L’inflazione al 2,5%. Situazione transitoria di Ubaldo Livolsi

Tratto dalla Discussione.com”del 20 ottobre 2021

“Professor Livolsi, prima la pandemia, poi la ripresa hanno caratterizzato un’impennata dei
prezzi che mettono a rischio diversi settori, dalla produzione di beni alle costruzioni, si tratta
di inflazione vera o altro?

Quello della inflazione è un tema ricorrente nell’attuale dibattito sulla politica economica ed è
corretto tenere monitorato il suo andamento, del resto è notizia di questi giorni il dato che
l’inflazione ha superato il 2,5%. Tuttavia, a mio parere si tratta di una situazione temporanea,
legata a diversi effetti congiunturali, tra cui in prima istanza l’aumento del costo dell’energia,
del gas e del petrolio, dovuto in particolare alla grande domanda da parte della Cina, che è
stata costretta ricorrere alle proprie scorte per assecondare le crescenti richieste delle
strutture produttive. A tutto ciò si aggiungano da una parte le politiche di crescita sostenibili,
stabilite in particolare dall’Ue e dagli Usa, con una roadmap degli obiettivi da raggiungere che
complicano le corrette dinamiche sugli approvvigionamenti con costi che ricadono sulle
aziende, dall’altro il ricatto della Russia che può chiudere e aprire a piacere i rubinetti del gas,
anche se il presidente Vladimir Putin ha sostenuto che il prezzo del gas diminuirà. Il tema del
costo delle costruzioni, e quindi le eventuali conseguenze sull’inflazione, è collegato
all’incremento del prezzo del ferro e dell’acciaio – con i nostri produttori che stanno
guadagnando mondo – materie prime fondamentale nell’edilizia. Anche in questo caso credo
che siamo in presenza di un’inflazione legata all’impennata della domanda connessa a sua volta alla ripresa post-Covid, il prezzo dei materiali impiegati nelle costruzioni scenderà non
appena le aziende investiranno in nuovi sistemi produttivi più efficienti.

’Italia è uno dei maggiori Paesi esportatori di prodotti finiti, ma dipende da Taiwan per la
produzione di chip. A causa di un aumento esponenziale del costo ci sono difficoltà pesanti in
vista per l’industria tecnologica, degli elettrodomestici e del comparto automotive. L’Italia
dipende dal Canada per l’importazione del grano e siamo il primo paese produttori di pasta al
mondo. Non pensa che nel lungo periodo questo possa rappresentare una grande minaccia per
il nostro Paese?

L’Italia è un Paese manifatturiero e in ciò abbiamo aziende la cui eccellenza è riconosciuta nel
mondo. Dipendiamo anche però dalle importazioni tecnologiche e da quelle alimentari. Anche
in questo caso assistiamo a uno squilibrio della domanda rispetto all’offerta e credo che la
nostra industria sarà in grado, assecondando la crescita della domanda, di tenere i prezzi sotto
controllo. La domanda di microchip è fondamentale per i settori dell’automotive – pensiamo
alla conversione nelle auto ibride ed elettriche – degli elettrodomestici e di tutti i dispositivi,
dai videogiochi alla domotica, sempre più governati dall’elettronica. La crescita della domanda
si deve in particolare alla Cina, che è uscita per prima dalla emergenza Covid, e che quindi è
stata avvantaggiata per ripartire e cavalcare la ripresa. Il tutto è complicato poi dalla
situazione geopolitica, con Taiwan che produce il 90% dei microchip e sui cui proprio in questi
giorni Pechino ha espresso la volontà di una unificazione, anche con azioni militari
dimostrative. Dall’altra parte c’è il problema delle derrate alimentari, ambito in cui pochi player
(Bayer/Monsanto, Syngenta/Adama, BASF e UPL/Arysta) controllano circa 70% del mercato
della fornitura agli agricoltori di semi, agrofarmaci. E dall’altra parte, secondo la FAO, già oggi
senza gli agrofarmaci avremmo il 30% in meno dei raccolti. È evidente su questi argomenti
servono politiche che devono essere concordate a livello mondiale con l’Unione europea, di cui
l’Italia è uno dei Paesi leader, che deve avere un ruolo sempre più importante, evitando di
essere tagliata fuori dalle alleanze, tra Cina e Russi da un lato e Usa e UK dall’altro.


Vi è un aumento diffuso dei costi dei trasporti anche a causa di direttive ONU per l’utilizzo di
combustibile per navi che fa schizzare in alto i costi dei noli e di conseguenza quello di
trasporto dei containers, che impatta negativamente su tutto il sistema economico. Come si
può risolvere questa problematica a livello macro economico? in questo momento sembra
come se tutti gli sforzi di politica economica espansiva non abbiano portato ai risultati sperati.
Quello dell’aumento del costo logistica è uno dei grandi nodi. Anche qui la causa è stata la
ripresa della domanda post-Covid che ha determinato una forte richiesta di navi, ma la forte
concentrazione dello schipping, la chiusura di alcuni porti cinesi hanno fatto incrementare di
molto il costo dei trasporti. Si pensi anche alla crisi del canale di Suez del marzo scorso,
quando la “Ever Given” si arenò bloccando il traffico marittimo lungo una essenziale arteria
globale, con il mondo che guardò con apprensione alla liberazione di questo colosso da
224mila tonnellate. Nel 2021 un container sulla tratta Europa-Cina può arrivare a costare cinque
e fino a sette volte di più rispetto al periodo pre-pandemico. Tutto ciò riguarda molto l’Italia.
Personalmente sono fautore della internazionalizzazione delle nostre eccellenze per produrre o
commercializzare tramite JV i propri prodotti all’estero, penso alla Russia e alla Cina, tuttavia,
come dimostrato in questo 2021, può pesare il tema dei trasporti e della logistica per la
distribuzione dei prodotti. Penso che tale questione debba essere necessariamente risolta con
scelte coraggiose (per esempio con il reshoring) laddove esistano politiche vantaggiose di
contenimento dei costi e dell’energia di cui abbiamo detto. Tuttavia sono convinto che alla fine
il libero mercato con un aumento – tramite investimenti produttivi – dell’offerta, sempre più
vicina ai mercati di consumo, saprà riequilibrare l’attuale eccesso di domanda riportando sotto
controllo l’inflazione e questa speriamo temporanea esplosione dei prezzi.

L’inflazione, dopo l’impennata delle materie prime, sarà destinata a scendere. Mentre
l’economia italiana potrà contare sul Piano nazionale di Ripresa con i fondi per le
infrastrutture che miglioreranno le performance di un Paese manifatturiero che ha un ruolo da
protagonista. Il professor Ubaldo Livolsi ha una visione pragmatica; è ottimista. Per lui,
conoscitore di politiche finanziarie e strategie di impresa, il futuro del Paese è sempre più
legato alle eccellenze e all’export.
Con un obiettivo che deve essere rafforzato, quello della internazionalizzazione delle imprese del Made in Italy.”