pensò che valesse la pena tentare la strada delle riforme in un governo con la DC piuttosto che distruggere il partito, alleandosi con Vecchietti.

Lasciando una porta aperta alla sinistra, inoltre riusciva a portare alle trattative con Moro un partito ancora saldamente unito.

    Dopo il congresso nasceva il primo governo di centrosinistra organico, presieduto da Aldo Moro: Nenni era chiamato a ricoprire l’incarico di vicepresidente del Consiglio. Il 15 dicembre il CC del PSI eleggeva il nuovo segretario, Francesco De Martino. La sinistra del partito, che aveva proposto una segreteria L. , che avrebbe garantito “ l’autonomia del partito rispetto al governo “ si dissocia apertamente.

   Di lì a poco Basso avrebbe annunciato il voto contrario della sinistra sulla fiducia  al governo Moro-Nenni. E’  la scissione. Ai provvedimenti disciplinari Foa, Basso, Valori e Vecchietti rispondono con l’annuncio della nascita di un nuovo partito, il PSIUP.

   L. intanto ha assunto la direzione dell’Avanti! lasciando che Giolitti sia nominato ministro del bilancio e della programmazione economica, incarico che i socialisti hanno chiesto e ottenuto per lui. In seguito L. giustificherà questa decisione sottolineando che il suo ingresso al governo avrebbe portato, per reazione, la DC a inserire nella compagine governativa uomini più avversi al programma di riforme.

   In realtà è probabile che L. ritenga che la direzione dell’Avanti ! gli consenta di essere , la “coscienza critica “ del governo e di controllare, con maggiore rigore dall’esterno l’adempimento degli impegni programmatici da parte della stessa DC.

Non a caso l’Avanti! assumerà una posizione di quasi opposizione di fronte alle continue magagne del centrosinistra moderato e al logoramneto progressivo dell’alleanza DC-psi ; la scissione, tuttavia, indebolirà la posizione di L. e lo costringerà ad accettare la sconfitta. Nenni fece ben poco per evitarla.

   L. in un intervista, molti anni dopo dichiarò che fino all’ultimo non ci credeva, altrimenti avrebbe “ anche rinunciato al governo di centro-sinistra “ ; ricordò un tentativo suo e di De Martino per evitarla e sottolineò l’indifferenza di Nenni:

   “ Non ho visto chiaro in quella vicenda : o lui pensava che la forte minoranza che si scindeva non sarebbe stata seguita alla base, ed era un’illusione, o forse pensava a una nuova aggregazione “ [52].

   Comunque il nuovo direttore dell’Avanti ! esordiva con un violento attacco agli scissionisti : la scissione era priva, secondo L: , di motivazione ideologica, dal momento che nello schieramento politico, a sinistra non vi erano spazi vuoti da occupare; ma

   “Esso in concreto altro spazio non poteva trovare, ammoniva se non quello che il PSI potrebbe rendere disponibile ove esaurisse nell’opera di governo tutto il suo potenziale di lotta e rinunciasse al suo compito specifico di promozione, in tutte le sedi, del potere dei lavoratori … “ [53] .

   Già in febbraio L. assumerà un atteggiamento di forte opposizione verso la tradizionale politica deflazionistica intrapresa da Moro per contrastare la recessione economica. La rinuncia all’imposta cedolare d’acconto, trasformata da Moro in “ cedolare secca “, per riconquistare la fiducia degli imprenditori e arrestare il fenomeno della “ fuga dei capitali  all’estero “, rappresenta – scrive – “ una battaglia perduta per il centro-sinistra “ e preannuncia l’affossamento delle altre riforme come la legge urbanistica.

   L’appello di Moro al paese, col quale si chiedono “ sacrifici “ è da respingere con fermezza per “ la astratta posizione interclassistica “. L’invito di La Malfa a perseguire una “ politica dei redditi “, è “ astratto e inconcludente, ne è immotivata la diffidenza che esso suscita nel mondo del lavoro “ [54] .

   Dalle colonne dell’Avanti ! il battagliero direttore cercava di spiegare che i problemi economici erano dovuti anche all’assenza di riforme tali da eliminare le strozzature del sistema: l’aumento degli affitti era causato dall’assenza di riforma urbanistica e il sistema bancario incoraggiava la fuga dei capitali  [55].

   Il 19 marzo, dopo uno scontro con il monarchico Ferentino durante un dibattito a tribuna polotica L. chiedeva con energia un dibattito televisivo dedicato alla borsa e una riforma delle società per azioni. Intanto cresceva il tono della polemica anche con il PCI : con l’editoriale del 14 aprile polemizzava aspramente con Alicata

sulla frattura Cino-Sovietica:

“ il PCI, scrive, sta sciupando l’occasione storica che gli è stata offerta di inserirsi democraticamente nella corresponsabilità  di attuazione del primo tentativo di riforma organico che la società italiana abbia intrapreso dalla liberazione ad oggi (…) IL PSI è dunque sottoposto alla pressione delle due braccia di uno schiaccianoci, da destra e da sinistra (…) Ma se dovesse rimanere schiacciato, i comunisti non si facciano illusioni, non si aprirebbe la via nazionale al socialismo. Ma, nella migliore delle ipotesi, si trasformerebbe in autostrada la via nazionale al qualunquismo “ .

   La polemica lombardiana, come è stato detto “ suona come un appello, una chiamata a soccorso “ [56]. Ormai L. è pienamente consapevole che la partita è perduta : i socialisti al governo da soli, attaccati tenacemente  da un’opposizione preconcetta, non riescono ad ottenere alcuna riforma. Per questo “ il dialogo con il partito comunista “ , scrive il 19 aprile , ” è un dialogo per i socialisti, abbligato “ . Nel frattempo continuava a proporre  soluzioni diverse da quelle  della destra per affrontare il nodo dell’inflazione:

   “ Non basta “ affermava “ la riduzione globale del potere di acquisto delle masse, ma occorre selezionare i consumi cosidetti inflazionistici ( quelli per i quali l’offerta è insufficiente o il ricorso alle materie prime o manufatti esteri e obbligatorio dagli altri che inflazionistici non sono “ [57].

   L’atto dirompente con cui il blocco consevatore mise le carte in tavola, fu la pubblicazione , apparentemente casuale, il 27 maggio, sul “Messagero “ della lettera inviata dal ministro Colombo a Moro il 15 maggio, Colombo denunciava la gravità della crisi economica, chiedeva il blocco dei salari e la rinuncia a qualsiasi riforma.   Bisognava “ stabilizzare a qualunque costo, mediante restrinzioni creditizie e provvedimenti fiscali, senza riguardo a pericoli di deflazione e disoccupazione “.

   Assurdo era per lui insistere “ in una politica dogmatica di riforme di struttura che nessuno sa bene cosa siano (…) su una legge urbanistica che  prima ancora di vedere la luce ha già paralizzato l’industria edilizia “.  Poco dopo il governatore della Banca d’Italia Guido Carli tuonò contro un altro dei principali leit motiv della battaglia di L. : la programmazione.

   Si cominciò a parlare di una linea Colombo-Carli e Moro affermò che il governo avrebbe adottato una politica dei due tempi: prima provvedimenti anticongiunturali, poi le riforme . La reazione dei socialisti non si fece attendere : il ministro Giolitti dichiarò che se Colombo avesse espresso quelle idee durante il Consiglio dei ministri, “ i ministri socialisti non avrebbero esitato a trarne le inevitabili conseguenze “ [58].

Per L. esistevano ormai due logiche : quella delle riforme e quella congiunturale.

   La logica della congiuntura era la logica “ della rassicurazione, della incentivazione, della fiducia da imprimere al mondo imprenditoriale perché esso abbandoni alcuni comportantamenti malthusiani, di astinenza dagli investimenti e dall’attività produttiva … “ questo tipo di logica non consetiva l’impostazione e la definizione delle riforme di struttura .

   Bisogna porre il problema del rapporto di coesistenza e di interdipendenza delle riforme di struttura con la politica congiunturale. Commentando la lettera di Colombo ricordava che la presenza dei socialisti nel governo era priva di effetti anche dal punto di vista amministrativo dato che la DC “  ha distrutto scientificamente l’apparato statale e ci ha fatto trovare il deserto “ ; la richiesta di Colombo di estendere la formula di governo alle amministrazioni locali e alla società civile urtava contro le decisioni prese nel congresso di Roma ; “ l’idealismo atlantico “ di cui si parlava era diventato “ fedeltà atlantica , una piccola svista, ma che ha un suo significato “ .

     L. in sostanza a un mese dall’apertura ufficiale della crisi era già fuori   dal governo  [59]. La linea dei due tempi appariva ormai come un inganno : non era possibile rianimare l’iniziativa privata e quindi rafforzare il sistema e poi in un secondo momento adottare provvedimenti come la riforma urbanistica, che miravano a colpirlo. Pare che in quei giorni L. abbia voluto predisporre un piano per combattere la recessione, alternativo a quello incarnato dalla linea Colombo – Carli : il piano prevedeva un’imposta sul patrimonio, ma il governo, i nenniani e lo stesso Giolitti espressero parere contrario.

   Il governo Moro cadrà il 27 giugno : Casus belli, i finanziamenti alla scuola materna privata [60]. In realtà le questioni per le quali la DC e PSI erano ai ferri corti erano ben altre : la programmazione e la riforma urbanistica.  L. commentava:

   “ La DC ha preferito assumersi la responsabilità di una crisi di governo in una situazione economica e sociale in cui il fatto stesso della carenza di un governo 

investito di piena responsabilità e autorità rappresenta un’ aggravante aggiunta alle presenti difficoltà “ [61].

   Nel PSI si apriva un “ nuovo caso L. “ . Al CC del 3 luglio i 44 lombardiani votavano contro l’ordine del giorno che autorizzava la trattativa con la DC per la formazione del nuovo governo. Le trattative con Rumor, che aveva sostituito Moro alla guida della DC, si arenavano il 14 luglio. Si apre allora una delle fasi più drammatiche della storia repubblicana. In un clima avvelanato dai sospetti, si prepara sottobanco un golpe – farsa per convincere i socialisti ad avallare una versione ancora più moderata del centro –sinistra .

   I baffetti e il monocolo del generale De Lorenzo, le richieste di soccorso di Saragat e Rumor, le velate minacce di Segni si rivelano un formidabile   strumento di pressione : Nenni sente “ rumoreggiar di sciabole “ e alla fine cede.

   Il governo Moro – bis si farà : naturalmente la prima testa che si offrirà nel piatto alla DC è quella di L. Il suo addio al giornale, il 21 luglio, riportato in un trafiletto sull “ Avanti ! “ non manca di verve polemica:

   “ Nel corso della dura battaglia di questi mesi mi è stato spesso ricordato che l’Avanti ! assillava il risveglio quotidiano di qualche segretario di grande partito. Mi auguro che l’Avanti ! da chiunque diretto non lasci tranquilli i sonni di nessuno: soprattutto quelli del partito che potrebbero essere pagato  con amari risvegli “ [62] .

   Al CC del 28 luglio L. dichiarava : “ abbiamo subito una sconfitta piena che non vale dissimulare “ , si opponeva alla logica del meno peggio, all’ <  identificazione socialdemocratica  > del PSI, all’abbandono della critica del sistema. 

In ottobre avrebbe scritto De Martino che Nenni rovesciava la politica del partito, non più proteso a trasformare il sistema, ma divenuto “ tutore dell’ordine, della stabilità dell’equilibrio “ [63].

   L. è pienamente consapevole dell’ operazione trasformistica in atto nel partito : accantonate le riforme. Il PSI si integrerà appieno nel sistema, accettando la logica del partito dominante. La coscienza del fallimento dell’illusione del centro – sinistra non avvilirà, nonostante tutto,  R. L: negli anni del “ centro – sinistra pulito “ ( cioè moderato ) e dell’unificazione con il PSDI, tornato in un disperato isolamento nel partito continuerà una serrata polemica perché i socialisti invertano la rotta e realizzino le riforme di struttura. Ancora una volta sarà “ l’eretico “ del socialismo italiano .



[1]  Interv. cit. su Mondoperaio, novembre 1979, p. 130 .

[2]  Galli, op. cit , p. 217.

[3]  R. L. Partecipazione e riforme, disc. al XXXI congresso, 2 aprile 1955 . cit. in Scritti politici , p. 231 –34 .

[4]  Cit. in Galli. Op. cit. , p. 218 .

[5]  Ammettendo così la genericità sul piano programmatico, della sua offerta di collaborazione ai cattolici. Cfr. Tempo di guerra fredda, cit. p. 657 .

[6]   Cfr. R. L. Rivoluzione della politica, in il Mondo, 7 agosto 1956 .

[7]  Ivi .

[8]  Cfr. P. Ginsborg:  Le riforme di struttura nel dibattito degli anni cinquanta e sessanta in studi storici n. 2/3 , 1992 .

[9]  Cfr. AA.VV. Il parlamento italiano vol . XVII, il centrismo dopo De Gaspari 1954 – 1958, p. 205.

[10]  Cit. in Avanti! , 16v novembre 1956 .

[11]  Int. Cit. in Mafai, p. 56.

[12]  Cfr. Colarizzi: La seconda guerra mondiale e la repubblica , Torino, 1984, p. 480 .

[13]  Int. al XXXII cong. In Avanti ! 6 febbraio 1957 .

[14]  Cfr. R. L. Il mercato comune: una speranza, due illusioni, in Avanti !, 26 febbraio 1957 .

[15]   Ivi .

[16]  Int. alla CDP, 27 luglio ’57, cit. in Colarizzi – Scritti politici, cit. , p.43 – 44 .

[17]     Cfr. Galli , op. cit. , p. 227

[18]  Il XXXIII congresso nazionale del PSI, resoconto stenografico. Ed . Avanti ! 19611 , p. 188 .

[19]  Ibidem, p. 189 .

[20]  Cfr. Colarizi : Introduzione a scritti politici, cit. p. 46 .

[21]  Non bisogna dimenticare che il tema delle riforme di struttura è sempre connesso a quello della resistenza. Si tratta cioè di coronare la rivoluzione democratica iniziata con la resistenza.

[22]  Cfr. su questo Ginsborg : art. cit. , p. 662, in cui si ricorda che Antonio Giolitti osservò che un’accentuazione della parola “riforma “ tendeva ad escludere “ la necessità di un qualsiasi atto di politica rivoluzionario “ e l’accentuazione delle parole di struttura avrebbe portato alla sottovalutazione delle sovrastrutture, specialmente delle strutture politiche.

Tuttavia lo stesso Giolitti non riuscì ad uscire da un generico radicalismo, sulla questione dei contenuti veri e propri .

A p. 665 G. ricorda che il timido tentativo fanfaniano di realizzare un passo in avanti nella riforma dello Stato si risolse in un semplice incremento dello status giuridico ed economico dei funzionari statali stessi. Cfr. anche  M. Salvati, op. cit. , sull’impegno di L. nel 1945 – 47 a favore di una riforma dell’amministrazione statale, pp. 445 e seg.

[23]  Cfr. Galli. Storia del socialismo italiano, pp. 210 –12 .

[24]  Cfr. R.L. Relazione introduttiva del convegno sulle partecipazioni  statali. Resoconto sten. a cura delle Ed. Avanti ! . 1960, pp. 10 – 11 .

[25]  Cfr. A. Giolitti : Lettere a Marta – Ricordi e riflessioni, Bologna, 1992. pp. 122 – 123 . Uscito dal PCI dopo la crisi del ’56 Giolitti militò nel PSI riconoscendosi subito nelle posizioni di R. L.

[26]  Cfr. int. al CC del PSI , 8 febbraio 1960 .

[27]  R. L. : La politica economica del governo e la congiuntura attuale, int. alla camera dei deputati, 8 giugno 1960. Cfr. anche l’art. Non barare al gioco in Avanti ! 3 maggio 1960 .

[28]   Cit.in G. Tamburrano : prefazione ai Diari di P. Nenni 1957 – 1966, Milano, 1982. A questo riguardo mi sembra riduttivo però affermare come fa Tamburrano che L. non si è mai liberato dei “residui del massimalismo azionista “ dal momento che le sue intransigenze avevano fin dal principio un solido fondamento.

[29]  Infatti annota nei diari : “ la più grossa  difficoltà è in seno alla maggioranza e si chiama L. non so se questo avviene per iniziativa sua o del gruppo che si avvale del suo nome.  Ma l’equivoco esiste ( … ) “, p. 168 .

[30]  Cfr. Ginsborg art. cit. p. 658 interv. di R. L. al XXXIV congresso del PSI , p. 338 .

[31]  Ivi, p. 353 .

[32]  L’intervento di F. De Finizio è cit. in G. Tamburrano : Storia e cronaca del centro – sinistra, Milano, 1973, p. 69 .

[33]  Tortorella aveva giudicato positivamente su “ Rinascita “, nel marzo 1961, l’intervento di L. al XXXIV congresso in quanto delineava una “ piattaforma  alternativa al prepotere dei monopoli della DC “ .

[34]  Cit. in faenza : il Malaffare, Milano, 1978. p. 311 .

[35]  R. L. Primo bilancio del XXII congresso del PCUS, conferenza tenuta alla sala Brancaccio di Roma il 21 novembre 1961, resoconto stenografico, Ed. Avanti ! , 1961.

[36]   Cit. in Colarizzi – Intr.cit. p. 48 .

[37]  Cfr. Bonetti. Il Mondo 1949 – 66, Ragione e Illusione borghese, Bari, 1975, p. 147 . 

[38]  Cfr. Ginsborg, art. cit. , p.660 .

[39]  Cfr. Annuario politico italiano a cura del CIRD, ed.Comunità, Milano, 1963 .

[40]  Cfr. sul tema del’indennizzo: Ginsborg: Storia d’Italia, cit. ,pp. 364 –65 ; Mafai , op. cit. , pp.79-81 e La Malfa: Intervista sul non governo a cura di A. Ronchey, Bari , 1977, pp. 57 e seg.

[41]  G. Tamburrano, op. cit. , p.177 .

[42]   Cfr. Il CC del PSI del 19 –20 ottobre 1962 in Avanti ! Da quel momento la sinistra  di Basso e  Vecchietti cominciò tra l’altro a votare contro le decisioni della maggioranza del partito.

[43]   Cfr. Atti del X congresso. 3 dicembre ’62, Roma, Ed. Riunite, 1963 .

[44]  Cfr. Tamburrano . op. cit. pp. 159 – 160 .

[45]  Cfr. Int. sul socialismo italiano a cura di  G. Tamburrano. Bari . 1977 .

[46]  Cfr. Prefazione a “ Casa. Vertenza di  Massa, Storia di una riforma contrastata “ , Roma, 1972 .

[47]  Cfr. G. Galli . L’italia sotterranea: Storia politica, scandali. Bari, 1983 , p.176 .

[48]  Per gli avvenimenti del 18 maggio ’63 cfr.R. L. Fatti e documenti, Roma. 1963. Pp. 3-32 . Mafai, op. cit. , pp. 87 – 93 .

[49]  Nenni , Diari , cit. p. 285 .

[50]   XXXV congresso res. sten.. 23- 29 ottobre ’63. Tra l’altro, L. dichiarava che le riforme dovevano “ modificare i  rapporti di classe ed i rapporti di potere, incidere realmente sul sistema dell’accumulazione privata, trasferire ai pubblici poteri, e perciò ai lavoratori, le scelte decisionali ed investimenti, di accumulazione, di consumo, attualmente detenute dai grandi interessi privati “.

[51]  Cfr. Tamburrano: op. cit. pp. 230-231. L. ricorderà le parole di Nenni alla tribuna congressuale dopo il suo discorso : “ti sei messo fuori dalla maggioranza “ . E la sua risposta : “ puoi trarne le conseguenze “ .

[52]   In La Repubblica, 3 gennaio 1980 .

[53]  R.L. Lo spazio dei partiti, in Avanti ! ,9 febbraio 1964

[54]  Cfr. R.L. Cedolare, un passo indietro, in Avanti! , 23 febbraio 1964: L’appello di Moro, in Avanti!, 25 febbraio ’64 : con i piedi per terra, in Avanti ! 1 marzo 1964 .

[55]  Cfr. R. L. , Non c’è bisogno di penitenza, in Avanti ! 14 aprile ’64 .

[56]  Mafai, cit. , p.105.L’int. di R.L. :La stretta, in Avanti ! 14 aprile ‘64

[57]   Cfr.   R.L. Dal  “Popolo” all’Unità, Avanti ! , 19 aprile ’64 ; C’è più di unmodo, 12 maggio ‘64

[58]  Cfr. A. Giolitti : Lettere a Marta , cit. , p. 143 .

[59]   R. L. Politica congiunturale e riforme di struttura – intervento al CC del PSI , 4 giugmo 1964, cit. , in S. Colarizzi : Scritti politici 1964 –1978 , Venezia, 1978, pp. 15 –24 .

[60]  Cfr. Tamburrano : Storia e Cronaca, cit. , p. 274 .

[61]  Cfr. R. L. Una crisi fuori – tempo, in Avanti ! , 27 giugno ’64 .

[62]  Saluto ai compagni in Avanti ! . 21 luglio ’64 .

[63]  Cfr. Lett. Del 6 ottobre cit. in Tamburrano: P. Nenni,Bari. 1986 . p.176,a proposito della nascita del secondo governo Moro,  L. avrebbe aggiunto “ la tenuta del quadro democratico fu assicurata. Questa era la forza del pensiero di Nenni; la tenuta del quadro democratico era per lui un obiettivo e un risultato. Al limite sacrificare anche le riforme. Solo che poi l’arresto delle riforme  indebolisce anche il quadro democratico: ci vogliono sempre tutti e due questi puntelli. “ Le differenze tra noi erano su  questi temi di fondo complementari “ , cit. in Galli, Storia del socialismo italiano, cit. , p. 252 .

 

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