IL
TEORICO DEL CENTRO-SINISTRA
Alla fine degli anni ’70 alla domanda di un giornalista che gli chiedeva se gli anni che vanno dal 1948 al 1956 fossero stati anni perduti per il socialismo italiano, L. rispondeva:
“Né anni perduti né anni esemplari, si
impara anche dai propri errori… E in politica gli errori si pagano sempre, come
in una scienza esatta”[1].
Le lunghe battaglie di L. per le riforme dimostrano ampiamente che quegli anni non furono completamente perduti: dopo la lunga notte dello stalinismo, il PSI, con il 12% dei voti, rimaneva il terzo partito del paese ed era pronto a lanciare nuove iniziative politiche: ma gli avvenimenti degli anni successivi avrebbero dimostrato che gli errori dell’esperienza frontista sarebbero stati pagati a caro prezzo.
Il congresso di Torino (il XXXI del PSI – 31 marzo –2 aprile 1955) segna l’inizio della lunga marcia che dovrà portare al centro-sinistra. Mentre, con Scelba prima, con Segni poi, il centrismo agonizzava e la DC fanfaniana prospettiva una “politica conciliante” con il PSI , Nenni lanciava l’idea di una collaborazione con i cattolici nel quadro di un impegno riformatore coerente e determinato.
L. assumeva la posizione di Nenni ma, con
minore genericità, “sottolineando quello che sarebbe stato il suo leit-motiv
per un decennio”[2],
affermava che le riforme possono essere realizzate solo “contro qualcuno”:
“un piano organico come per esempio il piano
Vanoni, può essere realizzato soltanto contro qualcuno, cioè contro le forze
monopolistiche accampate nei punti di passaggio obbligati dell’azione economica
(…) non possiamo condizionare il nostro appoggio e la nostra partecipazione a
una nuova maggioranza se non a questa chiara individuazione di azioni concrete,
e solo se esse saranno onestamente valutate dai nostri avversari, una
collaborazione che non sia una capitolazione sarà possibile e sarà considerata
come una cosa propria da tutta la classe operaia, se no, no”.
Insomma soltanto su una “piattaforma programmatica
concreta è possibile istituire un dialogo con i democristiani: da questo
momento in poi soltanto la logica delle riforme può giustificare la
partecipazione al governo del PSI… Se no, no“ ripete
L.
D’altra parte l’ingegnere non mutava una virgola
delle posizioni assunte fino a quel momento sui rapporti con gli alleati
d’oltre oceano: “In politica internazionale il PSI non pensa ad un
rovesciamento delle alleanze. Reso impossibile dall’alto costo che esigerebbe
l’inserimento dell’Italia nell’economia del blocco orientale, ma a una
revisione realistica dei rapporti con gli Usa che esercitano l’egemonia in modo
da consentire sul piano politico di erodere e sterilizzare gli elementi
esplosivi di guerra del patto atlantico. E , sul piano economico di instaurare
nuovi rapporti non di servitù e di accattonaggio. Ma di collaborazione…”[3].
E’ interessante notare che a parte le proteste di Vecchietti e di quella che verrà denominata dopo i fatti d’Ungheria
la sinistra “ corrista “ del partito delineata da Nenni e L. del teorico più
acuto del socialismo italiano, Lelio Basso.
Ma il suo discorso conteneva delle
argomentazioni ben diverse da quelle di Vecchietti : Basso ricordava che la DC
era il partito “del grande capitale e più in generale degli interessi economici
dominanti nella vita italiana” ; per questo la DC era “ l’erede del fascismo,
intendo l’erede della funzione politica che il fascismo ha esercitato in difesa
degli interessi del grande capitale”; i dirigenti della DC fanfaniana
proponevano l’apertura a sinistra in perfetta coerenza con questa funzione:
“ E’ il ritorno alla politica tradizionale
della classe dominante. Che ostinatamente rifiuta la possibilità di
un’alternativa democratica e concepisce soltanto la possibilità di assimilare
nuovi gruppi che si pieghino alle sue esigenze “
[4]
.
In realtà le critiche di Basso mettono in
luce, con grande anticipo sui tempi, quella che sarà la ragione fondamentale
del fallimento del centro - sinistra, e
a distanza di un decennio saranno condivise da Nenni, che avrebbe
riconosciuto che il discorso di L. si poneva “ al punto di approdo “ piuttosto
che a quello di “partenza “ del processo di avvicinamento alla DC
[5],
rispondeva che le critiche di Basso avevano un fondamento; ma affermava che se
i socialisti avessero mantenuto la coscienza delle loro finalità, non ci
sarebbero stati “ rischi “ di cedimenti trasformistici: giustamente è stato
osservato che potrebbero essere parole di Filippo Turati.
Gli avvenimenti del 1956 daranno una brusca
accelerazione al processo di sganciamento del PSI dal PCI. Lo stesso Basso dopo il XX congresso del PCUS e le
denunce dei crimini di Stalin da parte di Nikita Kruscev, riconoscerà in
febbraio la validità di una “ formula italiana “ per il socialismo e sosterrà
l’esigenza di una nuova linea per il PSI .
L. in un articolo su “ il Mondo “ afferma
che è venuta l’occasione storica per fare del PSI “ il partito egemone della
rivoluzione italiana “. La fine della visione catastrofica del potere
attraverso la guerra o la rivoluzione apre nuove prospettive per una politica
riformatrice. Due sono per L. le tendenze fondamentali del movimento operaio
occidentale:
“ L’una indirizzata alle riforme rispettose
dell’ordine proprietario dello stato borghese e tendenti essenzialmente
all’equità nella ripartizione del reddito.
Cioè la tendenza a creare e a consolidare lo Stato di benessere, il welfare state …
L’altro
filone è quello che sempre all’interno dello stato e utilizzando gli strumenti
della democrazia politica, punta sulle riforme rivoluzionarie, cioè sulle
riforme dirette a infrangere il quadro dell’ordine proprietario esistente per
creare non già lo stato di benessere, ma la società senza classi “
[6].
Dopo il fallimento del marxismo
tradizionale, si tratta di considerare lo Stato non con la violenza
rivoluzionaria ma costruendo all’interno dello Stato stesso “centri efficienti
di controllo e di lotta ai grandi monopoli “ istituendo in questa maniera “gli
strumenti per un passaggio legale e pacifico alla società socialista “.
Occorre perciò liquidare una “ politica di
mera potenza caratteristica dei partiti comunisti e il PSI non può che
essere “ il naturale interprete di
questa prospettiva “ , liberandosi dai condizionamenti del PCI
[7].
E’ questa la prima occasione in cui L. delinea quella che sarà la strategia
delle riforme di struttura, nucleo principale dell’interpretazione lombardiana
del centro – sinistra.
Fin dal primo momento si tratta più
che altro della definizione dei “ mezzi mediante i quali possono essere raggiunti
determinati obiettivi, “ gli indicatori cruciali della via da percorrere nel lungo e difficile
viaggio verso il socialismo “
[8].
Obiettivi almeno in questa fase assai vaghi
se si pensa all’impegno profuso di L. per l’attuazione del piano Vanoni, che
certo poteva essere considerata una
riforma neokeynesiana, nata forse sul terreno d’incontro tra la cultura
marxista e cultura “ riformista “, ma non una riforma di “ struttura “. Intanto
l’invasione da parte dell’Unione Sovietica dell’Ungheria, il soffocamento del
tentativo democratico de Nagy e Meleter apre la strada ad un vero e proprio “
revisionismo “ nel PSI.
L. né sarà uno dei protagonisti: nell’intervento conclusivo del dibattito parlamentare sulla tragedia Ungherese esprime la “nostra (del partito) aperta solidarietà coi lavoratori ungheresi “ [9] . Il 19 novembre intervenendo al CC del partito chiede la rottura del patto d’unità d’azione con il PC ricordando però che :
“di fronte al problema sollevato dalla
rivoluzione ungherese e alle posizioni contrapposte assunte dal PSI e dal PCI
non si tratta di cercare una equivoca mediazione, metà movimento operaio e metà
carrarmati ma di sostenere la giustezza della posizione socialista e su di essa
chiamare anche i comunisti “
[10].
Infine, arriva al clamoroso ritiro
dell’attività del Comitato dei Partigiani della Pace : proporrà al Consiglio
mondiale di Helsinki l’approvazione di un documento di condanna dell’intervento
militare sovietico. In seguito ricorderà che l’Odg “curiosamente trovò molti
appoggi nel corso della riunione del Comitato politico. Ma, alla fine mi
ritrovai solo a votarlo”
[11].
Tuttavia
L. rimarrà fedele alle posizioni contrarie di ogni forma di imperialismo e alla logica dei blocchi,
assunte negli anni precedenti : in coerenza con gli interventi del ’56,
nell’estate del ’58 condannerà con forza l’intromossione degli affari interni
del Libano degli angloamericani volta ad impedire l’ingresso del partito
comunista libanese al governo; in quella circostanza lo sbarco delle truppe
americane a Beirut, dopo l’elezione del presidente musulmano Fuad Chebab, non
gli sembrerà tanto dissimile dall’intervento dei sovietici in Ungheria[12].
I termini della condanna vengono riproposti da L. al congresso di Venezia (
febbraio 1957 ) :
“Vi è una tragica contradddizione tra le
tesi di Gramsci sui consigli rivoluzionari degli operai e il fatto che,
allorchè questi consigli , per la prima volta dopo la rivoluzione di ottobre
sono stati scambiati adirittura e definiti come gruppi reazionari e fascisti .
I fatti pongono, quindi, al PSI il
compito di divenire la guida non solo dellla classe operaia, aggiunge, ma di un
ampio schieramento democratico che faccia dell’Italia una democrazia moderna“.
Quanto ai rapporti col PCI non si tratta di fare “una politica di concorrenza al PCI… ma una politica di critica aperta ai vertici e di profonda e costante unità alla base… l’unità del movimento operaio non si è mai raggiunta attraverso una ispirazione dogmatica, ma attraverso un’azione costante, di tuttii giorni, essa è un punto di arrivo cui si giunge attraverso le lotte politiche che cementano gli interessi e i bisogni della classe operaia”.
L. tendeva a distinguersi da Nenni soltanto sulle questioni riguardanti il rapporto con il PSDI: dopo l’incontro nenni – Saragat di Prolognan, il segretario socialista imperniava gran parte del suo intervento al teatro S.Marco sul tema dell’ <unificazione socialista>, mentre L. aveva affermato replicando al discorso di Matteo Matteotti (allora segretario del PSDI ) secondo il quale l’unificazione “ si poteva fare a freddo “ che l’unificazione “ si fa a caldo o non si fa”.
Il PSDI doveva andare all’opposizione. La collaborazione (dei partiti operai al governo di maggiornza borghese ) doveva avvenire “ su basi programmatiche avanzate di riforma. Un simile governo doveva essere sostenuto da una ondata popolare in ascesa “ sola garanzia per non capitolare e corromperci noi stessi “ ; quello che importa oggi, conclude L. per tutto il movimento operaio è non stare fermi. L’immobilismo mentre l’avversario si muove non ha nessuna giustificazione davanti alla storia “[13].
Insomma fin dalle prime
avvisaglie di un ravvicinamento dei socialisti ai saragattiani, il teorico
delle riforme rivoluzionarie, che non possono mantenere ma scardinare “
l’ordine borghese “ manifesta un’aperta insofferenza.
La svolta socialista, fondata sulla
costruzione del socialismo nella libertà e nella democrazia subiva però a
Venezia uno smacco temporaneo, ma del tutto inaspettato:
la
linea politica prescelta restava ingabbiata dall’apparato partitico morandiano
e la “ sinistra “ di Valori e Vecchietti otteneva la maggioranza nella
direzione del PSI.
L’asse Nenni – Lombardi riuscirà a prevalere anche numericamente soltanto di lì
a poco, al congresso di Napoli.
Nel 1957 viene tra l’altro, istituito il
MEC. In autunno il parlamento italiano autorizza la ratifica del trattato
costitutivo della Comunità Europea. La politica del PSI a riguardo è in gran
parte ispirata proprio da R. L.
Già in febbraio sull’ < Avanti ! >
metteva in luce le ambiguità del trattato e soprattutto i suoi limiti dal
momento che esso avrebbe portato alla nascita non di una unione economica fra i
sei paesi già partecipanti alla CECA ma semplicemente alla nascita di una
unione doganale:
“ occorre sfatare due illusioni - scrive – che la comunità delle sei nazioni
abbia strategie economiche paragonabili a quelle degli Stati uniti d’America da
un lato e dell’Unione Sovietica dall’altro, illusione che è all’origine della
convinzione secondo cui basta abbattere le barriere doganali interne della
piccola Europa per dar vita a un mercato di caratteristiche competitive e di
stabilità confrontabili con i due grandi mercati dominanti: la seconda
illusione è che la riduzione prima e l’abbattimento poi delle barriere doganali
dia luogo a un < mercato libero > nel quale cioè il gioco competitivo sia
assicurato in condizione di massima libertà di concorrenza e regolato solo dai
costi e dai prezzi … nel mondo di oggi non esistono mercati liberi ma
organizzati , i movimenti delle merci, degli uomini e dei capitali avvengono
secondo linee di forza potentemente influenzate e spesso direttamente create
dai grandi interessi nazionali e internazionali organizzati e strettamente
interferenti, con mille legami, con l’azione dei governi e delle
amministrazioni pubbliche… “ [14]
Fermo è in L. il convincimento che occorre una politica economica comune tra i paesi complementari e concorrenti, la semplice unione doganale sarebbe un disastro. “Altrimenti, aggiunge avverrà che il nuovo mercato non sarà già regolato dal libero gioco dei prezzi, ma congiuntamente, da un lato dalla potenza economicamente più forte, che è la Germania, dall’altro dai grandi monopoli nazionali, cartellizzati internazionalmente, i soli che per le loro dimensioni e per loro legami internazionali possiedono i requisiti di convertibilità e trasferibilità indispensabili per sottrarsi alle conseguenze del < grande terremoto > derivante dall’abbattimento delle tariffe e sfruttare il nuovo mercato ai loro fini…” [15].
“ L’alternativa perciò non è fra mercato largo e mercato protetto e nemmeno tra mercato largo e mercato ristretto ma fra - mercato regolato da forze democratiche responsabili ( governi e parlamenti ) e mercato affidato a forze irresponsabili ( monopoli e cartelli ) – “
il mercato comune offre a L. anche l’occasione per rilanciare un suo cavallo di battaglia: la necessità di rendere compatibili fra loro i diversi piani di sviluppo nazionali, attraverso i quali si esprime ” il particolarismo economico dei diversi stati “ dovrebbe spingere l’Italia a promuovere “ una politica organica di sviluppo economico di ampia prospettiva “ : “ Per fare l’Europa “ , aggiunge “ bisogna dimostrarsi capaci di non disfare l’Italia” .
Il 27 luglio L. avrebbe ripetuto questi assunti nel
discorso alla camera con il quale motivava il voto favorevole dei socialisti
sull’istituzione dell’EURATOM e l’astensione sulla CEE. Per quanto riguarda
l’energia nucleare L: affermava che si trattava di “ iniziative completamente
nuove e sulle quali la presa degli interessi costituiti non ha avuto ancora
largo modo di esercitarsi “: tuttavia denunciava l’arretratezza del nostro
paese in materi a di ricerche, chiedeva il ricorso ad un decreto legge,
polemizzava aspramente con Malagodi ricordando che l’iniziativa privata nel
campo dell’energia nucleare era nulla .
Quanto alla CEE L. ribadiva la sua adesione
condizionata in questi termini:
“per
noi socialisti…ha un senso in quanto esso ( trattato ) sia capace di evolvere
verso una politica economica comunitaria che renda compatibili tra loro i
diversi piani nazionali di sviluppo e che in prospettiva prefiguri un vero e
proprio piano collettivo comune ai sei paesi “.
In altre parole soltanto se il trattato si
fosse proposto di arrivare ad un mercato omogeneo, eliminando disparità tra le
aree territoriali di differente sviluppo e struttura avrebbe avuto un
significato: il semplice abbattimento delle barriere doganali avrebbe a suo
avviso, invece, “ aggregato le disparità “, e avrebbe aggravato le condizioni
di inferiorità dei paesi più deboli economicamente
[16].
D’altra parte con grande preveggenza L.
vedeva nell’allargamento del mercato un’occasione per ammodernare la macchina
produttiva italiana ( il sistema produttivo italiano era debole perché L’Italia
importava materie prime ed esportavva manufatti facilmente surrogabili ) e
fortemente polemico con i comunisti che avevano votato contro la ratifica del
trattato, ricordava che “ il Mec non è figlio del CED “e che se “ il Mec amplia (va) la base territoriale
della potenza e dello strapotere dei
monopoli e dei cartelli “ “ l’area di intervento, l’area di sviluppo
delle aree democratiche e delle forze del lavoro, specialmente di quelle
sindacali “ avrebbe trovato “ una dilatazione importante nella costituzione del
mercato unico “.
L’impulso europeista di L. , un retaggio del
suo passato azionista sarà quindi determinante nel processo di revisione in
atto nel PSI , che da questo momento sarà più sensibile alle tematiche
federaliste.
Il suo
europeismo avrà sempre un carattere “ laburista di sinistra “ volto a
cogliere gli aspetti positivi del processo di unificazione europea soltanto
qualora in esso le classi lavoratrici non abbiano un ruolo subordinato. Intanto
il PSI si prepara, all’insegna dello slogan dell’ < alternativa democratica
> a cogliere un importante successo elettorale: con il 14,2 % alle elezioni politiche del 1958 si
confermerà determinante sul piano parlamentare rispetto ad una DC , che
all’insegna della promessa di un “progresso senza avventure “ aumenterà i propri
consensi del 2 % dei suffragi. Nelle intenzioni di Nenni e Lombardi
l’alternativa democratica mira a conquistare legalmente le strutture dello
Stato democratico, stipulando alleanze con settori progressivi della
borghesia e coi cattolici allo scopo di
instaurare , in una fase successiva, il socialismo superando le resistenze più ottusamente
conservatrici.
Ma il partito che otteneva quella percentuale era profondamente diviso
se si pensa che per un Lelio Basso l’ < alternativa > aveva un
significato completamente diverso:
per
L. essa era un incoraggiamento agli sforzi di Fanfani e alla politica di
“apertura a sinistra “, per Basso , invece era proprio un invito ad abbandonare
quella politica, allo scopo di mandare la DC all’opposizione.
Dopo lo
“sfaldamento “ del partito seguito al crollo del sistema accentratore
creato da Morandi, per evitare di ripetere gli errori di Venezia nell’estate
Nenni decide di organizzare una vera e propria corrente autonomista, con L. ,
De Martino e i dirigenti più vivaci tra i giovani come Mancini e Cattani.
Fin dall’inizio essa si rivela assai debole
nel sindacato: Santi, un sostenitore di Basso, e Foa della corrente dei
“carristi “ guidata da Vacchietti e Valori, sono i massimi dirigenti socialisti
della CGIL [17].
Lo scopo di Nenni, alla vigilia del XXXIII
congresso è di prendere saldamente nelle proprie mani le redini del partito.
Sarà proprio R.L. a polemizzare aspramente con la sinistra dei Foa, dei Basso e
Libertini al congresso di Napoli ( gennaio 1959 ).
Intervenendo
il 16 gennaio contro le posizioni di Foa, che ipotizzava un controllo degli
investimenti dal basso e un impiego delle lotte rivendicative per
allargare
Il
conflitto e favorire uno “ sbocco rivoluzionario “ ricordava che …
“ Oggi se noi vogliamo operare
seriamente dobbiamo necessariamente
prendere atto della correlazione intima e del reciproco condizionamento tra
strutture e sovrastrutture “ poiché “ nella società moderna lo Stato è anche
imprenditore, è anche assuntore di iniziative economiche, è anche industriale,
non è più, dunque, solo sovrastruttura ma anche struttura “
[18]
.
Per modificare i rapporti di forza a favore
dei lavoratori occorre agire dall’esterno perché “ non è sempre vero che il
cuore, il punto sensibile del sitema sia la fabbrica, sia la cascina “:
“ Agire ( cioè ) in modo da modificare le
condizioni che rendono possibile in
Italia questo accentuarsi di potere e strapotere oppressivo del padronato e
questa condizione è l’esistenza di una massa di disoccupati permanenti (…) oggi
il nodo del problema si determina su un altro piano, su un altro livello, si
determina al livello della decisione
sugli investimenti che sfuggono sempre più all’ambito circoscritto della
fabbrica , (…) non bisogna sparare dove l’avversario non è bisogna sparare dove
l’avversario è (…) [19].
Dopo aver denunciato gli squilibri tra una
zona e l’altra del paese, l’arretratezza “ alivello balcanico “ nel
Mezzogiorno, aggiungeva:
“
Dove dunque, e su quale piano, a quale livello si opera la saldatura tra le due
Italie e insieme la saldatura tra le due condizioni di lavoratori se non a
livello politico? (…) si salda forse attraverso una mimetizzazione dell’azione
di massa (…) no, essa si salda in sede politica, e necessariamente politica
perché non esiste altro terreno su cui raggiungere l’avversario e costringerlo
a fare i conti (…) questo problema non si raggiunge altro che a livello
politico, al livello istituzionale e il primo gradino del livello istituzionale
è il livello parlamentare con la conseguente
necessità di non indulgere alla tentazione che sarebbe forte di svilire e di
sottovalutare l’importanza dell’azione politica anche nel suo aspetto
parlamentare”.
In sostanza L. ribadiva i termini della sua
“ via democratica e rivoluzionaria “ accettare la lotta nello Stato e poi considerarlo
il principale avversario da battere come faceva la “ sinistra “ del PSI gli
pareva un’assurdità :
“bisognava
aprirsi una breccia nel cuore dello Stato , uno stato inteso come struttura ,
cioè suscettibile di essere riformato dall’interno e quindi di diventare
strumento capace di piegare il sistema alle esigenze della democrazia e
dell’interesse pubblico “ [20]
. La strategia delle riforme di struttura implicava la conquista dell’apparato
statale dall’interno, iniziando con lo spezzare i vincoli tra Stato e monopoli
e approdando alla fine di un lungo processo, dalla Stato democratico allo Stato
socialista [21].
Bisogna riconoscere che L : tra i fautori
delle riforme di struttura, giunge con Giolitti, con molto anticipo, a non
sottovalutare le sovrastrutture, specialmente le strutture politiche nel
processo di “ trasformazione totale “. Tuttavia, anche per lui, come
giustamente ha sottolineato il Ginsborg, in questa fase si può parlare di “
generico radicalismo sulla questione dei contenuti veri e propri “ ;
d’altra
parte però L. sembra intuire che le
acque stagnanti dello Stato avrebbero implicato la riforma del riformatore,
cioè la riforma dell’amministrazione dello Stato;
proprio
la mancata coscienza della necessità inderogabile di una riforma di questo
genere sarà una delle cause principali del naufragio della progetto riformatore
del centro sinistra [22].
Quanto alla politica delle alleanze, L.
rispondendo alle critiche di Basso e Foa sullo “ splendido isolamento “ in cui
rischiava di trovarsi il partito se non avesse scelto tra la DC e il PCI ricordava che “ l’alternativa democratica è
una prospettiva a lunga scadenza “ , perché presuppone per la sua realizzazione
una “ modificazione profonda dei rapporti di forza nel nostro paese “ :
“ se noi considerassimo immobile la situazione
quale è oggi determinata dai rapporti di forza tra i partiti che sono poi
riflesso dei rapporti di forza tra le classi sociali del nostro paese (…) non
esisterebbero prospettive per l’alternativa democratica, ma non esisterebbero
neppure speranze per la repubblica italiana (…) se noi affermassimo e siamo
unanimi nell’affermarlo che la DC quale è oggi non c’è nulla da fare (…) se noi
affermassimo che le masse del PCI e lo stesso PCI sono eternamente vincolate a
una posizione, è chiaro che non ci
sarebbe nulla da fare (…) il vero problema è questo: è possibile o no una
modificazione profonda delle forze politiche esistenti capace di dar luogo a
una maggioranza alternativa a quella attuale ?…
A Foa che accusava Nenni di non aver
compreso che il “ dinamismo dei monopoli “ rispondeva che il compito del
partito socialista è incoraggiare i fermenti nella sinistra cattolica e
sollecitare la crisi nella DC, allo scopo di determinare l’esito, cioè “ la fine della lunga pratica dell’unità
politica dei cattolici italiani nello stesso partito : questa era una delle
ragioni dell’ < autonomia > ; occoreva, infatti, offrire ai lavoratori
cattolici una prospettiva < seria > realizzabile e concreta e perciò efficace“ soprattutto per il suo “
carattere democratico “.
Quanto ai rapporti con il PCI L. insisteva sulla loro intensificazione ma
senza che comportassero “ un’alleanza politica generale “ :
“ …
Tale preventiva alleanza politica che io mi auguro che ci sia domani, <afferma >, oggi non c’è ; perché sui problemi grossi e decisivi non
siamo d’accordo; (…) <altrimenti > si dovrebbe onestamente parlare di
unità organica, di fusione tra i due partiti e per questa le condizioni non
esistono (…).
Il processo di autonomia dei comunisti dall’Unione Sovietica è appena agli inizi;
dopo aver manifestato delusione per l’atteggiamento del PC che “ pregiudizialmente per il fatto che il MEC possa essere vantaggioso o svantaggioso per l’economia italiana “, si mostra fiducioso per quanto potrà avvenire in futuro, in un quadro ricco di possibilità di apertura e di rinnovamento, sia in Oriente che in Occidente.
Il vigoroso intervento di L. rafforzò a Napoli la posizione di Nenni che conquistò la maggioranza del partito con il 58,3 % dei voti. Tuttavia l’impostazione lombardiana non teneva conto in maniera sufficiente della crescita del PCI, dopo la crisi del ’56 e della natura di “PARTITO CONSEVATORE DI MASSA “ della DC , ampiamente favorito dai responsi delle urne in una democrazia parlamentare : infatti, l’insuccesso dell’alternativa democratica non significa la fine di ogni speranza per la repubblica, <come diceva Lombardi> la repubblica continuerà ad esistere all’insegna dell’egemonia democristiana [23] .
Il PSI nenniano con l’ambigua formula dell’ < alternativa democratica > rintuzzate le perplessità della sua sinistra, si preparava così a collaborare con Fanfani. Frattanto L. metteva a punto il progetto socialista per la crescita del ruolo delle aziende a partecipazione statale nella economia italiana : nel settembre del ’59 figura tra i promotori di un convegno sulle aziende pubbliche a Salsomaggiore; nella relazione introduttiva tra l’altro sottolinea che le aziende a partecipazione statale devono essere gestite secondo “ criteri di efficienza, di produttività e di redditività non meno rigorosi di quelli propri di una sana azienda privata “[24], la scelta degli organi di amministrazione e dei dirigenti deve essere ispirata sia al “ criterio dell’economicità della gestione, e quindi della capacità e della competenza, sia a quello della separazione precisa tra settore pubblico e privato … “ L’industria pubblica doveva essere uno strumento che da un lato eliminasse le strozzature economiche che impedivano il < decollo > delle zone arretrate del paese, dall’altro limitasse il potere dei monopoli, consentendo anche una gestione di alcuni settori meno ispirata al criterio del massimo profitto “.
Interessante è la sostanziale accettazione della realtà delle cose, per quanto riguarda l’economia, e l’affiorare della vecchia tesi azionista di una economia a due settori:
“ Noi concepiamo l’impresa pubblica, nella situazione italiana come operante in una economia di mercato. Un economia, cioè nella quale il coordinamento delle decisioni imprenditoriali è fatto a posteriori attraverso il meccanismo e attraverso il sistema dei prezzi, e non in una economia interamente pianificata nella quale, invece, il coordinamento è fatto ante hoc, cioè in sede di piano , questa non è una constatazione obiettiva degli orizzonti possibili nella situazione italiana “
L. aveva imposto queste tesi, come ricorda
Giolitti nelle sue memorie , già nella primavera, sul settimanale “ Italia
Domani “ nell’ambito di un nutrito confronto di idee tra lui , Foa , La Malfa ,
Giolitti ed Ernesto Rossi; tra l’altro , L. aveva prospettato una “ opportuna
anzi necessaria contrattazione “ nell’ambito di una economia di mercato, in cui
fossero stati inseriti elementi decisivi di pianificazione “ tra stato e sindacati
“ . Curioso ed imbarazzante al tempo stesso fu l’intervento di Rossi che,
lamentando di non sapere che cosa veramente fossero le riforme di struttura,
evidenziava la necessità di tenere conto dei mezzi disponibili nel tempo e
nello spazio per raggiungere determinati fini e concludeva :
“chiedere riforme radicali senza considerare
che lo stato è oggi un grande bestione senza cervello significa chiedere
l’aumento delle strutture parassitarie, delle pratiche camorristiche, degli
sperperi del pubblico denaro “ [25].
La “ lezione “ di Rossi si sarebbe rivelata,
assai pregnante, soprattutto tenendo conto del sostanziale fallimento della gestione dell’impresa
pubblica, delle degenerazioni affaristico-clientelari e del ruolo della
potentissima borghesia di Stato di tendenza democristiana posta alla guida
delle partecipazioni statali negli anni successivi .
Il tentativo di inserire i socialisti nella
compagine governativa susciterà molte reazioni : dopo la momentanea sconfitta
di Fanfani, la nascita col consenso di tutte le destre del governo Segni, le
prese di posizione della confindustria e della curia, la formazione del governo
Tambroni nel marzo del ’60, con i voti determinanti del MSI, la ventata
antifascista che né seguirà, dimostreranno che la prospettiva del
centro-sinistra suscitava molti timori: i fatti di Genova, il luglio 1960,
accelereranno il processo; il governo delle “ convergenze parallele “
permetterà a Fanfani di ritornare a galla e a Nenni di rilanciare il suo
progetto.
Il governo Tambroni appare a L. fin dal
primo momento come un tentativo da parte di tutte le forze sociali e
politiche ostili ad ogni tipo di apetura
a sinistra di bloccare, anche ricorrendo all’autoritarismo, qualsiasi
rinnovamento dell’assetto di governo.
Tende, infatti, all’indomani della crisi del
governo Segni a non identificare la minaccia fascista nei gruppetti di estrema
destra. La destra economica e politica in Italia è per L. nella DC e ad essa “
fascisti e monarchici offrono solo un supporto supplementare “
[26].
Tambroni, si limiterà a prendere
provvedimenti demagogici, come la diminuzione del prezzo della benzina e dello
zucchero, sottolineando i meriti della DC nel cosidetto miracolo economico,
clamorosamente confermato, proprio all’inzio del ’60 dall’attibuzione da parte
del Financial times dell’oscar per la stabilità alla lira. Proprio col discorso
parlamentare in cui respingeva la linea economica del governo Tambroni L. fu
tra i primi a mettere in evidenza i limiti del miracolo italiano; bassi salari,
aggravamento degli squilibri tra nord e sud, scarsa capacità contrattuale dei
sindacati dei lavoratori .
D’altra parte la ripresa delle lotte
operaie, ricordava profeticamente L. , avrebbe bruscamente interotto il
miracolo e rallentato i ritmi di sviluppo raggiunti negli anni precedenti
[27].
Quanto ai provvedimenti specipici del governo, la diminuzione del prezzo della
benzina, avrebbe incoraggiato “ la politica della motorizzazione “, L. si
chiede se “ sia giustificata… una politica… che stabilisca come prioritario il
consumo dell’automobile, che stabilisca di incremenatre e di incoraggiare (…) i
trasporti privati su strada. La decisione governativa per L. privilegiava certi
consumi rispetto ad altri in funzione di interessi monopolistici ( la Fiat) .
Questo avrebbe significato “ accaparrare fin
da oggi centinai di miliardi di risorse per strade, autostrade, gomme,
riparazioni, officine di montaggio, alberghi “ e “ le risorse accaparrate per
questo scopo saranno inevitabilmente sottratte alla politica del Mezzogiorno,
alla politica della scuola, ala bonifica, alla ricerca scientifica “.
Con enorme anticipo emergono in questa
occasione i termini della discussione sul “ modello di dviluppo “ scelto per la
nostra economia, che seguirà molti anni dopo.
Fallita
la disatrosa esperienza di Tambroni, nascerà in Italia il primo governo che si
regge sul voto di astensione dei socialisti.
Su questo punto emergeranno i primi punti
di frizione in seno alla maggioranza
autonomista tra i nenniani e i lombardiani. Se Nenni sottolinea fin dall’inizio
l’importanza politica dell’accordo, che porterà alla restaurazione del quadro
democratico, L. insiste sulla necessità di un accordo programmatico che impegni
la DC sul terreno delle riforme. Questo è lo sfondo dell’ intervento con il
quale evidenzierà il 17 dicemnbre soprattutto gli aspetti negativi del coloquio
Nenni – Moro che avrebbe portato, all’indomani delle elezioni amministrative
alla formazione in città come Firenze, Genova e Milano delle prime giunte di
centro-sinistra [28]
.
Alla vigilia del XXXIV congresso lo stesso
Nenni lamentava l’esistenza di “ grosse difficoltà “ nel PSI
[29]
. Il congresso che si apre il 15 marzo nel teatro lirico di Milano avrebbe
consentito un chiarimento in seno alla maggioranza autonomista e dato il lascia
passare alla politica del centro sinistra : gli autonomisti otterranno il 55 %
dei voti e ricuciranno lo strappo con
Nenni, pur insistendo sulla distinzione tra “ democrazia borghese “ e “ democrazia socialista “ affermerà che
essenziale “ è dare stabilità ed equilibrio alla democrazia, concludendo che “
la svolta di sinistra “ è possibile. Il discorso di L. si distinguerà fin
dall’inizio per l’interpretazione “ più radicale “ del centro sinistra .
L. dichiarerà esplicitamente che il
movimento operaio non ha né “ lo strumento teorico che ci garantisca la fine
del capitalismo” né una teoria che dimostri come la crisi del capitalismo “
sbocchi necessariamente nel socialismo “,
pur confermando, la sua certezza
della fine del capitalismo, in linea con
la sinistra marxista tradizionale [30]
.
Tuttavia ribadisce come aveva fatto a Napoli
che non esistono più le condizioni della rivoluzione violenta e della didattura
del proletariato; che è possibile la costruzione del socialismo all’interno
delle strutture esistenti; insiste soprattutto sulla politica di programmazione
che non può entrare in conflitto con le strutture e le sovrasturtture della
società capitalistica, che è lo “strumento della progressiva espropriazione del
potere capitalistico “ ; definisce una posizione nei riguardi dei comunisti
destinata a trovare una larga eco :
“ Noi siamo stati concordi nell’escludere
un’alleanza generale con il partito comunista, il nosrto non è stato e non è ,
e non vuole essere anticomunismo, né viscerale , né di altra qualificazione se io dovessi dire
una parola arrischiata , compagni, direi che noi non siamo né anticomunisti, ne filocomunisti
: noi siamo acomunisti ( per dirla col filosofo ) Merleau – Ponty “
[31].
Insomma se i comunisti si fossero offerti
per un’appoggio incondizionato alle riforme di struttura essi non sarebbero
stati discriminati. Giustamente il più autorevole degli sconfitti della
“sinistra “ ( che aveva ottenuto il 35 % dei voti congressuali ) Vecchietti
sottolineò maliziosamente che erano emerse all’interno della maggioranza di
autonomia due linee, entrambe favorevoli all’incontro DC – PSI ma con diversi
obbiettivi : la prima osservò vecchietti “ pone l’accento sull’ipotesi
offensiva “ . Del resto non molto tempo prima negli ambienti conservatori si
era detto che “ la programmazione voluta
dall’onorevole L. condurrà dritto drittto ad una democrazia popolare non
dissimile da quella realizzata in Polonia o in Iugoslavia
[32]
“ , mentre i comunisti avevano manifestato simpatia per L. , pur avendo tuonato
a più riprese contro il processo di “ socialdemocratizzazione “ in atto nel
PSI [33].
Quanto agli americani, sebbene nenni e il
suo vice De Martino avessero sostanzialmente accettato la collocazione
internazionale dell’Italia, e avessero dichiarato di essere favorevoli alla
NATO , qualora avesse avuto un carattere meramente difensivo, forti erano le
ostilità nei riguardi di L. : il segretario di Stato Dean Rusk aveva,
nell’ottobre del 1961 inviato un telegramma all’ambasciata americana in cui si
lamentava, con preoccupazione, che L. chiedeva il ritiro delle truppe
americane, il riconoscimento della Cina comunista, una lotta incessante contro
l'’mperialismo, e si paventava il pericolo dell’ingresso del PSI nel governo
italiano [34].
Nonostante le difficoltà L. mette a punto
l’esperimento di collaborazione con la DC anche perché è convinto, come
affermava commentando il programma economico del XXII congresso del PCUS, che è
possibile non “ perdere l’autobus “ del neocapitalismo trionfante, non per “
fargli da tergicristallo” me per guidarlo verso scopi conformi agli interessi
collettivi del paese: insieme ad altri economisti e uomini politici come
Saraceno e La Malfa, ritiene che i tassi di espansione dell’economia italiana
rimangano, almeno fino al 1980, gli stessi dei primi anni del boom
economico. Di qui l’illusione della
programmazione che consetirebbe entro vent’anni “ una acquisizone gratuita o
prezzi simbolici dei prezzi essenziali “ e ciò porterebbe ad ottenere
nell’ambito dell’economia di mercato gli stessi risultati che si propone il
programma economico del PCUS [35].
La conferenza fu l’occasione anche per
riconoscere l’evoluzione in atto nel PCI. Ma L. ricordava che giudicare lo
stanilismo come un cancro che aveva aggredito un corpo sano, significava
applicare gli stessi canoni interpretativi usati dal liberalismo nei confronti del fascismo, significava
chiudere gli occhi sulle carenze del sistema che aveva permesso l’insorgere e
il permanere del regime staliniano. Sarebbe stata possibile una nuova politica
su riforme “ capaci di rovesciare il corso della politica italiana, di
modificare le strutture statuali e sociali in senso democratico “ cioè se il
PCI avesse adottato la strategia del riformismo rivoluzionario
[36].
L’occasione per chiarire meglio il
significato e il contenuto delle riforme di struttura è offerta dal convegno
organizzato alla fine di ottobre del ’61 da sei riviste ( “ il mondo”, “
l’espresso “, “ critica sociale “, “ mondo operaio “, “ Nord e Sud “, e “ Il Ponte “ )
[37]
al quale sono presenti gli esponenti più autorevoli di aree politiche della
sinistra non comunista, un vasto fronte riformatore che unisce
socialdemocratici come Luigi Preti e socialisti come lo stesso L.
In questa occasione L. espose una serie di
proposte di riforma che sarebbero state la condicio sine qua non il PSI avrebbe
appoggiato un governo di centro sinistra; applicazione della costituzione e
istituzione delle regioni, nazionalizzazione dell’industria elettrica, riforma
scolastica e universitaria, servizio sanitario, riforma fiscale con
l’istituzione dell’imposta cedolare d’acconto sui dividendi delle società per
azioni, riforma urbanistica, riforma della federconsorzi e abolizione
dell’istituto mezzadrile, infine una politica coerente di programmazione.
Al di là dell’enfasi anticapitalistica,
appare evidente il carattere meramente “ riformistico “ delle proposte di L.
Queste riforme non avrebbero in alcun modo fracassato il sistema, ma nascevano dall’esigenza di dare una risposta, elaborata
sugli studi più vanzati e le ricerche più raffinate in materia urbanistica,
finanziaria e industriale alle imponenti trasformazioni in atto nel paese.
Quanto alla vaghezza di cui erano accusati i
teorici del “ riformismo rivoluzionario “, L. , come ha sottolineato Ginsborg
rispose che la natura “ strutturale
delle riforme, la loro “ non integrabilità “ nel sistema capitalistico
si poteva definire “ solo caso per caso, secondo i rapporti di forza e le
condizioni della società “ [38].
Evidentemente queste riforme, in questo
momento, avevano un carattere dirompente in una società gravata da privilegi e
monopoli di ogni genere. La resistenza dei gruppi sociali interessati fu
talmente forte che alla fine gli esiti furono assai deludenti : lo stesso L.
sarebbe arrivato a dire che in Italia non c’erano state né riforme, né
rivoluzione.
Comunque all’inizio del 1962 ritenne che
valesse la pena di tentare la strada delle riforme, nel quadro di un accordo
con la DC che dopo il congresso di Napoli tendeva
esplicitamente
la mano ai socialisti. Nel gennaio i socialisti mettevano a punto il loro piano
di politica economica, predisposto da una commissione presieduta da R. L.
Il documento approvato dal CC del partito,
poneva al centro del programma da far accettare a Moro e Fanfani una poltica di
piano alternativa sia da una pianificazione “ regololata “ dai monopoli sia “ a
sistemi di pianificazione pubblica a carattere autoritario e centralizzato “ :
“ Tutto questo complesso di esigenze non
sono delle cose da fare, sono le cose da fare “.
Bisogna
dire che lo scarso peso che nel documento si dava, come rilevano i comunisti,
all’azione delle masse e al ruolo dei sindacati rendeva assai debole la
posizione contrattuale dei socialisti. Ma in seguito, soprattutto a proposito
della politica di programmazione L. riconoscerà l’errore.
Il 3 marzo Fanfani annunciava un programma
di programma di governo in cui si accettavano i punti salienti della
piattaforma preparata dal PSI per la svolta a sinistra.
Giustamente
L. dirà che il miglior centrosinistra fu quello che non esisteva ancora:
il
governo Fanfani che includeva PSDI e PRI, si reggeva sull’astensione dei
socialisti, ufficialmente non contrattata, ma riuscì in pochi mesi a realizzare
importanti riforme: la più incisiva fu quella della nazionalizzazione
dell’energia elettrica.
Il provvedimento coalizzerà fin dall’inizio
vasti interessi minacciati: per evitare turbamenti in borsa L., che presiedeva
una sorta di governo ombra messo in piedi dal PSI per seguire la realizzazione
del programma, e il ministro del bilancio La Malfa, ritenevano si dovesse
procedere per decreto legge: si
procederà in maniera diversa e la proposta verrà approvata dalla camera dei
deputati in maniera definitiva in settembre.
Il 20
maggio L. aveva sostenuto che la nazionalizzazione dell’energia elettrica
avrebbe facilitato le riforme di struttura negli altri settori e in luglio alla
camera lodava il provvedimento, dichiarandosi convinto che l’ENEL avrebbe
potuto diminuire i costi e le tariffe esistenti, rispondendo così realmente “
alla domanda potenziale di energia “ cioè al “ fabbisogno nazionale “ . Le
aziende elettriche
Private,
per il loro carattere frammentario, non avevano mai potuto soddisfare queste
esigenze.
Il leader socialista metteva in luce
anche alcuni difetti del disegno di
legge, come l'esclusione della nazionalizzazione delle aziende municipalizzate,
ma lo giudicava importante perché “ infligge un grave colpo ai monopoli ed è
destinata a diventare uno strumento indispensabile per l’attuazione del piano
“ [39]
.
Evidentemente L. riteneva che i maggiori limiti della
legge, denunciati soprattutto in sede parlamentare dal PCI , come la mancata
elezione di un consiglio di amministrazione largamente rappresentativo,
sarebbero stati superabili nel quadro di una coerente politica di piano, non a
caso ribatteva alle opposizioni che gli interessi democratici a una giusta
politica dell’energia già sarebbero stati esrcitati “ in sede di piano sugli
organi istituzionalmente chiamati a dare all’ente l’indirizzo, sia in materia
di tariffe, sia in materia politica “ .
In realtà gran parte della carica
riformistica della legge si esaurì proprio perché non vi fu alcuna
programmazione e la valutazione di L. non tenne conto al momento, di questa
prospettiva. Del resto la portata della nazonalizzazione fu attenuata anche dal
fatto che l’indennizzo fu corrisposto in contanti ai baroni dell’elettricità,
che il progetto intendeva colpire .
Nel comitato ristretto che seguiva l’attuazione
della riforma Colombo e Guido Carli, allora governatore della Banca d’Italia,
riuscirono ad imporsi su L. e La Malfa, favorevoli alla soppressione dei
monopoli a vantaggio dei piccoli azionisti; temendo l’eccessiva dispersione
della somma e valutando in maniera errata le capacità imprenditoriali degli ex
elettrici ( nelle loro intenzioni i capitali sarebbero stati reinvestiti nel
settore produttivo ) , Carli e Colombo, dopo un aspro dibattito, ebbero partita
vinta: tuttavia non va sottovalutato il fatto che L. era convinto di potere
condizionare le società indennizzate :
discutendosi
il provvedimento nella commissione L. riconobbe che la nazionalizzazione avrebbe potuto favorire
la formazione di nuovi monopoli in altri
settori, ma ricordò nel contempo che
< il sistema escogitato si regge tutto su una previsione >
“ Sul fatto cioè che una massa di capitale, formata dalle annualità
versate per il riscatto e dagli eventuali riscontri delle annualità successive,
possa essere controllata e indirizzata verso certi settori ubbidienti a una
programmazione nazionale. Tutta questa prospettiva si regge sulla prospettiva
della programmazione “.
Se è vero, per dirla con La Malfa, che lui e
L. “ ebbero il torto di cedere “ sul tema delle modalità dell’indennizzo, si
deve però ammettere che il piano Carli fu accettato per una fiducia, forse
ingenua, nel processo riformistico in movimento.
Esso, secondo L. , avrebbe portato
inevitabilmente alla programmazione. Una volta tagliate le unghie ai baroni dell’elettricità,
sarebbe stata la volta degli evasori fiscali, poi dei grandi speculatori
dell’edilizia e così via fino alla programmazione dello sviluppo economico
: i fatti avrebbero dimostrato che si
trattava di pura illusione [40]
.
Dopo l’approvazione di due importanti
riforme, la scuola media unificata e l’obbligo di frequenza fino ai 14 anni, e
la cedolare d’acconto sui titoli era chiaro che la DC era arrivata, per dirla
con Tamburrano, “ alle colonne d’Ercole del suo riformismo se addirittura non le
aveva superate “ [41].
Moro, che era riuscito a rassicurare, in
primavera, la destra interna del partito, candidando alla presidenza della
repubblica un avversario del centro sinistra, Antonio Segni, risultato eletto
con i voti determinanti del MSI, era seriamente preoccupato:
si
avvicinavano le elezioni politiche e l’elettorato moderato era terrorizzato
dall’eventualità di nuove riforme.
Fin dall’autunno l’allora segratario
democristiano aveva subordinato l’attuazione di un’altra importante riforma, la
costituzione delle regioni, ad una rottura definitiva tra PCI e PSI nelle
amministrazioni locali e del sindacato. La risposta di Nenni e L. fu
all’inizio “accomodante “ . L. chiariva
che questo sarebbe avvenuto se la DC e il PSI avessero fatto un accordo di
legislatura volto a realizzare un vasto programma di riforme. I rapporti tra i
due partiti della sinistra erano quanto mai tesi: il saluto portato, in
rappresentanza del PSI da L. al X congresso
del PCI, suonò per molti come un addio : dopo aver aspramente criticato
i comunisti per l’attacco portato all’ <autonomismo> del partito del
lavoro albanese L. riconosceva che i rapporti tra i comunisti e socialisti
registravano in quel momento “ la fase di massima tensione dalla liberazione ad
oggi “ [42]
per lo svolgimento di un disegno politico.
“ Conseguenza diretta di risposte differenti
ed opposte che socialisti da una parte e comunisti dall’altra si sono sforzati
di dare (…) ai problemi si strategia e di tattica che si sono proposti al
movimento operaio “ [43].
L’8 gennaio del ’63 durante un incontro tra
i rappresentanti dei partiti della maggioranza Moro poneva un freno deciso
all’attività riformatrice del governo Fanfani: chiedeva la completa rottura dai
socialisti col PCI nella CGIL ( allora guidata proprio da un socialista della
corrente di sinistra, Vittorio Foa ) prima di attuare l’ordinamento regionale.
La risposta di Nenni, due giorni dopo fu energica: la CC dell’11 gennaio parlò
di atto brutale, ma sia lui che L. si pronunciarono a favore della permanenza
del PSI nella maggioranza.
Pertini ebbe a dire con sdegno: “ Basta una
poltrona per piacerci ? “ si riferiva alla discussione apertasi sulla nomina
del consiglio di amministrazione dell’Enel, che tanto stava a cuore a L.
Nel
febbraio venne chiamato alla presidenza dell’Enel il moroteo Di Cagno; i socialisti ottennero
la vicepresidenza dell’ente per il “
lombardiano “ Grassini.
Fu l’inizio della lottizzazione sistematica
delle cariche negli enti pubblici fra i due principali partners della
coalizione governativa. L’atteggiamento di L. in tutta la vicenda appare,
contradditorio: non molto tempo prima alla destra che accusava il governo di
aver creato un altro carrozzone L. aveva risposto “ con franchezza “ alla
camera :
“ Noi socialisti non poniamo nessuna
candidatura, difenderemo l’ente anche contro noi stessi contro i tentativi di
interferenza e di clientelizzazione “.
In seguito avrebbe svelato Tamburrano i
retroscena dell’accordo con i democristiani: “ Mi sono opposto alla nomina di
Di Cagno a presidente dell’Enel perché non credeva alla nazionalizzazione e
l’aveva avversata. Non ho proposto socialisti. E’ noto che ho fatto il nome di
Ippolito che credeva al provvedimento. Ho proposto Menichella ( l’ex governatore della Banca
d’Italia assai stimato da Nenni come manager esperto e al di sopra delle parti
). Moro si impuntò. A questo punto ho chiesto la vicepresidenza per Grassini
che credeva nella legge e che per capacità e per esperienza era in grado di
controllarne l’applicazione “ [44].
E Nenni avrebbe aggiunto: “ il PSI ritenne
che uomini di sua fiducia posti in posizione di potere e di controllo del
potere avrebbero potuto se non altro frenare l’invadenza democristiana e
clericale facendo pesare gli interessi dei lavoratori e criteri diversi di
gestione pubblica … “ [45].
Sta di fatto che nonostante la buona fede
dei due leader del PSI, col centrosinistra ha inizio quella sistematica “
spartizione delle spoglie “ col contributo dei socialisti che tanti danni ha
arrecato alle aziende pubbliche, segnate da una gestione prevalentemente
“politica” e inquinate da fenomeni di clientelismo e corruzione.
Nei mesi successivi all’iniziativa di Moro
si spegne ogni attività riformatrice del governo Fanfani. Il progetto di
riforma urbanistica presentato dal ministro dei lavori pubblici, un esponente
della sinistra DC, Fiorentino Sullo, che prevedeva l’esproprio generalizzato
delle aree fabbricabili e l’istituzione del diritto di superficie fu affossato.
Se rapidamente approvato, il disegno di legge avrebbe salvato dalla
speculazione edilizia molte città italiane.
L’opposizione da parte dei gruppi
interessati fu intensa. Sullo e L. furono accusati di voler “ nazionalizzare “
i terreni. Lo stesso Moro, con un clamoroso intervento sul “ popolo” sconfessò
apertamnete l’operato del suo ministro, a pochi giorni dalle elezioni. Alcuni
anni dopo L. cercò di spiegare il perché della “ tenace resistenza del blocco
storico dominante in Italia contro ogni tentativo serio di riforma urbanistica
moderna, resistenza che ha visto permanentemente associati i settori così detti
avanzati del capitalismo con quelli agrari, cioè l’alleanza del profitto con la
rendita “ :
“ In Italia …(…) la interconnesione tra
posizione di rendita e posizione di profitto tra forme tecnologiche avanzate e
forme arretrate di sfruttamento singolo e collettivo interno ai luoghi di
produzione ed esterno, è tale da aver costituito fino ad oggi la base più
solida di unità delle classi dominanti sia durante il fascismo che nel
prefascismo e nel post-fascismo “ [46].
Anche un tentativo di razionalizzazione,
come la riforma urbanistica, attuata con successo in molti paesi europei,
nell’analisi lombardiana, terrorizzava il blocco sociale egemone. Per la natura
del capitalismo italiano si deve riconoscere che anche i gruppi più moderni ed
avanzati erano contrari ad una riforma del genere : se Valletta, nel ’62 aveva
dato un prudente benvenuto al centrosinistra, era vero che la FIAT e gli
Agnelli avevano interessi corposi nell’ambito della speculazione teriera.
Tuttavia,
occorre sottolineare che la riforma fu sabotata grazie al peso dei piccoli
propietari della casa di abitazione, vera e propria base elettorale della DC.
Il blocco creato dalla convergenza degli
interessi dei grandi speculatori e dei piccoli proprietari fu determinante nel naufragio della legge Sullo. Nella sua
analisi L. sembra non tenere sufficientemente conto di questo importantissimo
fattore.
Il voto del 28 aprile 1963 confermava l’inquietudine
dell’elettorato democristiano.
La
DC ( 38 % dei voti ) perdeva una parte cospicua di voti a favore del PLI di
Malagodi. Il PSI a malapena manteneva i suoi voti mentre il PCI, sull’onda
della ripresa delle lotte operaie e del fenomeno dell’immigrazione dal sud al
nord del paese, saliva al 25 % . Era un chiaro avvertimento per Moro .
L’elettorato più moderato temeva che la DC
cedesse alle “ pretese “ dei socialisti.
Bisognava
liquidare fanfani e interrompere il programma delle riforme. Un centrosinistra
guidato dallo stesso Aldo Moro avrebbe garantito nel contempo la stabilità
politico-parlamentare, e un asvolta moderata che avrebbe insabbiato le riforme
più importanti. Per il blocco Moro-Doroteo l’aumento del controllo statale in
economia aveva avuto un unico motivo profondo “ mutare la situazione a
vantaggio della DC e della borghesia di Stato “
[47]
; non c’era bisogno di andare avanti. Ben diverse indicazioni leggevano nel
risultato elettorale i socialisti: al CC del 17 maggio Nenni dichiarava che “
il centro sinistra ha sofferto di quello che non ha fatto, non di quello che ha
fatto “ mentre L. chiedeva di riprendere con decisione la strada delle riforme.
“ Non si tratta “ affermava “ di
aumentare o diminuire il prezzo “ “ ma di esigere solo il prezzo adeguato, che
non è fissato dal PSI ma risultante dalla natura dei problemi della società
italiana “ .
D’altra parte L. e Giolitti affermavano che
la discriminazione anticomunista non poteva essere la piattaforma ideologica
del centro-sinistra e il PCI doveva essere sfidato “ sul terreno delle riforme
“. Si profila così, mentre sono in corso le trattative alla Camilluccia per la
nascita di un nuovo governo di centro sinistra l’incrinatura tra nenniani e
lombardiani. Al convegno della Lungara, alla fine di maggio, L. detterà delle
vere e proprie condizioni alla DC : in primo luogo, attuazione del programma di
riforme ( regioni, legge agraria, riforma urbanistica ) : in secondo luogo, adozione di provvedimenti
anticongiunturali nel quadro della programmazione economica e delle riforme di
struttura anche in un periodo di non espansione dell’economia.
Per L. le cause profonde dell’iniziale
recessione sono le strozzature dell’economia italiana, che solo riforme
strutturali possono rimuovere. Nenni non tiene sufficientemente conto degli
ammonimenti di L. : arriverà infatti, a concordare con Moro un programma in cui
la portata riformatrice della legge urbanistica è drasticamente ridimensionata
; la rinuncia all’esproprio generalizzato, l’elemento qualificante del progetto
di Sullo, induce L. a respingere in blocco nel corso della riunione di
corrente, il programma concordato.
Al CC del 16-17 giugno i lombardiani non
ratificheranno l’accordo, unendo i loro voti a quelli della sinistra del
partito. Alle 3 del mattino della “notte di San Gregorio“ L. prendendo la parola al cc affermava che il problema
principale era quello della carica politica del governo, a suo avviso
inesistente; illustrava i punti deboli del progarmma : la rinuncia al diritto
di esproprio per la legge urbanistica, la rinuncia ad attribuire poteri
decisivi agli enti di sviluppo in agricoltura, la scuola “per la quale era
rimasto aperto il problema delle sovvenzioni agli istituti privati“, le
regioni la cui attuazione “rimaneva condizionata ad un contesto politico non
accettabile per i socialisti ( rottura a livello locale con il PCI )“ .
La riunione fu concitatissima, alcuni
parlarono di “notte dei lunghi coltelli“ e di “25 luglio di Nenni senza
autombulanza“ , Pertini gridò : “Maramaldi la pugnalata alla schiena, i
falliti degli altri partiti venuti a covare le uova nel nostro“ . L. ed altri
ex azionisti come Brodolini e Gatto vanivano bollati, per questo vizio di
origine“ [48].
I cosiddetti
“Gregoriani“ vennero esposti nei giorni successivi ad un vero e
proprio “tentativo di linciaggio morale“ per usare un’espressione dello
stesso L. riferita da Nenni [49].
In realtà in quei giorni emersero con chiarezza due concezioni dell’accordo con
la DC: per il momento era quella dei lombardiani a prevalere .
Moro attendeva i risultati del congresso
socialista, previsto per l’ottobre e intanto teorizzava una delimitazione “chiara“ della maggioranza verso i comunisti, auspicando la ricomposizione
della maggioranza in seno al PSI, nel senso voluto da Nenni. Nel frattempo
Leone varava un governo “ponte“ , destinato a gestire l’ordinaria
amministrazione fino all’autunno.
Il XXXV congresso all’Eur, segnava una
ricomposizione della corrente autonomista e dava il vi alibera alla
parteipazione diretta dei socialisti nel governo. Il discorso di L. tuttavia fu
profondamente diverso, nei toni da quello di Nenni, ed ebbe una netta
impostazione neomarxista.
Se Nenni paventava il pericolo di una svolta autoritaria e si richiamava “alle
cose che si posssono fare“ in democrazia L.
vedeva un pericolo di “neocapitalismo trionfante“ :
“il neocapitalismo è in grado di dare una
risposta al problema dell’occupazione, è in grado di assicurare un minimo di
livello di redditi, un certo tipo di accumulazione del capitale , di espansione
dell’economia (…) un modello di sviluppo certamente pagato con costi sociali
elevatissimi (…) e tuttavia valido a suo modo nel breve e nel medio periodo“.
Occorreva perciò, per L. favorire una “ economia
dinamica di sviluppo “ che superasse il dilemma consumi o produzione, e nel
contempo rispondere alla domanda che veniva dalla classe operaia, “ non di pane
ma di potere “, attraverso una programmazione democratica .
Bisognava “creare un meccanismo
contestativo e contrapposto al modello di sviluppo della borghesia“. Ma
soprattutto L. irritò gli autonomisti nenniani non solo perché, tra l’altro si
riservava un giudizio di merito sul programma di Moro , ma perché rifiutava categoricamente, riprendendo una
posizione espressa sull’Avanti ! il 30 gennaio, ogni accettazione della forza
multilaterale integrata nella NATO , progettata qualora i paesi europei
avessero rinunciato al riarmo atomico nazionale.
A proposito si espresse con estremo rigore:
“ Il rifiuto dell’ideologia del Patto
Il dissenso di Nenni rimase. Tuttavia L.
facilitò la ricomposizione della maggioranza attorno a lui. Il CC eletto alla
fine del congresso comprenderà 59 autonomisti e 40 “carristi“ . Della
maggioranza 44 nenniani, 8 lombardiani e 7 “incerti“ pronti a fare l’ago
della bilancia.
Il discorso di L. trovò larga eco nel paese
: Montanelli lo definì “ sovversivo irresponsabile “, Il “ Messaggero “ e il “Corriere della Sera“ sostennero che l’eventuale partecipazione di governo di
L. avrebbe messo in pericolo la libertà e la democrazia
[51]
. L’ingegnere , nel momento in cui la sinistra era fortissima nel partito,
avrebbe potuto ribaltare la maggioranza e far prevalere la “ sua “ concezione
del centro – sinistra . Tuttavia non mosse un dito per favorire la nascita di
nuovi equilibri.
In seguito avrebbe spiegato a Tamburrano di
aver fatto una scelta consapevole. Aderisce all’alleanza, certo che sarebbe
stata sciolta. Questa rottura sarebbe avvenuta con il programma di riforme. L.
mira , attraverso di esso, a provocare
profonde alterazioni nel rapporto tra le forze politiche: nella Dc lo scontro
tra i moderati e progressisti spaccherà il partito : nel PCI si comprenderà
l’importanza della politica riformatrice e alla fine prevarranno coloro che
sono favorevoli ad appoggiarla.
Il governo di centro – sinistra avrebbe,
insomma, fatto da cartina al tornasole; sarebbero emerse le forze realmente
favorevoli alle riforme di struttura: si sarebbe formato uno schieramento
omogeneo, completamente nuovo, a sostegno delle riforme. Queste previsioni non
si avverarono.
Secondo L. gli errori, da lui commessi furono
due : in primo luogo pensò che lo scontro tra DC e PSI espoldesse più tardi. A
pochi mesi dal congresso di Roma, però, il primo governo Moro entrò in crisi
senza che fosse maturato il processo di formazione di nuovi schieramenti.
Inoltre la politica delle riforme di struttura, aveva per L. un “ difetto
illuministico “ : i lavoratori non potevano capirla perché non risolveva
immediatamente i loro problemi.
Essa mirava a liberare le risorse necessarie
per i nuovi investimenti sociali, ma i frutti si sarebbero visti soltanto dopo
due anni, si potrebbe aggiungere che, ancora una volta , L. pensò che valesse
la pena tentare la strada delle riforme in un governo con la DC piuttosto che
distruggere il partito, alleandosi con Vecchietti.
Lasciando
una porta aperta alla sinistra, inoltre riusciva a portare alle trattative con
Moro un partito ancora saldamente unito.
Dopo il congresso nasceva il primo governo
di centrosinistra organico, presieduto da Aldo Moro: Nenni era chiamato a
ricoprire l’incarico di vicepresidente del Consiglio. Il 15 dicembre il CC del
PSI eleggeva il nuovo segretario, Francesco De Martino. La sinistra del
partito, che aveva proposto una segreteria L. , che avrebbe garantito “
l’autonomia del partito rispetto al governo “ si dissocia apertamente.
Di lì a poco Basso avrebbe annunciato il
voto contrario della sinistra sulla fiducia
al governo Moro-Nenni. E’ la
scissione. Ai provvedimenti disciplinari Foa, Basso, Valori e Vecchietti
rispondono con l’annuncio della nascita di un nuovo partito, il PSIUP.
L. intanto ha assunto la direzione
dell’Avanti! lasciando che Giolitti sia nominato ministro del bilancio e della
programmazione economica, incarico che i socialisti hanno chiesto e ottenuto
per lui. In seguito L. giustificherà questa decisione sottolineando che il suo
ingresso al governo avrebbe portato, per reazione, la DC a inserire nella
compagine governativa uomini più avversi al programma di riforme.
In realtà è probabile che L. ritenga che la
direzione dell’Avanti ! gli consenta di essere , la “coscienza critica “ del
governo e di controllare, con maggiore rigore dall’esterno l’adempimento degli
impegni programmatici da parte della stessa DC.
Non
a caso l’Avanti! assumerà una posizione di quasi opposizione di fronte alle
continue magagne del centrosinistra moderato e al logoramneto progressivo
dell’alleanza DC-psi ; la scissione, tuttavia, indebolirà la posizione di L. e
lo costringerà ad accettare la sconfitta. Nenni fece ben poco per evitarla.
L. in un intervista, molti anni dopo
dichiarò che fino all’ultimo non ci credeva, altrimenti avrebbe “ anche
rinunciato al governo di centro-sinistra “ ; ricordò un tentativo suo e di De
Martino per evitarla e sottolineò l’indifferenza di Nenni:
“ Non ho visto chiaro in quella vicenda : o
lui pensava che la forte minoranza che si scindeva non sarebbe stata seguita
alla base, ed era un’illusione, o forse pensava a una nuova aggregazione “
[52].
Comunque il nuovo direttore dell’Avanti !
esordiva con un violento attacco agli scissionisti : la scissione era priva,
secondo L: , di motivazione ideologica, dal momento che nello schieramento
politico, a sinistra non vi erano spazi vuoti da occupare; ma
“Esso in concreto altro spazio non poteva
trovare, ammoniva se non quello che il PSI potrebbe rendere disponibile ove
esaurisse nell’opera di governo tutto il suo potenziale di lotta e rinunciasse
al suo compito specifico di promozione, in tutte le sedi, del potere dei
lavoratori … “ [53] .
Già in febbraio L. assumerà un atteggiamento
di forte opposizione verso la tradizionale politica deflazionistica intrapresa
da Moro per contrastare la recessione economica. La rinuncia all’imposta
cedolare d’acconto, trasformata da Moro in “ cedolare secca “, per
riconquistare la fiducia degli imprenditori e arrestare il fenomeno della “
fuga dei capitali all’estero “,
rappresenta – scrive – “ una battaglia perduta per il centro-sinistra “ e
preannuncia l’affossamento delle altre riforme come la legge urbanistica.
L’appello di Moro al paese, col quale si
chiedono “ sacrifici “ è da respingere con fermezza per “ la astratta posizione
interclassistica “. L’invito di La Malfa a perseguire una “ politica dei
redditi “, è “ astratto e inconcludente, ne è immotivata la diffidenza che esso
suscita nel mondo del lavoro “ [54]
.
Dalle colonne dell’Avanti ! il battagliero
direttore cercava di spiegare che i problemi economici erano dovuti anche
all’assenza di riforme tali da eliminare le strozzature del sistema: l’aumento
degli affitti era causato dall’assenza di riforma urbanistica e il sistema
bancario incoraggiava la fuga dei capitali
[55].
Il 19 marzo, dopo uno scontro con il
monarchico Ferentino durante un dibattito a tribuna polotica L. chiedeva con
energia un dibattito televisivo dedicato alla borsa e una riforma delle società
per azioni. Intanto cresceva il tono della polemica anche con il PCI : con
l’editoriale del 14 aprile polemizzava aspramente con Alicata
sulla
frattura Cino-Sovietica:
“
il PCI, scrive, sta sciupando l’occasione storica che gli è stata offerta di
inserirsi democraticamente nella corresponsabilità di attuazione del primo tentativo di riforma
organico che la società italiana abbia intrapreso dalla liberazione ad oggi (…)
IL PSI è dunque sottoposto alla pressione delle due braccia di uno schiaccianoci,
da destra e da sinistra (…) Ma se dovesse rimanere schiacciato, i comunisti non
si facciano illusioni, non si aprirebbe la via nazionale al socialismo. Ma,
nella migliore delle ipotesi, si trasformerebbe in autostrada la via nazionale
al qualunquismo “ .
La polemica lombardiana, come è stato detto
“ suona come un appello, una chiamata a soccorso “
[56].
Ormai L. è pienamente consapevole che la partita è perduta : i socialisti al
governo da soli, attaccati tenacemente
da un’opposizione preconcetta, non riescono ad ottenere alcuna riforma.
Per questo “ il dialogo con il partito comunista “ , scrive il 19 aprile , ” è
un dialogo per i socialisti, abbligato “ . Nel frattempo continuava a
proporre soluzioni diverse da
quelle della destra per affrontare il
nodo dell’inflazione:
“ Non basta “ affermava “ la riduzione
globale del potere di acquisto delle masse, ma occorre selezionare i consumi
cosidetti inflazionistici ( quelli per i quali l’offerta è insufficiente o il
ricorso alle materie prime o manufatti esteri e obbligatorio dagli altri che
inflazionistici non sono “ [57].
L’atto dirompente con cui il blocco
consevatore mise le carte in tavola, fu la pubblicazione , apparentemente
casuale, il 27 maggio, sul “Messagero “ della lettera inviata dal ministro
Colombo a Moro il 15 maggio, Colombo denunciava la gravità della crisi
economica, chiedeva il blocco dei salari e la rinuncia a qualsiasi
riforma. Bisognava “ stabilizzare a
qualunque costo, mediante restrinzioni creditizie e provvedimenti fiscali,
senza riguardo a pericoli di deflazione e disoccupazione “.
Assurdo era per lui insistere “ in una
politica dogmatica di riforme di struttura che nessuno sa bene cosa siano (…)
su una legge urbanistica che prima
ancora di vedere la luce ha già paralizzato l’industria edilizia “. Poco dopo il governatore della Banca d’Italia
Guido Carli tuonò contro un altro dei principali leit motiv della battaglia di
L. : la programmazione.
Si cominciò a parlare di una linea
Colombo-Carli e Moro affermò che il governo avrebbe adottato una politica dei
due tempi: prima provvedimenti anticongiunturali, poi le riforme . La reazione
dei socialisti non si fece attendere : il ministro Giolitti dichiarò che se
Colombo avesse espresso quelle idee durante il Consiglio dei ministri, “ i
ministri socialisti non avrebbero esitato a trarne le inevitabili conseguenze “
[58].
Per
L. esistevano ormai due logiche : quella delle riforme e quella congiunturale.
La logica della congiuntura era la logica “
della rassicurazione, della incentivazione, della fiducia da imprimere al mondo
imprenditoriale perché esso abbandoni alcuni comportantamenti malthusiani, di
astinenza dagli investimenti e dall’attività produttiva … “ questo tipo di
logica non consetiva l’impostazione e la definizione delle riforme di struttura
.
Bisogna porre il problema del rapporto di
coesistenza e di interdipendenza delle riforme di struttura con la politica
congiunturale. Commentando la lettera di Colombo ricordava che la presenza dei
socialisti nel governo era priva di effetti anche dal punto di vista
amministrativo dato che la DC “ ha
distrutto scientificamente l’apparato statale e ci ha fatto trovare il deserto
“ ; la richiesta di Colombo di estendere la formula di governo alle
amministrazioni locali e alla società civile urtava contro le decisioni prese
nel congresso di Roma ; “ l’idealismo atlantico “ di cui si parlava era
diventato “ fedeltà atlantica , una piccola svista, ma che ha un suo
significato “ .
L. in sostanza a un mese dall’apertura ufficiale
della crisi era già fuori dal
governo [59].
La linea dei due tempi appariva ormai come un inganno : non era possibile
rianimare l’iniziativa privata e quindi rafforzare il sistema e poi in un
secondo momento adottare provvedimenti come la riforma urbanistica, che
miravano a colpirlo. Pare che in quei giorni L. abbia voluto predisporre un
piano per combattere la recessione, alternativo a quello incarnato dalla linea
Colombo – Carli : il piano prevedeva un’imposta sul patrimonio, ma il governo,
i nenniani e lo stesso Giolitti espressero parere contrario.
Il governo Moro cadrà il 27 giugno : Casus
belli, i finanziamenti alla scuola materna privata
[60].
In realtà le questioni per le quali la DC e PSI erano ai ferri corti erano ben
altre : la programmazione e la riforma urbanistica. L. commentava:
“ La DC ha preferito assumersi la
responsabilità di una crisi di governo in una situazione economica e sociale in
cui il fatto stesso della carenza di un governo
investito
di piena responsabilità e autorità rappresenta un’ aggravante aggiunta alle
presenti difficoltà “ [61].
Nel PSI si apriva un “ nuovo caso L. “ . Al
CC del 3 luglio i 44 lombardiani votavano contro l’ordine del giorno che
autorizzava la trattativa con la DC per la formazione del nuovo governo. Le
trattative con Rumor, che aveva sostituito Moro alla guida della DC, si
arenavano il 14 luglio. Si apre allora una delle fasi più drammatiche della
storia repubblicana. In un clima avvelanato dai sospetti, si prepara sottobanco
un golpe – farsa per convincere i socialisti ad avallare una versione ancora
più moderata del centro –sinistra .
I baffetti e il monocolo del generale De
Lorenzo, le richieste di soccorso di Saragat e Rumor, le velate minacce di
Segni si rivelano un formidabile
strumento di pressione : Nenni sente “ rumoreggiar di sciabole “ e alla
fine cede.
Il governo Moro – bis si farà : naturalmente
la prima testa che si offrirà nel piatto alla DC è quella di L. Il suo addio al
giornale, il 21 luglio, riportato in un trafiletto sull “ Avanti ! “ non manca
di verve polemica:
“ Nel corso della dura battaglia di questi
mesi mi è stato spesso ricordato che l’Avanti ! assillava il risveglio
quotidiano di qualche segretario di grande partito. Mi auguro che l’Avanti ! da
chiunque diretto non lasci tranquilli i sonni di nessuno: soprattutto quelli
del partito che potrebbero essere pagato
con amari risvegli “ [62]
.
Al CC del 28 luglio L. dichiarava : “ abbiamo subito una sconfitta piena che non vale dissimulare “ , si opponeva alla logica del meno peggio, all’ < identificazione socialdemocratica > del PSI, all’abbandono della critica del sistema.
In
ottobre avrebbe scritto De Martino che Nenni rovesciava la politica del
partito, non più proteso a trasformare il sistema, ma divenuto “ tutore
dell’ordine, della stabilità dell’equilibrio “
[63].
L. è pienamente consapevole dell’ operazione
trasformistica in atto nel partito : accantonate le riforme. Il PSI si
integrerà appieno nel sistema, accettando la logica del partito dominante. La
coscienza del fallimento dell’illusione del centro – sinistra non avvilirà,
nonostante tutto, R. L: negli anni del “
centro – sinistra pulito “ ( cioè moderato ) e dell’unificazione con il PSDI,
tornato in un disperato isolamento nel partito continuerà una serrata polemica
perché i socialisti invertano la rotta e realizzino le riforme di struttura.
Ancora una volta sarà “ l’eretico “ del socialismo italiano .
[1] Interv. cit. su Mondoperaio, novembre 1979, p. 130 .
[2] Galli, op. cit , p. 217.
[3] R. L. Partecipazione e riforme, disc. al XXXI congresso, 2 aprile 1955 . cit. in Scritti politici , p. 231 –34 .
[4] Cit. in Galli. Op. cit. , p. 218 .
[5] Ammettendo così la genericità sul piano programmatico, della sua offerta di collaborazione ai cattolici. Cfr. Tempo di guerra fredda, cit. p. 657 .
[6] Cfr. R. L. Rivoluzione della politica, in il Mondo, 7 agosto 1956 .
[7] Ivi .
[8] Cfr. P. Ginsborg: Le riforme di struttura nel dibattito degli anni cinquanta e sessanta in studi storici n. 2/3 , 1992 .
[9] Cfr. AA.VV. Il parlamento italiano vol . XVII, il centrismo dopo De Gaspari 1954 – 1958, p. 205.
[10] Cit. in Avanti! , 16v novembre 1956 .
[11] Int. Cit. in Mafai, p. 56.
[12] Cfr. Colarizzi: La seconda guerra mondiale e la repubblica , Torino, 1984, p. 480 .
[13] Int. al XXXII cong. In Avanti ! 6 febbraio 1957 .
[14] Cfr. R. L. Il mercato comune: una speranza, due illusioni, in Avanti !, 26 febbraio 1957 .
[15] Ivi .
[16] Int. alla CDP, 27 luglio ’57, cit. in Colarizzi – Scritti politici, cit. , p.43 – 44 .
[17] Cfr. Galli , op. cit. , p. 227
[18] Il XXXIII congresso nazionale del PSI, resoconto stenografico. Ed . Avanti ! 19611 , p. 188 .
[19] Ibidem, p. 189 .
[20] Cfr. Colarizi : Introduzione a scritti politici, cit. p. 46 .
[21] Non bisogna dimenticare che il tema delle riforme di struttura è sempre connesso a quello della resistenza. Si tratta cioè di coronare la rivoluzione democratica iniziata con la resistenza.
[22] Cfr. su questo Ginsborg : art. cit. , p. 662, in cui si ricorda che Antonio Giolitti osservò che un’accentuazione della parola “riforma “ tendeva ad escludere “ la necessità di un qualsiasi atto di politica rivoluzionario “ e l’accentuazione delle parole di struttura avrebbe portato alla sottovalutazione delle sovrastrutture, specialmente delle strutture politiche.
Tuttavia lo stesso Giolitti non riuscì ad uscire da un generico radicalismo, sulla questione dei contenuti veri e propri .
A p. 665 G. ricorda che il timido tentativo fanfaniano di realizzare un passo in avanti nella riforma dello Stato si risolse in un semplice incremento dello status giuridico ed economico dei funzionari statali stessi. Cfr. anche M. Salvati, op. cit. , sull’impegno di L. nel 1945 – 47 a favore di una riforma dell’amministrazione statale, pp. 445 e seg.
[23] Cfr. Galli. Storia del socialismo italiano, pp. 210 –12 .
[24] Cfr. R.L. Relazione introduttiva del convegno sulle partecipazioni statali. Resoconto sten. a cura delle Ed. Avanti ! . 1960, pp. 10 – 11 .
[25] Cfr. A. Giolitti : Lettere a Marta – Ricordi e riflessioni, Bologna, 1992. pp. 122 – 123 . Uscito dal PCI dopo la crisi del ’56 Giolitti militò nel PSI riconoscendosi subito nelle posizioni di R. L.
[26] Cfr. int. al CC del PSI , 8 febbraio 1960 .
[27] R. L. : La politica economica del governo e la congiuntura attuale, int. alla camera dei deputati, 8 giugno 1960. Cfr. anche l’art. Non barare al gioco in Avanti ! 3 maggio 1960 .
[28] Cit.in G. Tamburrano : prefazione ai Diari di P. Nenni 1957 – 1966, Milano, 1982. A questo riguardo mi sembra riduttivo però affermare come fa Tamburrano che L. non si è mai liberato dei “residui del massimalismo azionista “ dal momento che le sue intransigenze avevano fin dal principio un solido fondamento.
[29] Infatti annota nei diari : “ la più grossa difficoltà è in seno alla maggioranza e si chiama L. non so se questo avviene per iniziativa sua o del gruppo che si avvale del suo nome. Ma l’equivoco esiste ( … ) “, p. 168 .
[30] Cfr. Ginsborg art. cit. p. 658 interv. di R. L. al XXXIV congresso del PSI , p. 338 .
[31] Ivi, p. 353 .
[32] L’intervento di F. De Finizio è cit. in G. Tamburrano : Storia e cronaca del centro – sinistra, Milano, 1973, p. 69 .
[33] Tortorella aveva giudicato positivamente su “ Rinascita “, nel marzo 1961, l’intervento di L. al XXXIV congresso in quanto delineava una “ piattaforma alternativa al prepotere dei monopoli della DC “ .
[34] Cit. in faenza : il Malaffare, Milano, 1978. p. 311 .
[35] R. L. Primo bilancio del XXII congresso del PCUS, conferenza tenuta alla sala Brancaccio di Roma il 21 novembre 1961, resoconto stenografico, Ed. Avanti ! , 1961.
[36] Cit. in Colarizzi – Intr.cit. p. 48 .
[37] Cfr. Bonetti. Il Mondo 1949 – 66, Ragione e
Illusione borghese, Bari, 1975, p. 147 .
[38] Cfr. Ginsborg, art. cit. , p.660 .
[39] Cfr. Annuario politico italiano a cura del CIRD, ed.Comunità, Milano, 1963 .
[40] Cfr. sul tema del’indennizzo: Ginsborg: Storia d’Italia, cit. ,pp. 364 –65 ; Mafai , op. cit. , pp.79-81 e La Malfa: Intervista sul non governo a cura di A. Ronchey, Bari , 1977, pp. 57 e seg.
[41] G. Tamburrano, op. cit. , p.177 .
[42] Cfr. Il CC del PSI del 19 –20 ottobre 1962 in Avanti ! Da quel momento la sinistra di Basso e Vecchietti cominciò tra l’altro a votare contro le decisioni della maggioranza del partito.
[43] Cfr. Atti del X congresso. 3 dicembre ’62, Roma, Ed. Riunite, 1963 .
[44] Cfr. Tamburrano . op. cit. pp. 159 – 160 .
[45] Cfr. Int. sul socialismo italiano a cura di G. Tamburrano. Bari . 1977 .
[46] Cfr. Prefazione a “ Casa. Vertenza di Massa, Storia di una riforma contrastata “ , Roma, 1972 .
[47] Cfr. G. Galli . L’italia sotterranea: Storia politica, scandali. Bari, 1983 , p.176 .
[48] Per gli avvenimenti del 18 maggio ’63 cfr.R. L. Fatti e documenti, Roma. 1963. Pp. 3-32 . Mafai, op. cit. , pp. 87 – 93 .
[49] Nenni , Diari , cit. p. 285 .
[50] XXXV congresso res. sten.. 23- 29 ottobre ’63. Tra l’altro, L. dichiarava che le riforme dovevano “ modificare i rapporti di classe ed i rapporti di potere, incidere realmente sul sistema dell’accumulazione privata, trasferire ai pubblici poteri, e perciò ai lavoratori, le scelte decisionali ed investimenti, di accumulazione, di consumo, attualmente detenute dai grandi interessi privati “.
[51] Cfr. Tamburrano: op. cit. pp. 230-231. L. ricorderà le parole di Nenni alla tribuna congressuale dopo il suo discorso : “ti sei messo fuori dalla maggioranza “ . E la sua risposta : “ puoi trarne le conseguenze “ .
[52] In La Repubblica, 3 gennaio 1980 .
[53] R.L. Lo spazio dei partiti, in Avanti ! ,9 febbraio 1964
[54] Cfr. R.L. Cedolare, un passo indietro, in Avanti! , 23 febbraio 1964: L’appello di Moro, in Avanti!, 25 febbraio ’64 : con i piedi per terra, in Avanti ! 1 marzo 1964 .
[55] Cfr. R. L. , Non c’è bisogno di penitenza, in Avanti ! 14 aprile ’64 .
[56] Mafai, cit. , p.105.L’int. di R.L. :La stretta, in Avanti ! 14 aprile ‘64
[57] Cfr. R.L. Dal “Popolo” all’Unità, Avanti ! , 19 aprile ’64 ; C’è più di unmodo, 12 maggio ‘64
[58] Cfr. A. Giolitti : Lettere a Marta , cit. , p. 143 .
[59] R. L. Politica congiunturale e riforme di struttura – intervento al CC del PSI , 4 giugmo 1964, cit. , in S. Colarizzi : Scritti politici 1964 –1978 , Venezia, 1978, pp. 15 –24 .
[60] Cfr. Tamburrano : Storia e Cronaca, cit. , p. 274 .
[61] Cfr. R. L. Una crisi fuori – tempo, in Avanti ! , 27 giugno ’64 .
[62] Saluto ai compagni in Avanti ! . 21 luglio ’64 .
[63] Cfr. Lett. Del 6 ottobre cit. in Tamburrano: P. Nenni,Bari. 1986 . p.176,a proposito della nascita del secondo governo Moro, L. avrebbe aggiunto “ la tenuta del quadro democratico fu assicurata. Questa era la forza del pensiero di Nenni; la tenuta del quadro democratico era per lui un obiettivo e un risultato. Al limite sacrificare anche le riforme. Solo che poi l’arresto delle riforme indebolisce anche il quadro democratico: ci vogliono sempre tutti e due questi puntelli. “ Le differenze tra noi erano su questi temi di fondo complementari “ , cit. in Galli, Storia del socialismo italiano, cit. , p. 252 .