Luigi Covatta: Le lotte di classe in Francia vanno regolarmente in scena ogni sabato mattina, non si sa se in forma di farsa o in forma di tragedia. Senz’altro in forma di farsa, invece, è cominciato il pellegrinaggio di Di Maio e Di Battista alla ricerca di alleati nel resto d’Europa: ma anche le farse possono sfociare in tragedie, o almeno sconfinare nel grottesco.
Il processo popolare sulla piattaforma Rousseau, tuttavia, è difficile da digerire: e meriterebbe da parte dell’opposizione una reazione diversa da quella relativa alla trasparenza del voto dei sanculotti, nonché da parte della presidenza del Senato un fermo richiamo a tutela delle prerogative della Giunta delle immunità e di ciascuno dei suoi componenti.L’opposizione invece gioca di rimessa: forse perché ha la coda di paglia anche quando si tratta di contestare la trattativa sulle cosiddette autonomie. Essa infatti è legittimata innanzitutto dall’incauta riforma del Titolo V della Costituzione, approvata dal centrosinistra nel 2001 con cinque voti di scarto ed offerta in dono a Francesco Rutelli a mo’ di voucher per un viaggio premio nel meraviglioso mondo del federalismo: e più di recente dal riflesso pavloviano che nell’ottobre del 2017 impedì al Pd di prendere posizione sui referendum consultivi promossi dal Veneto e dalla Lombardia. Allora i democratici, dopo essersi scottati con l’acqua bollente della legge Boschi, temettero anche il gavettone di acqua fresca predisposto da Zaia e Maroni. Peccato. Avrebbero potuto cogliere l’occasione per riprendere il filo del discorso bruscamente interrotto il 4 dicembre dell’anno prima (questa volta col conforto di un pronunciamento popolare che segnalava comunque la necessità di una robusta manutenzione della Costituzione più bella del mondo): e forse anche per riprendere l’iniziativa in vista delle elezioni politiche. Così non fu, e il governo Gentiloni aprì una trattativa a fuoco lento: senza immaginare che, magari obtorto collo, la Lega di lotta e di governo non avrebbe potuto evitare di riattizzarlo. Ora tutti temono di bruciarsi le dita: anche Matteo Salvini, che fino a prova contraria è pur sempre un senatore calabrese. Mentre a Sud solo De Luca e De Magistris, ciascuno a suo modo e secondo il proprio ruolo, finalmente si accorgono che c’è un problema. Del tema ci siamo occupati più volte, da ultimo con un saggio di Marco Cammelli pubblicato ad ottobre dell’anno scorso: sempre comunque postulando la necessità di un radicale riordino del governo del territorio, come per esempio quello proposto a suo tempo dalla Società geografica italiana che prevedeva l’accorpamento sia delle Regioni che delle Provincie; e senza dimenticare che Massimo Severo Giannini, nei lavori preparatori per la Costituente, per i Comuni aveva fissato la soglia minima di centomila abitanti.Ci siamo occupati più volte, anche, del caciccato che governa le regioni meridionali, e che è fra le cause non ultime dell’exploit elettorale dei 5 stelle: un altro tema che dovrebbe stare in cima ai pensieri dei dirigenti del Partito democratico, in attesa della celebrazione delle primarie e dopo avere già calendarizzato (il gioco di parole è voluto) la probabile sconfitta elettorale di maggio. Perciò sottoscriviamo parola per parola la lettera aperta che Michele Salvati ha indirizzato ai soci di “Libertà eguale”, e che pubblichiamo nella sezione dedicata alle “modeste proposte”. Come si vede, i temi su cui elaborare un Libro bianco sulle prospettive dell’Italia non mancano. Non manca neanche il consenso nelle piazze, a giudicare dal successo della manifestazione sindacale del 9 febbraio e da quello delle madamine torinesi su cui ha ironizzato la sindaca Appendino. Ma perché non capiti ancora una volta che con le piazze piene le urne restino vuote quella che manca è una cultura politica unificante. Nel nostro piccolo continueremo a dare il contributo di cui siamo capaci per costruirla.