Libertà e discriminazione
Riflessione di Giovanni Monchiero
Ha suscitato grande scalpore, la settimana scorsa, una dura presa di posizione contro il “green pass” da parte di Giorgio Agamben e Massimo Cacciari, due fra i filosofi italiani più noti al grande pubblico.
Il documento – poche righe apparse sul sito dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici – riprende argomenti “no-vax” e, sebbene gli autori si dichiarino vaccinati, è stato subito ascritto alla letteratura antiscientifica e come tale stroncato da tutti i commentatori favorevoli alla diffusione del vaccino. Lapidario l’amato (da me, e da moltissimi) Gramellini: è come se Fauci pretendesse di spiegare Heidegger. Feroce il matematico Odifreddi che ha accusato i due di essere nemici dichiarati della scienza.
Messo in questi termini il discorso sarebbe chiuso e non richiederebbe commenti. In realtà quel che dicono i due filosofi è irrilevante in materia di vaccini ma molto significativo sul piano politico perché tocca le fondamenta stesse del governo della “polis”. Sin dall’incipit, che esige la citazione testuale: “La discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B, è di per sé un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica.”
Sulla base di questa premessa, il “green pass” viene assimilato al passaporto interno lungamente utilizzato in Unione Sovietica, agli strumenti di controllo sui cittadini di cui continua ad abusare la Repubblica Popolare Cinese e persino alle leggi razziali nazifasciste. Non v’è polemica che non comporti qualche esagerazione, e nelle repliche e controrepliche successive si è andati anche oltre. Lo stato di emergenza viene definito “un insulto alla Costituzione” (Cacciari, ieri); il “green pass” apparterrebbe “alla logica del controllare e del punire” ( Cacciari, il 28 luglio), mentre Agamben, il 30 luglio, pone la domanda retorica :” Come è possibile che non ci si renda conto che un paese… non è più, di fatto, una democrazia ?”
Qualche dubbio sulla qualità della vita democratica in Italia (e in gran parte dell’Occidente) in verità l’avevo coltivato anch’io, ma per ragioni opposte a quelle dei nostri filosofi. È trascorso mezzo secolo da quando Giorgio Gaber, poeta e profeta, ammoniva che la libertà non è star sopra un albero e nemmeno il volo di un moscone e concludeva, con l’ottimismo della sinistra dell’epoca, che la libertà è partecipazione.
Una democrazia piena e partecipata si colloca ai confini dell’utopia, ma per partecipare bisogna almeno riconoscersi nella società ed accettare le regole di base della convivenza. La prima delle quali è la reciprocità: tratta gli altri come vorresti che loro facessero con te. Nel caso di specie: non voglio essere contagiato e quindi cerco di non contagiare.
Da quando i nostri antenati sono, metaforicamente, scesi dall’albero, hanno dato vita a forme di aggregazione sociale variegate e complesse, non necessariamente collocate su una linea di continuo progresso. È stata scritta una storia con alti e bassi che ha visto antiche democrazie evolvere in tirannidi, rivoluzioni trasformarsi in imperi e, in tempi recentissimi, popoli evoluti, ricchi e colti, precipitare nel totalitarismo. Dopo la stagione delle dittature e l’ecatombe della Seconda guerra mondiale, la libertà dell’individuo è tornata ad essere, nel mondo occidentale, fondamento della società politica. Sino alle esasperazioni del presente.
Il dubbio se sia lecito, per il governo di un paese democratico, attuare politiche di sanità pubblica, anche imponendo degli obblighi, non nasce certo dalla lettura della nostra Costituzione, che esplicitamente lo consente, ma dall’abitudine a considerare la libertà del singolo l’unico valore meritevole di tutela.
A questa visione della libertà fa riferimento anche il nuovo concetto di discriminazione, molto lontano dal dettato costituzionale, che vieta di discriminare in base a quel che si è, non a quel che si fa. Ognuna delle leggi che disciplinano gran parte della nostra vita, impone limiti e sanzioni a chi non le rispetta. Molte saranno inutili, qualcuna anche sbagliata, ma violarle non è un atto di libertà e farle rispettare non configura discriminazione.
3 agosto 2021