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ITALIA - UNGHERIA

 CAPITOLO QUARTO 

PROGETTO DI UNIONE DOGANALE ITALO-AUSTRO-UNGHERESE.

   

     La venuta di Gömbös a Roma (7-12 novembre 1932) aveva marcato un rafforzamento nei rapporti politici ed economici esistenti tra Italia ed Ungheria, e la sistemazione, veloce e senza il minimo accenno di contrasti, delle questioni delle riparazioni a seguito dei debiti di guerra, ne era chiaro esempio. Ma presso una parte della stampa ungherese ed internazionale andava facendosi sempre più forte la convinzione che scopo della visita, oltre al rafforzamento delle reciproche reazioni, fosse anche quello di gettare le basi per una più intima intesa politica con la partecipazione, oltre che dell’Italia e dell’Ungheria, anche dell’Austria. La visita di Gömbös a Roma, la successiva  visita del Cancelliere austriaco Dolfuss a Budapest nonché l’incontro dello stesso Dolfuss con il Presidente del Consiglio bavarese, avevano dato adito all’ipotesi della possibile costituzione di un blocco degli Stati cattolici dell’Europa Centrale (Austria, Baviera e Ungheria) sotto l’egida dell’Italia. Probabilmente queste voci dovevano rimanere prive di ogni reale fondamento, ma erano pur sempre spie di una situazione di facile eccitabilità che pervadeva parte della stampa e dell’opinione pubblica europea. Per la verità, in certi ambienti vicini alle stanze del potere in Ungheria, vi era stata la tendenza a svalutare l’importanza del convegno di Roma, con l’insinuazione che parte almeno dell’opinione pubblica magiara non era rimasta soddisfatta dal viaggio di Gömbös; e che quel Paese, facile a lasciarsi sedurre da vaghe promesse che ne lusingassero l’amor proprio nazionale o ne rincuorassero le speranze revisioniste, si stava rivolgendo a mire più positive e concrete, quali quelle del raggiungimento di specifici vantaggi economici che l’Italia non era stata in grado di poterle concedere. D’altra parte va detto che gli ungheresi erano profondamente cambiati nel corso degli anni. I documenti ufficiali rivelavano l’immagine di un popolo facile ad illudersi e lontano dal comprendere la realtà dei fatti e le difficoltà dell’ordine internazionale. L’appartenenza alla Società delle Nazioni, negoziata da Appony (con l’aiuto della mediazione italiana), la simpatia dell’Inghilterra per la causa di questo popolo, illudevano più di quanto non fosse opportuno questa Nazione. Ma il tempo delle incertezze era ormai terminato., perché gli ungheresi pretendevano dei buoni trattati commerciali risultando indifferenti ai brindisi internazionali, alle amicizie infruttuose alle parole vuote. Gömbös a Roma non aveva avuto successo. Si era sperato che egli avrebbe indotto l’Italia ad interessarsi maggiormente dei prodotti agricoli ungheresi, essendo ormai largamente diffusa l’opinione che l’Ungheria non fosse altro che uno Stato vassallo di Roma o come una delle carte dei suoi giochi politici. Gli ungheresi non comprendevano perché l’Italia ritirasse dalla Russia 200.000 tonnellate di grano e solamente 833 dall’Ungheria. In Russia erano al potere i bolscevichi che in Ungheria erano dichiarati fuorilegge, mentre l’Ungheria aveva un trattato politico e militare con l’Italia. La Jugoslavia esportava in Italia tre volte più bestiame che l’Ungheria, pur essendo essa ostile a Roma, mentre l’Ungheria, un cuneo nel blocco della Piccola Intesa, non godeva dei medesimi privilegi. Gli ungheresi, a dire il vero, non comprendevano neppure la ragione per cui dei 1800 milioni di lire che l’Italia aveva pagato nel primo semestre del 1932 per l’importazione di cereali, sementi, bestiame e tabacco, soltanto 50 milioni fossero andati in Ungheria. Ci si chiedeva a cosa servisse l’amicizia con Roma se nel corso del 1932 le importazioni erano diminuite del 20% circa. Se questo era espressione del malcontento magiaro, andava però sottolineato che la stessa Ungheria si era esclusa dalla concorrenza europea insistendo sulla parità aurea del pengö e sostenendo artificialmente la sua valuta con le misure prese dalla banca nazionale. Inoltre i prodotti del suolo ungherese erano qualitativamente inferiori a quelli di altri paesi concorrenti.         Gömbös si era presentato a Roma sperando di indurre Mussolini a fare dei sacrifici materiali. Dai resoconti ufficiali risultava infatti che il Generale aveva detto che l’Italia non aveva nessun interesse alla rovina materiale dell’Ungheria, e ad una soluzione della questione centroeuropea in un senso non favorevole ai suoi interessi. Ma era inevitabile che l’Ungheria stessa doveva risolversi a pensare più concretamente alla soluzione centroeuropea se Roma non l’avesse aiutata aumentando l’interscambio commerciale. Ma Gömbös era tornato da Roma senza nuovi trattati sui contingenti commerciali; aveva ottenuto dal Duce solamente buoni consigli e l’assicurazione che avrebbe inviato esperti italiani per la riorganizzazione economica magiara e per la scelta di quei prodotti che dovevano essere coltivali lì per poi essere esportati in Italia.

     Gli ungheresi erano stati alquanto delusi da questi risultati ottenuti da Gömbös. Ma, cogliendo anche gli umori della stampa nazionale, avevano torto in parte. Tra i consigli dati da Mussolini, c’era quello di affrettare la conclusione di trattati commerciali coi Paesi vicini. Di fronte all’Austria ed alla Cecoslovacchia, l’Ungheria sarebbe stata capace di concorrere molto più che non con l’Italia,  e d’altronde Roma aveva tutto l’interesse a tenere lontana Budapest da una soluzione delle delicate problematiche tendenti a lasciare ad altri la gestione degli interessi economici nell’area danubiana. 

     Ma il problema era che in Ungheria le difficoltà economiche si intrecciavano fortemente con quelle politiche, e l’anno 1932 non segnava una sostanziale modifica delle condizioni di questo Paese rispetto all’anno precedente. C’erano stati ben due Governi che si erano alternati alla guida del Paese. All’inizio dell’anno Karolyi, che non si differenziava come fisionomia politica da Bethlen, aveva preso il potere, ma non era riuscito a determinare quelle direttive mediante le quali poter raddrizzare quella situazione finanziaria ed economica gravissima soprattutto per gli assillanti problemi dell’agricoltura, dell’assetto della finanza pubblica e della disoccupazione. Proprio queste difficoltà avevano creato un malcontento crescente anche in seno al Partito Unico di Governo, incapace lo stesso di trovare adeguate soluzioni. Anzi, nei mesi estivi vi era stato un periodo di sostanziale stasi nell’attività del Gabinetto, il quale, impossibilitato per le ristrettezze di disponibilità del Bilancio a dare pratica attuazione ai mezzi escogitati ed annunciati per il risanamento della situazione agricola, si limitava a dichiarare di voler mantenere, come già detto, a tutti i costi la stabilità della moneta nazionale, l’equilibrio di Bilancio e di intensificare la ricerca di nuovi mercati adatti allo sbocco della produzione agricola. Il Conte Karolyi si era sforzato nei suoi discorsi di mostrare la lotta che il Governo stava compiendo giorno per giorno per impedire ogni spesa che oltrepassasse le possibilità del Bilancio e procurava di dimostrare di aver raggiunto gli scopi propostisi che erano la stabilizzazione della valuta nazionale e l’assicurazione dell’equilibrio di Bilancio, il mantenimento della vita economica ad un livello possibile e del credito, nei riguardi del Paese e all’estero in misura sufficiente. Ma tali vaghe dichiarazioni non riuscivano più a convincere l’opinione pubblica, la quale chiedeva provvedimenti immediati e concreti per la soluzione dei gravi problemi, e stesso all’interno del Partito Unico si era creata una fronda che sfiduciava il Governo fino a quel momento appoggiato. In questa situazione di crisi politica, stante l’impossibilità per il Conte Bethlen di ritornare al potere, ecco che il 29 settembre, le redini del Governo venivano assunte dal Generale Gömbös. Come accennato in precedenza, egli era tacciato di essere antisemita, fortemente nazionalista e intransigente in politica interna, ma tuttavia rivelava una visione più ampia, precisa e completa del complesso dei problemi poc’anzi descritta: il suo Governo per esempio era composto da personalità che non appartenevano al mondo dell’aristocrazia ed in genere slegate dai concetti di grande proprietà e latifondo e le sue nuove idee, concretate nel Piano di Lavoro Nazionale, nel suo appello alla collaborazione da parte di tutte le forze vitali del Paese, rappresentavano una chiara forma di trapasso dai i vecchi ordinamenti e quelli più moderni.

     Anche in politica estera l’indirizzo politico magiaro andava assumendo un andamento più preciso e più spedito, senza le indecisioni degli anni precedenti. Relativamente all’Italia, il momento di difficoltà attraversato rapporti tra i due Paesi, si stava superando proprio grazie al viaggio del Generale a Roma, tanto che, dati alla mano, il 1932 si chiudeva con l’Italia che occupava il ruolo di leader nella politica estera magiara. Con gli altri Stati l’Ungheria si era proposta di mantenere rapporti di buon vicinato, senza peraltro lasciarsi adescare dalle manovre allettatrici della Francia e della Piccola Intesa che, se potevano favorirla per miglioramenti pratici immediati, avrebbero potuto portare però, date le mire della Francia, a gravi sacrifici e rinunce nel campo della politica revisionistica che l’Ungheria intendeva perseguire ad oltranza, seppur con mezzi pacifici.

     L’Italia era stato il primo paese che aveva assunto una posizione chiara a proposito dei problemi della revisione e del disarmo, ed appunto per questa ragione gli ungheresi le dimostravano riconoscenza. Le radici di una tale riconoscenza non andavano ricercate solamente nell’attività politica dettata dalla realtà, ma anche nei valori storici e tradizionali che avevano preso un notevole sviluppo tra i due Paesi. Certamente l’Ungheria subiva l’interesse francese oltre che quello italiano, ed il Piano Tardieu -costituito dall’ipotesi francese di organizzare politicamente ed economicamente i Balcani sotto la propria influenza in uno schema che i cinque Stati danubiani (Ungheria, Austria, Romania, Jugoslavia e Cecoslovacchia) s’intendessero tra loro e da soli, per una stretta intesa economica senza l’intervento di nessuna Grande Potenza - ne era una chiara testimonianza. A questo Piano l’establishment magiaro intendeva certamente riconoscere il merito di aver attirato l’attenzione europea sulla questione danubiana, ma poiché detto Piano si concretizzava in una pretesa francese di inglobare Budapest nel blocco della Piccola Intesa, sì da avere un predominio assoluto nell’Europa Centrale, lo si respingeva sostanzialmente, sostenendo che l’Ungheria aveva bisogno dei mercati italiano, francese, tedesco e svizzero e che perciò non poteva rinunciare alla propria economia. Si aggiungeva inoltre che, a questo piano si preferiva un’intesa con Roma e Vienna, più vicine alle proprie problematiche.    Il governo italiano doveva reagire. La spinta francese e il Drang nach Sudosten tedesco si facevano sempre più pressanti e la posizione economica che l’Italia stava così faticosamente tentando di acquisire nei Balcani, rischiavano di vacillare. Queste prospettive a Roma non erano certamente valutate con piacere giacché Grandi prima e Mussolini poi, ritenevano la Zollunion totalmente contraria agli interessi economici italiani. In particolare Grandi, pochi mesi prima di dimettersi dalla carica ministeriale, aveva dichiarato in una relazione interministeriale come l’accordo con l’Ungheria ed in seconda battuta coi Paesi balcanici, fosse sorto principalmente per contrastare l’ influenza francese nell’area centroeuropea e balcanica. La situazione stava successivamente cambiando e Grandi si rendeva conto che gli accordi che l’Italia si apprestava a concludere sembravano invece principalmente servire a controbattere il programma di espansione germanico che doveva preoccupare anche per le sue insite potenzialità di Anschluß, la qual cosa veniva ritenuta per l’Italia molto più pericolosa che non l’influenza ed il prestigio francese nei Balcani.

     Per tutte queste ragioni era importante uscire dalla posizione di aspettativa che ormai andava perdendo la sua forza, anche perché la Zollunion minacciava anche la conclusione dei patti regionali. Ecco la ragione per cui si rendeva necessario attivare assolutamente i negoziati con i paesi danubiani, facendo in modo che gli Accordi italiani con Vienna e Budapest giungessero rapidamente ad una conclusione allargandone anche la portata. In buona sostanza alla Farnesina si riteneva che:

1) era esclusa l’eventuale convenienza economica dell’Italia alla Zollunion;

2) detta unione avrebbe prodotto all’Italia solo danni economici e politici;

3) da ciò se ne deduceva che conveniva affrettare gli Accordi politici ed economici con Austria ed Ungheria.

     A proposito della Zollunion Grandi e Mussolini concordavano sul fatto che, qualora si fosse realizzata, la procedura da attuare per contrastarla non doveva essere quella di prevedere l’adesione successiva dei singoli Stati al binomio austro-tedesco, nel quale il Reich avrebbe avuto una parte così preponderante da far risultare gli altri (specie i Paesi più piccoli) come assorbiti economicamente dal primo. Conveniva invece negoziare con Berlino come un gruppo già organicamente costituito; ottima soluzione sarebbe stata a tal scopo, quella contenuta nei già citati Accordi Brocchi.

     L’”inaspettata” apparizione tedesca sul Danubio, non solo aveva modificato automaticamente alcune posizioni politiche nell’est europeo, quanto poi aveva sorpreso l’Italia proprio nel momento in cui si stava determinando, per la prima volta dal dopoguerra, un principio di collaborazione italo-tedesca, sulla base della revisione dei Trattati di pace, costringendo Roma -giocoforza e seppur come soluzione temporanea- a mutare strategia politica, attuando una inaspettata convergenza d’interessi con la Francia. Tuttavia da questa situazione per l’Italia potevano sorgere dei risultati assolutamente inaspettati, derivanti dalla maggiore fluidità delle relazioni internazionali. Era quello il periodo in cui in Italia si vagheggiava la politica del ”peso determinante”, ossia della possibilità di far pagare caro alla Francia o alla Germania l’amicizia con Roma.

     Ma al momento occorreva, come si è detto in precedenza, respingere sia l’ipotesi di Zollunion tedesca, sia l’ipotesi confederativa francese, entrambe contrarie agli interessi italiani, e studiare invece un’azione idonea a rinvigorire la presenza e l’espansione italiana nei Balcani. Da qui nasceva e s’inseriva la proposta magiara di realizzare un’intesa italo doganale italo-austro-ungherese allargabile succes- sivamente anche alla Germania. In realtà Mussolini, quantunque si fosse dichiarato favorevole ad un’intesa doganale della quale apprezzava soprattutto l’importanza di stabilizzazione politica, non intendeva dare troppo peso, almeno inizialmente, alla proposta magiara, né prendere posizione di fronte ad essa. Tale riserva era ovviamente imposta dalla necessità di esaminare attentamente le conseguenze che sarebbero derivate all’Italia da un’eventuale accessione all’Unione della Germania. Al momento dunque pareva al Duce più opportuno glissare sull’ipotesi unione allargata alla Germania e concertarsi sull’allargamento degli Accordi del Semmering, la cui preparazione riteneva essere ottimo viatico alla realizzazione di accordi di più vasta portata. Gömbös si dichiarava favorevole a tale programma, insistendo sulla loro applicazione. Questo piano, scaturito dalla fattiva collaborazione italo-ungherese, si presentava certamente valido per gl’interessi di questi due Paesi, ma per realizzarlo occorreva superare le ostilità austriache, che derivavano dal fatto che la Germania, pur consentendo che Vienna firmasse gli Accordi Brocchi, si dichiarava invece contraria ad un’unione doganale di cui fosse parte l’Austria senza la Germania ed era di conseguenza che, mancando la necessaria continuità territoriale tra Italia ed Ungheria, detti Accordi saltassero del tutto. Occorreva superare questo impasse ed a tal fine nell’aprile del 1932, il Ministro degli Esteri magiaro, Walko si recava a Ginevra dove incontrava il delegato italiano alla Società delle Nazioni, e nel colloquio molto importante che ivi si teneva, specificava definitivamente che l’Ungheria manteneva una posizione del tutto autonoma da Berlino (rigettando l’ipotesi di Zollunion), nonché da Parigi (e si respingeva l’ipotesi confederativa francese), desiderando invece ampliare e mettere in vigore gli Accordi Brocchi. Le buone notizie per Roma continuavano, dal momento in cui anche Schuller -il Ministro degli Esteri austriaco- faceva sapere che il proprio paese stava incamminandosi verso questa direzione.

     Confortato da ciò, qualche mese prima che lasciasse il proprio incarico agli Esteri per essere assorbito dalla Carriera, più prestigiosa ma anche con minori poteri esecutivi, Grandi inviava un memorandum al ministro Tardieu in cui, dietro formali dichiarazioni di assistenza economica all’Ungheria, si metteva in chiaro il ruolo che l’Italia intendeva svolgere nei Balcani. Il problema -secondo Grandi- stava nel realizzare un conveniente assetto finanziario ed economico per Vienna e Budapest, Paesi chiave nel complesso sistema balcanico e l’Italia si era già mossa da tempo per la conclusione con l’Austria e soprattutto con l’Ungheria di accordi speciali tendenti a facilitare l’export tramite agevolazioni creditizie ed altre facilitazioni studiate per superare l’attuale stato di crisi e tagliate a misura per l’Italia, l’Austria e l’Ungheria. Per l’Italia si trattava di valutare se per ottenere il miglior risultato possibile si dovesse attuare un piano organico rapido ed efficace che tenesse conto delle varie necessità e problemi - cosa certamente più desiderabile ma anche più difficile da ottenere - o se, come sola via percorribile, si dovessero attuare intese dirette ad aiuti singoli, in modo da giungere attraverso un connubio di intese e sforzi, all’obiettivo desiderato. Il Governo italiano si schierava decisamente (e con ciò si respingeva il memorandum francese, riaffermando la priorità dell’intervento italiano nell’Europa di Sudest) a favore di scambi di idee, incontri, che avessero luogo tra i cinque Stati danubiani da un lato ed i rappresentanti di Francia, Italia, Germania, Inghilterra dall’altro, con l’intervento cioè di quei paesi capaci di influire positivamente sul risanamento economico danubiano. Rimaneva il grande problema della Germania e dei suoi forti interessi in Ungheria in particolare, e nei Balcani in generale. È di fondamentale importanza segnalare quanto Gömbös concordasse con la dirigenza nazista circa il progetto di “Gleichberechtigung” tedesca, ossia della parità dei diritti della Germania con gli altri Stati, quale mezzo migliore per ottenere la continuazione della collaborazione tedesca nella soluzione dei grandi problemi ungheresi, ma rimanesse sulla stessa direttiva politica italiana, secondo cui non si doveva lasciare troppa mano libera a Berlino, rimanendo l’Anschluß ipotesi del tutto inaccettabile per gli equilibri balcanici. Le posizioni italiane e tedesche apparivano ancora più inconciliabili, tant’è che nell’incontro con Nadolny, capo delegazione tedesca alla conferenza sul disarmo, Mussolini prima e Grandi poi dichiaravano che dopo il tentativo di Zollunion, si era radicata sempre più la diffidenza nei confronti della Germania per l’Europa Centrale, resa già grave dall’ipotesi Anschluß e dalle controverse questioni economiche sulla competitività dei rispettivi impianti industriali.

     Respinta dunque ogni ipotesi di collaborazione con i tedeschi, una delegazione magiara composta dal ministro degli Esteri Walko e dai vertici dell’Economia veniva ricevuta a Roma da Mussolini. In tale incontro, Roma paventava per la prima volta la minaccia di non appoggiare più la causa politico-economica-revisionista di Budapest qualora quest’ultima avesse continuato il suo atteggiamento di collusione con Berlino, cosa che sortiva l’effetto sperato, cioè quello di riavvicinarla al progetto politico italiano. Difatti nel rapporto finale si leggeva che «Walko ed il neo-Governo Gömbös, confermavano quanto già detto a Ginevra al delegato italiano alla S.d.N., respingevano cioè il progetto Tardieu-Flandin, e (pur non citando direttamente la Germania) si dichiarano d’accordo di mettere subito in vigore gli Accordi Brocchi, entrambi lieti del detto che - come detto precedentemente - seppur a fatica anche Vienna stesse orientandosi verso questa direzione. Di lì a qualche giorno, siamo nel maggio 1932, sarebbe giunto a Roma anche Nickl, capo sezione ufficio economico magiaro, per ottenere, entro i limiti fissati dell’accordo firmato, le promesse facilitazioni sul bestiame e per comunicare anche la disponibilità per l’allargamento degli Accordi stessi, allargamento che doveva coincidere, secondo l’opinione dei responsabili delle reciproche sezioni economiche, con l’unione doganale italo-austro-ungherese.

     All’uopo sarebbe stato opportuno che i cinque Stati danubiani più la Bulgaria, avessero esposto in altrettanti memorandum la loro situazione economica e le loro necessità, sì da chiarire tutti i problemi. Lo stesso Gömbös ribadiva ancora una volta di essere un convinto fautore di una politica di sempre più stretta collaborazione tra Italia, Austria ed Ungheria, cooperazione basata su di un’opportuna intesa economica che tenesse conto tuttavia dei diversi caratteri e condizioni di ognuno dei tre Paesi.

     Relativamente all’intesa doganale, dal medesimo caldamente auspicata, si partiva dall’assunto che il Governo italiano addivenisse all’intensificazione dei rapporti economici con l’Austria (il Paese più debole dell’Intesa), al fine di facilitare gli accordi di collaborazione economica e politica con l’Ungheria, con la quale non si sarebbe mancato di creare una costruzione di indubbio valore politico, risolvendo anche la contemporanea grave crisi che questi due Paesi stavano attraversando. Venendo poi a parlare specificamente dell’Ungheria, Gömbös pose l’attenzione sull’eccedenza di prodotti agricoli del suo Paese, che non trovando sbocchi sui vari mercati, creavano una situazione di crisi interna. Proprio a tal fine il Generale auspicava un incremento dei rapporti con Roma soprattutto per i più importanti rami della produzione magiara, ossia cereali; bestiame; prodotti agricoli, per i quali sperava che l’Italia potesse aumentare le rispettive quote d’importazione. D’altra parte considerava certamente possibile che l’Ungheria potesse a sua volta importare dall’Italia alcuni importanti prodotti come il riso; manufatti; prodotti tessili; merci acquistate fino a quel momento da altri mercati. Questo non era che un ulteriore tassello al complesso mosaico della costruzione delle relazioni politiche ed economiche tra i due Paesi in questione, per cui potrebbe essere interessante ricapitolare le reciproche intese almeno fino al novembre 1932:

1) Patto di Amicizia italo-ungherese del 5 aprile 1927, completato da uno scambio di lettere riservate Mussolini-Bethlen, in cui si stabiliva che i due Governi avrebbero dovuto consultarsi sulle questioni suscettibili di influenzare in qualsiasi maniera (ma soprattutto sotto il profilo economico) le cordiali relazioni stabilite tra di loro;

2) Trattati di Amicizia italo-austriaco (6 febbraio 1930) ed austro-ungherese (10 aprile 1923), entrambi completati da lettere riservate;

3) Accordi del Semmering, ovvero Accordi ispirati al concetto di agevolare la reciproca esportazione di merci tra Italia, Austria ed Ungheria, mediante facilitazioni di credito ai rispettivi esportatori, da concedersi secondo determinate proporzioni;

4) progetto di unione doganale, presentato da Bethlen nel suo viaggio a Roma nel gennaio 1932. A tale progetto, avente fondamentale importanza dal punto di vista economico, Grandi (fin quando ha ricoperto l’incarico di Ministro degli Esteri, vale a dire, fino al 20 luglio del 1932) e poi Mussolini in persona, avevano risposto con l’accoglimento entusiasta da parte dell’Italia, nonostante gli assai sensibili sacrifici che la realizzazione di un simile progetto avrebbe comportato per parecchi rami dell’economia italiana, riconoscendo l’opportunità di procedere alla ricerca dei mezzi atti alla sua realizzazione, dichiarandosi disposti a nominare un delegato ad hoc non appena fosse pervenuta a Roma, da parte dei Governi austro-ungheresi, la proposta formale di stretta collaborazione nel senso sopra indicato.

     Se tale era lo stato delle relazioni tra i tre Paesi, (l’Austria andava assumendo sempre più importanza nell’opera di espansione politica e diplomatica di Roma nelle relazioni con Budapest e con il mondo balcanico in generale), bisognava studiare in quale forma pratica esse potevano confermarsi e svilupparsi. Butti - direttore generale degli Affari Politici - in una lettera del 9 settembre inviata al Duce - che nel frattempo, si è già accennato, aveva ripreso in mano anche gli Esteri succedendo a Grandi che aveva lavorato molto e bene nella realizzazione di cordiali e quanto più fruttifere possibili relazioni con l’Ungheria, nonostante i pochi strumenti finanziari e politici che il Governo Centrale gli aveva messo a disposizione essendo un convinto assertore dell’Intesa Balcanica, riteneva che nella situazione in cui si trovava l’Italia sarebbero stati sicuramente necessari nuovi sacrifici di indole finanziaria od economica da rapportarsi alle finalità da raggiungere. Le soluzioni che però venivano man mano presentate erano destinate a fallire, giacché se da parte magiara non si sollevavano difficoltà di sorta, problemi invece sorgevano a Vienna per via dei pangermanisti e dei socialdemocratici in quanto, a qualunque accordo economico di carattere pubblico, sia con Roma che con Budapest, i socialisti si dichiaravano ostili per ragioni di ordine interno, mentre i pangermanisti li avrebbero respinti per ragioni di politica internazionale. La realizzazione di questi importanti progetti comportava il fatto che Roma doveva impegnarsi a superare questi impasse, rafforzando il governo del Cancelliere Dolfuss, incoraggiando le Heimwehren (forze militari di destra), abbattendo la socialdemocrazia, aumentando gli aiuti economici all’Austria e consequenzialmente all’Ungheria, affinché questa non si sentisse come collocata su un secondo piano  nelle trattative economiche (ed in tale prospettiva rientravano le forniture di aeroplani, con pagamenti a lungo termine e a basso tasso d’interesse, nonché la soluzione di questioni finanziarie derivanti da alcune clausole del Trianon ancora in sospeso).

     Gömbös faceva molto affidamento su questi aiuti economici e oltretutto su di essi basava le proprie speranze di  espansione dei rapporti esistenti, a vantaggio di entrambi i Paesi, per favorire un rafforzamento degli scambi internazionali, sia pur nel generale momento di crisi. Inoltre egli si era attivamente impegnato per risolvere il deficit di bilancio del suo Paese anche al fine di dare all’Ungheria maggiore credibilità internazionale. Evidentemente la sua opera aveva sortito i primi positivi effetti se dopo il colloquio avuto con Mussolini in occasione della sua visita ufficiale a Roma il 10 novembre del 1932, poteva affermare con soddisfazione che il disavanzo statale si era quasi dimezzato, scendendo a poco più di 800 milioni di pengös.Nello stesso colloquio, nelle ormai consuete trattative economico-commerciali, Gömbös spiegava al Duce quanto fosse importante per l’Ungheria realizzare un accordo con l’Italia per giungere all’Adriatico attraverso la strada di Pontebba-Trieste (la cosiddetta “Pontebbana”), accordo che avrebbe consentito di incrementare notevolmente il movimento merci sia tra i due Paesi in questione, sia tra quelli delle aree circostanti, e quanto fosse ancora più importante concludere definitivamente un accordo con Roma nella sua forma più radicale  ossia, l’unione doganale che fosse preludio  a quella politica.

     Le misure di pratica realizzazione delle conversazioni avute con il Generale, secondo il Sottosegretario agli Esteri Suvich, potevano essere impostate sullo scambio di note sulla costituzione della Commissione mista italo-ungherese che si sarebbe dovuta occupare di stabilire l’utilizzazione dei 25 milioni di lire dell’accordo del Semmering impegnandosi a migliorare i traffici commerciali tra i due Paesi, nonché l’avvio delle pratiche per la tanto agognata unione doganale. In definitiva, l’accordo di programma da svolgersi tra Ungheria ed Italia, discusso tra Mussolini e Gömbös il 10 novembre 1932, doveva prevedere innanzitutto un’azione comune per ottenere che in Austria si formasse un governo autoritario col quale poter trattare. Tale governo nelle intenzione dei due Capi di Stato, si sarebbe dovuto poggiare come persona a Dolfuss e come forza politico-militare alle Heimwehren; tuttavia non sembrava ai due leaders che l’assunzione di tale governo autoritario fosse potuto avvenire per via costituzionale. Occorreva la forza. Naturalmente Mussolini e Gömbös s’impegnavano personalmente ad appoggiare le Heimwehren, nonché a svolgere opera di persuasione presso Dolfuss a mezzo della delegazione italiana a Vienna, allo stesso modo in cui stava operando la delegazione magiara. Parallelamente al discorso d’intervento nella politica interna austriaca, Roma, Budapest e Vienna dovevano attivarsi per concludere un accordo doganale o un qualsiasi accordo politico che potesse determinare il medesimo risultato. Corollario necessario di tutta questa complessa operazione economica, doveva essere un Trattato di natura eminentemente politica tra i tre Paesi in grado di completare tutto questo sistema e che tenesse in considerazione anche un nuovo fondamentale fattore negli equilibri politici internazionali, ossia la salita al potere in Germania di Adolf Hitler.        Ovviamente non è questa la sede idonea per valutare quelle che furono le conseguenze di questo avvenimento nello sviluppo delle relazioni tra Italia, Germania ed i Paesi danubiano-balcanici, in quanto il nostro lavoro verte fondamentalmente sulle relazioni tra l’Italia e l’Ungheria, e discorrere quindi sull’affermazione di indubbia portata storica del nazionalsocialismo ci porterebbe fuori dalla prospettiva di analisi del nostro documento. Tuttavia è evidente che da questo momento, stante l’intrecciarsi sempre più stretto delle vicende tra Roma, Budapest e Berlino, anche la posizione della diplomazia tedesca assume un rilievo sempre più evidente che dunque non può essere trascurato. A proposito dei rapporti con Berlino, il Ministro degli esteri magiaro Kanya scriveva infatti in un rapporto del 21 febbraio del 1933 che «in occasione della sua odierna visita, l’inviato italiano a Budapest Colonna mi comunicava che Mussolini, a proposito della salita al potere di Hitler, con il quale si felicitava pienamente, non intendeva almeno per il momento sollevare con il Führer la gravosa questione dell’Anschluß, seppure ciò andava contro gl’interessi dell’Italia. Mussolini pone grosso peso sulle relazioni italo-tedesche, e spera che si riuscirà ad approfondire l’aiuto reciproco, per cui sarebbe desiderabile se determinate questioni, che potessero influenzare negativamente le relazioni reciproche, fossero lasciate fuori»122.

     Ancor più interessante risultava essere il discorso che il Generale GömböS ad Hitler appena quattro mesi dopo l’incontro testé descritto tra Kanya e Colonna. Il saluto del Generale partiva dalla sua «personale  e nazionale simpatia per la Germania. Sottolineo la somiglianza delle vedute politiche generali per poi passare all’analisi delle questioni più importanti, in primis l’Anschluß- a proposito della quale sostengo che l’Ungheria si poneva fino a non molto tempo fa di fronte all’ Anschluß con una posizione di non assoluto rifiuto. La situazione si è mutata per la riservata politica commerciale tedesca. I circoli agrari ungheresi immaginano con orrore che, in caso di Anschluß possano perdere anche il mercato austriaco, cosa che per l’economia magiara legata sostanzialmente alla terra, potrebbe avere conseguenze catastrofiche. La situazione dovrebbe cambiare radicalmente , se si riuscisse a porre i rapporti economici ungaro-tedeschi su una base che possa soddisfare gli interessi economici dell’Ungheria. A tal proposito è l’Ungheria, purtroppo, un fattore di potenza così scarso da esercitare una influenza assolutamente relativa in relazione all’Anschluß.

     Il peggioramento delle relazioni austro-tedesche è, dal punto di vista magiaro, cosa assai spiacevole. Noi abbiamo con entrambi gli Stati ottime relazioni, e dunque è per noi particolarmente importante in molte questioni in cui noi abbiamo interessi paralleli, collaborare con entrambe le Potenze. Chiedo al Führer se non sia il caso di attenuare la sua politica di rigidità nei confronti dell’Austria.

Per quanto concerne poi le relazioni italo-tedesche, é chiaro che per noi è particolarmente desiderabile ed auspicabile un amichevole sviluppo dei rapporti tra questi due Paesi. Come vede Hitler le attuali relazioni e le relative possibilità di sviluppo?»123.

     Questi interrogativi presupponevano evidentemente l’interesse da parte magiara, nemmeno tanto nascosto, di sondare il terreno della possibile intesa politico-commerciale con Berlino, tentando, al contempo, di non ostacolare lo stato delle relazioni con Roma che rimanevano assolutamente fondamentali da un punto di vista politico.

     D’altronde Mussolini cercava di vedere sviluppi positivi in questa situazione balcanica anche dopo l’ingresso sulla scena politica di Hitler ed i rinnovati piani di espansione tedesca nell’area in questione. A tal proposito, egli riteneva che gli ultimi eventi gli avessero fornito nuove opportunità, permettendogli nuovamente di far “pendolare” la sua politica, che era quella di non scegliere con quale delle due forze schierarsi, tra quella dinamica nuova tedesca, o quella tradizionale, egemone nell’area, francese.

     Il problema che però agli occhi del Duce appariva più urgente e complicato da risolvere, era senz’altro quello relativo all’Austria, data la pesante interferenza nella propria politica interna da parte nazista che poteva compromettere il delicato ruolo di equilibrio e collegamento che faceva di questo Paese il ponte d’unione tra Roma e Budapest, aprendo nel contempo all’Italia la porta sui Balcani e sull’Europa Centrale. Ecco spiegata la ragione dei sempre più forti legami tra Mussolini e Starhemberg, capo delle Heiwehren ( ostili alle ingerenze naziste in Austria e perciò inclini, attraverso il loro Capo ad una politica di collaborazione con Roma) ed il Cancelliere Engelbert Dollfuss. Il Duce si rendeva infatti perfettamente conto della gravità della situazione austriaca e sapeva che, non appena in Germania Hitler si fosse rafforzato ed avesse consolidato il proprio potere, avrebbe puntato diritto all’unione con l’Austria. Ai fini dunque di un mantenimento del controllo sulla situazione balcanica, della supremazia politica in Ungheria nonché del tenere a bada l’operato della Germania sarebbe stato necessario per Mussolini adoperarsi per una soluzione specificamente italiana alla soluzione di questi problemi, assistendo cioè l’Austria nella sua politica di consolidamento delle proprie strutture legittime di potere e contro i sovversivi piani nazisti di espansione, e stabilendo un collegamento sempre più stretto con Budapest per il tramite di Vienna. Apertis verbis, bisognava giungere alla creazione di un’unione doganale -in chiave antitedesca- che oltre agli indubbi vantaggi economici fosse stata in grado di offrire anche sostanziosi vantaggi politici, sia per quanto concerneva la questione dell’opposizione all’Anschluß, sia per frenare l’incipiente Drang nach Sudosten. Ma alla realizzazione di questo piano si frapponevano problemi di non poco momento sia per quanto riguardava l’Austria, che l’Ungheria. Relativamente all’Austria, il problema principale era dato dal riuscire a convincerla ad adottare una chiara politica antitedesca obiettivo difficile da attuare, nonostante le pressioni e le citate infiltrazioni naziste, dati i vincoli di sangue e lingua che univano quasi indissolubilmente Berlino e Vienna. Sul fronte magiaro - lo si é visto - l’ostacolo era costituito dal stessa salita al potere di Hitler, che aveva riportato nel Paese, sino a quel momento legato solamente all’Italia, la possibilità di una maggiore libertà di movimento, basato sull’alleanza con un’altra Potenza apertamente revisionista. Tutto ciò si traduceva in una notevole apertura politica e commerciale da parte di Berlino, quantificati nelle visite di eminenti esponenti politici magiari in Germania e negli accordi commerciali conclusi tra i due Paesi nel giugno 1933.

     Questo inatteso avvicinamento era grave per diversi motivi. Il più importante era determinato dal fatto che la visita di Gömbös a Berlino - prima visita ufficiale di un Capo di Stato in Germania dal dopoguerra - aveva rotto l’isolamento politico e morale della Germania, la qual cosa non poteva non avere importanti esiti sullo scenario politico internazionale. Altro importante motivo stava nel fatto che si determinava, in seguito a questi avvenimenti, una vera e propria accelerazione sul piano di una combinazione a tre italo-austro-magiara. Il primo risultato che il Duce aveva sperato di ottenere, nel tentativo di realizzare questo blocco economico e politico danubiano, era quello della realizzazione dei citati Accordi Brocchi, ossia di un sistema di tariffe preferenziali che prevedesse una riduzione differenziata degli interessi per singoli articoli da esportare. In pratica, detti Accordi realizzavano agevolazioni doganali che, date le clausole N.P.F. (Nazione Più Favorita), non si potevano concedere. Nonostante traesse relativi benefici economici da simili Accordi tuttavia la loro parafatura fu un successo per Mussolini che, rassicurato dallo stesso Gömbös sul fatto che l’amicizia con Berlino (che certamente il Duce non poteva impedire, anche perché in chiave di una prospettiva futura poteva tornargli utile, ed inoltre amava lasciarsi sempre aperta qualsiasi possibilità per il futuro) non avrebbe assolutamente compromesso il progetto di collaborazione sull’Europa Centrale, poteva stringere notevolmente a sé i magiari. Detta collaborazione era destinata a diventare più solida e vigorosa il 26-27 luglio 1933, dopo la visita di Gömbös e Kanya a Roma, allorquando veniva stipulato un protocollo segreto che vincolava i due Stati alla realizzazione della già paventata unione doganale, obbligando l’Ungheria alle seguenti condizioni sul problema austriaco:

1) avvicinamento tra Ungheria ed Austria, ma senza fini di unione;

2) mantenimento dell’indipendenza austriaca;

3) politica di normalizzazione con Berlino, a patto che Hitler smettesse di ingerire nelle questioni di politica interna dell’Austria.

     In cambio l’Italia s’impegnava a continuare il proprio appoggio al revisionismo magiaro, opponendosi a tutte le manovre francesi tendenti al mantenimento dello statu quo. Va detto che questo protocollo segreto aveva una chiara funzione antifrancese e voleva costringere Parigi a scendere ad accordi con Roma, alle condizioni di quest’ultima, intenzionata com’era a sfruttare il crescente timore francese per la minaccia tedesca. Con questo protocollo si stabiliva ancora l’allargamento degli Accordi Brocchi, e Mussolini s’impegnava a discutere i problemi dell’Ungheria nelle future assise internazionali, ed in particolare in quell’ambito ristretto delle concertazioni tra Italia, Francia, Inghilterra e Germania, da cui nascerà il “Patto a Quattro”.

     Quanto detto può essere ulteriormente chiarito se prendiamo come punto di riferimento i documenti ufficiali, oggetto della nostra ricerca, ed in particolare il resoconto di un colloquio tra il delegato italiano a Budapest, Colonna ed il Generale Gömbös. Scrive infatti Colonna in un rapporto inviato al Duce che «l’atteggiamento del Generale Gömbös nei confronti del nostro Paese è ben noto. Il suo messaggio al Duce, non appena assunto il potere, le esplicite e molteplici dichiarazioni di riconoscenza e d’amicizia per l’Italia, la sua ferma convinzione della necessità di una politica di sempre più stretta cooperazione tra l’Italia, l’Ungheria e l’Austria ed infine il suo recente viaggio a Roma mostrano i suoi sentimenti di attaccamento al nostro Paese ed alla persona del Duce, per il quale egli nutre la fiducia e la stima più illimitata. La sua idea di un’eventuale cooperazione italo-austro-ungherese, dimostra inoltre la continuità di indirizzo della politica iniziata in tal senso dal Conte Bethlen tendente alla creazione di un’intesa economica tra i tre Paesi.

     Il Governo ungherese ha sempre considerato come uno dei più importanti compiti di politica estera il mantenimento dei migliori rapporti con la Francia. Essa rappresenta un fattore finanziario troppo importante perché l’Ungheria possa metterla da parte, senza peraltro lasciarsi eccessivamente allettare dai disegni del Quai d’Orsay (di cui è attivo interprete a Budapest il Ministro di Francia Sig.De Vienne) la cui politica, soprattutto per quanto riguarda le speranze di revisione dei trattati, è perfettamente agli antipodi di quella magiara. Certamente il Generale Gömbös, nel suo discorso alla Camera, accennando alla Francia, si è espresso a favore di un ulteriore sviluppo dei buoni rapporti con essa. L’attuale Ministro degli Esteri, Signor Puky, in un’intervista concessa al corrispondente dell’“Agence Economique et Financiêre” dichiarò che la Nazione ungherese non ha dimenticato che “nelle ore più difficili della sua vita finanziaria ed economica, anche la Francia figurava tra gli Stati che le sono corsi in aiuto e che la Francia si era adoperata moltissimo a far sì che l’Ungheria, duramente colpita dalla crisi economica generale e specialmente dalla crisi agricola, non venisse a trovarsi in una situazione anche più grave. Oltre a ciò va tenuto conto dell’orientamento verso la Francia di gran parte dei circoli intellettuali, sui quali la cultura francese esercita tuttora un fascino notevole, di alcuni dei dirigenti della corrente legittimista, quindi di parte dell’alta aristocrazia, e della socialdemocrazia.

     Tra gli Stati della Piccola Intesa può dirsi che la Jugoslavia sia quello con la quale l’Ungheria ha i minori punti di attrito. L’anno in corso non ha dato luogo ad avvenimenti degni di speciale menzione tra i due Stati finitimi. Assai minore comprensione caratterizza invece i rapporti con la Cecoslovacchia. Un atteggiamento assai riservato ha sempre mantenuto l’Ungheria a proposito dell’idea lanciata da Benes di un’intesa ceco-austro-magiara. A questo proposito sono degne di essere ricordate le dichiarazioni del Generale Gömbös, secondo le quali egli intende controbilanciare, per quanto possibile, la politica della Piccola Intesa tendente tra l’altro a concretare un’intesa tra Ungheria e Cecoslovacchia. Tuttavia, tra mille difficoltà, il 19 agosto del 1932, dopo lunghe e movimentate trattative, fu firmato a Praga un accordo di carattere provvisorio relativo agli scambi commerciali tra Ungheria e Cecoslovacchia. Con la Romania i rapporti non hanno subito sostanziali mutamenti da quello che erano alla fine del 1931, inizi del 1932, ove parve che la politica magiara si stesse preferibilmente orientando verso quel Paese, anziché verso la Cecoslovacchia (viaggio del Principe Nicola a Budapest, incontro del Conte Bethlen con Re Carlo a Timisoara). Pur procedendo l’Ungheria con la massima circospezione per timore che qualche mossa non eccessivamente cauta, potesse far credere ad un sia pur parziale abbandono delle rivendicazioni revisioniste. Tuttavia, nel corso del 1932, le relazioni tra i due Paesi, in seguito alle dimostrazioni antimagiare svoltesi in varie città della Transilvania e a Bucarest stessa, a proposito della campagna antirevisionista promossa dal giornale “Universul”, hanno subito un sensibile peggioramento, conclusosi con un passo di questo Governo verso quello rumeno»124.

     Detto dei sempre più stretti rapporti con Vienna, da inserirsi nel rapporto di collaborazione politico e commerciale con Roma, rimane senz’altro da analizzare lo stato delle relazioni tra Budapest e Berlino, che costituivano il maggior cruccio di Mussolini, nonché il punto di attrito più forte tra Roma e Budapest. Già si è detto del viaggio che Gömbös aveva intrapreso a Berlino, ma è interessante entrare maggiormente nel dettaglio -attraverso la consueta precisione dei rapporti di Colonna, datati luglio 1931- per comprendere meglio l’attrazione che Berlino esercitava sugli ungheresi, nonché le difficoltà che Roma doveva affrontare, seppure si avviava a trascorrere il suo migliore periodo nelle relazioni con l’Ungheria. Scriveva Colonna che «l’idea di un viaggio del Presidente del Consiglio è nata in seno al Partito Socialnazionalista e fu avanzata dall’emissario tedesco a Budapest, Signor Daitz. Il Cancelliere Hitler ha invitato parecchie volte il Presidente del Consiglio, e recentemente l’ha sollecitato per via telegrafica, di modo che il Presidente si è deciso subitaneamente a compiere il viaggio. Lo scopo del viaggio del Presidente Gömbös fu la chiarificazione di tre questioni, cioè

1) la questione economica ungaro-tedesca;

2) le relazioni austro-germaniche cioè la situazione austriaca;

3) la questione dei tedeschi viventi in Ungheria e nei territori occupati. Fu pure motivo di viaggio importante il controbilanciare gli intrighi della Piccola Intesa, la quale lavora sistematicamente per minare la situazione dell’Ungheria a Berlino. In tale intento, gli Stati della Piccola Intesa fecero capite al Governo tedesco che essi non avevano obiezioni contro l’Anschluß. La Rumenia è distante dall’Austria e perciò il problema dell’Anschluß non la tocca da vicino. La Jugoslavia - malgrado che gli ambienti ufficiali e quindi anche il Ministro degli Esteri, si opponevano continuamente all’Anschluß - garantiva alla Wilehlmstrasse, per mezzo del suo ministro a Berlino, che Belgrado non solo non muoveva alcuna obiezione contro l’Anschluß, ma tale progetto è addirittura conforme agli interessi della Serbia, perché la vicinanza della Grande Germania eserciterebbe una certa pressione sull’Italia  e diminuirebbe il carattere anti-jugoslavo della politica italiana, e inoltre, perché renderebbe impossibile che nel caso di un conflitto italo-jugoslavo, l’Italia si serva dell’Austria come di u territorio di transito. Significativo pure il fatto che, non soltanto Belgrado e Bucarest, ma negli ultimi tempi anche Benes diceva dappertutto, che egli non temeva il pericolo dell’Anschluß e se doveva scegliere tra questa e la restaurazione asburgica, egli si deciderebbe senza esitare per l’Anschluß. I tre Stati della Piccola Intesa affermarono ufficialmente - con grande eco nella stampa - che, per le ragioni suddette, vi è nella questione dell’Anschluß, grande divergenza tra l’Ungheria e la Piccola Intesa, in quanto l’Ungheria teme molto l’Anschluß e insieme all’Italia fa di tutto per evitarla.

     Inoltre i Governi della Piccola Intesa si servono sistematicamente della loro minoranza tedesca contro quella ungherese e in ciò ricevono aiuto da parte del tedesco ”Bund für das Deutschtum im Ausland”. Nelle questioni economiche il Presidente del Consiglio ricevette dal Cancelliere Hitler una promessa soddisfacente riguardo al trattamento speciale dell’esportazione ungherese, di modo che l’amicizia politica abbia influsso anche sulle questioni economiche.

     Per quanto concerne la questione austriaca il Cancelliere ha dichiarato che egli non pensa all’Anschluß, ma tiene a ciò che le elezioni abbiano luogo in Austria e che poi in base all’esito delle elezioni, si costituisca un nuovo Governo. Il Cancelliere crede che tale Governo potrebbe essere di coalizione tra socialnazionalisti e cristiano-socialisti. Egli è d’avviso che in Austria ci sono interessi comuni italo-tedesco-ungheresi. Il Cancelliere desidera la partecipazione al Governo dei socialnazionalisti perché in tal modo vuole avere la garanzia che l’Austria non navigherà né in acque francesi, né in quelle piccolintesiste. Secondo la sua opinione, il Cancelliere Dollfuss non è adatto a questo compito. Hitler non ha fiducia in Dollfuss. Del resto il Presidente Gömbös si rendeva conto del risentimento straordinario di Hitler contro Dollfuss. Le frasi accentuate di alcuni dirigenti austriaci, come ad esempio “braune Pest”, hanno messo fuori di sé il Cancelliere Hitler. Il Cancelliere ha detto tra l’altro al Presidente «Wenn man meine Bewegung eine braune Pest nennt, werde ich das niemals vergessen» (se si definisce il mio movimento peste nera, ebbene questo non lo dimenticherò mai). Dopo di ciò il Presidente ha avuto l’impressione che non può trattarsi di riconciliazione tra i due Cancellieri, e che Dollfuss non potrà essere a capo del costituendo Governo dopo le eventuali elezioni. Trattando della questione austriaca , si è parlato del Tirolo del Sud. In tale riguardo Hitler ha dichiarato che dal punto di vista tedesco, la questione è d’importanza secondaria, per la quale non si può sacrificare grandi interessi politici.

     Nel viaggio di ritorno il Presidente, per non avere l’aria di essere intermediario indesiderato, non ha fatto visita al Cancelliere Dollfuss. Di ciò è sorto un piccolo malinteso, che però è presto sparito dopo le spiegazioni del Presidente, di modo che le relazioni di personale, intima amicizia esistenti tra egli ed il Cancelliere Dollfuss, corrono come dapprima»125.

     Tornando ai dati puramente economici, è importante segnalare i dati ufficiali forniti dalla Società delle Nazioni relativamente all’interscambio ungherese nel primo trimestre del 1932. In particolare le tabelle dimostravano un considerevole rafforzamento degli scambi dell’Ungheria con la Svizzera, la Francia e la Gran Bretagna; viceversa diminuivano sensibilmente le cifre d’affari dei tradizionali partner commerciali dei magiari, ossia dell’Austria (da 356 a 170 milioni di pengos, ma rimaneva il primo partner commerciale con il 30% del totale scambiato), della Cecoslovacchia (da 133 a 24 milioni, 4.2%), dell’Italia (da 117 a 57 milioni, 10%), della Germania (da 94 a 68 milioni, 12%). Come si può agevolmente notare da queste cifre, la Germania alla metà del 1932 aveva superato l’Italia nel complessivo giro di scambi economici. Ciò è testimoniato dalla lettura del documento della S.d.N. stilato dal Sig. Royal Tyler: «Relativamente all’Italia, gli scambi di merce tra questo paese e l’Ungheria si sono evoluti come segue:

Esportazioni ungheresi verso l’Italia                    117.2                51.3

Esportazioni italiane verso l’Ungheria                   41.3                31.7

                Saldo per l’Ungheria.........................+ 75.9            + 19.6

Un accordo di compensazione è stato siglato il 5 marzo 1932, che continuerà ad essere applicato senza interruzione, fin quando non sarà denunciato da una delle due parti.

     Per quanto concerne la Germania, questa è la situazione di interscambio commerciale:

Esportazioni ungheresi verso la Germania             94                68

Esportazioni tedesche verso l’Ungheria                174              132

                Saldo per l’Ungheria.........................  - 80             - 64

Un accordo di compensazione è stato siglato e dovrà entrare in vigore il 20 aprile per un periodo di tre mesi; sarà automaticamente rinnovato, fin quando non sarà denunciato con un preavviso di un mese»126. Arlotta commentava, con la sua consueta acutezza e lucidità di visione, la Relazione del Delegato Tyler sostenendo che stante la tradizionale crisi del comparto produttivo, l’Ungheria poteva sperare di raggiungere la stabilità finanziaria solo se le imprese statali avessero cessato di gravare sull’Erario e se si fosse posto fine alla creazione di fondi per l’appoggio di alcuni rami della vita pubblica, le cui perdite dovevano essere coperte con denaro pubblico. Il Parlamento aveva approvato il Bilancio pubblico per l’anno 1932/33 le spese del quale (806 milioni) erano al di sotto della somma prevista (830 milioni) dal Governo nell’ottobre dell’anno precedente, ma tuttavia rimanevano un peso enorme. Per quanto concerneva il commercio estero -proseguiva Arlotta - «quest’ultimo segna una continua diminuzione, il che è da attribuirsi tanto alle restrizioni delle importazioni e delle divise, quanto alla disparità dei prezzi, il che rende impossibile la vendita all’estero di taluni articoli ungheresi. Nel primo trimestre del 1932 l’esportazione ungherese rispetto al periodo corrispondente del 1931 segna una diminuzione del 44% e rispetto al periodo corrispondente del 1930 del 67%. Il commercio estero ha perduto i suoi naturali e tradizionali mercati e si è rivolto verso paesi più lontani a valuta migliore, ma a causa delle forti spese di trasporto, gli utili sono andati perduti. Nel secondo trimestre del 1932 la Francia, l’Inghilterra e la Svizzera hanno assorbito una percentuale maggiore dell’esportazione ungherese che non nel 1930. La Francia è l’unico Paese che ha aumentato in cifre assolute l’importazione dall’Ungheria. Con la Germania - la relazione prosegue - si sono svolte delle trattative per una convenzione preferenziale, la quale però non è entrata in vigore, avendo gli altri Paesi sulla base del principio della nazione più favorita, sollevato delle proteste tra cui l’Italia).

     Intanto, nonostante le difficoltà economiche, le relazioni commerciali tra Italia ed Ungheria non s’interrompevano affatto. In effetti, i traffici italo-ungheresi, per la mancanza di una maggiore reciproca conoscenza dei mercati e per le deficienze dell’organizzazione commerciale, erano rimasti assai inferiori alle possibilità esistenti, il traffico reale non raggiungendo che una frazione dei reciproci fabbisogni. Un maggiore affiatamento commerciale avrebbe potuto senz’altro assicurare alle economie delle due Nazioni amiche i vantaggi pratici contribuendo efficacemente al consolidamento di una solida barriera antifrancese. «L’occasione ed il mezzo - si legge in un promemoria a firma di Ciancarelli - sarebbe dato dalla costituzione della società italo-ungherese, prevista dall’accordo recentemente firmato. Secondo l’accordo stesso l’attività della società si limiterebbe alla gestione dei “crediti di esportazione”, mentre essa potrebbe essere ottimamente valorizzata e sfruttata per il perfezionamento dell’organizzazione commerciale italo-ungherese anche su basi più vaste. Il programma di funzionamento della società dovrebbe essere quindi integrato dai seguenti capisaldi:

1) la Società ha sede a Milano, Budapest e, con riguardo alle necessità e possibilità del commercio marittimo ungherese, a Fiume ed istituirà agenzie e rappresentanze secondo la convenienza;

2) l’organizzazione commerciale della Società si estende quindi tanto sull’Italia quanto sull’Ungheria, assicurata dagli inconvenienti dal riconoscimento da parte Statale e dalla partecipazione delle Banche. Potrà collaborare efficacemente con gli enti morali dei due Paesi istituiti per l’esportazione, camere di commercio, cooperative. Essa in Italia lancerà l’appello: Italiani, comprate merce nazionale, ma se vi occorrono prodotti esteri, acquistate quelli ungheresi; ed in Ungheria: Ungheresi, comprate merce nazionale, ma se vi occorrono prodotti esteri, acquistate quelli italiani;

3) la Società può svolgere lavoro di intermediazione, trattando grandi partite di merce ed assicurandosi quindi economia nei prezzi, nei trasporti e nel finanziamento offrendo da parte sua vantaggi tangibili ai propri clienti e fornitori. Non farà quindi concorrenza al proprio commercio interno ed individuale, sostituendosi invece all’acquirente o al venditore straniero. Valorizzerà e faciliterà inoltre, mediante finanziamenti o sotto forma consorziale, anche l’attività delle aziende che già lavorano con risultati soddisfacenti nei rispettivi rami del commercio internazionale.

4) la conclusione di grandi affari di compensazione, esulterebbe lo stesso dalla competenza e dalla capacità delle singole ditte stesse;

5) la Società dedicherà particolare cura allo sviluppo del commercio marittimo ungherese, alla quale darà una nuova forma di espansione potendo trattare affari di compensazione anche con terzi paesi coi quali l’Ungheria non è in relazioni dirette, come la Russia, o coi quali mantiene rapporti piuttosto sporadici. La base di operazione del commercio marittimo ungherese sarebbe naturalmente Fiume»127.

     Questo promemoria sul progetto di “covenant” commerciale italo-ungherese troverà definitiva sistemazione nella importante conclusione del “Trattato di commercio e di navigazione italo-ungherese” come si legge dalla nota inviata dalla Farnesina al ministro plenipotenziario per l’Ungheria a Roma de Hory. In essa infatti si stabiliva che il Governo italiano proponeva di far entrare in vigore provvisoriamente, tramite scambio di note, il Trattato, di cui sopra, concluso a Roma, a partire dalla data del 21 luglio 1932. Ovviamente a Budapest c’era tutto l’interesse a che esso venisse formalizzato e non vi fu il minimo problema per la parafatura di tale Accordo che significava moltissimo da un punto di vista degli scambi commerciali tra i due Paesi. Con esso le relazioni reciproche segnavano una importante svolta nel senso che, dopo un periodo di stasi, esse subivano un’accelerazione significativa e che portava l’Italia ad assumere un ruolo determinante negli affari economici con i magiari, al di là di quello politico, ormai stabile. La logica del rafforzamento dell’intesa economica, cui questo Trattato appartiene, è oltremodo visibile anche dalla istituzione di un Ufficio per il Turismo a Budapest, al fine di rafforzare il flusso turistico tra l’Italia e l’Ungheria. «Ho ricevuto il pregiato telespresso di codesto Ministero (degli Esteri, N.d.A.), scriveva il funzionario Rochira della delegazione italiana a Budapest, con l’allegata copia di un rapporto concernente l’istituzione di un ufficio ENIT a Budapest. Ritengo quanto mai opportuno, anche in vista delle relazioni politiche e culturali che sussistono tra Italia ed Ungheria, di favorire l’avviamento di correnti turistiche ungheresi verso l’Italia. Ho quindi dato alla Direzione generale dell’ENIT l’incarico di esaminare la possibilità di dare maggiore impulso all’azione di propaganda svolta un Ungheria, trasformando in un vero e proprio ufficio ENIT di propaganda l’attuale delegazione dell’ENIT a Budapest»128. Tutto ciò doveva coordinarsi con un altro fattore molto importante per la situazione dei reciproci traffici, ossia l’abolizione dei noli ferroviari per le merci con destinazione Ungheria. Questa disposizione era stata adottata, alla fine del 1932, a richiesta dell’Ufficio Internazionale di Compensazione, in conseguenza delle difficoltà valutarie in cui si dibatteva appunto l’Ungheria, difficoltà che avevano reso impossibile alle ferrovie ungheresi l’effettuazione dei pagamenti dei noli a loro carico entro i termini stabiliti a riguardo dall’ufficio Internazionale di Compensazione. Di tale situazione venivano ovviamente a giovare tutti i Paesi che commerciavano con l’Ungheria, e, dato il positivo momento attraversato dalle relazioni economiche tra Roma e Budapest, non c’era alcun dubbio che i commerci reciproci, dato questo imprevisto avvenimento, se ne giovassero. Quanto poi alle decisioni del Governo magiaro di attuare delle restrizioni all’importazione di merci straniere in Ungheria, valga per tutte la nota trasmessa dalla Farnesina, a firma di Ciancarelli, del novembre del 1932, in cui si specificava che «Questo Ministero ha preso atto delle comunicazioni fatte dal Ministro del Commercio ungherese circa il recente provvedimento adottato dal Governo ungherese per sottoporre a preventivo rilascio di apposito permesso l’importazione in Ungheria di un nuovo numeroso gruppo di merci di provenienza estera. Al riguardo, questo Ministero, mentre prende nota della riserva già formulata dal R° Ministero a Budapest, esprime l’avviso che sarebbe opportuno far conoscere alle competenti autorità ungheresi che il R° Governo è certo che il Governo di Budapest non si avvarrà come stabilito del meccanismo di controllo istituito per l’importazione di merci estere in Ungheria, per danneggiare, limitare od ostacolare in alcun modo l’esportazione italiana su quel mercato»129.

     Queste tendenze positive nell’interscambio commerciale tra i due Paesi venivano rese ufficiali dai già citati documenti della Società delle Nazioni che, nel suo rapporto dell’aprile del 1933, confermavano il fatto che l’Italia manteneva salda la terza posizione nell’interscambio generale con l’Ungheria, scavalcando definitivamente la Francia e L’Inghilterra, riducendo la forbice con l’Austria, ma venendo altresì scavalcata dalla Germania.

     Questa era lo stato delle relazioni commerciali e politiche tra Roma e Budapest, alla vigilia della dichiarazione ai vertici magiari della volontà mussoliniana di realizzare il Patto a Quattro. La speranza di Mussolini di poter realizzare il tanto agognato Patto danubiano-balcanico non poteva essere concretizzata se prima non si risolveva la questione austriaca. Certamente in quel momento storico, siamo ormai nel 1933, i contrasti con Berlino erano forti, ma il Duce era intenzionato a  non creare difficoltà politiche in Europa, tentando di trovare una posizione di assoluto equilibrio tra la Germania da un lato, e le Potenze democratiche dall’altro. La realizzazione dei suoi programmi doveva essere portata avanti senza ricorrere a metodi forti ed in accordo con Londra e Parigi. È in quest’ottica che bisogna collocare l’idea del Patto a Quattro, che prevedeva la realizzazione di periodici incontri tra le quattro potenze continentali al fine di affrontare, risolvendole, le grandi questioni europee. Chiaramente l’obiettivo politico implicito dell’Italia era che in quest’assise venissero riconosciute le sue esigenze soprattutto relativamente ai Balcani. In sostanza il Duce intendeva presentarsi come il portavoce degli Stati fascisti d’Europa, senza però perdere la credibilità di mediatore onesto per le Potenze democratiche. Detto Patto doveva essere anche lo strumento per smentire coloro che vedevano Roma e Berlino come destinate a stringere sempre più le loro relazioni politiche e per smentire quelli che ritenevano l’Italia troppo incline ad una politica protesa verso la guerra; tramite il Patto, infatti, il Duce ci teneva a presentarsi dinanzi all’opinione pubblica mondiale, come il saggio dittatore che, mirando a creare un direttorio delle grandi Potenze, dimostrava ancora una volta di voler guidare l’Italia fascista e l’Europa intera, sulla via della pace. Oltretutto il momento era psicologicamente favorevole al Duce. In Francia, in effetti, l’avanzata di Hitler stava creando forti timori, anche nella prospettiva di una sua collaborazione con Mussolini, e molti ora guardavano proprio all’Italia nella speranza che trovasse un “modus operandi” in grado di evitare futuri attriti. Anche per Berlino, seppur per altri motivi, il Patto costituiva un momento importante nelle sue vicende di politica estera, consentendole d uscire dal proprio isolamento diplomatico, e se era vero che la filosofia del Patto contrastava per molti aspetti con l’ideologia del Fuhrer - in quanto rischiava di imporre al movimento nazista una sorta di freno e di controllo, difficilmente compatibile con il sentimento nazionale fortemente eccitato - era pur vero che tramite il Patto la politica estera tedesca poteva trovare sbocchi, passando da una situazione fortemente statica ad una di maggiore dinamicità, nel contempo permettendole di mantenere i rapporti con Roma e per quanto possibile con Londra. In verità al Foreign Office la “doppiezza” della politica italiana era stata chiara sin dall’inizio, e per tal ragione si voleva tenere sotto controllo il Duce, cosa che sarebbe stata senz’altro più agevole aderendo al Trattato; inoltre, temendo come Parigi l’alleanza tra Roma e Berlino, si pensò di aderirvi per influire su Berlino, sfruttando i buoni rapporti con Roma. Relativamente alle relazioni con Budapest, preoccupazione italiana era stata quella di confermare a Gömbös che - con riguardo a tutti i problemi che formavano oggetto, direttamente o indirettamente del Patto - sarebbe continuata la politica di stretta amicizia sino a quel punto praticata, rimanendo essa un punto fermo della politica estera italiana; e d’altronde, la migliorata atmosfera che esso avrebbe prodotto avrebbe determinato condizioni anche più favorevoli al consolidamento delle reciproche relazioni. Anche l’Ungheria, secondo il progetto mussoliniano, avrebbe dovuto contribuire al buon funzionamento del Piano, giacché ne avrebbe ottenuto un indubbio tornaconto in termini di uguaglianza dei diritti, nei confronti di tutti gli altri Stati e, ovviamente, di aiuti economici. Il Patto fu definitivamente firmato il 6 giugno del 1933. Il testo finale risultava notevolmente modificato rispetto alla sua formulazione originaria (grazie all’opposizione francese), ma questo fatto aveva per il Duce importanza relativa, in quanto ciò che più gli stava a cuore era di esserne stato il proponente, di essere riuscito a convergere su di esso le attenzioni ed una sostanziale adesione delle altre potenze e di essere riuscito ad evitare la creazione di blocchi ideologici contrapposti tali da annullare il principio della posizione particolare dell’Italia. Tuttavia il suo valore risultava più politico che sostanziale, divenendo infatti la cornice di ulteriori accordi particolari, ed essendo oggetto di un progressivo svuotamento di contenuto, tanto da diventare quasi inutile ai fini di una soluzione concreta dei problemi europei. Anche presso l’opinione pubblica ungherese c’era stato malcontento, una volta venuti a conoscenza della normativa del Patto, giacché formalmente, mancava qualsiasi riferimento alla Gleichberechtigung magiara. Roma ovviamente aveva tentato di smorzare i toni della polemica, affermando che la vera consacrazione di tutti gli sviluppi della futura politica europea era assicurata dalla conclusione dell’Accordo stesso, assai più che dalla lettura di qualcuna delle sue disposizioni, ma evidentemente tali spiegazioni non lasciarono soddisfatti i magiari se è vero che, con una certa sorpresa, il 19 giugno 1933, Gömbös si recava a Berlino per incontrare Hitler. Scriveva Cicconardi - incaricato d’affari a Berlino - in un rapporto destinato al Duce, che da notizie avute in via confidenziale da von Masirevich - ministro ungherese a Berlino -, Gömbös si era recato a Berlino per parlare soprattutto dell’unione doganale. A tal proposito, secondo von Masirevich, se si parlava precedentemente di un’unione doganale tra Austria, Italia ed Ungheria soltanto, con la Germania fuori di essa, pur mantenendo contatti commerciali con essa, nel nuovo organismo discusso da Hitler e Gömbös, la Germania avrebbe partecipato al pari degli altri. Sostanzialmente si trattava di una manovra per far comprendere alla Piccola Intesa che il potentato economico-politico gravitava sull’asse Roma-Berlino, e non su quello Parigi-Praga. Altra chiave di lettura poteva essere quella secondo la quale si voleva dimostrare all’Europa che, con questo viaggio, l’Ungheria non si lasciava soggiogare da alcun Paese, e che essa manteneva assoluta libertà di movimento. Seppur con molta diplomazia, lo stesso Gömbös ribadiva questi concetti nella sua lettera inviata il 24 giugno a Mussolini. In essa il Generale faceva gli auguri ed i complimenti al Duce per l’ottima riuscita del Patto a Quattro, e spiegava le motivazioni del proprio viaggio a Berlino. In particolare Gömbös scriveva che era stato importante che il Fuhrer fosse venuto a conoscenza in prima persona delle esigenze del popolo ungherese, ma anche di quello austriaco e di quello italiano; si diceva assolutamente convinto che solo un chiaro ed amichevole comportamento tra Austria, Germania, Ungheria ed Italia avrebbe potuto portare alla realizzazione degli obiettivi comuni, e riteneva che lo strumento del Patto a Quattro fosse realmente in grado di risolvere i reciproci problemi ancor più delle conferenze organizzate dalla S.d.N. a cui, anzi, si doveva subordinare. La lettera si chiudeva chiedendo al Duce di adoperarsi per contenere le manovre tedesche sull’Austria. Mussolini rispondeva a Gömbös con una lettera del 1 luglio in cui si rallegrava del fatto che il viaggio del Generale a Berlino non fosse dovuto ad un tentativo di organizzazione dell’Europa Centrale con la Germania, ma si rimaneva legati al caposaldo italiano e alla necessità di sempre più strette relazioni politiche ed economiche tra Budapest e Vienna, manovra che però richiedeva a questo punto una accelerazione, viste le aspirazioni tedesche sull’Austria. L’Italia, nella visione politica del Duce, l’avvicinamento sempre più deciso dell’Italia all’Austria ed all’Ungheria, sarebbe stato auspicabile anche per costringere questi due Paesi ad adottare una politica sempre più comune. L’Italia avrebbe potuto stare nel mezzo grazie alle sue possibilità economiche ed alla sue forte influenza politica internazionale. In un secondo momento, dopo cioè il raggiungimento di questo primo obiettivo, sarebbe stato possibile ed auspicabile attuare una politica di collegamento anche con altri Stati, quali ad esempio la Germania e quelli della Piccola Intesa. La realizzazione di tutti questi progetti passava comunque attraverso la riforma in senso autoritario del regime governativo austriaco. Ed il momento affinché tale riforma si realizzasse sembrava ormai giunto, giacché Dolfuss, grazie alle continue e reiterate pressini italo-ungheresi, sembrava essersi convinto del fatto che ormai Parigi non poteva più fornire le medesime opportunità politiche ed economiche della “Triplice Dinastica”, per cui era giunto effettivamente il momento di attuare riforme costituzionali in senso corporativo, trasformare radicalmente il sindacato ed affermare in tutto il Paese l’idea autoritaria, abbattendo il Parlamentarismo e la socialdemocrazia di stampo francese. L’esame di tali questioni e lo studio delle vicende politiche internazionali che andavano intrecciandosi in Europa, fornivano nuove ipotesi di discussione al centro dei colloqui tra Gömbös e Mussolini che s’incontravano per la seconda volta a Roma il 26 luglio 1933.


 

122 Archivio di Stato. Affari politici. Rapporto del Ministro degli Esteri ungheresi Kanya. Budapest, 21.02.1933.

123 Ibid.

124 ASMAE. A.P. Rapporto “Politica Estera Ungherese” inviato da Colonna a Mussolini. Budapest, 10.1.1933.

125 ASMAE. A.P. Rapporto di Colonna a Mussolini a margine del viaggio di Gombos a Berlino. Budapest, 1.7.1933.

126 Archivio di Stato: Documento della Società delle Nazioni n. C. 389 n. 219 1932 II A, in data 30.4.1932. Aggiornamento 2° Rapporto trimestrale del Signor Royal Tyler sulla situazione finanziaria dell’Ungheria durante il primo trimestre del 1932. Foglio di trasmissioni 214584 indirizzato alla Dir. Gentile. E.L.A.

127 Archivio di Stato. Documenti Economici. Promemoria spedito da Ciancarelli a Mussolini. Roma, 13.6.1932.

128 A.S. Affari Economici. Telespresso n.237552 spedito dal funzionario della Legazione italiana a Budapest a Mussolini. Budapest, 20.12.1932.

129 A.S. Affari Economici. Telespresso n.220681, spedito da Ciancarelli alla Regia Delegazione d’Italia a Budapest. Eoma,11.11.1932.

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