L’inizio dell’anno, pirotecnico, ci distoglie dal parlare di sanità e ci invita a dare un’occhiata alle cose del mondo, cominciando da quelle di casa nostra. di Giovanni Monchiero

 

Il   buon   giorno

Si è felicemente conclusa la vicenda di Cecilia Sala e i telegiornali assumono i toni del trionfo, con fiumi di retorica sull’unità di intenti del paese, sulla sagacia della nostra diplomazia, sul fondamentale contributo dei servizi di intelligence. Per la verità, non è stato difficile scoprire (come accaduto in altre circostanze ben più complesse) dove fosse detenuta la giornalista, associata ad un carcere di Teheran tristemente famoso per essere destinato agli oppositori. Cecilia Sala non aveva commesso alcun reato né particolari imprudenze. Era regolarmente entrata in Iran dichiarando la propria professione e si è trovata in una cella di isolamento per il solo fatto di essere italiana e sufficientemente nota da costringere il nostro governo ad intervenire. Per giorni contro di lei non è stata mossa alcuna accusa. Poi è stata ritenuta colpevole di avere violato le leggi dell’Iran, senza specificare quali, come si usa, invece, in occidente. Almeno dai tempi del diritto romano.  

L’assenza di accuse circostanziate era di per sé una dichiarazione di intenti: quella di scambiare la prigioniera con Mohammad Abedini, un ingegnere arrestato a Malpensa su mandato internazionale emesso dagli Stati Uniti.  Bisogna dare atto alla Presidente del Consiglio di avere agito con rapidità e determinazione ottenendo anche di evitare l’umiliante procedura di scambio. Non c’è stato alcun “Ponte delle Spie”. Abedini sarà liberato nel rispetto di regole, forme e competenze. Mercoledì prossimo è prevista l’udienza per la concessione dei domiciliari. Poi gli eventi faranno il loro corso. La sostanza è che abbiamo ceduto al ricatto dell’Iran. Non si poteva fare diversamente, ma non è il caso di suonare la grancassa. 

Sono capitato sul Tg3 che ha dato la notizia secondo le veline governative integrate da zelo adulatorio. Esattamente come gli altri della Rai. Per trovare un telegiornale che esprima opinioni conservatrici con toni non offensivi dell’intelligenza bisogna andare su Canale 5, ed è tutto dire. Come sono lontani i tempi del Tg3 di Curzi! Soprannominato Telekabul per le sue posizioni di sinistra estrema, odiato dai craxiani, tollerato con fastidio dal Partito Comunista che si sentiva scavalcato a sinistra, il Tg3 era una autentica voce di opposizione all’interno del servizio pubblico. 

La prima Repubblica ha subito trent’anni di “damnatio memoriae”. Oggi la si sta rivalutando. Quando Craxi era considerato un tirannello e Forattini lo disegnava in stivaloni e orbace, la Tv di Stato aveva un canale governato dalla DC, uno dal PSI e uno dal PCI, “azionisti di riferimento” secondo la celebre definizione di Bruno Vespa.  I primi due offrivano spazi ai partiti minori dell’area di governo. Il terzo, come appena ricordato, rappresentava tutta l’opposizione di sinistra. Si può obiettare che la lottizzazione fosse una pratica decadente della democrazia, ma la Rai attuale, nel settore dell’informazione, ha ancora titolo di essere considerata  pubblico servizio?

Il 6 gennaio c’è stata la proclamazione formale dell’elezione di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti. La formula di rito è stata pronunciata da Kamala Harris. Impossibile eludere il confronto con quanto avvenuto quattro anni fa, con i sostenitori del candidato sconfitto che hanno dato l’assalto al Parlamento per impedire la proclamazione del vincitore. Emerge, dai due comportamenti, non tanto la differenza fra Democratici e Repubblicani, quanto quella fra chi rispetta le regole della democrazia e chi no. I secondi stanno prendendo il sopravvento anche in Europa. Con il rischio di precipitare noi tutti indietro di un secolo. 

Restando al presente, Donald Trump ha celebrato l’evento con un paio di interviste sulla politica estera. Agli Stati uniti serve la Groenlandia: se i danesi si rifiutassero di venderla, potremmo occuparla militarmente. Così come la Zona del Canale di Panama, amministrata per tre quarti di secolo dagli USA prima che quel buonuomo di Carter decidesse, improvvidamente, di restituirla ai panamensi. C’è poi il problema del Canada che starebbe così bene all’interno degli Stati Uniti! Il giorno dopo, Trump ha presentato agli astanti una cartina del Nord America, tutta a stelle e strisce, dall’Alaska ai confini con il Messico. A proposito, perché continuare ad utilizzare l’antica denominazione di Golfo del Messico per indicare il tratto di mare compreso tra la le penisole di Florida e Yucatan, l’isola di Cuba e la costa continentale di Messico e Stati Uniti? Meglio ribattezzarlo “Golfo d’America”.

Rivendicazioni pretestuose, espresse in tono di minaccia.  Gli adoratori del potere le hanno, invece, ritenute spiritose provocazioni e nulla più. Se il buon giorno si vede dal mattino, nei prossimi anni ci divertiremo assai.

 

10 gennaio 2025.