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CAPITOLO QUARTO

LA LOTTA PER L’AUTONOMIA NEL PARTITO SOCIALISTA

L’esordio sulla scena politica di R. Lombardi dopo l’ingresso nel PSI si  sviluppa con interventi sulle questioni economiche più scottanti: il 29 ottobre 1947 è il secondo firmatario, dopo Rodolfo Morandi, di una interrogazione al presidente del consiglio sui licenziamenti e a favore della promozione dei consigli di gestione. Appena un anno prima aveva messo in guardia di fronte ai pericoli di <<corporativismo>> di questi organismi, che nella fase post rivoluzionaria possono divenire <<organi  di collaborazione di classe>>. Da questo momento L. sembra cambiare idea; ciò avviene come spiegherà nella prima sessione del comitato Centrale del PSI, perché si è convinto della gravità della crisi economica, che pesa soprattutto sulla classe operaia, in condizioni di inferiorità per non aver realizzato le sue conquiste, ed esposta drammaticamente <<all’offensiva padronale per guadagnare mano libera nel licenziamento dei lavoratori>>. Queste motivazioni lo spingono a chiedere <<il riconoscimento giuridico dei consigli di gestione>> che (scrive nell’interrogazione) <<si sono mostrati  gli organi più propri a interpretare e rappresentare gli interessi generali della produzione>>[1].

Intanto l’ing. Continuava ad elaborare nuove prospettive politiche per l’autonomia socialista in un momento in cui, in prossimità dello scontro elettorale del 18 aprile, non sembrava più esserci spazio per chi tentava di uscire dal dilemma comunismo-anticomunismo. Di fronte alle prime avvisaglie della costituzione del Fronte popolare, l’ex-azionista, in uno dei primi articoli per l’<<Avanti>> afferma che occorre passare con decisione <<dalla mistica al programma>>. Di fronte ai pericoli di clerico-fascismo incarnati dal DC non si può opporre un blocco indiscriminato dalle sinistre, incapace di prefigurare una precisa e realizzabile alternativa al governo, blocco che avrebbe un carattere meramente <<difensivo>>:

<<un blocco di sinistra sarà giudicato solo ed in quanto esso possa garantire che vincendo, ottenendo la maggioranza. Esso sarà in grado di costruire un governo capace di funzionare e già d’accordo sul programma da realizzare nei cinque anni dal suo mandato. Programma, ben s’intende non generico o ideologico….ma calzante, aderente ai reali, delimitati, precisi problemi che esigono una soluzione>>.

Il primo problema è quello di una <<politica di organizzazione europea degli aiuti americani>>: un eventuale  blocco delle  sinistre, si chiede L. farà una politica di questo genere?

Il secondo è quello di <<una politica soprattutto sindacale, di stabilizzazione dell’economia italiana che consenta al piano di organizzarsi e svilupparsi coerentemente e col contributo della classe operaia>>.

In caso di risposta negativa alla prima domanda <<il popolo italiano si piegherà alla direzione democristiana purchè essa gli garantisca di gli indispensabili aiuti americani>>, mentre una risposta negativa alla seconda domanda implicherà la conferma dell’unica linea di politica economica applicata fino a quel momento nel paese, una linea <<in buona parte giusta ma unilaterale>> quella di Einaudi. Colpisce la straordinaria lucidità di analisi di L. dal momento che intuisce con molti mesi  di anticipo quello che sarà uno dei motivi principali della sconfitta elettorale del Fronte; e colpisce ancora di più, la mancata risposta dei leader più prestigiosi del PSI, in un momento in cui ci si appellava  al <<patriottismo>> ideologico di classe e ci si appiattiva semplicemente sulle posizioni comuniste: lo scontro ideologico escludeva qualsiasi riflessione seria, soprattutto in materia economica, da parte dei socialisti: il provocatorio articolo di L. non poteva cadere nel vuoto[2].

Il nostro confermerà i suoi dubbi sulla costituzione del Fronte, durante il XXVI congresso del PSI, al Teatro Astoria di Roma, congresso di ratifica del blocco elettorale con il PCI: nel nuovo partito di appartenenza L. ha ancora un ruolo secondario, ma il suo intervento, il 21 gennaio 1948 rileva già un carattere <<ereticale>>.

 Al congresso provinciale di Milano ai primi di gennaio aveva affermato che <<bisogna che il Fronte abbia delle finalità specifiche prima, durante e dopo le elezioni. Però non possiamo aderire alla definitività della divisione in blocchi perché le frontiere della lotta di classe  non coincidono con quelle di alcuna nazione>>. Al Teatro Astoria L. si limita ad accettare la <<formula >> frontista nella sua configurazione tradizionale di alleanza tra ceti medi e proletariato e insiste sul carattere necessariamente <<alternativo>> della coalizione delle sinistre alla DC e alle forze moderate. Nello stesso tempo rivendica l’autonomia del fronte che non può essere legato agli interessi necessariamente mutevoli dell’Unione Sovietica e ribadisce a proposito della  gestione degli aiuti americani le posizioni del novembre: <<i problemi degli effetti degli aiuti americani alla ricostruzione italiana>> afferma, <<non dipendono dalla volontà capitalista>> <<dipendono dal tipo di governo che riceve gli aiuti>>.

Quanto al dilemma che in quel momento divide i socialisti, liste separate PCI-PSI o lista unica, L. ritiene che la lista unica si giustifica soltanto se il fronte abbia una impronta desiderata dai socialisti e scopi precisi, altrimenti saranno legittimate dai  fatti  le liste separate, <<per lasciare sopravvivere una riserva di politica socialista>>[3].L’unico punto in comune con la relazione introduttiva del segretario Lelio Basso, concerne la <<ragione d’essere>> del fronte: qualora il fronte avesse operato <<per la riforma strutturale >> della società italiana avrebbe potuto essere un valido strumento di lotta. Naturalmente nel clima tesissimo della guerra fredda <<le passioni le emozioni prevalsero sui ragionamenti[4]>> e la posizione nenniana ultrafrontista e favorevole alla lista unica prevalse nettamente con il 66% dei voti. Contrario alla lista unica si era dichiarato anche Sandro Pertini, conscio del fatto che essa si sarebbe rilevata <<un’arma nelle mani di Saragat >> proprio contro il PSI; di fatti un gruppo di socialisti favorevoli alla mozione di Ivan Matteo Lombardo, contrario al fronte confluì nelle liste di <<Unità socialista>>[5].

Le preoccupazioni di L. furono ampiamente confermate dal disastro del 18 aprile, il mito del <<cargo>> ebbe la meglio e a pagarne le spese fu soprattutto il partito di Nenni; da quel momento l’egemonia e il prestigio del PCI a sinistra sarà per lunghi anni un dato inconvertibile. Dopo il 18 aprile L: figura tra i firmatari della mozione di <<riscossa socialista>> presentata al XXVII congresso del partito al Palazzo Ducale di Genova, e ne diviene in breve il sostenitore più importante. La mozione del gruppo <<centrista>> guidato da L., sostenuta in un primo momento anche da Pertini, fondata sulla rivendicazione dell’autonomia del PSI dal PCI, pur nell’ambito del patto d’unità d’azione, ottiene al congresso straordinario la maggioranza relativa: il 42% contro il 31% della <<sinistra>> di Nenni, Morandi e Basso mentre la mozione di Romita, Autonomia, consegue il 26,5% dei voti. Evidente è il fatto che la base del partito sconfessa il gruppo dirigente di <<sinistra>> che lo aveva portato alla sconfitta elettorale[6]. Alberto Jacometti, un vecchio militante del partito, uno dei primi firmatari della moizione di <<Riscossa>>, assume la segreteria, mentre R.L. è nominato direttore dell’Avanti! Carica tradizionalmente attribuita al vero <<leader>> del partito. Il vero e proprio <<caso>> di un ex azionista che diviene nel giro di pochissimo tempo l’uomo di punta del partito socialista dimostra <<quanto siano ancora allo stato fluido quasi tutti i partiti italiani del 1947-1948 e quanto poco consolidata la leadership partitica, al di fuori della DC e del PCI>>[7].

Nel suo intervento il 28 giugno L. aveva accusato Basso di volere <<un partito di quadri non di tipo trotskista come alcuno vorrebbe suggerirmi, ma leninista, del leninismo che precedette la rivoluzione di ottobre. Ma un partito di questo genere non potrà mai essere il PS, che esiste e ha una sua fisionomi a e una sua tradizione incancellabile e inestinguibile. Un partito di avanguardia, estremamente selezionato, esiste già ed è all’interno del PCI. Non c’è bisogno di farne un altro […], bisogna considerare che il partito socialista è un partito che aspira alla successione di governo>>. Per la prima volta inoltre L. aveva lanciato l’idea dell’<<autonomia delle classi operaie>> come <<mezzo per la conquista del potere>>. L’autonoma esperienza della classe operaia, che non è semplicemente l’autonomia del PSI dal PCI, è l’unico modo per costruire una società nuova: nella fase di sconfitta, così come il Fronte nel momento in cui la sinistra era all’offensiva, essa è lo strumento politico giusto per realizzare questo obiettivo e configurare un ruolo <<diverso>> anche se non <<contrapposto a quello del PCI a livello nazionale ed internazionale>>[8]. Da pochissimo eletto leader, l. dovrà affrontare la terribile repressione governativa delle agitazioni operaie e contadine seguite all’attentato a Togliatti: i giovani socialisti, nonostante la svolta anifrontista, ebbero parte molto attiva nell’occupazione delle fabbriche[9] .

Spetta al neodirettore dell’Avanti trarre le conseguenze ( ancora una volta) della sconfitta popolare.  Di fronte ad uno stato <<che si è restaurato forte e colosso anche se con i piedi di argilla>>:

<<il capovolgimento della situazione non potrebbe essere atteso come prossimo o addirittura imminente, ma sarà la conseguenza di una dura, paziente, accorta serie di azioni che esigerà non solo giorni o  mesi, ma forse anni per riuscire ai suoi fini e raggiungere i suoi obiettivi….>> [10].

In queste affermazioni c’è tutta la filosofia del L. alla direzione di <<riscossa>>: l’unica strada da percorrere per le forze popolari dopo il fallimento delle ipotesi della conquista  legale del potere, e la repressione di un tentativo parinsurrezionale  è quella del gradualismo e di un’azione riformatrice, ma questa impostazione non poteva non essere imperniata sul concetto di <<autonomia>> della  classe operaia. Scriverà sul suo giornale il 26 agosto : <<occorre stabilire, se il PSI ( e non questo o quell’altro partito socialista), oggi (e non ieri o domani) debba seguire come criterio di azione politica l’assecondamento delle esigenze di una politica estera dell’URSS, identificando la lotta di classe con la lotta tra URSS e Stati capitalistici>> dato che gli interessi sovietici non necessariamente coincidono con quelli del proletariato dei paesi capitalistici e delle colonie[11].

La polemica con Nenni e Morandi e attraverso di loro con il PCI non può essere più esplicita. L’articolo di L. scatenò una polemica assai violenta, tenendo conto dei rapporti esistenti tra i due principali partiti della sinistra in quel momento, soprattutto perché l’intrepido polemista non soltanto aveva osato mettere in discussione la coincidenza degli interessi del proletariato mondiale con quelli della patria del<<socialismo reale>> ma aveva avvalorato questa tesi con esempi  della recente storia italiana ed europea.

La <<rivoluzione mancata>> aveva scritto maliziosamente L. era mancata forse anche per <<consentire il pacifico svolgimento della rivoluzione popolare nell’Europa centro-orientale>>. La replica, durissima, venne il 4 settembre da Luigi Longo, che accusava sull’Unità <<il compagno L.>> di negare le basi stesse dell’<<internazionalismo>> e del <<socialismo>>, una vera e propria eresia negli anni della guerra fredda, anni in cui soltanto l’estinzione dell’influenza politica sui ceti medi e posizioni democratiche avanzate potevano fondare una credibile alternativa alla DC e al blocco clerico-moderato[12]:  e questo L. l’aveva capito  benissimo.

Il 18 aprile era stato eletto deputato nella circoscrizione Milano-Pavia: in parlamento si occupa principalmente di questioni di politica economica e di politica estera. Fortemente contrario alla politica atlantica e alla logica di blocchi, nel momento in cui De Gasperi andava consolidando i rapporti politici ed economici con gli Stati Uniti, comprende che questa politica ha il suo fulcro centrale ERP (European Recovery Program); nel suo primo discorso alla ……

 monopoli: proprio dalla carenza dello Stato>>:

<<se noi non vogliamo una pianificazione collettiva democraticamente controllata dovremmo rassegnarci al vincoliamo corporativo, alla creazione, o alla persistenza, o al potenziamento di organismi che apparentemente sono di libera iniziativa, ma che in realtà sono organismi feudali che si sostituiscono allo stato, che vengono a supplire alla carenza dello stato[14]>>.

La pianificazione socialista, per L., è quindi una valida alternativa al <<vincoliamo corporativo>> che caratterizza anche nel secondo dopoguerra l’economia italiana e che nega, al di là delle dichiarazioni di principio i presupposti stessi della libera iniziativa.

Queste posizioni sul problema dei rapporti commerciali sono strettamente collegate alla battaglia ingaggiata da L. per la neutralità dello Stato italiano, illustrata sull’Avanti! in vista della giornata socialista per la pace e la neutralità del 31 ottobre, dieci giorni prima. Neutralità per L. non significava adesione alla lotta <<democratica>> e <<anti-imperialistica>>dell’URSS e dei suoi satelliti, non era una neutralità di facciata. L. era convinto che la inclusione del paese nel blocco occidentale non fosse <<una fatalità, che la neutralità fosse una alternativa possibile. In polemica con il ministro degli esteri Sforza, negli ultimi mesi del 1948, ricordava alcune tesi diffuse in Inghilterra, in base alle quali una difesa militare dell’Occidente sarebbe stata più facile su di una linea da Stettino alle Alpi marittime piuttosto che sulle Alpi Giulie: di qui l’affermazione che la neutralità dell’Italia sarebbe stata possibile anche sul piano strettamente militare[15].

Uno dei temi <<classici>> della sinistra italiana ripresi in questi mesi dalla direzione <<centrista>> del PSI è quello dell’anticolonialismo: L., in questa fase accennerà ad alcuni dei problemi che saranno anche negli anni successivi al centro della sua battaglia politica. Con un rabbioso articolo alla fine di agosto, dedicherà un accenno ad un nome allora quasi ignoto alla stragrande maggioranza degli italiani: il Vietnam;

<<Si può ignorare la sanguinaria politica coloniale (francese) nella lotta contro il Vietnam o nella repressione della rivolta nazionale del Madagascar […] dove le operazioni di polizia fecero quasi centomila vittime fra gli indigeni?…si può ignorare la violenza araba contro gli Ebrei e la violenza ebrea contro gli Arabi?>>[16].

In questo periodo L. è fermamente convinto che gli USA siano il paese giuda e il promotore del neocolonialismo; più tardi intervenendo alla Camera contro la ratifica del Patto Atlantico ricorderà che in sostanza esso prevede <<la coesistenza del sistema coloniale>>. Ciò andava anche contro gli interessi del capitalismo europeo: il risorgimento economico dell’Europa sarebbe stato possibile soltanto se i popoli oppressi e soggetti al regime coloniale fossero usciti dalla schiavitù, avessero costruito una propria economia, avessero avuto bisogno di industrie, di macchinari un cambio delle materie prime; la fine del colonialismo, in parole povere, sarebbe stato il presupposto della ripresa da parte dell’Europa di un ruolo economico nel mondo.

<<Ecco il legame necessario, stretto, strettissimo che esiste tra la liberazione del mondo coloniale, fra le guerre lontane, fra le insurrezioni popolari del Pacifico o del Madagascar ecc. E quello che avviene in Europa, il legame intimo fra il tipo di organizzazione che vogliamo dare all’Europa e il tipo di politica coloniale che noi vogliamo fare>>[17].

A coronamento di questa battaglia in direttore dell’Avanti! promuoverà una straordinaria partecipazione del giornale alle ……….

 

Piano proposto da Morandi era solo una enunciazione di obiettivi: per L. era contraddittorio che ci si ponesse come  finalità un aumento dei consumi attraverso una redistribuizione dei redditi, dal momento che una pianificazione <<socialista>> avrebbe mirato a risultati opposti, ad esempio, ad un rilancio degli investimenti[19]. Sarà ancora una volta Morandi il protagonista di una polemica dai toni verbali assai accesi con L., volta a richiamare il partito alla sua fondamentale collocazione internazionale.

Il 31 dicembre L. pubblica un fondo sull’Avanti! con il quale traccia un quadro assai fosco della situazione internazionale: <<più di una volta>> scrive L. a proposito dei drammatici avvenimenti dell’anno precedente <<il mondo è vissuto nell’angoscia di un precipitare inarrestabile degli avvenimenti verso il peggio, in un orizzonte livido pronto a riverberare il sinistro bagliore dell’arma atomica>>. Lo stato di guerra latente ha imposto alla lotta politica, alle lotte di classe, in tutti i paesi una norma aberrante e una legge di sviluppo profondamente contraddittoria e illiberale >>.Da un lato, sottolinea, le classi possidenti ricorrono ai loro <<alleati di oltre oceano>> preparandosi al fascismo e al colpo di stato in caso di vittoria popolare in libere elezioni, dall’altro <<i ceti diseredati >> schiacciati dalla miseria e dalla disoccupazione presi nella morsa della disperazione, nutrono <<una crescente sfiducia nelle istituzioni democratiche>> che si traduce <<nell’affidare la realizzazione delle loro istanze meno allo sforzo autonomo e rivoluzionario delle masse, alla iniziativa popolare, alla diuturna conquista e alle faticose realizzazioni che non alla pressione militare e politica dell’Unione Sovietica>>20.

In quel contesto, rivendicare l’autonomia del PSI, rifiutare ogni paternalismo partito- masse, cioè affermare <<il recupero totale dell’integrale partecipazione e responsabilità dei lavoratori alla conquista e alla realizzazione dei propri obiettivi, della loro creatività autonoma e rivoluzionaria, dell’iniziativa popolare come fulcro decisivo dello scontro di classe21 appariva non soltanto di classe, aggiunge, non può configurarsi né esaurirsi nella lotta tra l’URSS e gli stati capitalistici, <<nel corso della quale le battaglie dei diversi proletariati nazionali perdono di importanza, o comunque i loro risultati non sono più determinati>>23.

<<Morandi era profondamente convinto dell’approssimarsi di un nuovo conflitto>> ricorderà L. <<io sostanzialmente non ci ho mai creduto >>24. Ciò spiega l’irrigidimento dei due leader sulle loro posizioni, l’uno profondamente convinto della necessità dell’unità coi comunisti, data la situazione internazionale, l’altro altrettanto certo dell’esistenza di uno spazio per una autonoma iniziativa del PSI a livello internazionale, data la non inevitabilità dello scoppio della terza guerra mondiale. Tuttavia il quadro internazionale ebbe un peso determinante tenuto conto del fatto che persino Nenni, definito da Foa <<un vecchio radicale francese>> ossessionato dal pericolo dell’isolamento della classe operaia finì per appiattirsi completamente sulle posizioni di Morandi: di lì a poco entrambi si impadronirono del partito proprio a scapito di L. e del gruppo <<neoriformista>>.

Gli attori della polemica si ripresentano infatti, restando naturalmente sulle proprie posizioni al XXVIII congresso del partito (Firenze 11-16 maggio 1949). Nella replica del 14 maggio L. rifiuta esplicitamente il ruolo guida dell’URSS del movimento operaio. Ciò non significa negare il ruolo dell’Unione Sovietica: <<siamo convinti che oggi nulla del movimento operaio si fa contro o fuori del concorso dell’ URSS>>. Si possono coordinare gli sforzi del movimento operaio italiano con quelli dell’Unione Sovietica ma non c’è spazio per<<l’assecondamento>>: per assecondare l’URSS c’è già il PCI. L’esistenza di un partito socialista si giustifica nei confronti della classe operaia, in ciascun paese, proprio in virtù della sua autonomia, del rifiuto di <<metterci a occhi chiusi come puri e semplici assecondatori di una certa politica. Su questa posizione c’è già un partito che ha questo compito e lo assolve e degnamente, il partito comunista>>.<<La guida del movimento operaio >> aggiunge <<deve quindi spettare al PSI nei casi in cui malgrado la sua forza, il suo dinamismo, i suoi mezzi e la sua esperienza il PCI finisce per essere necessariamente poralizzato da una tecnica e tattica diplomatica>>. Inoltre L. avverte chiaramente con notevole anticipo che ha reale importanza una politica di una classe operaia che rappresenti <<le esigenze non solo della classe operaia, ma dell’intera collettività lavoratrice nazionale >>, <<in modo da superare quel dato massiccio fondamentale che non è un potere di nessuno di noi cambiare, cioè il fatto che la classe operaia in Italia è in minoranza>>.25

La scelta cominformista compiuta durante lo scisma iugoslavo, la sostanziale indifferenza del PSLI, l’espulsione da parte del comitato per la ricostituzione dell’internazionale socialista (COMISCO) avevano già minato la credibilità dei L. dei Foa e dei neoriformisti nei mesi precedenti 26.

Ciò consente a Firenze <<la rivincita dei funzionari di carriera, abili nella manipolazione delle schede e delle tessere>>27, la sinistra morandiana, appoggiata da Lelio Basso, poi emarginato, conquista il PSI col 51% dei voti congressuali e <<riscossa>> scende al 32%. Nenni diviene segretario e Pertini sostituisce L. alla direzione dell’Avanti!

Il partito subisce l’ennesima scissione: gli autonomisti di Romita, scesi all’8% lasciano il PSI suscitando preoccupazione nello stesso Nenni28. Viene da quel momento ad affermarsi la visione centralizzatrice di Rodolfo Morandi, con la condanna di qualsiasi forma di attività di corrente ( nel partito si voterà all’unanimità sempre dal maggio ’49 al congresso di Venezia del 1957) e con  l’imitazione dell’organizzazione di massa propria del PCI; il tutto alla luce del chiaro convincimento ideologico espresso da Morandi al congresso dei giovani socialisti ( Modena 1950) in base al quale il PSI assumeva <<senza riserve alcune>> il leninismo <<come interpretazione e sviluppo del marxismo. Questa rigida posizione ideologica negli anni cosiddetti del frontismo ebbe a ……..

 

funzionari consentì al partito di uscire dallo <<Stato di disfacimento>>in cui si trovava dopo la sconfitta elettorale del 1948 e gettò le basi per la vasta presenza socialista nelle lotte sociali, che negli anni del centrismo agitarono particolarmente le campagne del Mezzogiorno29. La riconquista  di una dimensione organizzativa di massa dimostrata dalla crescita costante del numero degli scritti, questo nuovo potenziale di quadri e militanti dell’apparato morandiano fornì <<il supporto per l’affermazione di una libertà di movimento che andasse oltre i limiti della politica frontista, mostrandosi in grado di interpretare con maggiore elasticità le opportunità offerte dai mutamenti della realtà interna e internazionale>>30 libertà di movimento che si affermerà con decisione soltanto però intorno alla metà degli anni ’50. Più vistosi furono, però, gli aspetti negativi; settarismo, appiattimento completo sulle posizioni a livello internazionale dei paesi del blocco orientale, condizione di subalternità di fronte alla direzione comunista, soprattutto negli organismi di massa, metodi stalinisti, annullamento di ogni forma di dibattito interno31.

Il grande sconfitto in questi anni è proprio R.L. : <<a Firenze>> ricorderà in seguito

<<l’accertamento dei voti fu difficile. C’erano molti voti contestati e avevamo ancora la possibilità di guadagnare la partita in base ai dati. Fummo Foa ed io a voler evitare una frattura su questioni di conteggio di voti, che in ogni caso avrebbero riproposto una direzione di strettissima maggioranza, senza  nessuna garanzia per il partito. Rinunciammo così a giocare la partita…>>32.

In realtà per L. gli autonomisti erano già da tempo fuori gioco : << la grossa iniziativa di una campagna nazionale per la neutralità ( la giornata socialista per la pace e la neutralità) fu sabotata in quasi tutti i comizi-dibattiti che si tennero in tutte le città d’Italia , il contraddittore principale era un socialista che si opponeva alla tesi della neutralità in nome della solidarietà con l’Unione Sovietica>>33. Ma nonostante  tutto il partito riuscì a mantenere un suo ruolo nella democrazia italiana grazie alla lotta dei quadri intermedi e dei militanti contro la repressione centrista. Proprio L. ci ha lasciato un immagine efficace di un partito vivo e in lotta:

In questi anni da 1949 al 1953 l’attività dei socialisti nelle organizzazioni di massa e negli scioperi fu intensa, con sacrifici non minori di quelli che tenuto contro del rapporto di forza, affrontarono i comunisti, c’era una specie di rivalsa, da parte dei compagni, verso l’umiliazione che tutti più o meno sentivamo per il fatto di essere un   partito, non dico inutile, ma di cui  non si capiva bene questa rivalsa consisteva  nel giustificare la propria esistenza con la partecipazione alle lotte, impetuosa e qualche volta eroica, ricordiamo che è di questa epoca l’uccisione di sindacalisti socialisti  in Sicilia. Un episodio, pensate  cosa avvenne in una città come Milano, che pure era abbastanza quieta, allorché fu emessa una circolare di scelta che interdiceva la presenza dei partiti nelle officine, vietava anche le riunioni interne, le affissioni ecc.. Vi fu un’ondata di sdegno che sfociò in uno sciopero generale, trovammo la piazza del Duomo non soltanto interdetta ma occupata con le artiglierie. Io guidai la colonna che ruppe lo sbarramento e occupò la piazza. Per mesi le vie di Milano furono costellate di tavolini dove notai raccoglievano le firme per chiedere la mia rimozione dalla carica di presidente dell’azienda tranviaria milanese34.

Per quanti osassero però mettere in discussione la linea politica del partito non vi era alcuno spazio: omologarsi o perire sembrava essere la parola d’ordine . Ci furono episodi anche tristi, come la radiazione di Bosio dalla direzione di Mondoperaio e l’emarginazione di Basso, sospettato di <<deviazioni>>. Foa ricorderà che molti dirigenti socialisti vivevano in modo <<schizofrenico>> e aggiungerà: <<non c’era coerenza tra quello che  pensavi e quello che facevi. D’altra parte esprimere dubbi o critiche significava rischiare l’isolamento immediato, la cessazione di ogni rapporto col movimento operaio>>35. Il partito era dominato da Morandi e <<…tutta la sua azione convergeva a togliere qualsiasi ragione autonoma di vita>>36. L.  riallaccerà i rapporti con morandi soltanto nel 1955 durante il Congresso di Torino quando, a pochi mesi dalla morte prematura, il leader socialista apparirà cosciente del fallimento completo della sua politica. Tuttavia, l’unico leader socialista che nel suo comizio di chiusura della campagna elettorale del ’48 con Paletta, aveva fatto <<un accenno fortemente critico a quanto era avvenuto in Cecoslovacchia>>37che aveva osato rispondere a Togliatti polemicamente ricordandogli Bucharin38, finiva, in questo periodo per mimetizzarsi nel conformismo dell’epoca. A lungo sarà emarginato ma non abbandonerà il partito, durante le grandi battaglie, mantenendo un lungo silenzio sul tema dell’autonomia e dei rapporti con gli alleati comunisti. Infatti, sarà uno dei protagonisti, a livello parlamentare delle lotte del movimento  operaio contro le involuzioni autoritarie dell’era degasperiana e per la pace contro la logica dei blocchi e la corsa agli armamenti ripresa nei primi anni ’50 nel clima tesissimo della guerra fredda.

Nella primavera del 1949 partecipa, intervenendo frequentemente alle sedute parlamentari burrascose, con clamori, scambi di invettive e scontri anche fisici che accompagnano la firma del patto atlantico. Intervenendo il 16 marzo polemizza aspramente con i falsi <<europeisti>> affermando che il patto atlantico avrebbe <<istituzionalizzato>> la dipendenza economica e politica dell’Europa verso gli Stati Uniti. A La Malfa che gli ricorda la sua prima adesione al piano Marshall L. risponde che allora era convinto che esso avrebbe compreso tutta l’Europa (quindi anche l’Europa orientale e l’URSS) e non  sarebbe divenuto un fattore di divisione tra i due blocchi.

Il dibattito  ebbe risvolti drammatici, al conte Sforza, ministro degli esteri, che accennava a minacce interne, L. interrompendone l’intervento rispondeva con veemenza :

<<cosa vuol dire questo sentirsi minacciati dall’interno, se non un riferimento esplicito all’azione dei partiti che si presumono,  che  si accusano di essere alle dipendenze, di essere delle quinte colonne, come voi dite, di questo o di quel paese?…>>39.

Pajetta raggiungerà i banchi del governo e sfiorerà con un pugno il volto di De Gasperi; il trattato veniva firmato a  Washington il 4 aprile . In quel periodo L.  si batteva per una vera neutralità: ma sull’unità del 18 marzo Togliatti indicava nella DC <<il partito americano della guerra>> e Nenni, poco prima dell’elezione a segretario del PSI, sull’<<Avanti!>>  scriveva: <<De Gasperi vuole fare indossare al nostro popolo l’uniforme della legione straniera del capitalismo>>. L. sarebbe ritornato  sul piano Marshall nel discorso pronunciato il 14 luglio durante la discussione per la ratifica e l’esecuzione del trattato; secondo L. il discorso di qualche giorno prima del presidente Truman dimostrava ampiamente il fallimento <<su scala italiana, su scala europea e su scala mondiale>> del piano Marshall. Infatti il presidente americano aveva annunciato un piano di produzione per le  aziende del suo paese pari a 300 mila miliardi di lire, il che voleva dire una rinnovata e accentuata espansione  delle esportazioni americane nel mondo e soprattutto in Europa: il legame di dipendenza economica sarebbe aumentato e si sarebbe venuto a sommare al patto militare sancito dal trattato. L. intuiva bene che si stava affermando un nuovo tipo di colonialismo, egemonizzato dagli Stati Uniti, di tipo economico che si sarebbe imposto non soltanto sui paesi del terzo mondo, che con i movimenti  a favore dell’indipendenza politica si stavano affrancando dal vecchio colonialismo ma sulla stessa Europa, uscita stremata dal secondo conflitto mondiale; unica via per uscire da questa stretta era l’incremento dei rapporti commerciali con l’Est europeo40.

 Con questo spirito L: aderirà al movimento dei partigiani della pace, diventandone uno dei dirigenti per l’Italia e, nell’aprile del ’49, parteciperà al primo congresso mondiale della pace che si svolge a Parigi frattanto si occuperà con passione dei principali problemi dell’economia e in particolare della disoccupazione: aderisce con entusiasmo alla proposta formalizzata a Genova, nell’ottobre del 1949 dal segretario della CGIL Di Vittorio, per il <<piano del lavoro>>. Il sindacato prevedeva nell’arco di tre o quattro anni, la formazione, attraverso il piano di 600-700 mila nuovi posti di lavoro; seguendo una impostazione neokeynesiana il piano non mirava ad una pianificazione generale dell’economia italiana, che implicava l’esistenza di un ordinamento socialista ma <<si collocava nel sistema sociale esistente e tentava di sottrarre il processo di ricostruzione del paese dall’arbitrio dell’iniziativa privata>>41. Nel febbraio del 1950 L. scrive, a proposito del piano, che esso <<costituisce la grande prova della raggiunta coscienza della classe operaia di essere capace di dirigere l’economia produttiva nel senso dell’interesse collettivo>>42: evidentemente il sindacato, per la prima volta lanciava un programma economico che come l’ex ingegnere auspicava da anni, avrebbe consentito alle sinistre di elaborare un chiaro progetto politico alternativo a quello di stampo conservatore imperniato sulla DC.

L. chiariva che qualunque risposta <<che non si faccia carico della natura strutturale della crisi>> era <<totalmente inadeguata>> e rispondeva a De Gasperi che aveva dichiarato che <<i piani ci sono>> ma <<mancano i quattrini per realizzarli>> affermando che la <<giusta impostazione del problema è tutt’affatto diversa:

Senza dubbio alcuno per eseguire un programma di investimenti occorre il risparmio, cioè una quota di beni prodotti ma non consumati, ma non è necessario che tale risparmio preesista all’investimento; esso può essere il prodotto dell’investimento, tanto maggiore quanto più vario e più produttivo è l’investimento stesso […] sotto questo aspetto va intesa la dichiarazione che <<il piano finanzia se stesso >>43.

Inoltre L. sosteneva che il piano stimolasse alcune attività produttive in maniera selettiva ed automatica, nella consapevolezza che il meccanismo degli stimoli comporta anche la  necessità di deprimere altre attività non produttive;  proprio per superare i problemi del finanziamento, afferma alla conferenza della CGIL, non si possono dare <<incentivi rivolti indiscriminatamente a tutte le attività produttive, senza alcuna selezione qualitativa, il che rappresenterebbe il rovescio, ma con gli stessi errori della politica di Einaudi nel ’47, rivolta a deprimere gli incentivi all’investiemnto>> ma occorrono

Investimenti selezionati su direttrici precise corrispondenti al massimo dell’utilità collettiva individuata nella massima capacità di occupazione permanente, nella massima produttività di beni destinati al consumo delle classi povere, nel massimo incremento dato dall’utilizzazione delle risorse produttive esistenti e sottoutilizzate, infine nella massima produzione di beni esportabili verso mercati permanenti e complementari44.

D’altra parte L. consigliava la costituzione di mezzi e organi pubblici preposti a impedire o a limite a contenere la carica inflazionistica che qualsiasi programma di investimento porta con se: agendo opportunamente e con intelligenza su nuove leve di comando (che consentissero, ad esempio, di utilizzare le riserve auree e di valuta estera a scopi produttivi o di utilizzare il margine di riserve tra la media dei prezzi all’ingrosso e la circolazione monetaria) si poteva evitare la spirale inflazionistica e si poteva affrontare la situazione creata dall’inizio del piano.

Per la prima volta inoltre, come avverrà negli anni ’60 a proposito delle riforme del centro-sinistra, sostiene la necessità che il piano presupponga una seria riforma burocratica o la costituzione di nuovi organi più leali ed efficienti: <<ma vi immaginate, afferma, che un piano del genere possa essere applicato dalla burocrazia italiana, dove qualsiasi provvedimento, anche il più moderato deve passare attraverso una serie di interventi di autorità che lo svisano, lo snaturano, ancora prima che possa arrivare alla sua fase di realizzazione?>>.

 Per L. occorre dare <<preminenza all’investimento pubblico rispetto a quello privato: perché il risanamento della nostra arretrata struttura economica>> e la ricostruzione non può essere affidata alla libera iniziativa bensì deve essere <<il punto di arrivo di una direzione cosciente e responsabile>>. Per la prima volta, dunque, vengono enunciati i principi e quella che sarà negli anni a venire la politica di programmazione. Inutile aggiungere che il progetto non fu nemmeno preso in considerazione: leggendo a posteriori il piano, in un articolo sull’<<Avanti!>> del maggio del 1975 L. scrisse che un limite va cercato nell’<<ottica un po’ miope dei dirigenti confederali nella valutazione della situazione economica italiana>> di quegl’anni e nella sopravvalutazione della crisi45.

In realtà col senno di poi, non si può prescindere nell’analizzare le cause del fallimento della proposta, da una certa miopia e ad una certa grettezza della classe dirigente: De Gasperi e la Confindustria continuavano a vedere nelle proposte anche moderati del movimento operaio, delle finalità politiche inesistenti anche se lo stesso L. aveva ammesso che il piano avrebbe potuto costituire l’avvio alle  riforme di struttura>> del resto L. aveva mai visto con chiarezza il carattere trasformista e sostanzialmente conservatore di quello che ormai stava divenendo il partito-stato: la DC . Di fronte alle nuove promesse di riforme, avanzate dal partito di maggioranza in un discorso alla Camera. Il 2 febbraio del ’50 L. afferma che <<lo sfondo totalitario, presente nella DC si traduce in un’azione politica all’insegna del trasformismo, per l’esigenza <<tecnica>> di soddisfare tutte le richieste che il paese pone al governo, sia quelle di <<immobilità, di regresso o di reazione>> si quelle di <<progresso e di mobilità>>.

Le correnti democristiane, aggiunse, <<sono interscambiabili le une con le altre>> e sono prive di una identità definita, <<siete prigionieri di forze che non potete controllare>> conclude, accusando il governo di avere ripristinato il costume di qualificare i cittadini in <<simpatizzanti o non simpatizzanti per i partiti dell’ordine>> e invitandolo ad accogliere la proposta del sindacato: <<vi chiediamo qualcosa che è possibile: non potete fare a meno di noi…46.

L’anno precedente L. aveva riconosciuto i lati positivi del piano Fanfani sull’edilizia popolare, ma aveva rammentato all’ allora ministro del lavoro che era necessaria << la presenza dei rappresentanti dei lavoratori al governo>>: Fanfani aveva risposto che <<non si può negare che i partiti di governo rappresentino i lavoratori italiani >>47. A distanza di un anno L. comprendeva che la DC non era in grado di realizzare alcuna riforma seria, al di là dei proclami e delle buone intenzioni proprio per la natura stessa di partito che comprendeva tutto e il contrario di tutto, e incarnava istanze addirittura contrapposte.

 Sarebbe tornato sul piano del lavoro in una serie di interventi contro la corsa agli armamenti, ricominciata anche in Italia, dopo lo scoppio della guerra di Corea che aveva prospettato l’inizio di un nuovo conflitto mondiale. L’aumento delle spese militari appariva una follia in un paese dove la disoccupazione era un problema di ordine primario : a più riprese L. mette in guardia dall’utilizzare il piano di riarmo varato da Pacciardi come <<succedaneo del piano del lavoro>> unica proposta valida in campo contro la disoccupazione 48. Il XXIX congresso del PSI ( Bologna 17-20 gennaio 1951) segna il definitivo allineamento del partito sulle posizioni comuniste e staliniane: Morandi sarà nominato vice-segretario di Pietro Nenni .

Nel suo intervento congressuale L. si limita a soffermarsi su alcune <<questioni tecniche>> come <<il piano del lavoro>> senza affrontare i nodi della politica internazionale e dei rapporti tra socialisti e comunisti nel paese: chiede soltanto <<un partito nuovo>>, un modello organizzativo in ogni branca di attività >>, la <<omogeneità della direzione politica>> perché occorre un consenso unanime della direzione>> per affrontare la <<offensiva capitalistica>> e conclude affermando che i problemi vanno affrontati <<all’interno e non al di fuori della classe operaia>>. Non a caso verrà escluso da tutti gli apparati del partito e diraderà i sui interventi sugli organi principali del PSI49.

Nell’agosto L. interverrà nuovamente contro la politica economica del governo, durante la discussione sulla formazione del settimo ministero De Gasperi: proprio la polemica contro la linea economica del ministro Pella aveva determinato la crisi del precedente governo: contro Pella si erano schierati in particolare alcuni esponenti della sinistra DC, favorevoli ad una linea meno fondata sul perseguimento del pareggio del bilancio; d’ altra parte anche negli Stati Uniti si suggeriva un uso keynesiano degli aiuti previsti dal piano Marshall e una certa programmazione economica diretta a risolvere la crisi occupazionale50. Per L. una certa pianificazione dell’economia non poteva prescindere da una vigorosa politica antimonopolistica: <<Vogliamo stabilire una lotta efficace contro la disoccupazione, una lotta per una nuova politica economica senza associare questa lotta ad una azione energica per il controllo e la riduzione di potere dei grandi monopoli italiani?…..>>.

Nello stesso tempo il deputato socialista polemizza contro <<l’imperialismo missionario>> occidentale, ricordando le crudeltà della guerra in Corea e citando il pacifismo di un gruppo di intellettuali cattolici francesi gravitanti attorno al filosofo Mounier e alla rivista <<Esprit>>. <<La politica della neutralità >> aggiunge <<è la più difficile e la più impegnativa non è la politica della facilità ma la solo politica su cui sia possibile avere l’unità nazionale>>51. Tornando a polemizzare con Pella l’anno seguente insisterà sulla necessità <<di un intervento pianificato dello Stato >> e lancierà una accusa, destinata a grande fortuna nella pubblicistica di sinistra e ben rappresentativa delle condizioni di gran parte dei lavoratori negli anni più difficili della guerra fredda: <<Pella fa i disoccupati e Scelba li fucila >>52. Forse proprio la coscienza della necessità di una certa pianificazione economica per superare la crisi occupazionale dei primi anni ’50, spiega l’ingenuità di L. nella polemica con un altro ex azionista, Ernesto Rossi: in quegli anni L. fu molto attratto dai risultati raggiunti in URSS dalle pianificazioni quinquennali, al punto da pubblicare in nota introduttiva ad un opuscolo sul quinto piano quinquennale, dei dati relativi alla produzione sovietica alla fine del quarto piano quinquennale. I dati erano stati utilizzati dall’<<Unità>> il 24 settembre 1952 per dimostrare i maggiori progressi compiuti dall’URSS rispetto ai paesi capitalistici dal 1929 al 1950.

Sul <<Mondo>> Ernesto Rossi aveva messo in dubbio l’attendibilità dei dati riportati da L. 53, che gli rispondeva ricordando che era possibile ricevere notizie sufficienti sull’ammontare della produzione in URSS <<in cifre assolute non soltanto in percentuale>>. Rossi, ironico come sempre, fu costretto a fare una bella rampogna al vecchio compagno di partito ricordandogli che in un paese con un regime totalitario le statistiche obbediscono più alla necessità di fare propaganda che ad una seria ed obiettiva scientificità54.

Bisogna però comprendere che la necessità di avallare l’inizio di una programmazione economica spingevano il nostro ad una certa miopia verso le armi della propaganda staliniana; inoltre come stato sottolineato, la sua proposta di apertura ai mercati dell’Est assumeva un valore prevalentemente politico inteso a rompere la sempre più rigida chiusura ad ogni forma di dialogo e di cooperazione  tra Est e Ovest e a contenerne i riflessi negativi  sul piano interno>>55.

Il XXX congresso del PSI tenutasi a Milano tra l’8 e l’11 gennaio del ’53 segna l’inizio della svolta in senso autonomista del partito: di li a poco lo smacco della legge truffa, il successo delle destre e dei socialisti alle elezioni del 7 giugno,la crisi del centrismo e il tramonto dell’era degasperiana, spingeranno i nuvi dirigenti della DC a parlare di <<apertura a sinistra>> ed ad esercitare pressioni sempre più insistenti verso il PSI perché rompa il patto d’unità di azione con il PCI .

La mozione conclusiva del congresso è ancora fortemente condizionata dall situazione internazionale (l’inasprimento della tensione mondiale) e della battaglia in difesa della costituzione in un clima politico interno acceso da un tentativo democristiano di consolidare la base parlamentare della maggioranza attraverso una legge elettorale di tipo maggioritario.

Il tono di Nenni è, però, diverso da quello dei precedenti congressi: lanciando la formula dell’alternativa socialista tende a distinguere la politica del suo partito  da quel del PCI e dichiarando di confidare nella <<possibilità di abbandonare la politica della guerra fredda>> esprime una maggiore speranza nel clima della <<distensione>>.

 Sarà proprio L. reduce da un furioso dibattito parlamentare sulla legge truffa  (2 gennaio) però a ricordare che <<rompere la solidarietà con i partiti della classe operaia significa esporsi all’influsso reazionario>> e a denunciare <<l’opera di pressione>> e di <<corruzione>> verso il PSI.  Dopo essersi a lungo soffermato sulle questioni del terzo mondo conclude che <<nessun socialista può fare a meno di essere un partigiano della pace>> e <<il mondo del lavoro racchiude in se l’unica possibilità di dare soluzione coerente ai problemi della vita nazione ed è l’esclusivo portatore della civiltà e della rinascita della libertà e della dignità umana>>56. Sull’onda di queste dichiarazioni L. esce per la prima volta dopo anni dal ghetto ed entra a far parte della segreteria del partito ancora saldamente inumano al duo Nenni-Morandi. Frattanto continua la lotta incessante per la modernizzazione dell’economia italiana e per le riforme: il 18 febbraio 1953 il primo firmatario di una proposta di legge per la <<Nazionalizzazione dei monopoli elettrici>>. Nel corso di un convegno sulla crisi dell’energia elettrica del 1959 L. lamentava un insufficiente investimento nel settore della produzione idroelettrica, ma aggiungeva <<la mancanza non si può addebitare ai privati in  quanto che, una volta che si parte dal criterio che il regolatore dell’investimento deve essere il profitto non possiamo poi impedire al privato che si regoli secondo questo criterio>>. L’unica via di uscita appariva fin da allora la nazionalizzazione57. Nella proposta di legge L. osservava che <<un ulteriore massiccia produzione di elettricità avrebbe implicato per i gruppi elettrici italiani <<un sensibile allontanamento dal livello del loro profitto>>. D’altra parte il <<complesso sistema di tariffe differenziate>> si realizzava <<soprattutto a danno delle regioni meridionali e delle piccole e medie utenze>>, e lo sbocco delle tariffe richiesto dai gruppi elettrici non avrebbe dato alcuna concreta garanzia che l’incremento di profitto così realizzato fosse realmente impiegato in nuove costruzioni di impianto. L. si richiamava all’art. 43 della Costituzione per spezzare il regime di monopolio. In questo momento L. si rifà ancora alla cultura liberale e antimonopolista nel sostenere la <<necessità>> della nazionalizzazione: ma le resistenze sono fortissime e il suo disegno di legge non sarà mai discusso fino al 1962.

Nel clima di contrapposizione frontale di questi anni L. continuava a sostenere le lotte sul terreno democratico delle forze sindacali e politiche di sinistra: nel marzo del ’54 difende le posizioni del suo partito di fronte al quadripartito Scelba-Saragat, il cui programma politico prevede la discriminazione dei militanti comunisti nell’amministrazione pubblica per favorire la inclusione del PLI nella compagine governativa, e provvedimenti a carattere sociale per attenuare i conflitti e le proteste, garantiti dalla presenza di esponenti del PSDI come Ezio Vigorelli  particolarmente sensibili alle tematiche della miseria e della disoccupazione . <<Non si può attuare una politica di incremento della produzione e di maggiore impiego>> ricorda Scelba <<senza che a questa politica partecipino i sindacati>>. La collaborazione dei sindacati è possibile

Ove i lavoratori siano garantiti che i sacrifici e le limitazioni consentiti servano effettivamente a realizzare una politica favorevole ai lavoratori e non, come spesso è avvenuto in passato, per aiutare la borghesia nei momenti difficili a superare le sue difficoltà e a mantenere i suoi profitti…58.

Forte è la polemica contro Saragat: L. si chiede perché i partiti socialisti asiatici, e fra questi quelli dell’India, Indonesia e Giappone non abbiano aderito all’internazionale socialdemocratica e conclude: <<vi fuggono da essa proprio i partiti socialisti dei paesi in diretta lotta contro l’imperialismo e il colonialismo>>. Nel ’54 L. appare consapevole del fatto che è iniziato, seppure timidamente, il decollo economico, ed è convinto della necessità che i costi della crisi non siano pagati esclusivamente dai lavoratori per favorire la ripresa; per la prima volta parla di <<modificazione di strutture, più difficili in Italia che in ogni altro paese>>. Del resto il congresso democristiano di Napoli sanciva l’inizio di un cambiamento anche in politica: il centrismo appariva sconfitto ed emergeva la figura di Fanfani, più favorevole ad un certo intervento dello stato nell’economia. Proprio in quella occasione Ezio Vanoni, riconoscendo che lo sviluppo economico del paese stava avvenendo con notevoli  storture, lanciava la proposta al famoso <<piano>>. Gli obiettivi del piano sono ben nhoti: riduzione del divario nord-sud, creazione nell’arco di dieci anni di 4 milioni di posti di lavoro attraverso l’aumento del ritmo degli investimenti, opere pubbliche; condizione  necessaria e sufficiente sarebbe stato un aumento annuo del reddito del 5%. L’interesse di L. per la proposta di Vanoni prova una spiegazione nel fatto che esso nasceva nell’orbita <<dell’economia keynesiana o postkeynesiana>> è rappresenta un tentativo di razionalizzare lo sviluppo economico del paese. Già nel marzo del ’55 L. riconosceva che il piano <<era un avvenimento di primaria importanza nella vita politica italiana>>59. Ma pur riconoscendo che esso rappresentava la presa di coscienza da parte della classe dirigente del problema occupazionale ne metteva in luce  i difetti principali: in primo luogo le proposte operative dello schema non avrebbero portato ad alcun risultato in quanto si risolvevano in misure congiunturali applicate ad una situazione economica che richiedeva modifiche strutturali;

<< se la disoccupazione di massa, scrive, non è stata nel passato triennio assorbita e ridotta, perché dovrebbe nel prossimo decennio essere assorbita non solo la disoccupazione potenziale proveniente dall’incremento demografico nel decennio, ma anche quella attuale ereditata dal triennio precedente?…>>

Il piano avrebbe potuto essere accolto come prima ipotesi di lavoro, indipendentemente dalle sue evidenti lacune e sproporzioni ma doveva essere completato e reso coerente dalla predisposizione di strumenti finanziari idonei (prestiti, fiscalità, manovra del saggio di sconto)60.

Pochi mesi dopo spetterà ancora a L. il compito di illustrare la posizione del suo partito durante il dibattito parlamentare sulla situazione economica.

Nel discorso Parlamentare L. ritornerà sul valore <<politico>> del piano; contro chi è  diretto? Non può essere considerato uno strumento; è un fatto politico che <<rompe con alcune classi e ceti>>, <<io affermo che, se appena cominciate a dar mano al piano, avrete bisogno del nostro concorso>>. Insomma, L. sfida apertamente la DC sul terreno delle riforme, e sembra dire che senza l’appoggio delle forze di sinistra il progetto non avrà possibilità di riuscire. Ma perché il piano non fallisca è necessario non puntare ad un aumento degli investimenti tanto massiccio quanto indiscriminato che porterebbe ad un rafforzamento dei monopoli, che assorbirebbero tutte le risorse disponibili senza un reale beneficio per la collettività: bisogna puntare e controllare, selezionare gli investimenti <<separando, anzi rompendo il legame che esiste tra il possesso di un’azienda e il diritto di determinare gli investimenti61. Ciò implica che per L. scelte rigorose come il controllo del credito e la ferma direzione delle aziende statali. Al di là dei toni critici L. offriva la disponibilità politica del PSI a Vanoni, pur rilevando che taluni esponenti politici (citava il ministro del tesoro Gava) vedevano il piano  come una mera ipotesi di studio oppure (è il caso di Malagodi) lo interpretavano a modo loro. La concreta realizzazione del piano determinerà, <<difficoltà nuove. Le superermo, ma le supereremo in un clima diverso, in un clima di tensione che inevitabilmente porterà dietro al piano le masse popolari a capire che c’è qualcosa di serio che si può fare e si va facendo>>. Assai più cauta fu la risposta dei comunisti62. L’apertura di L. sul piano è la prima manifestazione della svolta in atto da tempo nel suo partito; si intreccia all’inizio del dialogo dei socialisti con i cattolici e alla primogenitura del centro sinistra. Tuttavia le critiche mosse da L. al piano mettono in luce un aspetto importante: il piano avrà successo solo se alle parole seguiranno i fatti e soprattutto solo se avrà certe caratteristiche. Sembra intuire che senza l’apporto dei socialisti la carica riformatrice della proposta si esaurirà ben presto, e che in realtà la volontà politica in senso riformatore della DC fanfaniana è assai scarsa: di fatti il piano Vanoni si rivelerà una bolla di sapone; ridotto a semplice previsione di sviluppo, senza alcun carattere prescrittivi applaudito per questo  anche dalla stampa imprenditoriale, si tentò da parte degli industriali <<di accreditarlo come strumento diretto, soprattutto ad assicurare la stabilità monetaria, mediante la tutela del risparmio e degli investimenti>>63.

In questa fase, però, la posizione possibilista di L. si inserisce in un contesto politico ben diverso dagli anni precedenti. Dal 1955 in poi la sua figura emergerà con determinazione nel nuovo partito autonomista; diventerà in breve l’ago della bilancia, tra le diverse correnti, fino a rendersi determinante per il prevalere della nuova impostazione della politica nenniana, favorevole all’esperienza di governo.

 



1 AURELI : Il pensiero economico, cit. in MERCURI: L’azionismo nella storia d’Italia, pp. 342-343.

2 cfr. R. L. Dalla mistica al programma in <<Avanti!>>, 18. 11.1947; e sul carattere spregiudicato e <<tagliente>> dell’analisi di L. ; F. TADDEI: Il socialismo italiano nel dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche (1943-47), Milano, 1984, pag. 430-433.

3Cfr. R. L. <<La prospettiva democratica>> in L’Italia socialista , 21.1.48. Il discorso è anche riportato in F. PEDONE:Il PSI nei sui congressi, vol. V, 1942-1955, pag. 182-183.

4 LEPRE, op. cit., pag. 105.

5 Cfr. GAMBINO,op. cit. pag. 418.

6 Sugli esiti del congresso Cfr., G. GALLI: Storia del socialismo italiano, Bari, 1980, pag.197-198

7 G. GALLI, I partiti politici italiani; dalla resistenza all’Europa integrata, Milano, 1991, pag. 74.

8 Cfr. Avanti! 30 giugno 1948.

9 Cfr. TORTORETO, op. cit., pag. 54-55.

10 Cfr. R.L. : <<Impaziente in Avanti! >>, 11 agosto 1948.

11 Cfr. Editoriale in <<Avanti!>> 26 agosto 1948

12 Cfr. BARBAGALLO: Classe, Nazione, Democrazia, cit. pag.492. quanto alla risposta di Longo all’Editoiale di L.: <<Il compagno Lombardi, ammettendo l’ipotesi di un contrasto tra gli interessi generali di classe e gli interessi del paese in cui la classe operaia è al potere […] non si accorge che in questo modo nega  le basi stesse sull’internazionalismo e del socialismo […]; scrive Longo sll’Unità del 4 settembre, questo partito, questo proletariato, questo paese hanno oggi nella battaglia mondiale per il socialismo, la funzione di guida>>. E a  proposito dell’accontonamento delle riforme: <<chi ha accantonato queste riforme? Che centra l’URSS con le riforme in Italia? Quando, come comunisti hanno proceduto a questo accantonamento ? il compagno R.L. dirà: è un fatto però che le riforme non sono state realizzate. Esatto ! è un fatto, ma non perché noi comunisti le abbiamo accantonate bensì perché i nostri alleati, i democratici che con noi combatterono la guerra di liberazione, non marciarono più con noi dopo il 25 aprile per realizzare i postulati della resistenza>>, l’art. e citato in Mafai, op. cit. pag. 51-52.

14 Cfr. int. Alla Camera dei deputati il 29.10.1948, cit. in Aureli, pag. 342-44.

15 TORTORETO, op. cit., pag. 57.

16 Cfr. R. L. Il misogallo in Avanti! del 31. 8. 1948.

17 Cfr. int. alla Camera del 16.3.1949.

19 Cfr. S. BARTOLOZZI BATIGNANI:La programmazione in <<La cultura economica della ricostruzione>>a cura di G. MORI, Bologna , 1980, pag. 103-137.

20 Cfr. R. L. <<Prospettive 1949>> in Avanti! 31 dic. 1948 cit., in MORANDI , Il partito e la classe, vol. VI, delle Opere, Torino, 1961, pag. 48.

21 S. COLARIZI, Introduzione a scritti politici, cit., pag. 21.

23 Cfr. R. L.<<False gravidanze>> in Avanti! 18 gen. 1949.

24 Cfr. MAFAI, cit. p. 54.

25 Cfr. R. L. Per il partito e la classe, int. al XXVIII congresso, cit., in Pedone cit. pag. 266.

26 Cfr. GALLI, op. cit. pag. 201.

27 Cfr. S. LANARO, Storia dell’Italia repubblicana,Venezia, 1992.

28 Nenni annota nei diari: <<è finito stamani…(il congresso). I giornali lo considerano una mia vittoria, anzi un mio <<ritorno trionfale>>. Non è stato invece un buon congresso non soltanto perché ha reso inevitabile la scissione di Romita e dei sindacalisti di destra, ma perché il centro ha proposto gli stessi temi amletici dell’essere o non essere>>.

29 Cfr. BARBAGALLO, Classe, Nazione , Democrazia, cit., pag. 493.

30 Cfr. MARCO G. ROSSI: Una democrazia a rischio, in Storia dell’Italia Repubblicana,  cit., pag. 973-74.

31 Cfr. A riguardo P. AMATO, Il PSI  tra frontismo e autonomia ( 1948-1955), Roma, 1978, pag. 316-371.

32 Cfr. R.L. :Il PSI negli anni dello stalinismo in Mondoperaio, febbraio 1979, pag. 85.

33 Ibidem. L. aggiunge che la sconfitta quindi fu voluta di fronte alla insostenibilità di una battaglia in quelle condizioni  di disparità ( la giornata socialista per la pace si tenne il 31.10.1948.)

34 Ibidem.

35 Cfr. FOA, Intervista a Mondoperaio, ottobre 1977.

36 R.L. , <<Il PSI negli anni del frontismo>>, int. a cura di G. Mughini in <<Mondoperaio>>, giugno 1977, pag. 54.

37 Ibidem.

38 A. Togliatti che guardando Saragat in parlamento affermava che aveva un collo alla Petkov (il capo del partito contadino bulgaro, condannato a morte e impiccato) L. aveva risposto che lui <<aveva una nuca alla Bucharin>>, cit. in Foa, Il cavallo e la torre, cit., p.150.

39 Int. cit. in Il dibattito alla camera sull’adesione dell’Italia al Patto Atlantico: Il trauma della NATO. Ed., Cult e Pace, 1989.

40 Cfr. Inter. Alla Camera del 14 luglio 1949.

41 Cfr. S. TURONE, Intervista all’Unità del 28 giugno 1994 sul piano del lavoro. Cfr. GINSBORG: Storia d’Italia, cit. pag. 253-255.

42 Cfr. art. di R. L. su Rinascita n.2, 1950.

43 Cfr. R. L. Interv. Alla Conferenza Economica Nazionale della CGIL, Roma 18-20 feb. ’50, cit. in Colarizi, cit., pag. 23-27.

44 Ivi.

45 S. COLARIZI: Introduzione a Scritti Politici, cit. pag.26.

46 Cfr. R.L:, Per una politica contro una non politica C. d. D. 2 feb. 1950.

47 Cfr. AA. VV. Il parlamento italiano: vol. XVIII, una difficile transizione 1959-63, Milano, 1991, pag. 267.

48 Cfr. R. L. La macchina della miseria in Avanti! 3 gennaio 1951.

49 Cfr. F. TADDEI: Guida alla storia del PSI in <<quaderni del circolo Rosselli>>Firenze, luglio-settenbre, 1951.

50 Cfr. LEPRE, op. cit. , pag. 143 .

51 Cfr. int. R. L. alla C. d. D. 2 agosto 1951.

52 Cfr. R. L. Facciamo il punto della polemica con l’on. Pella, disc. Cam. Dep. 7 maggio 1952  .<<Il solco che divide il paese deve essere colmato. Non è possibile ghettizzare il movimento operaio e i suoi rappresentanti >>.

53 Cfr. Gli art. sul <<Mondo>> dell’11 ottobre, 25 ottobre e 8 novembre 1952.

54 Cfr., in part. Cocktail  Sovietico in il mondo, 8 nov. ’52.

55 Cfr. AURELI, op. cit. , pag. 347.

56 Cfr. per il congresso PSI di Milano: TADDEI, op. cit., pag. 42; GALLI: Storia del Socialismo italiano, cit. pag. 216. Per l’int di L. Avanti! 10 gennaio 1953. questi accenti sono singolari per un L. fino ad  allora accanito oppositore di Nenni. Per la prima volata, certamente indignato dell’arroganza dell’ultimo De Gasperi L. arriva ad affermare esplicitamente la <<superiorità del sistema socialistico su quello capitalistico>>.

57 Cit. in MAFAI, op. cit. pag. 78.

58 Cfr. R.L. ,<<un governo anacronistico e provinciale>> int. alla Camera dei deputati, 9 marzo 1954

59 Cfr. R.L. alcune note sul piano Vanoni in <<Mondoperaio>>. 5 marzo 1955, cit. in COLARIZI, pag. 32.

60 Ivi.

61 Cfr. R.L. i socialisti di fronte alla mano Vanoni, Camera dei deputati, 20 luglio 1955

62 Cfr. MAFAI, cit. p. 41-42. GIORGIO AMENDOLA parlò di un piatto di lenticchie mentre Antonio Presenti liquida il piano come una serie di <<elucubrazioni ragionieristiche>> pur rilevandone gli aspetti positivi. Infatti scrive su Rinascita (ottobre ’55): <<esso esprime la coscienza ormai matura della nazione della necessità di risolvere certi problemi nazionali>>.

63 MARIO G. ROSSI: Una democrazia a rischio, cit., pag. 987.

 

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