Nel 1991 ebbi la ventura di collaborare con Giulio Andreotti

Nel 1991 ebbi la ventura di collaborare con Giulio Andreotti, che a seguito di un rimpasto aveva preso l’interim del ministero dei Beni culturali, presso il quale svolgevo la funzione di sottosegretario. Quando andai a presentarmi tenne a fornirmi una istruzione per l’uso. “Ora tu mi manderai un sacco di carte da firmare, e vedrai che a margine di ciascuna ci saranno mie annotazioni a penna”, mi disse: “Tu non leggerle nemmeno, perchè non sono per te ma per i nostri collaboratori, che devono sapere che noi prima di firmare leggiamo”. E poi mi raccontò che quando era diventato ministro la prima volta, alla Difesa, aveva trovato un appunto imbarazzante firmato dal suo predecessore, Antonio Segni, che nel frattempo era diventato presidente della Repubblica. Non mi risulta, peraltro, che si fosse rivolto alla Procura della Repubblica. Forse perchè fin d’allora sapeva usare la propria “manina”. Certamente perchè, a differenza di Di Maio, era consapevole della reciproca indipendenza del potere esecutivo e del potere giudiziario.