Pubblichiamo intervista integrale rilasciata sul Sole24 Ore da Corrado Passera: «La disoccupazione giovanile va battuta con la formazione»

 

l’Intervista

“Passera: «La disoccupazione giovanile va battuta con la formazione»

In 10 anni persi 2 milioni di posti under 35. La politica non dà risposte. Serve un grande investimento nella scuola tecnica secondaria

di Carlo Marroni

 

Corrado Passera da poco meno di anno è tornato alla guida di una banca, da lui creata da zero, illimity, quotata in Borsa e completamente online, dove ha riversato la sua lunga esperienza di manager bancario-finanziario, industriale, editoriale, e anche di ministro e politico sul campo.

Corrado Passera, siamo dentro una surreale crisi di governo, nel mezzo di una frenata dell’economia. E nessuno si preoccupa di giovani e disoccupati.
I numeri parlano chiaro ormai da tempo e la risposta delle classi dirigenti, quella politica per prima, sono del tutto inadeguate: 10 milioni di italiani non hanno lavoro o non hanno un lavoro sufficiente, almeno 5 milioni di posti di lavoro potrebbero essere a rischio per l’impatto delle nuove tecnologie. Abbiamo perso quasi 2 milioni di posti di lavoro rispetto a 10 anni fa tra gli italiani sotto i 35 anni. E poi il 35% di disoccupati giovanili e 25% di NEET (giovani che non studiano né lavorano, ndr) sono numeri terribili che ci mettono tra i peggiori Paesi in assoluto. Non a caso siamo tra gli ultimi in Europa come investimenti in istruzione.

 

Tante persone e tante famiglie che hanno letteralmente paura del futuro e che esprimono la loro insoddisfazione per non dire la loro paura e la loro rabbia.
La rivolta contro le élites e le varie forme di populismo ed estremismo che abbiamo davanti agli occhi in tutto il mondo sviluppato – e ancora libero – sono almeno in parte conseguenza di questi numeri. La storia dice che situazioni di questo genere possono mettere a rischio addirittura la democrazia.

Avete assunto 300 persone, perlopiù giovani. E allora parliamo di giovani e di formazione per il mondo del lavoro, tema che dovrebbe essere centrale per ogni seria agenda politica del nostro Paese, ma che resta sempre buttata là in fondo, nei talk show nessuno ne parla neppure per sbaglio…
Nel mondo del lavoro la scienza e la tecnologia, la globalizzazione dei mercati e l’invecchiamento della popolazione stanno cambiando tutti i punti di riferimento.

Questo è ormai un quadro assodato….
“Si, ma non se ne comprendono tutte le implicazioni e non si agisce di conseguenza. Scienza e tecnologia creano nuove opportunità, ma rendono obsoleti moltissimi lavori: molti nuovi mestieri si stanno creando, ma molti posti di lavoro attuali – ci sono indagini che parlano addirittura del 50% – sono a rischio: non solo quelli manuali, non solo quelli amministrativi, ma anche quelli più professionali. Una sfida da cogliere ridisegnando il sistema educativo”.

 

Anche la globalizzazione è acquisita, o almeno sembrava, visto quello che accade tra Usa e Cina.
Chiariamoci: globalizzazione vuol dire tre cose. Apertura dei mercati e delle società: concorrenza di tutti, da tutto il mondo su tutto. Non saranno le tariffe di Trump o le svalutazioni di Xi che possono bloccare le tecnologie e le competenze che si muovono comunque sempre più rapidamente. L’Italia è, per altro, uno dei paesi che può maggiormente avvantaggiarsi dalla globalizzazione.

Gli altri due elementi?
Veri rivolgimenti sociali e mobilità crescente. Un miliardo di nuovi benestanti nei paesi in via di sviluppo. Una classe media frastornata e impaurita per il futuro dei figli in molti paesi sviluppati. Persone di ogni livello che si muovono tra Paesi e continenti senza più vincoli e, spesso, senza più regole. I paesi come l’Italia nei prossimi anni si faranno concorrenza per attirare gli immigrati più adatti al loro sviluppo.

Poi c’è l’invecchiamento della popolazione.
Che significa pensioni più lontane e più basse, quindi ricambio più lento e, senza adeguata crescita, meno spazio all’introduzione dei giovani. Va profondamente ridisegnato l’intero sistema di welfare prima che diventi un incubo invecchiare nei nostri Paesi. Una urgenza su tutte: l’assicurazione universale per coprire il rischio della non autosufficienza. Si potrebbe realizzare in tempi brevi senza aumentare il costo del lavoro.

Torniamo ai giovani.
“Il mondo del lavoro del prossimo futuro è in parte imprevedibile, ma certamente se fai un lavoro a basso valore aggiunto il tuo lavoro andrà ad un immigrato o comunque non ti permetterà di vivere dignitosamente. Ci saranno, purtroppo, sempre più lavoratori poveri. Se fai un lavoro non a basso valore aggiunto, ma sostituibile da un robot o da un computer il tuo lavoro andrà a un robot o a un computer. Anche se farai un lavoro a alto valore aggiunto, ma non sarai più che bravo nel farlo, il lavoro te lo porterà via qualcuno più bravo di te perché la competizione aumenterà”.

Questo in teoria. Ma nella pratica?
Molti mestieri attuali saranno più difendibili di altri, soprattutto quelli creativi, quelli professionali con forti elementi di giudizio, quelli che implicano forti rapporti interpersonali (sia nel mondo profit che non profit), quelli imprenditoriali, quelli legati all’utilizzo di macchinari e computer complessi, quelli legati all’economia digitale o a settori tecnologici in crescita come robotica, genomica, biotecnologie, intelligenza artificiale, cybersecurity. Per non parlare della nuova medicina e della nuova agricoltura o dell’artigianato di qualità. Questo messaggio va prima di tutto compreso dalle famiglie che spesso indirizzano i figli verso mondi e mestieri che non esisteranno più o che saranno messi a rischio.

 

Per prepararsi davvero ad affrontare il mondo del lavoro sempre più competitivo.
Sì, e in continua evoluzione. Non sarà necessario solamente prepararsi meglio – altro che diplomi e lauree facili….! – , ma bisognerà prepararsi ad aggiornarsi per tutta la vita per non diventare presto obsoleti e, comunque, bisognerà essere pronti a cambiare varie volte lavoro nella vita per non subire, ma cavalcare i cambiamenti che avverranno in tutti i settori. Formazione e flessibilità sono sfide per tutta la società: è una nuova responsabilità delle imprese (purtroppo l’Italia è tra gli ultimi paesi nella classifica della formazione in azienda) ed è responsabilità della politica ridisegnare l’impianto del welfare ed evitare che flessibilità diventi sinonimo di paralizzante precarietà.

Molti lavori del futuro ancora non si sospettano nemmeno…
Ma già ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro non coperti nel grande mondo dell’economia digitale e nelle nuove tecnologie e in molti di questi campi l’offerta formativa è ancora scarsa.

E in questo campo fioriscono anche in Italia startup di ogni tipo.
Per me è un enorme piacere! In pochissimi anni sono nate oltre 10.000 startup innovative e parecchie città italiane stanno diventando dei veri hub riconosciuti internazionalmente. Da ministro, mi sono dedicato, tra le altre cose, ad una normativa che facilitasse la nascita e lo sviluppo di nuove imprese innovative perché in tutto il mondo le startup sono un motore formidabile di innovazione e di creazione di nuove opportunità di lavoro. Le due priorità del sistema Italia”.

Da una ricerca da voi commissionata emerge che tra le aspirazioni massime dei giovani c’è quella di diventare imprenditori e scienziati, e solo molto dopo calciatori o influencer.
Prima di calciatori o influencer, nella ricerca, vengono anche gli artisti. Se la stragrande maggioranza dei giovani guarda con ammirazione a scienziati, imprenditori – affermati o startupper che siano – e artisti vuol dire che tanti stereotipi sui giovani non sono veri e che tanti si stanno impegnando seriamente.

Tutto parte dalla scuola.
La scuola deve prepararsi e cambiare drasticamente rispetto ad oggi: non saremo protagonisti nel XXI secolo con una scuola del XIX ! Sia dal punto di vista dei valori – la convivenza e il pluralismo prima di tutto – che delle tecnologie e dei metodi didattici che dei cicli scolastici: il primo “divide” da superare è quello che si sta creando tra i bambini che ricevono i giusti stimoli intellettuali ed emotivi anche dai primissimi anni di vita rispetto a quelli che fino a sei anni non ne ricevono quasi. Ma è proprio un cambio di prospettiva che tutti dobbiamo interpretare: in un mondo dove tutte le informazioni sono disponibili è più importante saper fare le domande giuste con il giusto spirito critico che imparare alcune risposte, che spesso invecchiano presto. Io ho fatto il classico, e ne sono felice, è stato di grande stimolo nella mia vita. Ripeto: è più importante imparare a collaborare con altri diversi da te che a ripetere una lezione, uniforme per tutti, che qualcuno ti racconta e poi ti chiede di ripetere.

 

In questo si innesta la formazione tecnica nell’ottica dell’inserimento lavorativo…
“Parte della nostra disoccupazione giovanile e del vergognoso numero di dropouts – ragazzi e ragazze che lasciano la scuola prima della conclusione dei cicli – deriva dal non aver investito abbastanza in queste direzioni. Serve un miglior orientamento per evitare di indirizzare giovani in direzioni senza futuro e comunque non coerenti con le loro propensioni. Serve un grande investimento nella formazione tecnica secondaria – gli Istituti Tecnici – per valorizzare i molti buoni che già esistono e per aprirne ai nuovi mestieri delle tecnologie e del web. Vanno fatti funzionare gli Istituti Tecnici Superiori per garantire non solo una reale formazione tecnica terziaria, equipollente a quella universitaria, ma anche per dotarci di luoghi di formazione continua per tutta la vita professionale.

Come si collega con il mondo del lavoro? Le imprese hanno fame di bravi tecnici giovani.
Va usato al meglio lo strumento dell’apprendistato per facilitare l’inserimento lavorativo, non solo per i giovani, ma per i lavoratori di tutte le età che cambiano lavoro. Se una quota anche minore delle enormi risorse destinate al Job Act fossero state destinate all’apprendistato, gli effetti sarebbero stati ben più significativi e duraturi”.

Lei ha appena creato una nuova startup bancaria, c’era bisogno di una nuova banca ?
Sì. Perché oggi è possibile creare banche con un paradigma totalmente nuovo: senza legacy, con vantaggi di costo sostenibili, con la possibilità di integrare innovazione digitale in tempi velocissimi come mai era successo in passato. Noi al digitale di ultima generazione aggiungiamo competenze ed esperienze professionali di prim’ordine e applichiamo il nostro modello al comparto più delicato e a rischio dell’economia italiana: le imprese che vanno bene ma che potrebbero crescere di più, le imprese che hanno problemi, ma possono essere risanate e rilanciate, le imprese che sono andate male ma che possono ancora esprimere del valore. Tutte imprese che hanno bisogno di una banca che guardi più ai piani futuri che ai risultati passati e che lo faccia con competenza finanziaria, esperienza industriale e applicando le più avanzate tecnologie dei dati. Una impresa bancaria, illimity, che darà soddisfazione ai suoi azionisti e creerà valore per l’intero sistema Italia che ha bisogno di crescere di più e di creare più posti di lavoro.

Ha creato una banca totalmente digitale, in un momento in cui si affacciano le valute digitali, e mi riferisco a quella annunciata da Facebook…
La ricerca di innovazione deve sempre andare d’accordo con le regole di fondo della comunità nelle quali viviamo. Le cryptovalute a me sembrano un grande rischio di truffa per gran parte degli utilizzatori e, con la scusa di efficientare un sistema di pagamenti – per altro già efficiente – temo si voglia fare un gran regalo a evasori e criminali in genere. Togliere il controllo democratico sulle valute, che sono un elemento fondamentale della sovranità di uno Stato o di un gruppo di Stati e creare, di fatto, uno Stato a se stante con, appunto, propria valuta, con proprie regole e tribunali e chissà quali altre autonomie dalle giurisdizioni esistenti, è innovazione da monitorare con attenzione “