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ITALIA - UNGHERIA

 CAPITOLO PRIMO 

“IL TRATTATO DI AMICIZIA, CONCILIAZIONE ED ARBITRATO” ITALO-UNGHERESE.

   

  La fine della prima Guerra Mondiale ed il crollo della Monarchia Austro-ungarica, avevano lasciato un vuoto di potere enorme nell’Europa centrale e balcanica. Con gli Accordi di Versailles la Francia aveva cominciato ad organizzare in senso anti-ungherese l’universo statale di nuova costituzione ed infatti l’alleanza tra Romania, Cecoslovacchia, Jugoslavia ed appunto Francia (la cosiddetta Piccola Intesa), diretta contro le aspirazioni revisionistiche di Budapest, tendeva ad assicurare a Parigi una notevole influenza sugli sviluppi della situazione politica ed economica in quest’ambito geografico.

   Questo nuovo ordine però nasceva soprattutto a spese dell’Ungheria, che si trovava profondamente trasformata dopo la conclusione del Trattato del Trianon, con la perdita di notevoli parti del suo territorio a vantaggio dei Paesi confinanti, per cui la concezione della “revisione totale”, sostenuta con forza da tutti gli schieramenti politici ungheresi, costituiva fin dall’inizio una potenziale carica esplosiva nella costellazione degli Stati dell’Europa Sudorientale.

   Proprio alla luce di tale prospettiva, i vertici della politica ungherese, dal reggente ammiraglio Horthy al primo ministro conte Bethlen, fin dall’inizio del loro mandato politico alla fine della Prima Guerra Mondiale, si erano dati l’obiettivo di creare le condizioni per la nuova ascesa dell’Ungheria grazie ad un sistema di alleanze che includesse Potenze anch’esse insoddisfatte delle decisioni sancite a Versailles e desiderose di rivedere lo statu quo in Europa, come l’Italia e, seppure in una prospettiva futura, la Germania, oltreché per uscire dalla situazione di isolamento internazionale in cui il Paese versava. Conseguentemente l’attenzione di Budapest si concentrava soprattutto sull’Italia fascista che si proponeva di inserire la sua politica di alleanza con l’Ungheria in un programma autonomo di predominio politico nell’area danubiana. Prodromi essenziali di questa collaborazione si ebbero fin dal 1922. Infatti in un telegramma inviato il 23 dicembre dall’incaricato d’affari a Budapest, Vinci Gigliucci, si affermava che il conte Apponi, eminente politico magiaro, riteneva che «l’Italia costituisce la sola speranza ungherese. L’Ungheria vede con piacere l’affermarsi di un Governo forte in Italia e spera che direttive serie possano coincidere con interessi ungheresi »[1].

   Tali speranze non venivano deluse, in quanto nel contesto generale della politica estera fascista  nel ventennio tra le due Guerre le aspirazioni magiare si incontravano –incrociandosi - col problema dell’espansione italiana nei Balcani. Tale espansione nella suddetta direzione, per quanto da sola non potesse esaurire le aspirazioni imperialistiche del fascismo, rappresentava motivo di grande interesse,  giacché i Balcani costituivano per l’Italia non solo e non tanto, terra di colonie, quanto una premessa per ulteriori passi avanti, ovvero una volontà di assicurarsi le spalle nell’Adriatico e di possedere una testa di ponte verso l’Oriente. Il problema della sicurezza adriatica si collegava dunque all’aspirazione di costituire nella penisola balcanica un sistema politico-diplomatico collegato all’influenza italiana e la politica estera fascista, esasperando questi temi, intendeva assicurare il predominio dell’Italia, non solo da un punto di vista politico, ma soprattutto economico.

   La realizzazione di tale strategia doveva avere come momento iniziale la realizzazione di un “rapporto particolare” da stringersi con uno dei Paesi balcanici, per poi proseguire con l’estensione dell’azione a tutto il bacino centro-orientale. Mussolini riteneva che l’Ungheria per le sue difficoltà di ordine interno (crisi economica e sociale) ed internazionale (rompere il proprio stato di isolamento) poteva diventare la pedina fondamentale della propria strategia politica. Naturalmente occorreva a tal proposito, “trovarsi l’occasione” per allacciare concreti contatti con le autorità governative magiare e poiché a tale richiesta di aiuti economici la Piccola Intesa opponeva un netto rifiuto, il Duce coglieva subito l’occasione per dichiarare che «occorre che i Governi di Praga, Bucarest, Belgrado, si convincano che i nostri intendimenti mirano semplicemente a sistemare la situazione economica ungherese per evitare che l’Ungheria possa diventare l’elemento perturbatore, nell’interesse generale dell’Europa centrale»[2].

   In effetti, a partire dal 1927, quell’azione programmata, ma solo a livello progettuale, di dare inizio alla penetrazione politica nei Balcani, per il tramite ungherese, corollario necessario alle iniziative economiche, cominciava a concretizzarsi, innanzitutto per ciò che concerneva l’annoso problema degli optanti, vale a dire per gli ungheresi che, venutisi a trovare in territorio rumeno a seguito delle cessioni territoriali stabilite dal Trattato del Trianon  a conclusione della Grande Guerra, avevano tuttavia rinunciato alla cittadinanza rumena a favore di quella ungherese. A questi optanti il Governo rumeno aveva espropriato tutti i possedimenti senza riconoscere adeguato indennizzo. Di qui le forti ostilità dell’Ungheria verso la Romania, legate com’era ovvio, anche al problema dei territori forzosamente perduti. Proprio in relazione a questo problema, Mussolini inviava un telegramma alla legazione italiana in Budapest, nella persona di Paulucci, scrivendo: «È opportuno suggerire che da parte italiana si faccia il possibile per agevolare qualche amichevole transazione fra Ungheria e Romania per questione optanti e si procuri che tentativi all’uopo già iniziati siano coronati da successo, prima o durante sessione settembre Società Nazioni»[3]

   Certamente risultava politicamente importante non pregiudicarsi l’amicizia rumena,«ma sarebbe ancor peggior partito - continuava il Duce - metterci in aperto contrasto con appassionate domande ungheresi per rispetto disposizione trattati. A prescindere dal fatto che tali domande non mancano di fondamento, come ha riconosciuto in sostanza Tribunale arbitrale Parigi, é ovvio che amicizia ungherese ha per noi importanza positiva non certo inferiore a quella dell’amicizia rumena»[4].

   È opportuno segnalare che, a proposito di questo problema, che, proprio agli inizi del settembre del 1927, la Società delle Nazioni, stabiliva di rinviare la discussione della questione optanti data l’incapacità di prendere una decisione che stesse bene tanto ai magiari che ai rumeni. Anche l’Italia avallava la decisione della S.d.N. con ciò provocando ulteriore risentimento a Budapest, ove si era invece certi dell’appoggio alle proprie tesi. Mussolini, dunque, in data 22 settembre, inviava un altro telegramma a Paulucci, scrivendo che era opportuno smorzare le proteste di Budapest giacché «1°) se si fosse venuto ad una decisione esplicita il senatore Scjaloia avrebbe votato per la tesi ungherese perché questi erano gli ordini tassativi che io gli avevo trasmesso; 2°) una troppo ostentata solidarietà italiana alla tesi ungherese potrebbe nuocere all’Ungheria stessa coll’aumentare i sospetti e quindi la pressione e quindi accerchiamento anti-magiaro da parte Piccola Intesa»[5]; Mussolini comunque avvertiva Paulucci «di non fare passi di nessun genere, né prendere iniziativa di spiegazioni, ma se il discorso cadesse sull’argomento, tenga presente norma di linguaggio questo telegramma»[6].

   Risulta agevole comprendere come l’appoggio fornito sulla questione “optanti” servisse all’Italia come battistrada per la sua strategia di penetrazione politico-economica. Ma era opportuno alle intenzioni far seguire i fatti. In effetti, a partire dal 1927, e dopo la conclusione del Trattato di arbitrato concluso dai due Paesi, qualcosa, lentamente cominciava a muoversi anche a livello economico. Difatti in un telegramma inviato dall’incaricato d’affari in Budapest, De Astis a Mussolini, si faceva presente che erano in corso trattative «tra la Banca Ungaro-Italiana (del Gruppo Schlick) e la Ungarische Allgemaine Kredit Bank (Gruppo Ganz Danubius) per la fusione delle due società mediante assorbimento della Schlick Nicholson da parte della Ganz Danubius, (che va considerata come l’esponente massimo dell’industria pesante ungherese)»[7]. Questo concentramento di industrie trovava consenzienti e favorevoli i governanti ungheresi, perché si dimostrava nell’interesse dell’economia generale del Paese di vitalizzare le industrie nazionali mediante raggruppamenti industriali informati alle possibilità di consumo di quel Paese, per far sì che si ponesse fine alla concorrenza interna che, anziché favorire risultava dannosa allo sviluppo produttivo magiaro. De Astis continuava dicendo che era previsto che «la Ganz Danubius attirerà nella sua sfera d’azione, mediante l’acquisto di un congruo pacchetto d’azioni, la “Liptak Eisen Fabrik” (Gruppo Ungarische Bank) e la “Gyorer Waggonfabrik” (Gruppo Wiener Bank) centralizzando in tal modo nelle sue mani la fabbricazione di vagoni e locomotori ferroviari. Il controllo della pratica di maggioranza delle azioni Ganz Danubius verrebbe, a seguito della suddetta transazione, a trovarsi nelle mani di tre Banche: Ungarische Bank, Allgemaine Kredit Bank, Banca Ungaro-Italiana. Da ciò deriva che il Gruppo italiano sarà degnamente rappresentato nella Ganz Danubius e dunque nel comparto produttivo di questo Paese»[8]. Oltre a questo importante problema economico-bancario, nel primo viaggio intrapreso a Roma nell’aprile del 1927,  il conte Bethlen aveva discusso con Mussolini della possibilità di concedere all’Ungheria uno dei due bacini del porto di Fiume, da concordare tra quello per i cereali e quello per lo zucchero, quando i traffici tra i due Paesi fossero aumentati. Si era discusso altresì della possibilità di concedere all’Ungheria un prestito di 100 milioni di pengös (circa 332 milioni di lire del tempo). Va detto però che questo approccio iniziale non sortiva gli effetti sperati da parte ungherese, e tutto ciò rimaneva nello stadio delle buone intenzioni. Mussolini tuttavia, anticipando quella che sarebbe stata una costante del suo rapporto con il Governo magiaro, cioè di “promettere senza mai concedere”, non essendo in grado l’Italia di poter confermare suddetto prestito - data l’insolvibilità economica del Paese -, poteva proporre a Bethlen la contrazione del suddetto prestito con un cartello di Banche italiane, non impegnando il Governo di Roma direttamente.

   Il temporeggiare di Mussolini non teneva però conto dello stato di assoluta necessità in cui versava l’economia magiara. Questa situazione di difficoltà veniva efficacemente descritta in una relazione politica ed economica sull’Ungheria inviata dal tenente colonnello Oxilia a Mussolini il 1 settembre 1927. In essa Oxilia, dopo aver riportato fedelmente i malumori patiti dal popolo ungherese per le ingiustizie subite dal trattato del Trianon, passava a valutare le conseguenze economiche. In particolare, scriveva che «quasi tutte le miniere di carbone, ferro, salgemma, metano che erano nelle regioni periferiche montane sono state tolte all’Ungheria, mentre colla perdita della Slovacchia, della Rutenia, della Transilvania è venuta a mancare la quasi totalità dei legnami (...). All’ industria ungherese, accentrata verso Budapest, sono cioè venute a mancare le materie prime, ma ciò che è peggio si è trovata attrezzata per una produzione che non poteva più smaltire. L’Ungheria, perdendo i 2/3 del suo territorio, ha conservato il 54% delle sue fabbriche ed il 55% degli operai. Aggiungendo a ciò le tristi condizioni finanziarie attraversate dal Paese, appare la grave crisi che ha attraversato l’industria, la quale solo ora si avvia ad una lenta sistemazione e trasformazione»[9] .

   Se dunque risultava critica la situazione economica interna non poteva certamente sorprendere che il 15 ottobre dello stesso anno il Ministro delle Finanze magiare Bud, accompagnato dal sottosegretario di Stato Szaboky, si recasse a Berlino, non per un viaggio di cortesia, ma, riferisce l’incaricato d’affari a Budapest, De Astis, in un telegramma inviato a Mussolini il 16 ottobre «per contrarre un prestito di 225.726.000 pengö, che dovranno servire per acquistare titoli del debito pubblico prebellico ungherese, fino alla concorrenza della quota che la Commissione delle Riparazioni ha a suo tempo assegnata all’Ungheria»[10]. Lo stesso De Astis inviava a Mussolini un nuovo telegramma in data 4 novembre, per comunicare che « il signor Bud, oltre al prestito di 225.726.000 pengö, ha poi trattato per un prestito di mezzo milione di sterline che  é stato concesso dalla Banca Hambros di Londra all’ “Istituto Centrale delle Società Finanziarie” in Budapest. È stato trattato anche per la concessione all’Ungheria di un prestito di 200 milioni di sterline occorrenti per portare a compimento la riforma agraria»[11]. In effetti, come confermava successivamente lo stesso De Astis in un telegramma del 23 novembre, di tutti prestiti richiesti era stato possibile «ottenere solo quello di 500.000 sterline dalla Banca Hambros di Londra, con l’interesse del 7%, in favore dell’ Istituto Centrale delle Società Finanziarie di Budapest»[12] , mentre le trattative per gli altri erano fallite. Queste richieste di concessione di finanziamenti e prestiti, avanzate dall’Ungheria al Regno Unito e successivamente anche alla Francia, risultavano essere chiari indizi del fatto che Budapest, già dal 1927, riteneva l’alleato italiano valido in una prospettiva politica più che in quella economica, per cui era di fondamentale importanza tutelarsi rivolgendosi anche a Stati seppur politicamente più distanti da Roma. Questo discorso delle strategie di alleanza diverse da quelle con Roma, aveva come riferimento esplicito Berlino. È dalla fine del 1927, infatti, che sempre più frequenti si facevano i contatti, non solo informali,  tra Ungheria e Germania. Nel “Protocollo riservatissimo personale” che il già citato Oxilia, Regio Ministro Esteri Europa e Levante, inviava a Mussolini nel novembre del 1927, si diceva che «certamente i circoli militari e governativi confermano la politica di amicizia verso l’Italia, per tutti gli aiuti di ordine materiale morale e politico da essa forniti all’Ungheria»[13] ma che sicuramente non era possibile sottovalutare l’appoggio in chiave politico ed economico che in atto ed in potenza sarebbe potuto giungere anche da Berlino «benché non conveniva dare eccessiva importanza all’invio di ufficiali ungheresi in Germania dal momento che non esistono speciali relazioni intime tra i due eserciti e strette relazioni politiche tra i due Paesi»[14]. Oxilia sottolineava altresì il fatto che l’Italia «doveva esaminare la possibilità di inviare armi e mezzi bellici in genere in Ungheria»[15] avvertendo la potenziale minaccia tedesca verso l’area danubiana e la sua propensione per il Drang nach Sudosten con tutte le conseguenze immaginabili. A tal proposito è opportuno riportare, relativamente al grado dei rapporti ungaro-tedeschi, le dichiarazioni del Ministro degli Esteri Walko in seno alla Commissione Parlamentare per gli Affari Esteri della Camera Alta, fedelmente riportate da De Astis: «Come per l’Italia, anche i rapporti con la Germania possono essere ricordati con gioia. Le questioni che sorgono a proposito di tali rapporti sono sempre risolte in maniera favorevole. Si sono manifestate delle difficoltà a proposito della nostra esportazione agricola. Sarebbe quanto mai importante risolverle nel corso delle trattative che avranno inizio l’anno venturo. La cordialità attuale delle relazioni ungaro-tedesche si basa del resto sulla grande simpatia che vi è fra i due popoli e sull’affinità delle situazioni createsi nei due Paesi in seguito all’applicazione dei Trattati di Pace»[16]. Molto importante per l’Ungheria veniva considerato il discorso che il Duce aveva tenuto al Consiglio dei Ministri il 15 dicembre dello stesso anno. La stampa magiara aveva salutato questo intervento con grande entusiasmo, in particolare il quotidiano governativo “Budapesti Hirlap” scriveva che «Mussolini ha dichiarato che la pace tra Italia e Francia è necessaria e utile e che gli ostacoli che a tale pace si oppongono sono di natura tale che possono essere superati. In base a tale discorso si può supporre che nella regolazione dei rapporti tra Francia ed Italia si giungerà senz’altro alla discussione di tutte le questioni riguardanti i due Paesi, si tratti del Marocco o dei Balcani, del Mediterraneo o dell’Adriatico (...). Dal punto di vista ungherese quindi l’accordo italo-francese non può essere che desiderabile, perché verrebbe a rinforzare sensibilmente la situazione europea dell’Italia, pur non indebolendo la già abbastanza forte Francia, pur allontanandola forse un tantino dalla italofoba ed antimagiare Piccola Intesa»[17].

   Oltre a queste importanti relazioni, fedelmente rimesse da Budapest, sulle pressioni economiche e politiche che la Willelmstrasse (sede del Governo tedesco) effettuava sull’Europa centrale, grossi grattacapi venivano a Mussolini  anche dall’intervento inglese sulla medesima area. Difatti, per la costruzione della centrale elettrica di Tata e per l’elettrificazione della linea ferroviaria Budapest-Hegyeshalom non si era pensato a commesse italiane, quanto a quelle inglesi. Come informava da Budapest con un telegramma Durini di Monza «i mezzi finanziarii necessari per l’impianto e la gestione provenivano da un prestito di 1.200.000 sterline, garantito, in base al Trade Facilities Act, dal Governo inglese e rappresentato da materiale fornito dall’industria inglese, oltreché da un prestito ordinario di 1.800.000 sterline concesso dalla Whitehall Bank Trust»[18].

   Luci ed ombre, dunque, si presentavano nello stato delle relazioni tra Italia ed Ungheria, alla fine del 1927. Da un punto di vista politico, infatti, non c’era dubbio che Roma vedeva rafforzato il suo ruolo nel rapporto con Budapest. Difatti i due Paesi avevano firmato una serie di importanti trattati commerciali, comportanti una serie di agevolazioni per la controparte magiara soprattutto per ciò che riguardava l’acquisto da parte italiana di carne e cereali contro l’esportazione, a prezzi molto agevolati di macchinari agricoli e beni di consumo fondamentali in un paese con un’economia prevalentemente rurale. Ma oltre a ciò occorreva sottolineare la ratifica del Trattato d’Amicizia, firmato nell’aprile del 1927, importante più che per il contenuto, per il suo valore fortemente politico, in quanto con esso «l’Italia rompeva l’isolamento diplomatico internazionale in cui l’Ungheria era piombata dopo la fine della Guerra»[19]. In effetti, il “Trattato di Amicizia, Conciliazione ed Arbitrato”, come amava definirlo Mussolini, prevedeva:

1.    Patto di conciliazione ed arbitrato;

2.    Protocollo per la procedura di arbitrato;

3.    Scambio di lettere per Fiume;

4.    Scambio di lettere segrete per reciproca conversazione e consultazione.

   Questi erano i prodromi per la discussione di temi politici ed economici molto importanti. In occasione dell’incontro che Bethlen aveva avuto con Mussolini, e nel fitto carteggio intrattenuto, per il tramite dei precisi e solerti funzionari italiani della delegazione in Budapest, erano state esposte le preoccupazioni magiare per essere una sorta di cuscinetto compreso tra un blocco di 160 milioni di slavi russi ed 80 milioni di tedeschi e per essere circondati dalla Piccola Intesa, creata in funzione quasi esclusivamente antimagiara. Era soprattutto la Piccola Intesa a preoccupare Bethlen, ma mentre nei confronti della Romania riteneva esserci un margine per trattare, nonostante l’annoso problema degli optanti vane sembravano essere tutte le speranze per un dialogo costruttivo con la Cecoslovacchia di Benes. Ciò che Budapest si aspettava dall’appoggio italiano consisteva nel condividere queste preoccupazioni e nell’aiutare i magiari a sentirsi meno soli e più forti in un’area politica ed economica meno avversa ai loro interessi. Certamente agli occhi della Piccola Intesa diversa sarebbe stata la posizione ungherese con l’appoggio italiano. A quel punto considerazioni di carattere politico e militare avrebbero imposto alla Francia cautela e moderazione nel continuare a premere su Budapest affinché fosse unita al proprio sistema politico. Le considerazioni globali esposte in questo ampio progetto, i cui epigoni venivano rappresentati dalla collaborazione fondamentali nel campo politico ed economico, trovavano Mussolini alquanto consenziente, confacendosi alle sue mire espansionistiche nei Balcani, per quanto poi riconoscesse che, realizzandole, si sarebbe complicata sempre più la strada per una collaborazione amichevole con Bucarest, Belgrado e ancor più con Parigi ed il  Quay d’Orsay.


 

1Documenti Diplomatici Italiani. Serie VII, Vol.I. n. 263

2 D.D.I. Serie VII, Vol. n. 56

3 ASMAE, A.P., Telegramma n. 1637. Roma 8.8.1927, Mussolini a Paulucci. 

4 Ivi

5 ASMAE, A.P., Telegramma n. 1332. Roma, 24.9.1927. Mussolini a Paulucci.

6 Ivi

7 ASMAE, A.E., Telegramma n.1284/376. Budapest, 16.5.1927. De Astis a Mussolini.

8 Ivi.

9 ASMAE, A.P., Relazione sulla situazione politica ed economica dell’Ungheria. Budapest. 1.9.1927. Oxilia A Mussolini.

10 ASMAE. A.P. Telegramma n.2683. Budapest. 22.10.1927. De Astis a Mussolini.

11 ASMAE. A.P., Telegramma n.2806. Budapest. 4.11.1927. De Astis a Mussolini.

12 ASMAE. A.P., Telegramma n.2891. Budapest. 23.11.1927. De Astis a Mussolini.

13 ASMAE. A.P., Telegramma n. 3033. Budapest. 25.11.1927. Oxilia a Mussolini. 

14 Ivi.

15 Ivi.

16 ASMAE. A.P. Telegramma n. 3225. Budapest. 22.12. 1927. De Astis a Mussolini.

17 ASMAE. A.P., Telegramma n. 3171. Budapest, 18.12.1927. De Astis a Mussolini.

18 ASMAE. A.E., Telegramma n. 2182/699. Budapest. 17.8.1927. Durini di Monza al M.A.E., al Ministro dei Lavori Pubblici, delle Finanze e Comunicazioni.

19 ASMAE. A. P. Discorso di Bethlen a Debreczen, riportato in telegramma n. 234. Budapest. 4.4.1928. De Astis a Mussolini. 

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