Riflessioni di fine Dicembre
La bellezza non salverà il mondo
Giovanni Monchiero
La frase di Dostoevskij richiamata – e contraddetta – nel titolo è citazione tanto frequente quanto
abusiva. La bellezza cui si riferisce l’autore non ha nulla a che vedere con l’estetica. Si tratta di una
bellezza morale, ferma e ingenua determinazione nella ricerca del bene e del giusto. Una visione
messianica del tutto estranea alla cultura del nostro tempo.
Ogni volta che sentiamo ripetere che “la bellezza salverà il mondo” è, invece, in un contesto
estetizzante, si tratti di esprimere ammirazione per una singola opera d’arte, per una città, per un
museo, per una iniziativa di valorizzazione di un autore, un’epoca, una scuola. Ed è in questo
significato, improprio, che mi è venuta alla mente in un recente viaggio a Firenze. Con la sezione
dell’UniTre del mio paese (Canale, provincia di Cuneo, poco più di 5000 anime) quattro giorni di
immersione totale nelle meraviglie della culla del rinascimento.
Nell’organizzare i dettagli del viaggio eravamo rimasti favorevolmente impressionati dalla severa
meticolosità delle regole di accesso in alcuni musei, in particolare alla Galleria degli Uffizi:
prenotazione obbligatoria, scaglionamento a orari precisi, maggiorazione per i gruppi superiori alle
undici unità. Finalmente, mi son detto, un po' di serietà. E ripensavo all’ultima caotica visita ai
musei Vaticani, con fiumi di stranieri ad inseguire guide maratonete: tutti di corsa sino all’imbuto
delle Stanze di Raffaello, impossibile muoversi e faticoso persino respirare; una boccata d’ossigeno
nella ariosa cappella Sistina e poi via, di gran carriera, verso San Pietro.
Nella certezza di non ripetere l’avvilente esperienza, ci siamo incamminati verso gli Uffizi in tre
piccoli gruppi, compatibilmente con i rigidi criteri di ammissione. Con qualche stupore il mio
scaglione è stato accolto all’ingresso ben prima dell’orario stabilito e ci siamo ritrovati tutti
assieme in barba alla famosa regola degli undici. Pur essendo di primo mattino, all’interno c’era
già folla, nelle sale di esposizione il caos. Alcune erano state addirittura destinate a mostre
occasionali di interesse nemmeno paragonabile a quello delle opere spostate, chissà dove,
all’insaputa dell’audioguida ufficiale che nessuno ha provveduto ad aggiornare.
Nella celebre “Tribuna”, edificata dal Buontalenti per esporre le più importanti sculture antiche
raccolte dai Medici, una installazione (si dice così) dell’artista portoghese Joana Vasconcelos: dal
soffitto pendono volumi di stoffe a vivaci colori dal titolo “Royal Valkyrie”. Della medesima autrice
avevamo ammirato, il giorno prima a Palazzo Pitti, “Marilyn” un paio di enormi scarpe con tacco a
spillo che dovrebbero richiamare quelle indossate dalla Monroe nel film “Quando la Moglie è in
Vacanza”, realizzate con pentole e coperchi in lucidissimo acciaio inox: richiamo all’angustia e ai
tormenti della condizione femminile.
Tocco finale. Nella sala dedicata a Durer e Cranach, una custode dà improvvisamente in
escandescenze e si mette ad inveire, urlando, contro il mondo, il governo e il museo, senza che
nessun collega intervenga a ridarle serenità. Dopo quest’ultimo incidente acceleriamo il passo
all’uscita, a rivedere il sole in un radioso meriggio novembrino.
Rientrato a casa, vado a riesumare l’intervista che il sovrintende agli Uffizi aveva rilasciato al
Corriere la settimana precedente il nostro viaggio. Eike Schmidt (un tedesco importato ai tempi del
Ministro Franceschini) comunica che sta per diventare cittadino italiano, come la legge gli
consente avendo sposato una mantovana. L’intervistatore gli domanda se c’è del vero nelle voci
che lo vorrebbero candidato a Sindaco (il che la dice lunga sulla penuria di vocazioni) e lui: “non
confermo ne smentisco”, come un qualunque, mediocre, politico italiano.
Si vanta di avere reso “pop” gli Uffizi e coniugato arte ed economia incrementando gli incassi.
Prima di lui, afferma, “i visitatori sembravano persino sgraditi”, mentre adesso arrivano giovani a
cercare “sale dove fare balletti per Tik Tok”. Ma, precisa, “abbiamo studiato un’illuminazione che
renda difficile girare i video”.
A me sembrerebbe preferibile educare i visitatori ad un maggiore rispetto, rinunciando, se del
caso, a qualche biglietto d’ingresso, anche perché la grande arte è quella che viene compresa da
tutti. Appartiene al senso comune tacere ammirati davanti a Michelangelo e sorridere dei tacchi di
Marilyn. Solo lo snobismo intellettuale può permettersi il contrario.
La bellezza – quella classica cui sovrintende Venere – probabilmente non basterà a salvare il
mondo. Ma la domanda da porsi oggi è un’altra: il mondo saprà salvare la bellezza?