CHI DECIDE IN SANITA'
LA POLITICA SANITARIA IN ITALIA
Premessa
IL Welfare State moderno ha origine in Europa durante il tardo secolo XIX come elemento essenziale del processo di modernizzazione, visibile soprattutto nell'espansione dei servizi pubblici e delle politiche dei trasferimenti, e coti conseguenze di vasta portata per le strutture di classe. il funzionamento dell'economia e la stabilità politica.
Gli alti livelli di industrializzazione e di democratizzazione raggiunti dall'Inghilterra già nel secolo passato, avrebbero indicato la direzione lungo la quale avrebbe dovuto muoversi il resto dei mondo, una volta iniziato il processo di modernizzazione.
Il W.S. liberale può essere trovato anche fuori dell'Europa, ma, in più, quelli europei hanno specifiche caratteristiche legate alle differenze che si riscontrano nei processi di formazione dello Stato e delle classi (Flora. P. 1990).
Cercheremo in questo capitolo di evidenziare alcune delle caratteristiche del W.S. italiano e di cogliere in particolare la contraddizione ideologica e pratica della riforma sanitaria avviata dal Parlamento Italiano, sul finire del 1978, quando l'insieme dei paesi OCSE denunciava pubblicamente i problemi in cui versava lo "stato del benessere'.
2.1. Il Welfare State.
Il Welfare State nasce in Inghilterra attraverso una legislazione sociale tesa al superamento del vecchio concetto dell'assistenza solo per i poveri.
Dapprima furono le Amministrazioni locali che acquisirono nuovi poteri che andavano oltre la tradizionale assistenza ai poveri.
Con la fine della seconda gueria mondiale furono elaborati i piani per la ricostruzione postbellica; fu approvata una serie di leggi che provvidero una impalcatura per più efficienti e completi servizi sociali che continua a sostenere le attuali previdenze.
Fu approvata una legge sull'Educazione che portava a quindici amni di età la fine della frequenza scolastica d'obbligo. Le Leggi sugli Assegni familiari, sull'Assicurazione Nazionale per gli infortuni sul lavoro e la legge sull'Assicurazione Nazionale erano tutte basate sulle proposte del Rapporto Beveridge, pubblicato verso la metà della guerra, che raccomandava l'intera ristrutturazione di tutte le previdenze per la sicurezza sociale su aria nuova base globale.
Questa serie di misure, iniziata durante il governo di coalizione del periodo bellico, era largamente basata sul consenso esistente fra tutti i partiti circa la migliore Inghilterra, che si auguravano di vedere dopo il conflitto, e dava corpo a idee formulate da persone di varie tendenze politiche. Nel pianificare la revisione e l'espansione dei servizi sociali si tenne conto anche delle risultanze di un numero crescente di indagini sociali, come "poverty and Progress" di Rowntree, un'analisi indipendente della povertà a York nel 1936, e di un'inchiesta ufficiale sull'affollamento condotta nello stesso anno da autorità locali.
Le politiche di intervento statale si sono sempre più estese in tinti i settori della vita sociale. noti solo in Inghilterra. dove più fruttuosa è stata la ricerca sociale, ma in tutti ì paesi europei avanzati, specie in quelli dove ci sono stati governi espressione di forze politiche popolari, socialdemocratiche e cristiane: mentre in paesi dove è prevalsa un certo tipo di politica, come gli USA, la preferenza è andata ad altri tipi di politiche sociali.
Le politiche sociali in molti sistemi europei, ove hanno prevalso politiche di Welfare, hanno assunto la forma di forniture dirette di servizi con una più o meno estesa articolazione o, come si dice di merit‑goods, come è stato brevemente citato in precedenza per la Gran Bretagna (Freddi, G. 19b9).
Al contrario negli USA, ove la tendenza prevalente è stata quella basata sul libero mercato, la preferenza è pressoché sentire andata in favore di un "casti‑transfert" (fondo cassa) inteso a perseguire il fine di sostenere i redditi. Nel primo caso, quindi. il criterio adottato è quello dell'universalisrno e tutti i cittadini beneficiano ugualmente delle politiche sociali, a prescindere dal reddito, [lei quadro di una concezione politico‑sociale orientata verso gli obiettivi della redistribuzione istituzionale e della giustizia sociale. Nel secondo caso le politiche sociali si improntano a un criterio particolaristico, nel senso che i cittadini bisognosi vengono aiutati, poiché cosi facendo i stabilisce un equilbrio fondato sull'eguaglianza delle opportunità, con la conseguenza che gli individui cm beneficiati sano incoraggiati a rientrare nel mercato.
2.1. II Welfare in Italia e gli operatori sociali.
La distinzione delineata nel precedente paragrafo tra i paesi europei e gli USA. trova origine nella nascita della classe operaia industriale. Solo in Europa questa classe sociale dominò più a lungo, determinando lo sviluppo di una "società industriale". Si rese pertanto necessario fronteggiare i problemi comuni di questa nuova classe, quali la perdita del reddito per infortunio, per malattia, per invalidità. per disoccupazione e per vecchiaia. con la nascita dello stato sociale e lo sviluppo delle politiche welfarìste.
E’ noto come il concetto di servizi sociali abbia subito in pochi anni nel nostro paese una modificazione di cui è opportuno prendere atto e soprattutto scoprirne le motivazioni e le conseguenze.
Semplificando potremmo partire dal fatto che nell'immediato dopoguerra, in Italia. vigeva un sistema nel quale il "bisognoso" attraverso adeguate pratiche ed una benevola considerazione del suo caso. poteva ottenere modeste prestazioni economiche (in denaro, ma più spesso in natura, talora con generi importati dai paesi ricchi) o raggiungere il ricovero assistenziale od ospedaliero. Su talc sistemasi sono giustapposte la teoria anglosassone e la incertezza di un servizio sociale sostitutivo dei meccanismi protettivi dei feudi, distrutti dall'industrializzazione capitalistica.
Nei suoi principi il servizio sociale si proponeva dì umanizzare le strutture cui i bisognosi si rivolgevano. aiutandoli a prendere coscienza dei propri problemi e a collaborare alla loro soluzione, attraverso l'opera degli assistenti sociali e dei sociologi.
Certamente il contesto storico era molto diverso dall'attuale e misurare gli obiettivi e le iniziative pionieristiche, e spesso generose, di ieri con il metro critico dell'oggi sarebbe ingiusto, banale e poco utile. con il pericolo di scaricare, sugli operatori del servizio sociale e sulla nuova istituzione dell'assicurazione sociale, le difficoltà e le insicurezze che oggi sperimentiamo.
Come dice Zucconi (1974), a posteriori, possiamo rilevare faci (mente i limiti dovuti a: un inserimento garibaldino in una secolare struttura burocratica basata sui principi della legge europea sui poveri‑ di una professione giovane, quale quella dell'assistenza sociale, senza prestigio e senza ruoli precisati, riconosciuti ed istituzionalmente definiti: una professione la cui filosofia era chiaramente espressione di una società e cultura molto diversa da quella europea ed italiana; un approccio prevalentemente individualistico e psicologico a situazioni che esprimevano invece condizionamenti di tipo sociologico. economico, politico.
Ma è certo che la professione del servizio sociale ha avuto un ruolo notevole nel tenere desta l'attenzione sulle esigenze (bisogni. problemi, risorse) delle persone e delle comunità. e nel rilevare le carenze del sistema vigente di dare una benché minima risposta alla domanda assistenziale.
Si può, caso mai, lamentare che tale ruolo non sia stato giocato adeguatamente, sia per la dispersione dei professionisti in una molteplicità di enti, sia per la scarsa predisposizione ad elaborare globalmente la molta documentazione quotidiana, sia per lo sfaldamento negli anni sessanta dell'associazione professionale.
Bisogna sottolineare il ruolo avuto negli anni '60, gli anni della programmazione economica. da alcuni istituti di studi, ricerca e programmazione (CENSIS e SVIMEZ) per arrivare ad una programmazione degli investimenti sociali del reddito, in particolare nel settore della sicurezza sociale.
Dall'area dell'assistenza al povero si tende a passare a quella della sicurezza sociale per tutti, superando la discrezionalità dell'elargizione delle prestazioni.
Questa tendenza alla sempre più estesa partecipazione dei cittadini alla politica dei servizi sociali. ha accentuato ancor più il problema della definizione del ruolo degli operatori sociali, con riferimento al ruolo dei cittadini e degli utenti, non più passivi, dei servizi sociali.
Sembra però che tali auspicabili obiettivi siano ancora lontani perché crediamo di poter affermare che nella realtà le caratteristiche di fondo della politica sociale nel nostro paese, sono essenzialmente due: 1' una di natura particolaristica e l'altra di natura totalizzante.
Anzitutto, dietro enunciazioni legislative formalmente universalistiche, la politica sociale, sviluppata negli ultimi trenta anni circa, ha connotazioni nettamente particolaristiche, avendo nei fatti corrisposto a esigenze e pressioni di una serie di categorie e settori sociali differenziati. In altre parole. lo Stato sociale. specialmente in Italia, tua anche negli altri paesi europei occidentali, non è quella costruzione "universalistica‑egualitarià'. che viene solitamente ritenuto. li fatto che, dal 1945 ad oggi, si sia progressivamente realizzato un esteso sistema di sicurezza sociale, formalmente consacrato dall'introduzione dei diritti sociali nella Costituzione della Repubblica, non può nascondere la realtà di un processo caratterizzato sostanzialmente dall'incontro e dall'articolazione complessa del regime assicurativo pubblico e semi‑pubblico precedente, fortemente differenziato al suo interno e sviluppatosi storicamente per tutelare gli strati sociali inseriti nel mercato del lavoro, e del regime dell'assistenza anch'esso differenziato internamente, sviluppato nei confronti delle categorie marginali.
La politica sociale degli ultimi trenta anni circa non ha modificato questa struttura differenziata e particolaristica: anzi l'ha ulteriormente complicata, soprattutto nel settore dei trasferimento di reddito agli individui e alle famiglie. L'intervento è forse stato più universalistico nel settore dei servizi offerti in natura (casa, scuola, sanità). Anche qui. tuttavia, si ha un parziale asservimento alla logica particolaristica del mercato per la debolezza dimostrata nei confronti di settori professionali e industriali privati che costituiscono i fornitori dei beni e servi zi offerti dallo Stato. tramite i servizi pubblici, e che operano. pertanto, in una situazione di costi garantiti (si pensi. ad esempio. per il settore della sanità, ai medici, alle cliniche e ai laboratori convenzionati. all'industria farmaceutica o a quella di tecnologia ospedaliera, ecc.). La crisi di costi e di efficienza dello Stato sociale contemporaneo, a ben vedere. può essere riportata a questo tipo di espansione secondo logiche particolaristiche e di asservimento ad interessi categoriali e di mercato. Anche l'emergere di nuove forme di marginalità sociale. come si è visto in precedenza, può essere riportato almeno in parte alle nuove disuguaglianze create per questa via. (Se questa interpretazione è esatta, è evidente che è questa natura particolaristica della politiche sociali che bisogna combattere e non il principio generale dell'intervento "welfarista" dello Stato, nella sua tensione universalistica ed egualitaria originaria, come vorrebbero oggi certi fautori di una indiscriminata politica di riduzione della spesa sociale).
La seconda caratteristica di fondo della politica sociale del nostro paese (ma anche di altri paesi europei) è la sua natura tendenzialmente onnicomprensiva o totalizzante nei confronti non solo dei bisogni sociali, ma anche e soprattutto delle modalità alternative di loro soddisfazione.
In effetti, la soddisfazione di una serie crescente di bisogni tramite la distribuzione autoritativa di risorse (tramite, cioè, le welfare policies) ha ovviamente sottratto spazi crescenti alle altre due modalità stoiche di soddisfazione dei bisogni stessi: il mercato e l'azione volontaria o solidale. Per molto tempo, si è ritenuto valido. implicitamente o esplicitamente, un modello secondo cui uno stato sociale sempre più ampio e sviluppato rappresenta uno stadio superiore nell'evoluzione delle forme storiche di soddisfazione dei bisogni di correzione sociale e di distribuzione delle risorse, rispetto a stadi precedenti nei quali il mercato o fazione volontaria-solidale, tramite la famiglia allargata, la chiesa e la comunità locale. svolgevano un ruolo piiù importante. Di fronte. tuttavia. agli aspetti negativi e alla crisi dello Stato sociale contemporaneo. è ev idente che questo modello evoluzionista deve essere abbandonato.
D'altra parte se guardiamo. con un‑ottica meno evoluzionista, alla storia delle politiche sociali europee degli ultimi 150‑200 anni, non è impossibile individuare un processo di continuo aggiustamento dei confini, più che una evoluzione unilineare, tra Stato, mercato e azione volontaria‑solidale in questo campo (Paci. 1982).
II problema che si pone attualmente. considerando la crisi dei sistemi welfarìsti per l'aver raggiunto i limiti di espansione, è quello di consolidare nel modo migliore gli interventi in campo sociale.
L'intervento pubblico dovrebbe tendere al consolidamento economico e politico del Welfare, attraverso una riorganizzazione e soprattutto una armonizzazione più flessibile tra i diversi settori di vita sociale (Flora. P. 1990).
2.3. Lo sviluppo del Weffare State in materia sanitaria.
Quanto asserito nel precedente paragrafo trova piena dimostrazione in un settore particolare delle politiche pubbliche, quale è quello sanitario; infatti in materia di legislazione sanitaria, la legge di riforma n. 833 del 1978 si poneva i seguenti ambiziosi obiettivi:
1) Diagnosi e cura degli eventi morbosi quali ne siano le cause, la fenomenologia e la durata.
Tale obiettivo può essere scomposto in due sub‑obiettivi: la diagnosi e la cura degli eventi morbosi; la fine di una differenziazione fra le malattie e i malati. Qualsiasi intervento è guidato da ori processo conoscitivo delle cause (la multi fattorialità della malattia), della fenomenologia (manifesta o silente; acuta o cronica), della durata (breve o lunga degeneza).
2) Riabilitazione degli stati di invalidità e di inabilità sanitaria e psichica.
Come si vede si introducono due concetti: quello della irreversibilità del danno (invalido) e l'attuazione di appropriati strumenti tecnici (la riabilitazione) per contenere gli effetti più clamorosi della invalidità attraverso la restituzione di una parziale autonomia personale; quello della reversibilità del danno (inabilità somatica e psichica) basato sulla certezza, che appropriate tecniche rialbilitative fisiche e psichiche sono in grado di restituire all'individuo, con opportuni programmi, una piena autonomia sociale e lavorativa.
3) Promozione e salvaguardia della salubrità e dell'igiene dell'ambiente naturale di vita e di lavoro.
Si dà un ruolo e una funzione dinamicamente attiva all'intervento del SSN, in difesa dell'igiene dell'ambiente naturale di vita e di lavoro. Ad es, la nocività del lavoro in fabbrica è esportata all'esterno della fabbrica: dall'inquinamento, dai prodotti industriali, dall'organizzazione del lavoro (turnazione. ecc.).
Quindi si deve passare da una visione ristretta dell'ambiente aziendale ad una concezione che deve estendersi a prendere in considerazione tutto l'ambiente e la società circostante.
La rottura dell'equilibrio bio‑psichico ed ecologico esistente ha effetti devastanti sulla salute dell'individuo e della comunità nella quale è inserito. Non tanto per il cambiamento in se, ma quanto per la rapidità con la quale avviene tale processo di rapida trasformazione tecnologica della società, che rompe molto spesso all'improvviso una lenta evoluzione che durava da millenni.
La questione nodale sta nel conciliare le esigenze delle nuove aggregazioni ed organizzazioni sociali (determinate e/o collegate allo sviluppo, al progresso e ai nuovi sistemi produttivi), con quelle del benessere e della salute del cittadino e della comunità.
4) Igiene degli alimenti, delle bel dei prodotti e avanzi di origine animale per le implicazioni che attengono alla salute dell'uomo nonché la prevenzione c la difesa sanitaria degli allevamenti animali ed il controllo della loro alimentazione integrata e medicata.
Il problema che fu posto fu quello di adeguare le norme destinate al controllo sanitario degli alimenti e di altri generi di origine animale che vengono a contatto cori le persone, imponendo adeguate cautele igieniche e sanitarie alla loro produzione, conservazione, distribuzione e vendita, in considerazione dell'enorme progresso realizzato dall' industria alimentare.
5) Disciplina delle sperimentazione, produzione immissione in commercio e distribuzione dei farmaci e dell'informazione scientifica diretta ad osservare l'efficacia terapeutica, la non nocività e la economicità del prodotto.
Lo scandalo che ancora oggi si perpetua nelle ultime vicende giudiziarie che ha coinvolto il Ministro della "malasanità' De Lorenzo, ha dimostrato quali interessi sono coinvolti in questo campo. Il bene farmaco è stato in questi anni nonostante la 833/78, uno dei terreni nel quale più si sono sperimentate le forze della speculazione nel campo della salute.
6) Formazione professionale e permanente nonché l'aggiomamento scientifico culturale del personale del Servizio Sanitario Nazionale (art.2, comma 1).
La questione dei personale è essenziale. Qualsiasi servizio, e nello specifico un servizio pubblico che ha per oggetto il bene primario della salute, e che per le sue caratteristiche è un servizio ad alta composizione di personale, se non dispone di quadri altamente qualificati e fortemente motivati sulla base di un sistema permanente di informazione scientifico-culturale, è destinato rapidamente ad assumere tutti gli aspetti negativi che affliggono le organizzazioni complesse (burocratizzazione, deresponsabilizzazione, demotivazione, ecc.) con conseguenze, in termini di funzionalità e di qualità, di notevole peso economico ed umano.
Anche questo settore è ampiamente regolato da leggi, regolamenti, ecc. L'insuccesso sotto il profilo qualitativo e quantitativo è tuttavia pressoché totale.
Le cause sono molteplici, non ultima è l'estrema settorialità e parcellizzazione di funzioni e mansioni cui è destinata ogni figura professionale.
Sotto il profilo delle figure professionali, se da un lato si è messa in crisi una visione parcellizzata e gerarchica del lavoro, dall'altro lato non si è ancora acquisita nella legislazione statuale una alternativa di figura professionale che ricomponga la pratica oggi frantumata in una pluralità di figure.
In altre parole manca, per la nuova prospettiva di sviluppo, la capacità di modellare un nuovo operatore sanitario secondo il disegno dei servizi del territorio.
Questa linea tarda ad imporsi per gli ostacoli noti es. il ruolo esercitato dagli ordini professionali), e per altri più oscuri e legati agli interessi di quei gruppi professionali che tendono a mantenere un ferreo controllo e un monopolio su determinate specialità e competenze.
Non meno condizionante è l'attuale strutturazione degli ospedali e servizi, che vede le strutture sanitarie non organizzate in moderni dipartimenti, ma ancora impostale in divisioni e reparti, affidati alle figure dei primari, che vedono una mortificazione delle altre figure sanitarie.
Insomma persiste un forte divario tra i medici e le altre categorie professionali. Infatti i primari, assai più degli altri, mostrano sfiducia nella possibilità che il servizio pubblico possa rendere prestazioni qualitativamente adeguate, privilegiando di conseguenza il settore privato; inoltre propendono verso un modello della medicina che privilegi gli aspetti tecnici rispetto agli aspetti sociali.
In sostanza i medici si pongono in un rapporto di conflittualità con le altre categorie professionali e con la struttura in cui operano, perché si ritengono insoddisfatti delle possibilità di realizzazione professionale offerte loro dalla sanità pubblica e perché cercano di mantenere un legame con la medicina privata.
'"In effetti la professione medica in Italia sta "dentro' e "fuori‑', simultaneamente al sistema sanitario, sebbene le regole scritte specificano le condizioni di appartenenza all'una piuttosto che all'altra posizione.
L'oscillazione storica tra ì due poli di una massima integrazione della professione e di una non‑integrazione, rappresenta un carattere distintivo della professione medica in Italia, rispetto agli altri paesi. E forse alcuni "mali" del sistema sanitario discendono proprio da qui" (Piperno, 19861.
La figura centrale quindi sembra essere quel la del professionista medico. Necessita quindi una breve analisi dì come tale soggetto si sia andato caratterizzando nel tempo. La configurazione odierna del medico risulta lontana da quella tradizionale. Inizialmente il medico aveva un curriculum studi che dava anche una formazione umanistica.
Si pensi che il laureato in Medicina nell'ottocento era anche dottore in filosofia. Per cui la sua formazione lo rendeva di fatto un intellettuale
Saverio Caruso, in un saggio pubblicato nell'ottobre 1977 in "Sociologia della medicina riporta: "a definire la collocazione sociale dei medici concorrono senza dubbio gli elementi dell'origine sociale, delle aspirazioni professionali e della partecipazione alla distribuzione della ricchezza nazionale. In tutti e tre questi elementi fonda la sua continuità storica uno dei gruppi professionali più consistenti o, per dirla con Gramsci, una delle più importanti categorie di intellettuali tradizionali, cui si commette, da parte dei gruppi sociali dominanti ;'!esercizio delle funzioni subalterne della egemonia sociale e del governo politico".
Nella monumentale Storia del Pensiero Medico Occidentale, a cura di Mirko B. Grmek, è riportato il saggio di W.F. Bynum che tra l'altro afferma:" Nel corso del 19 secolo, lo Stato e i medici si trovarono ad essere sempre più legati fra loro. Lo Stato moderno aveva bisogno (e ha bisogno) dei suoi medici. La sanità pubblica e la cura dei militari sono due aree in cui il patronato statale della professione medica non ebbe mai incertezza. Quanto alla riforma della sanità pubblica, essa non fu mai, naturalmente, monopolio esclusivo dei medici; già verso l'inizio del 19 secolo essa fàceva parte di un processo molto più ampio che potè essere descritto come la scoperta dei poveri .... Essa doveva contare ancora su una molteplicità di competenze, fra le altre, ingegneria, statistica, architettura e chimica... Quel che comunque è fuori discussione della medicina sono creazioni sociali spiegabili solo all'interno di un quadro socio‑culturale.
L'autore che pone fine a una delle più grosse lacune della cultura medica italiana è stato, con la sua opera‑ il professor Giorgio Cosmacini, che ha pubblicato, tra l'altro, la prima sistematica Storia della Medicina e della Sanità in Italia, in tre volumi.
Nella formazione del medico ancora oggi non c'è un corso di storia della medicina e della sanità né i singoli insegnamenti necessariamente prevedono nozioni di storia della evoluzione di storia della medicina e della sanità.
In una intervista che il professor Cosmacini rilasciò a” Tempo Medico" afferma: non si tratta di una storia della medicina, giacché io non credo alla storia della medicina. No, non è un paradosso, voglio solamente dire che per me non esiste una storia della medicina in quanto tale, autonoma, slegata dal contesto sociale, politico, culturale.
Per questo all'editore che mi chiedeva di dedicarmi a un'opera storica di vasto respiro risposi che l'avrei scritta a patto che fosse una storia della medicina e della sanità. L'aggiunta che riguarda la sanità sta ad indicare il punto di vista, l'orientamento di base, non solo, come dice lo storico francese Philip Ariès, la storia dei medici e degli avvenimenti da essi provocati, ma anche la storia di una umanità anonima in cui ciascuno di noi può riconoscersi."
"Infatti alla medicina come istituzione interessa una storia celebrativa, autogratificante, non problematica; una sommatoria di scoperte e di tecniche che non lasci spazio ad un discorso critico, invece io penso che, quando è il caso. bisogna dare torto alla medicina, bisogna essere contro. Del resto il maggiore impulso a queste problematiche non è venuto dall'ambiente medico ma dall'ambiente storico: per esempio dalla scuola storica di Milano con i suoi studi sulle malattie dell'Ottocento, sul pauperismo, sulle condizioni igieniche delle popolazioni"...
2.4. Le Regioni e le politiche di Welfare.
Le problematiche evidenziate nel precedente paragrafo diventano ancora più complesse nell'ambito del decentramento amministrativo.
In questo paragrafo evidenzieremo le difficoltà dì attuazione delle politiche di welfare da parte delle Regioni e in particolare 1'implementazione di politiche sanitarie. In riferimento a queste ultime, esamineremo i propositi della legge 833/78 e la derivazione dei pericoli alla sua attuazione.
Nel quadro della Costituzione repubblicana volendo incominciare a trasferire alle regioni le politiche sociali di w.s., le stesse si sono trovate di fronte a quattro problemi:
1) l'organizzazione politico-amministrativa dell'ampio settore della politica sociale a livello regionale;
2) la metodologia della programmazione regionale:
3) l'articolazione sub‑regionale delle autonomie locali
4) Il ruolo di tali autonomie locali nella programmazione e gestione dei servizi sociali.
In più si sono dovute scontrare con una logica accentratrice del governo centrale e degli enti statali. preposti alla previdenza sociale.
Un' aspetto di particolare rilievo delle politiche pubbliche è quello che concerne il sistema sanitario.
Uno studio del CENSIS del 15 aprile 1973 sulle attività delle regioni in campo sanitario evidenzia una serie di problematiche e fa riferimento ad un progetto di legge regionale dell'Emilia Romagna sull'istituzione delle Unità Locali dei servizi sanitari e sociali. e lo cita come esempio dì intervento sanitario e sociale unitario, globale gratuito che può ottenere risultati positivi in temimi di salute per l'intera collettività.
Un altro studio dalla rivista "Ospedali in Italia dal titolo "Assetto territoriale e politico, istituzionale delle Unità Locali dei servizi", cita ancora questo progetto di legge che "inquadrando congiuntamente le strutture dei serviz1 sanitari con esigenze di intendendo socio‑assistenziale. là fare un ulteriore significativo passo avanti alla concezione globale di un compiuto sistema di sicurezza sociale. In questo senso te definizioni correlate di unità locale dei servizi sanitari e sociali, l'individuazione delle caratteristiche di questi servizi e la loro articolazione all'interno dell'unità stessa sulla base di criteri comprensoriali, in distretti. in aree elementari o settori, sono quanto di più opportuno sia dato di prendere in considerazione per arricchire di nuovi temi il dibattito sulla riforma.
La mancata riforma sanitaria e assistenziale, la inadeguatezza e l'ambiguità dei Decreti Delegati di trasferimento delle funzioni statali alle regioni in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera e di beneficenza pubblica hanno reso ancor più complesso, equivoco e improduttivo in termini di efficienza e di costo, l'intero settore di prestazioni per la tutela della salute e di protezione sociale. Le regioni si sono trovate (teoricamente) a gestire l'intervento preventivo; gli enti nazionali di assicurazione, di malattia e di assistenza sociale; l'intervento terapeutico; mentre inesistente risulta essere il momento riabilitativo e di reinserimento sociale.
La scissione tra diverse autorità amministrative e politiche dell'intervento sanitario e di assistenza sociale, la esiguità dei mezzi finanziari a disposizione della prevenzione hanno portato come conseguenza una ulteriore espansione del momento terapeutico, riperativo a posteriori di un danno che avrebbe potuto il più delle volte, essere prevenuto, con un risparmio in termini umani ed economici per l'individuo e per la collettività nazionale.
Nonostante l'impegno di spesa assai elevato in termini assoluti e percentuali rispetto al Pil e nonostante il progresso della medicina e delle scienze sociali, la battaglia per la promozione della salute e per il benessere psicofisico e sociale dell'individuo e della intera collettività, segna dei successi relativi che sono notevolmente al di sotto delle potenzialità e delle disponibilità esistenti in termini di uomini, mezzi e strumentazione.
La costituzione Italiana garantisce all'art.3 la rimozione di tutte le condizioni che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione del cittadino all'organizzazione politica, economica e sociale del paese, mentre 1'art.32 garantisce la salute dei cittadini come supremo diritto del cittadino ed interesse della collettività.
Alla fine di un lungo processo politico legislativo istituzionale, i cui capisaldi sono in particolare la legge 386 del 17 agosto 1974, la legge 382 del 1975 e il DPR 616 del 24 luglio 1977, si giunge all'approvazione della legge 833/78, atto dovuto e conclusivo di un processo irreversibile di smantellamento del vecchio ordinamento e di rinnovamento nelle coscienze e in alcuni campi dell'intervento socio‑sanitario.
La legge fissa uno scadenzario estremamente minuzioso di obblighi e impegni che occorre rispettare in questa fase di transizione, (che dovrebbe durare praticamente tutto l'amo 1979) se si vuole che il SSN "a regime" decolli a partire dal 1 gennaio 1980 (Terranova, F. 1980).
Quello che occorre sottolineare è che finalmente si è realizzato un obiettivo che era stato perseguito con tenacia dalle forze riformatrici, vale adire che le forze istituzionali e sociali che vengono coinvolte e messe in campo dal processo riformatore sono ‑ di fatto ‑ imponenti e dotate dì quella autonomia politico‑decisionale, che sarebbe dovuta risultare essenziale per il rispetto dei tempi previsti dalla legge.
È importante evidenziare uno degli elementi più qualificanti contenuti nella legge 833: si passa da una concezione di "stato-persona" propria delle legislazione liberistiche e centralistiche, allo "stato-ordinamento" tutto da inventare e costruire, ove massima è la socializzazione e il decentramento della decisione e della prestazione (Terranova, 1980).
Indubbiamente lo stato-ordinamento introduce un infinito numero di nuove variabili e fattori concorrenti per cui si può dire che costituisce una condizione necessaria per concorrere a costruire un più avanzato quadro politico. In altri termini il confronto e la mediazione politica non sono esclusivo appannaggio di una politica nazionale, bensì si snodano in una miriade di politiche locali che meglio permettono una valutazione della realtà locale e quella "acculturazione" di massa, premessa indispensabile per l'evoluzione di qualsiasi sistema sociale.
Un altro elemento qualificante che occorre sottolineare riguarda la seguente considerazione: per la prima volta si introduce in Italia l'esercizio di una funzione pubblica senza dar luogo a un "carrozzone separato", vale a dire staccato dal momento istituzionale decentrato (regioni e comuni, singoli o associati). II fatto che i poteri decisionali siano spostati quindi ai livelli istituzionali più periferici permette idonei livelli di efficienza e di qualità nei servizi sociali e sanitari locali (Terranova 1980).
Se questi erano i punti di forza della riforma sanitaria, vediamo anche a quali pericoli il processo riformatore sarebbe andato incontro.
2.5. Dalla legge 833/1978 ai Decreti Delegati.
I pericoli per l'attuazione della 833 erano numerosi perché venivano sia dallo stato centralista, sia da gruppi professionali, sia da lobbies industriali; ma certamente il pericolo maggiore derivava dalla incapacità del SSN di rispondere in termini di efficienza e di qualità alle esigenze sanitarie dei cittadini. I rappresentanti regionali infatti, indipendentemente dalle loro affiliazioni partitiche, erano tutti concordi nel denunciare i rischi, sia di una contraddizione eccessiva, sia di un'allocazione insufficiente di risorse, a prescindere dalle discrepanze, sulle stime di spesa, presenti fra i diversi documenti governativi. Inoltre tutti i membri del Consiglio Sanitario Nazionale CSN auspicavano una maggiore coerenza con lo spirito della riforma, cioè più attenzione, in concreto, alla prevenzione; più coordinamento dei servizi sul territorio; meno ospedalizzazione; più considerazione del Sud.
Anche al di fuori del CSN si svilupparono molte obiezioni; ad esempio l'ordine dei medici e con esso i rappresentanti dei veterinari, dei farmacisti, delle ostetriche, degli infermieri professionali, degli assistenti sanitari, delle vigilatrici dell'infanzia e dei tecnici di radiologia, rimproveravano al SSN la vaghezza ed il tentativo di ricorrere a controlli sul personale, ritenuti inaccettabili, con "evidenti" ripercussioni negative sulla tutela della salute dei cittadini. I medici, pur affermando l'impegno a contenere gli sprechi. rivendicavano un' autonomia piena nelle scelte professionali, indipendentemente dalle implicazioni economiche dei diversi comportamenti terapeutici.
La volontà di licenziare il PSN fu però superiore a tutte le obiezioni, perché fu deciso che era meglio avere un documento imperfetto che nessun documento (Piperno, A. 1986).
Da qui il riesplodere di forme privatistiche che di nuovo creavano discriminazioni fra i cittadini in base al reddito o alla posizione sociale occupata.
La legge 833/78 aveva l'obiettivo di spostare l'asse dell'intervento sanitario nella prevenzione delle malattie e nella promozione del benessere psicofisico dell'individuo e della comunità. Con questa concezione proponeva una ampia partecipazione informata dei cittadini, il loro attivo coinvolgimento in programmi di educazione sanitaria di massa per prendere coscienza dei vari e veri fattori di rischio per la salute umana e dei mezzi per promuoverla. Inoltre si garantiva la parità di accesso ai mezzi diagnostici, dì cura e riabilitativi a tutti.
Un rilievo importante era dato alla questione del personale del SSN tenuto alla formazione permanente nonché all'aggiornamento scientifico e culturale.
Riassumendo, la 833/78 era basata sui seguenti principi:
1) Vasto decentramento delle attività sanitarie;
2) Prevenzione. unitarietà della prevenzione, cura e riabilitazione;
3) Potere decisionale affidato agli enti locali;
4) Partecipazione degli utenti e degli operatori.
Questi principi sono stati però in larga parte vanificati da una scarsa attuazione dei motivi ispiratori della riforma.
Una prima grossa difficoltà è nata da una sempre più spinta tecnologia e specializzazione medica.
Altri motivi sono:
1) Una scarsa preparazione e motivazione del personale del SSN e non solo dei medici ma di tutte le categorie impegnate nel SSN;
2) L'inadeguatezza del sistema delle autonomie locali a gestire il decentramento dei SNN;
3) Ma più di tutto la tendenza centralistica del Governo e delle stesse organizzazioni rappresentative (partili, sindacati, etc.) che hanno cercato di frenare in tutti i modi il decentramento del SSN e la sperimentazione locale.
Tutto ciò ha comportato un diffuso e profondo malcontento che è sfociato nella formulazione dei Decreti Delegati che consistono in un profondo ridimensionamento delle prestazioni assistenziali erogate dal SSN; in una sempre più differenziata possibilità di accesso per i cittadini ai servizi erogati in base al reddito; nella possibilità dei cittadini di formare mutue private; nella organizzazione manageriale dei grandi ospedali sottratti alla gestione delle UU.SS.LL. anch'esse trasformate in aziende; nello scorporo delle attività ambientali anch'esse collegate in un' unica azienda regionale dell'ambiente.
Tutto questo in un quadro di mancanza di risorse economiche dovuto alta crisi finanziaria dello stato, che determina un ulteriore e drastico ridimensionamento delle spese per la sanità.
Da quanto detto, ci sembra che il gran numero di obiezioni mosse al PSI, che oscillano, da un lato, nel definirlo troppo omogeneo, rigido e centralistico, e dall'altro, nel definirlo frammentario, non coordinato e quasi per nulla integrato con il settore sociale, non spiegano però il vasto discredito del SSN.
La vera spiegazione potrebbe invece essere ricercata nel fatto che ancora oggi il SSN non sia in grado di soddisfare con la necessaria efficienza e efficacia le richieste fondamentali dei cittadini.