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CHI DECIDE IN SANITA'

 INTRODUZIONE 

La ragione per cui la medicina ed i servizi sanitari acquistano sempre più una posizione centrale nel dibattito politico e sociologico, nei paesi occidentali ed in particolare in Italia, è forse imputabile all'incremento sempre più insostenibile della spesa sanitaria.

Investimenti di questa grandezza danno origine inevitabilmente a problemi concernenti la relazione tra il valore che si attribuisce alla salute pubblica e la spesa sanitaria.

Un'altra ragione va ricercata nel mutamento di vecchi ordini consolidati, dovuto sia allo sviluppo tecnologico che allo sviluppo di una coscienza collettiva che ha imposto nuovi e più complessivi obiettivi alla sanità pubblica.

La medicina è diventata uno dei campi in cui vengono discussi, con sempre maggiore incisione ed impegno, da parte di utenti, politici, professionisti, studiosi. problemi connessi alle applicazioni della scienza e della tecnica al benessere dell'uomo.

Dal punto dì vista dello scienziato sociale. la medici­na è in primo luogo un sistema di istituzioni inserite in una più ampia struttura sociale; come tale essa presenta interessanti questioni di teoria sociologica ed in modo specifico di Sociologia politica, di sociologia delle professioni e di sociologia dell'organizzazione. poiché le decisioni di ordi­ne generale vengono prese a livello politico e poiché le cure mediche vengono fornite da personale specializzato c si svolgono prevalentemente all'interno di contesti organizzati.

 Ai fini sociologici è interessante l'analisi di progetti di riforma sanitaria "realizzati” o "insabbiati". per ricostruire i presupposti ideologici ed il sistema di interessi" sottostante.

 In questo particolare settore della politiche pubbliche. questo "sistema"è molto esteso e variegato perché comprende interessi industriali per un mercato in continua espansione. interessi delle corporazioni mediche per la difesa dei propri privilegi, interessi dei politici che vedono nella salute un obiettivo di grande risonanza e quindi di consenso sociale. interessi sindacali per la tutela della salute nei luoghi di lavoro, interessi delle comunità locali ad un decentramento decisionale ed operativo della macchina assistenziale.

La presenza, nell'arena sanitaria. di tanti attori con interessi diversi e spesso conflittuali, fanno si che il consenso generale sull'importanza della tutela dell'integrità fisica e psichica dì tutti i cittadini si spezzi allorché si devono rendere operativi gli obiettivi generali e si devono prendere decisioni che comportano costi o ledono interessi costituiti.

L'obiettivo di questo lavoro è quello di contribuire alla questiona delle scelte politiche appropriate in materia di assistenza sanitaria, pertanto è imperniata sulle politiche sanitario, quale aspetto particolare e condizionante di quelle sociali.

Nel primo capitolo di questo lavoro vengono esposte alcune delle teorie più recenti. relative a questa problematica, da cui emergono alcuni modelli possibili al fine di effettuare delle scelte opportune nei processi decisionali; mentre nel secondo capitolo viene analizzata l'evoluzione delle politiche di welfare, con particolare riferimento al settore sanitario. ed in considerazione della crisi finanziaria che ha investito lo stato sociale contemporaneo.

Gli argomenti trattati nel terzo capitolo riguardano il comportamento di alcuni gruppi di potere che. in relazione agli interessi rappresentati. buono un peso determinante nella messa in opera delle politiche pubbliche in materia sanitario, mentre, sul piano economico, tiene approfondita. nel quarto capitolo. l'entità e la qualità della spesa pubblica. in considerazione della ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale e del decentramento dell'assistenza sociale.

Da queste argomentazioni è desumibile che l'attuale Sistema Sanitario del nostro paese non è soddisfacente per molti versi.

Le cause sono imputabili a molti fattori: si è cercato di appurare il fondamento e di formulare qualche valutazione per alcuni di essi.

Quello che emerge dalla lettura dei temi proposti in questo lavoro ci permette di asserire che. nonostante (insoddisfazione nei confronti del SSM gli operatori e gli utenti non sembrano orientati verso un sistema alternativo di tutela della salute pubblica, ma risalta l'esigenza, da parte di molli, di far Funzionare il servizio pubblico.

D'alba parte esiste anche una certa domando di "privato ed una certo tendenza ad introdurre sistemi di mercato, sperimentati in alcuni paesi occidentali.

Va detto però che l'intervento della mano pubblica. storicamente, si è reso necessario per sanare le incongruenze del mercato.

II problema di oggi, in condizioni storiche mutate e di fronte a forme nuove e più sottili di marginalità sociale, è forse quello, come sosteniamo nel quinto capitolo, di trovare il giusto equilibrio tra modalità di allocazione delle risorse e dei valori sociali, che realizzi insieme una protezione sociale universalistico ‑ egualitaria, ma anche personalizzata, efficiente e sopportabile in termini di costi.

La nuova filosofia dell'intervento pubblico in campo sanitario come la più recente legislazione italiana in campo sanitario si ispira, da un lato, ai principi dell'universalismo e, dall'altro, lascia uno spazio di equilibrio all'azione di mercato, come meccanismo di contenimento dei costi, di personalizzazione delle prestazioni e di maggiore efficienza per il sistema complessivo.

Quando, nel corso della affascinante stagione sindacale 1968/69. soprattutto nelle assemblee dei metalmeccanici, allora punta avanzata del movimento democratico italiano, si levavano forti le proteste per un miglioramento del sistema sanitario, i dirigenti sindacali centrali e periferici rinviavano alla riforma sanitaria la soluzione di ogni problema e chiamavano in causa il governo ed il parlamento.

Ci vollero circa dieci anni, pur in un clima favorevole caratterizzato anche dall'impegno per le riforme di struttura del primo centro ‑ sinistra (governo nato dall'incontro dei cattolici e dei socialisti), perché il parlamento approvasse la legge 833/78.

La legge 833/78, considerata la RIFORMA SANITARIA per antonomasia, ebbe la funzione rivoluzionaria e profondamente innovatrice di istituire il sistema sanitario nazionale, garantendo a tutti i cittadini l'assistenza gratuita.

Si passò da un sistema di assistenza basato sulle mu­tue ad un sistema finalizzato ad offrire a tutta la popolazione "condizioni e garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale" (art. 4‑comma I ‑legge 833/78).

L'obiettivo era quello di puntare sia sulla educazione sanitaria e sulla prevenzione della malattia e dell'infortunio che sulla cura e riabilitazione.

In ossequio al principio sancito nel 1 comma dell'art.32 della Costituzione ("La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività"..), centrale veniva anche considerata la salubrità dell'ambiente di vita e di lavoro.

La legge di riforma faceva perno sull'Unità Sanitaria Locale, definita dall'articolo 10 della citata legge 833/78 "..complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane"...

Ci si poneva l'obiettivo ambizioso di offrire prestazioni sanitarie organizzando un servizio che fosse il più vicino possibile al cittadino e tale obiettivo era perseguito affidando un ruolo centrale al comune ossia all'ente a più stretto contatto con la comunità.

La scelta è significativa e testimonia del clima "progressista e democratico" in cui la legge era maturata.

La regione, che oggi è al centro di un intenso ma fin qui infruttuoso dibattito sulla necessità di dare allo stato italiano un assetto federale, si vedeva attribuita una mera funzione di programmazione in materia sanitaria.

La "gestione" era affidata ai comuni attraverso le uu.ss.ll.

Un primo intervento di modifica della legge 833/78 si verifica con la legge n.181 del 1982, che introduce nelle unità sanitarie locali il collegio dei revisori dei conti, prima mancante, con il fine di "sorvegliare" la crescente dilatazione dei costi del servizio sanitario nazionale. frutto anche della "cresta sulla spesa" di cui si sarebbero resi responsabili i Comitati di Gestione", secondo una espressione, pesante ma indicativa del clima di quel periodo, che usò alla fine degli anni '80, in un convegno ad Afragola l'allora ministro della Sanità on. Donat Cattin.

La stessa legge delegava il Governo a potenziare il dipartimento della programmazione del Ministero della Sanità e prevedeva la stipula di convenzioni con centri o imprese specializzate per la raccolta e la elaborazione dei dati relativi alla gestione finanziaria del servizio, attivando un apposito sistema informativo sanitario.

I successivi interventi legislativi. legge n. 638/83 e legge n. 730/83 (legge finanziaria per il 1984), aprono la strada a misure finalizzate alla razionalizzazione della spesa sanitaria, a partire dalla responsabilizzazione dei medici di medicina generale, ai quali, anche con la previsione di sanzioni, vengono imposti standards medi assistenziali stabiliti da apposite commissioni regionali.

Si tratta di tentativi quasi mai coronati da successo ed accompagnati o seguiti da leggi di ripiano dei disavanzi delle uu.ss.ll. incapaci di incidere sulle fonti degli sprechi.

Ma l'intento di ridimensionare il volume della spesa sanitaria attraverso misure di razionalizzazione produceva sforzi legislativi continui.

Si cita ad esempio la legge n.595 del 23 ottobre 1985 che, intitolata alla programmazione sanitaria ed al piano sanitario nazionale, impegnava le regioni ad intervenire per una maggiore adeguatezza dell'organizzazione e per rispondere alle esigenze complessive del sistema, anche con la previsione di limiti (ad esempio stabiliva in n.6,5 i posti letto negli ospedali per mille abitanti ed il tasso minimo di utilizzazione dei posti letto dal 70 al 75 per cento).

Una svolta, in direzione della lotta per arrestare il bubbone della spesa sanitaria, è considerata, a torto o a ragione a seconda dei punti di vista e della valutazione degli assetti successivi dei sistema sanitario, la legge 4 aprile] 991 n.111 che sopprimeva i comitati di gestione, introducendo una gestione sostanzialmente monocratica con l'avvento degli "amministratori straordinari".

Porse la vera svolta si registra con la legge finanziaria per il 1992, la n. 412 dei 30 dicembre 1991, che innova in materia di finanziamento della spesa sanitaria di ciascuna regione rispetto al sistema previgente, che risaliva alla legge n.887 dei 1984 (legge finanziaria per il 1985) e che stabiliva che il fondo sanitario nazionale fosse ripartito tra le varie regioni. sommando per ciascun ente le seguenti voci:

‑ una quota per le spese generali e di gestione del servizio determinata in percentuale rispetto alle spese complessive delle attività istituzionali;

‑ una quota per le attività a finanziamento differenziato;

‑ una quota per nuovi servizi e presidi in località carenti;

‑ una quota per attività a destinazione vincolata;

‑ aria quota per la spesa ospedaliera salva la compensazione centrale della mobilità interregionale;

‑ una quota determinata su base capitaria, con riferimento, cioè, al numero dei cittadini residenti.

La legge n.412 del 1991 finalmente introdusse il meccanismo di ripartizione delle risorse sulla base della quota capitaria in modo da far risaltare la differenza di esigenze tra le varie regioni.

La stessa legge aprì la strada al rapporto unico del sanitario con il servizio sanitario nazionale.

Si deve riconoscere che la classe politica intuì che il principio della garanzia dei diritto di tutti i cittadini ad un livello uniforme di assistenza, sancito nell'articolo 32 della Costituzione e nella legge 833/78, andava accompagnato da un assetto del servizio sanitario nazionale rispettoso dei più elementari principi di economicità di gestione.

A questa intuizione si ispira la legislazione successiva, con uno spostamento dell'accento dalla responsabilizzazione regionale alla responsabilizzazione delle aziende e degli operatori della sanità.

Con il decreto legislativo n.502/92. in ossequio alle direttive del parlamento (legger. 421 de123/10/92) la scelta sul livello istituzionale cui affidare l'erogazione della prestazione cade a favore delle regioni.

L’art 3 del decreto legislativo 502/92 assegna alla USL la configurazione di azienda e la lega alla regione con un rapporto di strumentalità, pur riconoscendosi alla USL autonomia organizzativa, amministrativa, contabile, patrimoniale, gestionale e tecnica.

Con il decreto legislativo n. 517/93 viene modificato l'art. 2 del 502/92, stabilendosi che spettano alle regioni e alle province autonome. nel rispetto dei principi stabiliti dalle leggi dello stato, le funzioni legislative ed amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, con il che si opera una tangibile regionalizzazione del servizio sanitario.

La cosiddetta "riforma della riforma" (D.Igs. 502/92) si fonda sui seguenti capisaldi:

‑ Centralità del Piano Sanitario Nazionale (art. 1)

‑ attribuzione alle Regioni della funzione legislativa in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera (art.2)

‑ organizzazione delle USL (art.3);

‑ Aziende Ospedaliere e Presidi Ospedalieri (art. 4);

‑ Rapporti SSN ed Università (art. 6);

‑ Dipartimentalizzazione dei servizi (art. 4);

‑ Finanziamento delle Aziende Sanitarie (art. 4);

‑ stato giuridico del personale del ruolo sanitario (art. 15);

‑ Partecipazione e tutela dei diritti del cittadino (art. 14).

Nonostante i continui interventi del legislatore, non sempre organici e fedeli ad un unico disegno di razionalizzazione a causa delle intensità delle pressioni per i notevoli interessi coinvolti, la sanità ha finito per essere sempre al centro dell'attenzione critica della opinione pubblica, spesso con grande partecipazione emotiva, quasi sempre senza decisioni tempestive e modifiche comportamentali tangibili.

II parlamento è stato nuovamente investito di questa complessa problematica ed ha approvato una nuova legge di delega al governo, la numero 419 del 30 novembre del 1998.

La legge 419/98 delega il Governo

‑ a perseguire, in breve sintesi, la piena realizzazione del diritto alla salute,

‑ a completare il processo di regionalizzazione unitamente al processo di aziendalizzazione delle strutture del servizio sanitario nazionale,

‑‑ a garantire la libertà di scelta dell'assistito nella fruizione dei servizi,

‑ a garantire la partecipazione dei cittadini e degli operatori sanitari alla programmazione e alla valutazione dei servizi sanitari, con l'attuazione della carta dei servizi,

‑ a razionalizzare il servizio sanitario con il fine di eliminare gli sprechi e le disfunzioni. a potenziare il ruolo dei comuni nei procedimenti di programmazione sanitaria e socio‑sanitaria, anche con la costituzione di un apposito organismo a livello regionale.

La traduzione nel decreto legislativo n. 229/99 della legge delega 419/98 ha concluso un lungo e complesso percorso normativo per razionalizzare la Sanità in Italia. Tuttavia discussioni e polemiche non sono finite. La stessa sostituzione della Ministra Bindi con il Prof. Veronesi alla guida della Sanità nel governo Amato, troverebbe spiegazione nei contenuti del citato decreto.

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