Riflessioni di Aprile e Maggio 2024 di Giovanni Monchiero

          

              Miiracolo in corsia

Ha avuto vasta eco mediatica il documento, sottoscritto dal Nobel Parisi e da altri tredici studiosi di
varie discipline collegate alla sanità, che propone di aumentare sensibilmente il Fondo sanitario
nazionale, portandolo all’8% del Pil dall’attuale 6,2 che ci colloca agli ultimi posti fra i paesi
dell’OCSE. Si tratterebbe di circa 32 miliardi di euro, una cifra molto lontana dal trend di
incremento della spesa sanitaria che ha fatto registrare un picco ai tempi del Covid faticosamente
mantenuto, in termini assoluti, negli anni successivi segnati, peraltro, da gravissima inflazione.
Chi tiene i cordoni della borsa non ha battuto ciglio, impegnato com’è a ricomporre l’equilibrio dei
conti pubblici messo a dura prova dal folle bonus del 110 per cento, che di miliardi ne è già costato
120 e che rischia di arrivare a 200. Mentre ogni giorno nuove statistiche ci mostrano l’incremento
del numero di chi incontra difficoltà ad accedere alle cure, di chi è costretto a pagarsi le visite o
addirittura vi rinuncia, fa male al cuore constatare che un governo ha buttato alle ortiche una intera
annualità di spesa sanitaria e che quelli successivi ancora non sono riusciti a tamponare la falla. La
politica che siamo soliti considerare inutile può rivelarsi tragicamente dannosa.
Il clamore suscitato dall’iniziativa dei quattordici offre indiretto sostegno a coloro che ritengono
improcrastinabile una riforma del sistema sanitario che, utilizzando le potenzialità delle nuove
tecnologie, lo adegui strutturalmente ai bisogni e lo spogli di procedure obsolete. Anche su questo
tema la politica fa orecchie da mercante, trincerandosi dietro alle difficoltà economiche e al potere
diffuso: ricondurre ad unità i 21 servizi sanitari regionali sarebbe già memorabile impresa.
La politica non ama esprimere una visione d’insieme né guardare al futuro: preferisce misurarsi con
il contingente. Il tema del giorno è, da anni, la lunghezza delle liste d’attesa. Molti sono stati gli
interventi, ma la situazione è costantemente peggiorata. Il governo ha scelto la via di destinare
risorse vincolate e qualche risultato probabilmente lo otterrà.
Correlata alle liste d’attesa è la polemica sulla libera professione intra-moenia che la Bindi si sforzò
di disciplinare ricevendo aspre critiche, nell’immediato dai medici e, oggi, dalla politica e dai suoi
dintorni. La libera professione – da sempre esercitata dai sanitari – comporta di per sé un
atteggiamento di favore verso chi paga. Ma nel contesto di un servizio pubblico caratterizzato da
difficoltà di accesso a prestazioni garantite dai LEA, accresce la percezione di un’ingiustizia.
L’argomento meriterebbe una trattazione ben più profonda che rinvio ad altra occasione. Mi limito,
qui, ad osservare che per correggere la stortura percepita ognuno dice la sua. Degna di nota, anche
per l’autorevolezza del proponente, l’idea del sottosegretario Gemmato che, rispondendo ad una
interrogazione, ha promesso un intervento governativo per monitorare i tempi di attesa della libera
professione “per ricondurli in uno con l’attività istituzionale”.
La proposta di allungare, in un empito di egualitarismo, l’attesa dei paganti uniformandola a quella
generale, mi fa venire in mente una vecchia storiella da avanspettacolo che avrete sentito da
barzellettieri di un paio di generazioni. Un giovanotto di bell’aspetto che, a seguito di un incidente,
ha perso l’uso di un braccio, disperato per i modesti risultati ottenuti dalla scienza, decide di recarsi
a Lourdes a invocare il miracolo. Alla grotta si prostra davanti alla statua dell’Immacolata e la
prega:” Madonnina, fa che diventi come l’altro”. Un lampo accecante, un rombo di tuono e si
ritrova con entrambe le braccia paralizzate.
12 aprile 2024

               Orazio e la tartaruga

Un mese fa, alla presentazione dell’annuale rapporto Aiop, il Ministro della Salute, Orazio
Schillaci, annunciò ulteriori finanziamenti a sostegno di nuove misure per la riduzione delle liste
d’attesa. I 520 milioni stanziati in finanziaria sarebbero stati sollecitamente raddoppiati per
retribuire prestazioni straordinarie di medici ed infermieri impegnati nelle attività diagnostiche
caratterizzate da una domanda storicamente superiore all’offerta.
La promessa, piuttosto impegnativa, è stata accolta con incredulità e freddezza come se la
maggioranza degli operatori sanitari, dei loro sindacati, e delle stesse società scientifiche fosse, al
tempo stesso, rassegnata alla scarsità di risorse e convinta della inutilità di rincorrere la domanda.
Ricordate il paradosso di Zanone? Quello che vedeva il piè veloce Achille inseguire invano la
tartaruga cui aveva concesso in partenza un piccolo vantaggio? In prima liceo, prima ancora di
arrivare a Socrate, fu per me un incontro traumatico con la filosofia che supponevo essere il luogo
della sapienza e che invece mi si manifestava con astrusità da giocolieri della logica. Molti
considerano Zanone l’antesignano del calcolo infinitesimale. Sarà, ma a me quella analisi così
lontana dalla percezione del reale (non c’è essere umano, neppure se costretto a camminare con le
stampelle, che non riesca a muoversi più velocemente di una tartaruga) appariva un inutile
ghiribizzo.
Ci voleva la sanità, con le sue difficoltà e contraddizioni, a ridare attualità ai problemi irrisolvibili.
Da almeno trent’anni le liste d’attesa sono percepite come il punto di debolezza del Servizio
Sanitario Nazionale. In tutto questo tempo, la situazione è costantemente peggiorata ed anche
stavolta non pare destinata a cambiamenti positivi.
Sarà stata la freddezza del mondo della sanità verso l’improbabile promessa, sarà stato
l’atteggiamento di chiusura del MEF ad ogni ipotesi di modifica degli equilibri di bilancio, già
traballanti, ma l’altro giorno il Ministro ha accantonato la soluzione precedente ed annunciato un
prossimo decreto in materia di prescrizioni da parte dei medici di famiglia ove si adotteranno nuovi
strumenti per verificarne l’appropriatezza. Cambio radicale di prospettiva: anziché inseguire la
domanda incrementando l’offerta, rendere quest’ultima soddisfacente attraverso il controllo della
domanda.
Perseguire l’appropriatezza delle prestazioni è certamente un impegno positivo. Il sistema
ospedaliero se l’è assunto da almeno un quarto di secolo, ma se un pochino ne ha beneficiato
l’efficienza, in qualche caso ne ha addirittura risentito l’efficacia. Spostare il campo di applicazione
dai ricoveri alla diagnostica non sarà nemmeno semplice: individuare metodologie serie e condivise
di controllo delle prescrizioni ed ottenere una reale adesione al progetto da parte dei medici
interessati appare impresa disperata.
Le ragioni dell’incremento della domanda di prestazioni diagnostiche sono molte, variegate, a volte
incomprensibili. La riduzione di attività delle strutture pubbliche conseguente al Covid ha scavato,
fra domanda e offerta, un abisso che appare ormai incolmabile. Prospera il privato a pagamento e i
poveri rinunciano alle cure: un discorso fatto molte volte.
Ipotizzare che molte prestazioni siano superflue e inappropriate appare ragionevole. Ma come fare a
distinguerle? La medicina di base non è organizzata per costruire e gestire la domanda ed è, quindi,
costretta a subirla. Ecco uno dei temi fondanti della necessaria riforma.
Ma la riforma non si farà e la tartaruga fugge.

3 maggio 2024

              Così va il mondo

Si avvicinano le elezioni e sale la tensione sulla sanità. Parlare di riforma non serve alla propaganda
e quindi si annunciano soluzioni atte a risolvere, come d’incanto, il problema dei problemi: le liste
d’attesa.
Il ministro, dicevamo la settimana scorsa, propone il controllo della domanda. Le regioni, invece,
chiederanno ai medici di lavorare anche sabato e domenica. Il controllo della domanda è un
proposito antico come il servizio sanitario nazionale. Nessuno è mai riuscito a dargli concretezza.
Intanto la distanza fra domanda e offerta si è ulteriormente allagata. Pensare di azzerarla, più che un
progetto si direbbe un sogno.
Anche la proposta di utilizzare al meglio attrezzature e impianti è vecchia almeno come
l’aziendalizzazione. E tenere aperti gli ambulatori anche sabato e domenica incontrerebbe
certamente il favore degli utenti. Tuttavia, l’attuazione di questa soluzione è stata sino ad oggi
impedita dalla carenza di personale. Alle viste non ci sono turbe di medici e di infermieri in attesa
di occupazione, Anzi – lamenta in contemporanea la federazione nazionale degli ordini – entro
quest’anno se ne andranno all’estero almeno in ventimila, attratti da stipendi più alti, prospettive di
carriera e condizioni di lavoro meno disagiate. Chi lavorerà di sabato e di domenica?
La necessità aguzza l’ingegno e qualcuno ha riesumato una legge caduta nell’oblio, il D.lgs. 23
aprile 1998, n. 124. Alcune amministrazioni regionali si sono ingegnate ad attualizzarlo e riproporlo
ai direttori di Asl e Aziende Ospedaliere.
Il decreto disciplinava le compartecipazioni ai costi della diagnostica (i famosi ticket) ed era mosso
dal nobile proposito di tener conto delle condizioni economiche degli utenti prima di assoggettarli al
rinnovato balzello. Ma com’è come non è, negli ultimi commi dell’art. 3, mano attenta ai bisogni
dei cittadini ha inserito l’obbligo per le ASL, rectius per i direttori generali, di garantire la
prestazione nei tempi programmati. Per ovviare ad eventuali deficienze, i DG potranno utilizzare la
libera professione intramoenia, con onere a carico dell’azienda e senza aggravio alcuno per le casse
regionali e statali, dopo aver doverosamente verificato che le prestazioni aggiuntive siano
compatibili con le norme che fissano i rapporti fra attività istituzionale e libera professione.
Da queste breve sintesi si comprende perché la norma non abbia mai trovato applicazione. Già
imporre ai medici l’esercizio di una attività definita come “libera professione” appare abbastanza
contraddittorio. E poi, in piena carestia, quando la farina si vende a peso d’oro, ordinare ai fornai di
produrre pane non è mai servito a nulla. Tutt’al più, come narra il Manzoni, può provocare l’assalto
ai forni.
Leggo, invece, sul quotidiano della mia regione, l’entusiasmo di un sindacalista dei medici
ospedalieri che parla di “norma disattesa ma caposaldo di equità sociale”. Al di là dell’afflato
retorico, come si può pensare che una legge inapplicata da ventisei anni possa, come d’incanto,
risolvere un problema che, da allora, si è enormemente aggravato?
Leggi ispirate da buone intenzioni, ma illogiche ed inapplicabili, affollano l’immane corpo
normativo del nostro paese. Molte, a oscurità e incongruenze, aggiungono la clausola di invarianza
della spesa: bisogna fare cose nuove ma senza oneri per il bilancio. Il che, per una ASL, azienda
pubblica che vive di soli trasferimenti, equivale a pretendere l’impossibile.
Che volete? Così va il mondo. O meglio, così andava nel 1998.

10 maggio 2024

  

            Presunti colpevoli

Devo premettere una personale convinzione. Credo che, in materia di reati contro la pubblica
amministrazione, il numero dei colpevoli in libertà sia un multiplo di quello degli innocenti
ingiustamente perseguitati.
Partecipare ai dibattiti pubblici sui processi in corso è cattiva abitudine ampiamente diffusa. Le
discussioni sui fattacci di cronaca nera occupano stabilmente una quota dei palinsesti televisivi con
tifoserie animose e vocianti pressoché divise a metà, come impongono le esigenze dello spettacolo.
Per i processi che riguardano la politica la divisione è diversa. Il popolo è indifferente al caso di
specie ma, in generale, maldisposto verso chi incarna (magari si preferisce dire: occupa) le
istituzioni. I politici sono schierati secondo logiche di partito ma la solidarietà di casta li induce al
garantismo. Che è una forma di innocentismo a prescindere, mascherata dietro il sacrosanto
principio giuridico della presunzione di innocenza.
Da un punto di osservazione – come detto – non vicino agli imputati, due parole sull’indagine che
riguarda il presidente della Liguria, agli arresti domiciliari, e una cerchia di amici che le cronache
chiamano “sistema di potere”. I fatti risalgono ad alcuni anni fa. La richiesta di arresto è stata
presentata alla fine dell’anno scorso. Dopo lunga riflessione, il Presidente viene raggiunto dagli
agenti incaricati di eseguire il mandato di cattura alle tre di notte, in un albergo di Sanremo e
tradotto nella sua abitazione di Genova. Arrestarlo una mattina qualunque, prima che uscisse di
casa, deve essere parso banale.
Da questo momento in poi si susseguono cose viste e udite mille volte. L’indagine ha prodotto un
fascicolo di centinaia di pagine (1300, precisa un giornale) che il magistrato sintetizza nell’accusa
di avere “svenduto la funzione in cambio della rielezione”. Vista la genericità dell’argomento si
fanno circolare brani di intercettazioni dei complici, grondanti cinismo e volgarità. E poi, mezze
notizie su altri filoni di indagine (da aprire, da sviluppare, da chiudere?) tanto per dare un senso alle
azioni sin qui intraprese. Toti per ora si proclama innocente e rimane al suo posto. Ma si dimetterà.
Per la semplice ragione che non può restare in carica in attesa di un processo che si celebrerà fra
qualche anno.
Sulla tempistica delle azioni dei magistrati genovesi è intervenuto anche Nordio, con parole dure e
opportune. Ha colto però l’occasione per sostenere la bontà della sua riforma, basata, come è noto,
sulla separazione delle carriere fra magistratura inquirente e magistratura giudicante.
Il problema di contenere lo strapotere di chi amministra la giustizia è antico come la civiltà e non
del tutto risolto neppure nel moderno Stato di diritto. Qualche scoria – Genova insegna – ce la
trasciniamo ancora. La ricetta proposta mi sembra un rimedio peggiore del male. Suggerirei l’esatto
opposto. Il magistrato inizia la sua carriera in un organo giudicante collegiale; dopo anni di
esperienza potrà aspirare al posto di giudice monocratico e dopo un congruo periodo – non meno di
quindici anni – in funzioni giudicanti potrà essere destinato alla Procura della Repubblica. Non
basterà ad evitare gli eccessi, ma almeno l’esperienza maturata nel giudicare aggiungerà un
contributo di saggezza.
A proposito, sul caso è intervenuto anche Di Pietro. Mi ricordano Gardini- ha detto con
accostamento sgradevole. Umanità impone che il suicida quasi un invito ad imitarlo.
17 maggio 2024