CHI DECIDE IN SANITA'
POLITICHE PUBBLICHE
Premessa
Gestire efficacemente gli interessi pubblici, cioè gli interessi della variegata comunità dei cittadini‑elettori, è sempre più difficile, perché in democrazia cresce fisiologicamente la rete degli interessi sociali organizzati che rendono più complicata e complessa ed insieme più esigente la società civile.
Partendo da questa considerazione il primo capitolo sarà dedicato all'analisi delle politiche pubbliche in generale e del comportamento decisionale, ritenuto strettamente associato con la Concezione secondo cui il processo politico vede la presenza dì differenti gruppi o individui, con dislivelli di risorse e di potere e quindi differenti gradi di influenza sulle decisioni.
Tuttavia nessun gruppo o individuo appare totalmente privo di potere e tutti possono intervenire al livello della decisione politica. Ogni processo decisionale mostra differenti tipi di coalizione e di conflitto e quindi si può sostenere che esiste un mercato politico in cui la competizione tra i partecipanti assicura la democraticità delle scelte.
Da questo punto dì vista l'analisi dei processi decisionali, ed in specie di quelli sui quali sì verifica empiricamente un conflitto di interesse tra i differenti partecipanti, appare un metodo particolarmente indicato per fornire conferma ad una ipotesi dì non dominanza di un attore o di un gruppo di attori predeterminato.
Nel costruire empiricamente processi decisionali politico‑amministrativi, l'immagine che spesso ne risulta è quella di una grande frammentazione degli attori, delle razionalità di azione e degli interessi, che ben di rado conferma immagini troppo semplici delle modalità di distribuzione dell'influenza.
Lo studio delle decisioni all'intemo delle politiche pubbliche può servire a mettere in luce quali caratteristiche degli attori e delle loro interazioni sono in grado di spingere gli outputs decisionali.
Infatti vi sono pochi dubbi sul fatto che il policy making dominante nel nostro paese appare di natura consensuale, nel senso che le istituzioni politico‑amministrative sembrano ben poco in grado di imporre alcunché ai gruppi di interesse organizzati.
Ci preme qui evidenziare i vari aspetti del potere nei processi decisionali che sottendono alle politiche pubbliche ed alla loro implementazione, alla luce di alcuni modelli di decisione elaborati dai più noti studiosi di organizzazioni.
1 ‑Esiste un governo delle politiche pubbliche?
Dahl (1970) ritiene che il metodo migliore per valutare la esistenza di un vero e proprio governo della cosa pubblica, è lo studio della risoluzione che viene data alle così dette "questioni chiave", cioè analizzare se vi è un sistematica prevalenza di alcuni soggetti nella Soluzione di conflitti sociali o se invece questa prevalenza non c'è. È ovvio che nel momento in cui la prevalenza di tali soggetti si evidenzia, si può parlare dell'esistenza di un vero e proprio governo.
Una cosa che evidenzia qualunque autore che si è interessato di Politiche Pubbliche in Italia, è l'ingerenza in qualunque fase decisionale dei partiti politici. Questo sembra differenziare in maniera molto significativa la gestione pubblica italiana da quelle operanti negli altri paesi occidentali (Pasquino ed altri, 1986).
L'Italia sembrerebbe caratterizzata da una forza organizzativa dei partiti che entrano con un ruolo fondamentale in tutte le fasi, o quasi tutte, del fare politica pubblica (policy making). Questo ruolo è acquisito dalla centralità del momento elettorale, dall'ampio numero di assemblee elettive a cui sono attribuite numerosi ed importanti funzioni da cui derivano poteri per funzionari designati politicamente (B. Dente. 1989).
Uno studio che analizzi le conseguenze di questo stato di cose in Italia, per quanto riguarda le caratteristiche dei processi decisionali c dei loro risultati, deve verificare se vi è una preminenza degli attori politici rispetto ad altri attori (lobbies, burocrati, esperti). Per questo tipo di studio bisogna riferirsi ad una definizione che Katz (1982) dà di "parly‑government'. Il "party‑government" è caratterizzato da:
a) selezione attraverso le elezioni del suo personale politico;
b) afferenza politica degli attori;
c) autonomia della coalizione di governo;
d) il suo effettivo controllo sugli apparati pubblici.
Ciò può a prima vista sembrare frutto delle modalità di raccolta del consenso politico nel nostro paese, tuttavia è possibile che si tratti in verità di una conseguenza scarsamente evitabile della complessità sociale ed istituzionale, e non di una patologia del nostro "sistema politico.
Allo scopo di semplificare le cose è conveniente distinguere due piatti di analisi della politica pubblica:
1) il piano relativo ai processi decisionali che si svolgono sulla base di raggruppamenti politici (partisan policy);
2) il piano relativo a processi decisionali che dipendono da attori diversi (substantial polcy) quali lobbies di potere, burocrati, tecnici.
La partisan policy è costituita dai processi in cui sono espresse le preferenza di un raggruppamento politico (un partito, una corrente, un clan) per albi raggruppamenti politici.
Qualunque sia il loro fondamento (ideologico, utilitaristico, ecc.), le scelte adottate in questa arena sono comunque basate su una qualche valutazione della quota di voti (elettorali, parlamentari, congressuali) rispettivamente in possesso del raggruppamento valutante e di quello valutato. con proiezioni relative alle varie possibili coalizioni vincenti. Sulla base delle scelte compiute in questa arena si determina la prevalenza di un dato schieramento politico, più o meno inclusivo, ma di norma legittimato da un voto e dotato del potere di procedere alla ripartizione di una serie di cariche.
La seconda arena è costituita dai processi in cui sono espresse le preferenze di vari attori, in Italia prevalentemente ma non esclusivamente dotati dì un'afferenza partitica, per determinare linee di azione nei vari settori dell'intervento pubblico.
Le due aree possono essere considerate come distinte e relativamente autonome. Ma è evidente che tra di esse esistono momenti di intersezione, quindi la substanfial policy making non è una mera conseguenza della partisan policy dominante, ma ha una sua autonoma logica e un suo peso anche decisionale sulle politiche pubbliche.
Inoltre bisogna introdurre il concetto di una sub‑arena, che chiameremo "neutrale".
Il campo di estensione del policy making neutrale risulta pertanto delimitato da una parte da processi nei quali i politici sono i portatori di proprie preferenze specifiche per gli argomenti in discussione e dall'altra dai processi nei quali i politici non compaiono, perché sembrano del tutto estranei alle decisioni.
Riportiamo a tale scopo un grafico che chiarisce quanto da noi descritto finora, mettendo a confronto la situazione italiana con la situazione standard europea:
Ci sarebbe, quindi, una contrazione dello spazio decisionale degli attori che hanno una responsabilità amministrativa, cioè una ridotta autonomia della "burocrazia".
La riduzione del peso della burocrazia in Italia, sarebbe dovuta ad una stretta subordinazione gerarchica al suo interno. all'obbligo della vidimazione da parte del responsabile politico, alle complesse procedure degli atti amministrativi ed ai controlli troppo numerosi ai quali devono essere sottoposti. Tutto ciò impedisce al burocrate di presentarsi come soggetto autonomo ed influente in maniera decisiva, sul terreno decisionale delle politiche pubbliche (Dente 1982).
E tuttavia l'idea di una riduzione del peso della burocrazia seppure avviata con grande determinazione in particolare dai ministri Sabino Cassese e Franco Bassanini in Italia appare ancora un sogno.
Soprattutto appare malposto il problema, nel senso che si fa sovente riferimento ai soli grandi numeri. agli esuberi di personale nei ministeri, nelle regioni, nelle province‑ nei comuni, senza citare i veri detentori del potere burocratico che in qualche caso, o in molti casi, condizionano o bloccano l'attività della componente politica dei diversi livelli di governo.
I circa trenta anni di esistenza del "Ministero per la Riforma Burocratica" sono passati invano, così come è avvenuto per il fallimento delle diverse "Commissioni Bicamerali" per la riforma istituzionale.
Ciò che risulta più deludente è che, nella attuale fase della cosiddetta globalizzazione accompagnata da una riduzione di importanza del settore pubblico; mancano concrete proposte di riconversione del personale in forza nella pubblica amministrazione, il cui costo viene additato, con una sorta di disprezzo, come una delle cause che impediscono l’alleggerimento della pressione fiscale a carico dei cittadini.
A fronte di ciò si riscontra l'affermazione di una nuova classe che potremmo definire degli "ottimati del knowledge "che, sotto forma di consulenti ‑ general manager ‑ city manager ‑ membri delle sempre più numerose authority, comportano dei costi, che non sono stati ancora analizzati scientificamente rispetto ai risultati realmente conseguiti.
Esempio tra i più semplici da verificare sono le aziende sanitarie locali che, in talune regioni. hanno avuto al vertice gli stessi "burocrati "che erano alla testa delle non rimpiante uu.ss.ll.
1.2. Politiche pubbliche e implementazione.
Ogni tentativo di sviluppare una teoria sull'implementazione si trova di fronte le difficoltà derivanti dalle numerose domande sollevate in relazione al processo politicoamministrativo ed in relazione alle organizzazioni, soprattutto burocratiche.
Secondo Hill è difficile andare oltre l'identificazione degli elementi chiave che devono essere analizzati nello studio della messa in opera ed il riconoscimento della preponderante importanza della negoziazione e della contrattazione che avviene durante tutto il processo di policy.
Infatti molti problemi di implementazione sorgono proprio perché esiste una tensione tra il "cosa dovrebbe essere fatto e come dovrebbe accadere” e i conflitti di interessi, cioè la necessità di negoziare e contrattare per giungere a compromessi elle rappresentano la realtà del processo attraverso il quale si ottengono potere ed influenza.
Untore (1978) afferma che tutte le politiche pubbliche vengono eseguite da grandi organizzazioni. Quindi solo attraverso l'analisi e lo studio delle logiche. dei criteri e delle leggi che guidano e fanno funzionare complesse organizzazioni, si riuscirà ad arrivare alla comprensione di cosa operano le organizzazioni.
La sociologia dell'organizzazione ci aiuterà a capire in che modo vengono modificate le politiche nel corso del processo di attuazione.
Per la comprensione dei fenomeni da analizzare, cioè se si vuole capire il ruolo delle organizzazioni nel processo politico‑amministrativo, è opportuno un breve riferimento al contributo di Weber (1968), il quale. coti i suoi studi pionieristici sulle burocrazie, ha dettato le basi della moderna teoria dell'organizzazione.
A Weber dobbiamo la formulazione delle caratteristiche fondamentali che ci permettono di individuate e definire atta burocrazia:
a) un'organizzazione stabile il cui funzionamento è vincolato da norme. La continuità e la cocrenza all'interno dell'organizzazione sono assicurate dall'uso delle decisioni, norme e documenti scritti;
b) il personale è organizzato secondo il principio gerarchico. È chiaramente definita l‑estensione dell'autorità e sono specificati i diritti e i doveri degli impiegati di qualsiasi livello;
c) il personale è separato dalla proprietà dei mezzi di amministrazione e di produzione Esso è personalmente libero, "soggetto all'autorità solo in relazione agli obblighi di ufficio";
d) il personale viene nominato, non eletto, sulla base di qualifiche impersonali cd è promosso in base al merito;
il personale ha uno stipendio fisso e condizioni di lavoro stabili. La scala salariale è generalmente graduata sulla base della posizione nella gerarchia. L'impiego è permanente, vi è una certa sicurezza del posto e, normalmente. vi è il diritto alla pensione al ritiro dal lavoro (Weber 1968).
Sulla base degli studi weberiani circa il funzionamento di organizzazioni complesse come quelle burocratiche si sono sviluppati diversi approcci di analisi e relativi modelli decisionali che suggeriscono diverse modalità di messa in opera delle politiche pubbliche.
Secondo Gherardi (1985) il concetto di decisione centra una problematica particolarmente attuale, infatti sta ad indicare la possibilità di scelta fra due o più alternative, delimitando l'ambito di risoluzione dell'incertezza: l'atto volitivo della scelta tronca l'indecisione, operando una preferenza rispetto a condotte alternative.
La decisione può essere studiata prevalentemente in relazione al pensiero che l'informa o prioritariamente in relazione all'azione che si viene organizzando entro il processo decisionale.
Le due vie di studio possono essere simbolizzate dalla polarizzazione fra psicologia cognitiva, che problematizza la relazione tra conoscenza e decisione, e la ricerca operativa che mira ad individuare la scelta ottirnale e pianificare l'attuazione della decisione.
La dimensione della decisione comprende i due poli apparentemente contrapposti e gerarchicamente ordinati (l'uno precede l'altro, dall'uno procede l'altro). li comprende entro uno stesso sistema, ma al contempo è diversa rispetto ad entrambi.
La dimensione della decisione entro un campo di azione strutturato. qual è l'organizzazione, è contenuta entro premesse decisionali che limitano la libertà dell'azione. Nel contempo è il processo dl decisione che riconferma la validità di tali premesse nel normare l'azione o che afferma premesse diverse.
Nell'organizzazione le premesse delle decisioni sono oggettivate nella struttura ed il percorso di pensiero, che individua alternative apportando conoscenze e interpretando la situazione; non scaturisce solo dalla mente dell'individuo (o di più individui), ma è frutto di una attività organizzativa coordinata che si svolge entro premesse strutturalmente codificate. L'azione futura, che viene anticipata nella rappresentazione mentale che organizza le condotte del presente, scaturisce da un processo di costruzione sociale della realtà, è proprio di una specifica cultura organizzativa che interpreta la situazione decisionale, vi attribuisce significato e dà intenzionalità all'azione.
La decisione nell'organizzazione ha caratteri peculiari che la distinguono e dalla decisione individuale e dalla decisione collettiva. Una volta riconosciuta la decisione nell'organizzazione come quel processo che impegna all'azione una volontà comune, non si puoi prescindere dall'analisi del processo organizzativo qualora si studino le dinamiche decisionali che hanno luogo entro organizzazioni complesse.
In definitiva gli studi sui processi decisionali possono dividersi in due categorie: quelli che si occupano delle relazioni fra potere e processi decisionali e quelli che esaminano le relazioni fra razionalità e processi decisionali.
Si è già parlato dei poteri decisionali. cercheremo qui di cogliere gli apporti della sociologia delle organizzazioni nell'analisi della messa in opera delle politiche pubbliche.
I massimi contributi vengono da H. Simon (1979) e da C. Lindblom (1977). Simon, dopo una valutazione critica del metodo razionale globale elabora il concetto di "razionalità limitata" per descrivere come avviene il processo decisionale all'interno delle organizzazioni. Egli sottolinea come il comportamento reale dei decisori si diversifichi da quello teorico, in quanto la razionalità limitata evita al decisore di esaminare tutte le alternative costituendo una descrizione corretta del processo decisionale nei suoi aspetti più significativi.
Anche Lindblom, come Simon, critica il modello di decisione razionale ed elabora un approccio di tipo incrementale, secondo il quale il processo decisionale procede attraverso comparazioni successive. In questo modo la scelta dei decisori ricade su alternative leggermente diverse dalle politiche esistenti e vengono ignorate le conseguenze delle politiche possibili. Infatti per Lindblom una buona politica non è quella che massimizza i valori del decisore, ma quella che garantisce l'accordo fra gli interessi coinvolti.
In questo modo i problemi vengono risolti attraverso un processo di aggiustamento reciproco ed un sistema disperso di centri di potere permette di tutelare più valori rispetto ad un sistema centralizzato, permettendo di difendere gli interessi di diverse frazioni della società, in modo che nessun interesse è completamente ignorato.
Una critica a questo approccio è mossa da A. Etzioni (1967), il quale ritiene che !'aggiustamento reciproco finisce col favorire le categorie più organizzate a discapito delle altre e perché l'incrementalismo trascura le innovazioni più radicali.
Questo autore suggerisce un metodo, che è una via di mezzo Va razionalità ed incrementalismo, per non correre il rischio che le piccole approssimazioni successive riportino al punto di partenza.
Il mixed‑scanning è un modello di processo decisionale che può essere considerato sia come una buona descrizione del modo in cui vengono prese le decisioni, sia come strategia in grado di guidare il processo decisionale. In sostanza esso si basa sulla distinzione fra decisioni fondamentali e decisioni incrementali o piccole decisioni. Per Etzioni le decisioni fondamentali sono molto importanti in quanto fissano la direzione di base e costituiscono il contesto nel quale vengono prese le piccole decisioni. In pratica il decisore vaglia un' ampia gamma di alternative senza però impegnarsi nell'esame dettagliato delle opzioni, come vorrebbe il modello razionale. Questa gamma rende possibile l'esame di alternative e conduce a decisioni fondamentali. Per contro le piccole decisioni conducono gradatamente alle decisioni fondamentali e, nello stesso tempo, derivano da queste, implicando in tal modo un'analisi più dettagliata delle scelte specifiche.
Per concludere è necessario analizzare il ruolo giocato dai burocrati nel processo di attuazione delle politiche pubbliche. Se si vuole indagare l'impatto dei funzionari sul processo politico amministrativo, occorrerà prendere in esame le burocrazie pubbliche nel loro complesso e non solo i vertici dell'amministrazione.
Cosi facendo emergono tre importanti questioni:
a) il grado in cui le personalità burocratiche danno alle attività del settore pubblico un carattere negativo e, forse, conservatore;
b) la natura delle pressioni sui burocrati di base (street‑ bureaucrats) e l'importanza di tali pressioni nelle interazioni con il pubblico;
c) l'impatto del coinvolgimento dei recnici nella realizzazione di molte politiche. nella misura in cui essi assumono ruoli separati e caratteristici.
Secondo Merton (1970). che è uno dei primi studiosi della personalità burocratica, i burocrati mostrano particolare attaccamento a quelle regole che proteggono il sistema interno di relazioni sociali. rafforzano il loro status nell'organizzazione e li proteggono dai conflitti con i clienti enfatizzando l'impersonalità.
Dal momento che regole di questo tipo forniscono sicurezza. essa sono particolarmente adatte ad essere trasformate in regole assolute. In questo senso, gli obiettivi delle politiche vengono distorti e i mezzi vengono considerati come fini.
Da un punto di vista sociologico Merton cerca di definire uno stereotipo di burocrate, anche se ciò comporta delle difficoltà, perché è difficile distinguere il ruolo degli impiegati pubblici da quello di un gran numero di persone impiegate in una moderna società complessa.
Quindi, la teoria della personalità burocratica è allo stesso tempo troppo specifica, perché cerca di selezionare tiri certo tipo di ruoli organizzativi in un contesto in cui la maggior parte degli individui è impiegata in tali ruoli. e troppo generale, perché implica l'esistenza di una uniformità di ruoli all'interno dalle organizzazioni quando tale uniformità non esiste affatto.
Inoltre il comportamento burocratico può essere un mezzo di protezione per l'individuo dal coinvolgimento totale nella sua situazione lavorativa.
Lipsky (1980) ha analizzato. nella sua teoria della burocrazia di base, come le politiche vengono rimodellate quando vengono esercitate pressioni nei confronti dei burocrati e gli impiegati pubblici cercano di dare un ordine alla propria vita.
Lipsky sostiene che il processo di decisione attuato a livello di burocrazia di base implica lo sviluppo dì pratiche che permettono agli impiegati di far fronte alle pressioni. soprattutto in considerazione del fatto che il burocrate di base non può essere Facilmente controllato dai suoi superiori.
Secondo Lipsky quindi il burocrate è colui che realizza la policy. che detiene un ruolo politico determinando l'allocazione di particolari beni e servizi nella società.
Egli sostiene la necessità di sviluppare un nuovo approccio alla responsabilità professionale, in cui si dia maggiore importanza alla valutazione da parte dei clienti.
Da ciò la necessità di individuare, nella letteratura contemporanea sulla professionalità, due osservazioni collegate, ma separate, di tale fenomeno.
I professionisti sono considerati come membri dì gruppo capaci di assicurare e proteggere la propria autonomia nel proprio interesse.
Ma si ritiene che essi siano in grado di far ciò a causa di relazioni con le elites o con le classi dominanti all'interno delle società.
Il potere detenuto dai burocrati nell'allocazione di beni e servizi rientra nella problematica della discrezionalità amministrativa, definita da Davis (1969) come la libertà di agire o non agire del burocrate nei limiti effettivi del suo potere.
Secondo Davis non è realistico aspettarsi che gli organi legislativi siano in grado di sistematizzare tutte te questioni di policy, perché non si possono identificare tutti i casi specifici ai quali si dovranno applicare i principi generali. Difatti è possibile che nuove leggi vengano adottate in un secondo momento, per colmare le lacune inizialmente coperte con i poteri discrezionali.
È realistico, quindi, prevedere che ì nuovi problemi di policy saranno all'inizio trattati con una legislazione a maglie larghe, che si trasforma progressivamente da generale a specifica.
Dove esiste un'ambivalenza politica. può essere particolarmente irrealistico pretendere una legislazione che elimini la discrezionalità, ma è proprio in queste circostanze che la discrezionalità genera dissensi.
Le questioni discrezionali creano problemi e malcontento, sia per i burocrati che per i cittadini destinatali delle politiche pubbliche, ma al tempo stesso creano impopolarità e problemi non certo minori anche ai politici.
A conclusione di questo capitolo possiamo ritenere evidente che è sempre più difficile, per i Governi e le pubbliche amministrazioni, l'imposizione dei propri punti di vista agli interessi organizzati ed in generale alle numerose categorie di attori che affollano l'arena decisionale. E forse l'accordo o, per dirla con Lindblom, l'aggiustamento reciproco, è un carattere ormai consolidato della versione contemporanea di democrazia, che non per questo appare meno "intelligente", (Lindblom 1965).
Grafico paragrafo 1