Il pensiero pre elettorale di Giovanni Monchiero

Gli interessi della gente

Il giorno delle elezioni apporta un immediato sollievo: la fine della campagna elettorale. È pur vero
che la politica di questo millennio è caratterizzata dalla campagna elettorale permanente condotta
con mezzi scorretti e toni esasperati, ma nel mese formalmente destinato a comunicare ai cittadini i
programmi delle forze politiche, la miscela di insinuazioni, blandizie, insulti, vere proprie
mistificazioni che va sotto il nome di propaganda tocca vertici assoluti. Nei giorni immediatamente
successivi, i leader della politica subiscono una sorta di contrappasso, costretti da antica
consuetudine a proclamarsi trionfatori a fronte di risultati appena sufficienti o a minimizzare cocenti
sconfitte.
Lasciamoli a questa piccola pena e torniamo ai temi della campagna elettorale meritevoli di
riflessioni profonde, a cominciare dalla crisi dell’Europa che tutti vogliono migliore. Ma in
direzioni opposte. Possiamo star certi che non migliorerà.
Anche la politica italiana offriva materia di discussioni di ampio respiro a cominciare dalla riforma
costituzionale incentrata sul premierato. Mi ha colpito un’obiezione della Schlein: “alla gente
interessa il lavoro”. Spostare la discussione da un argomento all’altro è la pietra d’angolo del
benaltrismo, tattica dialettica in uso da decenni ma ormai abusata al punto da impedire qualsiasi
serio dibattito. Che il lavoro sia fra le prime preoccupazione della gente è indubitabile, ma se si
parlasse di questo l’interlocutore opporrebbe subito il tema della sicurezza, che passerebbe in
second’ordine di fronte all’immigrazione, prontamente oscurata dalla sanità, oggi molto in voga,
ovviamente senza costrutto.
Del resto, l’argomento principe della Meloni è “alla gente interessa scegliere il premier” senza
curarsi degli equilibri fra poteri dello Stato, ben ponderati, invece, dai padri costituenti. Invocare
l’interesse della gente (preferibilmente con due g, come insegnava Di Pietro) è la foglia di fico
dietro la quale si nascondono intenzioni (e interessi!) che si preferisce non palesare.
Le riforme costituzionali in corso (premierato, magistratura, senatori a vita) sono tutte argomentate
con il supremo interesse del popolo: alla scelta diretta del primo ministro, ad una giustizia più
veloce e più giusta, all’esercizio integrale della sovranità che gli affida la Costituzione. Più che
lecito il dubbio che la maggioranza persegua, invece, la sottomissione del parlamento o, meglio, dei
parlamentari, ai quali scellerate riforme elettorali hanno progressivamente ridotto i margini di
autonomia. Che la separazione delle carriere non migliori la qualità della giurisdizione ma che sia il
primo passo per mettere sotto controllo politico la funzione della pubblica accusa. Che dietro la
soppressione dei senatori a vita non ci si neppure un fine, ma solo istintiva avversione verso la
cultura e il merito.
L’idiosincrasia per i senatori a vita è una questione di pelle, come per i “tecnici”. Di fronte agli
odiati “tecnici” si invocava il primato della politica minacciato non si sa bene da chi, dal momento
che il governo entra e rimane in carica solo se gode della fiducia del parlamento. A scanso di
equivoci, con la riforma del premierato di governi tecnici non ce ne saranno più.
Contro l’istituto dei senatori a vita si agitava lo spauracchio che gli equilibri politici del Senato
potessero essere alterati da persone non elette. Con l’attuale legge elettorale le maggioranze uscite
dalle urne sono così solide che il voto di cinque senatori è del tutto ininfluente. Rimane la presenza
di personaggi (scelti dal Presidente della Repubblica – recita l’art. 59 – fra cittadini che hanno
illustrato la Patria per altissimi meriti, nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario)

radicalmente diversi dalla maggior parte dei frequentatori delle Camere. Un confronto
insopportabile.
A proposito di meriti e di interessi della gente, quello a essere governati da una classe politica
migliore sembrerebbe di grande attualità. Ma non se ne occupa nessuno.