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ITALIA - UNGHERIA

 CAPITOLO QUINTO 

GLI ACCORDI DI ROMA.

 

     A Roma, il premier magiaro teneva a sottolineare nuovamente la speranza che l’Italia assorbisse l’eccedenza cronica di grano ungherese. Sul piano internazionale i due leaders continuavano a dichiararsi pronti all’unione doganale con Vienna senza la partecipazione tedesca (seppur in un ambito di rafforzamento dei legami politici ) stabilendosi inoltre l’identità delle direttive dei due Governi sui seguenti punti:

1- riavvicinamento austro-ungherese, senza però “unione personale”;

2- Italia ed Ungheria rinnovavano la loro intenzione di realizzare l’unione doganale con Vienna o, in mancanza di ciò, si dichiaravano disposte ad attuare sempre più le reciproche relazioni economiche attraverso l’integrazione e la dilatazione degli Accordi del Semmering;

3- per quanto concerneva la Piccola Intesa, Italia ed Ungheria si dichiaravano d’accordo nel respingere i piani di una più vasta coordinata cooperazione economica limitata ai cinque Stati danubiani, terreno questo scelto dalla Piccola Intesa per seppellire ogni tentativo di revisione e sfavorirla economicamente.

     Questo incontro costituiva il momento finale di tutta quella lunga, complessa e laboriosa trattativa tra questi due Paesi cominciata con gli Accordi Commerciali italo-ungheresi, firmati il 18 aprile 1933, (ma che solo con questi colloqui ricevevano impulso decisivo stabilendosi l’importazione italiana delle eccedenze di bestiame e cereali ungheresi e l’importazione da parte ungherese di macchinari  e di prodotti prevalentemente tessili), e terminata con il “Memorandum italiano sul Danubio” del settembre 1933, in cui, al fine di collegare sempre più strettamente a sé Austria ed Ungheria, si dichiaravano definitivamente inattuabili le proposte francesi di una regolamentazione globale della materia economica tra i cinque Stati danubiani ed in loro vece venivano proposti accordi bilaterali sulla base di alcuni principi accettati accettate da tutte e tre le parti. Tali principi dovevano essere:

1- Accordi bilaterali;

2- Preferenziazione della produzione agricola ungherese;

3- Preferenziazione della produzione industriale austriaca;

4- Contropreferenze per gli Stati non danubiani con una bilancia commerciale passiva con il Gruppo dei Cinque;

5- Ricostituzione delle correnti di scambio e delle vie di comunicazioni naturali.

     Sul fatto che per il risanamento dell’export agricolo magiaro occorresse un trattamento preferenziale da parte degli Stati industriali europei, nulla quaestio. Il momento nuovo dal punto di vista italiano, della politica commerciale contenuta in tale memorandum consisteva nel fatto che l’Ungheria (ed i Paesi danubiani), cui veniva riservato un trattamento preferenziale, doveva fornire una controprestazione, graduata a seconda dell’attivo o del passivo della propria bilancia commerciale, nei confronti dei Paesi che praticavano la preferenziazione. Questa era una clausola diretta specificamente contro la Germania, giacché tutti i Paesi danubiani avevano nei confronti dell’Italia una bilancia commerciale attiva, viceversa, nei confronti del Reich, presentavano tutti bilance commerciali passive, in quanto la Germania vendeva agli Stati danubiani più di quanto non importasse, non favorendo così il loro sviluppo.

     Relativamente al Patto a Quattro, si ribadiva che esso sarebbe stato estremamente vantaggioso per l’Ungheria, perché rientrava innanzitutto nel suo ambito l’ancora irrisolto problema del disarmo al quale l’Ungheria aveva diretto interesse, ed in un secondo momento quello della revisione dei Trattati, obiettivo che rimaneva una delle direttici della politica estera italiana e magiara.

     Proprio in relazione a quanto stabilito in queste direttive, Mussolini aveva approvato la decisione ungherese, proprio all’indomani degli accordi sul Patto, di non seguire Berlino dal ritiro dalla S.d.N.. Per Mussolini la firma del Patto a Quattro aveva avuto per effetto una “detente” generale in Europa di cui anche la Germania si sarebbe avvantaggiata. Invece l’iniziativa presa dal Reich aveva aumentato le diffidenze che esistevano attorno ad essa. Trovava quindi, il Duce, molto saggia la decisione del Governo ungherese di non seguire l’esempio tedesco.

     Intanto a rendere sempre più efficaci i legami commerciali tra Roma e Budapest, e per segnalare ulteriormente il reciproco felice momento economico, il Ministero delle Corporazioni inviava un telegramma al Ministero degli Esteri nel novembre 1933, in cui veniva riportato che «l’Istituto Nazionale per l’Esportazione ha fatto presente a questo Ministero che la Camera di Commercio e Industria ungherese di Budapest, nel preannunciargli l’invio di un invito ufficiale per la partecipazione italiana alla Fiera primaverile di Budapest del prossimo anno 1934, ha assicurato che un nostro intervento riuscirebbe particolarmente grato all’Ungheria, dati i saldi legami d’amicizia esistenti tra le due Nazioni; ed, altresì, in considerazione della circostanza che l’Ungheria partecipa alla Fiera di Milano ed a quella del Levante di Bari»130. La partecipazione dell’Italia a questa Fiera aveva ovviamente un valore politico prima che commerciale, ma questo aspetto non era certamente sfuggito al Duce se era vero che, aveva dato autorizzazione a De Bono, Ministro delle Colonie, affinché desse disposizioni ai Governatori delle quattro Colonie al fine di coinvolgere vivamente gli industriali ed i commercianti interessati a inviare alla Fiera quei campionari di prodotti e di merci che potevano interessare i Paesi danubiani. Inoltre la Farnesina faceva sapere che «in occasione della Fiera di Budapest, dal 4 al 14 maggio 1934, V.E. (le Regie Autorità Diplomatiche e Consolari, nonché la Divisione di Frontiera del Ministero dell’Interno) è autorizzata a concedere gratuitamente il visto (ove prevista la relativa tassa) sui passaporti degli stranieri che dovranno transitare nel regno per visitare o partecipare alla Fiera suddetta»131. Intanto, mentre Suvich comunicava ufficialmente la partecipazione italiana a suddetta Fiera (decisione del 20 marzo 1934), ulteriori buone notizie giungevano a Mussolini, stavolta dal versante politico, con la Dichiarazione di Dolfuss circa la cooperazione economica tra Italia, Austria ed Ungheria. Colonna, delegato italiano a Budapest, spediva un telegramma a Mussolini in data 20 febbraio, in cui si chiariva relativamente all’Unione Doganale che«in questo momento - sono parole di Dolfuss - non trattasi di ciò ma questo naturalmente non esclude che con l’Ungheria noi collaboreremo in maniera sempre più stretta»132, non escludendo neppure un suo prossimo viaggio a Roma. Ma il fervore politico che animava le relazioni tra Italia ed Ungheria, non doveva evidentemente fermarsi qui, se era vero che, proprio mentre Dolfuss pronunciava queste parole, Suvich, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, si trovava in visita ufficiale a Budapest. Scriveva Colonna, a proposito del problema austriaco, che Suvich aveva avuto il giorno precedente «conversazione con Gömbös e Kanya su questione austriaca in cui constatava concordanza in massimi punti di vista. Tanto Gömbös che Kanya manifestano desiderio riunione Roma possa avvenire il più presto possibile. Preannunciate per oggi discussioni economiche con intervento Ministri competenti che intendono fare nuove richieste sostenendo essi che dopo regime Semmering esportazione ungherese ha avuto maggiore attivazione che quella italiana»133. Il giorno successivo, Suvich aveva avuto un colloquio di due ore con Gömbös e Kanya in cui erano stati esaminati altri problemi politici al di fuori di quello austriaco, esaminato - come già visto - il giorno precedente. In particolare scriveva Colonna in un altro telegramma, sempre inviato al Duce, «Gömbös progettato problema generale sulle linee protocollo firmato a Roma insistendo per unione doganale a tre o per lo meno per comune territorio economico. Pur dichiarando adesione di massima ho fatto riserve per difese nostra agricoltura. Per quanto riguarda problemi particolari è stata prospettata da Ministri ungheresi questione importazione bestiame per cui dichiarano nostra proposta assolutamente inaccettabili. Preparano controprogetto.

     Si è deciso che per preparare accordo economico converrà che prima della riunione di Roma si trovino insieme i rappresentanti tecnici dei tre Paesi che potrebbero essere Ciancarelli, Schuller e Winkler con incarico di indicare tutte le possibilità per l’allargamento dei rapporti, tenendo conto che i tre Paesi sono destinati in definitiva a formare territorio economico comune»134. Da parte italiana, comunque, occorreva sempre essere vigili con gli ungheresi, perché, dopo soli dieci giorni dagli incontri tra Suvich ed i vertici magiari, questi ultimi concludevano un importante trattato commerciale con Berlino. Questo accordo commerciale era stato favorevolmente accolto in Ungheria e si doveva riconoscere che esso era veramente ispirato da una forte comprensione da parte tedesca per le necessità dell’economia ungherese di quanto fosse stata dimostrata dai governi precedenti. Era evidente che il Governo di Hitler si era lasciato guidare anche da considerazioni di carattere politico riconoscendo che le concessioni fatte nel campo economico non potevano avere ripercussioni favorevoli sull’economia tedesca, ma rappresentavano il mezzo più efficace per allargare la sfera d’influenza della Germania in Ungheria. Con l’accordo recentemente firmato, la Germania aveva firmato a favore dell’Ungheria vari contingenti d’importazione per merci la cui esportazione interessava molto da vicino l’economia magiara. I contingenti erano 500.000 q per il frumento. 500.000 q per il granoturco, 250.000 q per l’orzo, 6.000 capi per i bovini, 30.000 per lo strutto e 15.000 q per il lardo. Per tutte le facilitazioni ottenute dall’Ungheria si prevedeva che l’esportazione ungherese verso la Germania, che nel 1932 era stata di 51 e nel 1933 di 45 milioni di pengos, avrebbe raggiunto, nel corso del 1934, almeno i 100 milioni di pengos. In compenso alle facilitazioni di cui sopra, a favore dell’Ungheria, sarebbero di lì in poi entrati in vigore anche i nuovi dazi industriali i quali, per la clausola della Nazione più favorita, avrebbero portato dei benefici anche all’Italia. Le riduzioni di dazio concesse alla Germania riguardavano soprattutto prodotti chimici, meccanici, farmaceutici e siderurgici.

     Tuttavia, la conclusione di questo importante accordo commerciale tra Ungheria e Germania, non interrompeva affatto il fruttifero dialogo tra Roma, Budapest e Vienna. Appena un mese prima della firma del suddetto Trattato, Gömbös aveva scritto al Duce un telegramma in cui si diceva che l’Ungheria si dichiarava disposta ad intavolare trattative per attuare un’unione doganale anche a due, cioè con l’Italia soltanto e senza Vienna. Ciononostante non c’era stata la necessità di ricorrere a questa soluzione estrema. Difatti, quando nel febbraio del 1934, nel corso dei colloqui tra Roma, Budapest e Vienna era divenuto chiaro che , nonostante il ricorso ad ogni tipo di pressione, il fine ultimo dell’unione doganale non sarebbe stato possibile da raggiungere (in quanto l’accordo commerciale concluso con Berlino prevedeva una clausola che costringeva gli ungheresi - in cambio di sostanziosi vantaggi economici - ad assumere un’assoluta posizione di veto di fronte ad un’unione doganale con Italia ed Austria, ma senza la partecipazione della Germania), la politica italiana era ritornata ai progetti del 1932, ovvero alla realizzazione di accordi politici che fungessero da preludio a successivi legami politici ed economici da concludere con Austria e Ungheria, nell’ambito di un sistema di accordi a tre sotto il predominio italiano. A metà marzo Mussolini aveva raggiunto “finalmente” il suo scopo. Dopo lunghissime trattative poteva accogliere a Roma i due Capi di Stato per la conclusione dei sospirati Accordi. Anche la situazione internazionale sembrava favorevole, in quanto la Francia e la Piccola Intesa preferivano senz’altro una moderata influenza italiana a quella tedesca nel Centro Europa. L’Inghilterra approvava le intenzioni italiane, mentre la Germania, a causa della sua politica fortemente antiaustriaca, si era attirata l’inimicizia ed il sospetto delle Potenze europee.

     Nei colloqui con Gömbös, il Duce aveva tentato di convincerlo dell’indispensabilità di un’Austria indipendente, anche dal punto di vista degli interessi ungheresi. Gömbös si era dichiarato d’accordo anche se, more solito, aveva ripetuto di non potersi contrapporre a Berlino, giacché per regolare le questioni di carattere revisionistico verso la Cecoslovacchia, e per il consistente appoggio economico, aveva senz’altro bisogno del suo aiuto. Il premier magiaro aveva però rilanciato, richiamando l’attenzione del Duce sui vantaggi di una progettazione economica e politica Berlino-Roma-Vienna-Budapest, in cui Vienna facesse da “trait d’union” tra i tre Stati ma in modo da non poter intrattenere rapporti politici più stretti con nessuno Stato in particolare, proprio al fine di evitare il pericolo maggiore (Anschluß).            Gömbös aveva sottolineato alla fine che l’Ungheria si sentiva chiamata a sviluppare una propria politica autonoma nel bacino dei Carpazi, fondandosi sull’Italia a sud del Danubio e sulla Germania a nord dello stesso fiume.

     Al di là comunque delle residue incertezze reciproche, l’intesa scaturiva comunque negli Accordi di Roma, allorquando venivano stipulati i tre Protocolli il 17 marzo 1934. Nel primo di essi, i tre Stati s’impegnavano a concertarsi su tutti i problemi che particolarmente li riguardavano e su quelli di ordine generale , allo scopo di svolgere, nello spirito degli esistenti Trattati di Amicizia tra i tre Paesi - fondati sulla contemporanea presenza di molteplici interessi comuni - una politica concorde, diretta a promuovere la collaborazione effettiva tra gli Stati europei e tra Italia, Austria ed Ungheria in particolare. All’uopo i tre Governi avrebbero provveduto a consultarsi ogni volta che almeno uno di essi lo avesse ritenuto opportuno. In particolare nel Protocollo 1) si leggeva che i tre Stati animati dal proposito di concorrere al mantenimento della pace ed alla restaurazione economica dell’Europa sulla base del rispetto dell’indipendenza e dei diritti di ogni Stato, persuasi che la collaborazione tra i tre Governi in tal senso possa stabilire le premesse reali per una più larga cooperazione con altri Stati, s’impegnano a concertarsi su tutti i problemi che particolarmente li interessano, allo scopo di svolgere una politica cordiale e comune.

     Nel Protocollo 2), relativo allo sviluppo dei rapporti economici, si stabiliva che i Governi di Italia, Ungheria ed Austria, animati dl desiderio di sviluppare le relative economie, col dare nuovo impulso allo scambio dei loro prodotti, opponendosi in tal modo alle tendenze insane di autarchia economica e di favorire con provvedimenti concreti l’opera di ricostruzione economica dei Paesi danubiani, in armonia col Memoriale danubiano del 1933, si trovavano d’accordo su quanto segue:

art.1) estendere la portata degli Accordi in vigore, accrescendo le agevolazioni per l’export reciproco e traendo in tal modo, sempre maggiore profitto dalla complementarità delle rispettive economie nazionali. A tal fine, nuovi accordi bilaterali saranno conclusi prima del 15 aprile 1934;

art.2) i Governi di Italia, Ungheria ed Austria stabiliscono di adottare i provvedimenti necessari per superare le difficoltà derivanti all’Ungheria dal ribasso dei prezzi del grano;

art.3) i Governi si obbligano a facilitare e sviluppare quanto più è possibile il movimento di transito nei porti dell’Adriatico;

art.4) i Governi costituiranno una Commissione permanente di tre esperti incaricati di seguire l’andamento dei rapporti economici tra i Paesi e di formulare proposte concrete atte a far raggiungere un maggior sviluppo di tali rapporti. Le norme pratiche relative all’applicazione di questi Protocolli, venivano definite, sia con l’Austria che con l’Ungheria, nelle successive conversazioni, tenutesi dal 5 al 15 aprile a Roma. Il contenuto di tali norme prevedeva il miglioramento delle condizioni economico-finanziarie dei Paesi componenti il bacino dell’Europa Centro-orientale, al fine di realizzare una più larga partecipazione ai traffici commerciali internazionali in genere e spezzare così il cerchio delle economie chiuse nel quale esse si trovavano.

     Relativamente all’Ungheria, il problema principale che si era tentato di risolvere, era stato quello di procurare all’eccedenza di grano un prezzo sufficientemente remunerativo e tale da coprire almeno i costi di produzione. Per far ciò erano previsto che:

a) l’Italia s’impegnasse a garantire l’acquisto, attraverso imprese nazionali, di 1 milione di quintali di grano ungherese ad un prezzo remunerativo;

b) l’Ungheria desse alle suddette imprese un opzione per un ulteriore milione di quintali di grano magiaro, con la clausola che, qualora la seguente opzione non fosse stata esercitata, o fosse stata esercitata solo parzialmente, le imprese italiane avrebbero dovuto pagare all’Ungheria un’indennità da determinare;

c) al fine di agevolare l’export italiano verso il mercato ungherese, l’Ungheria avrebbe provveduto ad attenuare l’applicazione delle restrizioni in vigore;

d) l’Ungheria avrebbe provveduto a prendere in considerazione la richiesta italiana di riduzione delle imposte su beni italiani in ingresso nel Paese;

e) si provvedeva a potenziare il transito di merce ungherese attraverso il porto di Fiume»135

     Per quanto riguardava poi l’altro prodotto importante per l’economia di questo Paese, ossia il bestiame, l’Italia si impegnava ad acquistarne un largo quantitativo (circa il 50% dell’export totale), mentre buona parte della quota residua veniva acquistata dall’Austria.

     Tutti gli accordi conclusi avevano carattere di bilateralità e su tale base vi era la possibilità di accedere ad essi anche per altri Stati danubiani, singolarmente presi, mentre era esclusa la possibilità di accordi collettivi con aggruppamenti di Stati, soprattutto nel caso in cui tali accordi avessero avuto un carattere politico. Nelle intenzioni dei firmatari, questo programma di larga portata avente carattere non monopolistico, avrebbe dovuto avvantaggiare i Paesi non danubiani e di riflesso anche gli altri Stati che con essi intrattenevano rapporti commerciali e politici. Per quanto poi concerneva gli Accordi del Semmering esistenti, i tre Paesi in questione si dichiaravano disposti a favorirne il  loro ulteriore sviluppo.

In sostanza dunque, i Protocolli di Roma, le convenzioni e gli accordi suddetti, miravano a dare sin dal principio, un concreto fondamento al risanamento economico dei Paesi del bacino danubiano-balcanico e con l’aumentare del potere d’acquisto di tali Paesi, a facilitare il loro aumento dei traffici. Questo era il modo in cui il Governo italiano presentava all’opinione pubblica nazionale ed internazionale detti Accordi, mettendo in evidenza quanto fossero importanti per l’Italia che cercava di riattivare le correnti di traffico commerciale che prima della Guerra esistevano tra le regioni che negli anni ‘30 facevano parte dei diversi Stati successori dell’Impero Austro-ungarico.

     Non v’era dubbio alcuno che con i Protocolli di Roma, l’Italia toccava il punto più alto della sua espansione economica nei Balcani, così come non v’era dubbio alcuno che, al di là delle dichiarazioni di “facciata”, questa dovesse essere preludio a quella più marcatamente politica.

            Occorre però sottolineare che, i proponimenti italiani di egemonia nell’Europa centrale - da sempre instabile economicamente e politicamente - erano destinati a rimanere per sempre allo stato iniziale, in quanto la “grandeur” italiana alla fine non fu supportata da una vera convinzione politica di egemonizzare realmente e concretamente quella zona dell’Europa, né da un supporto economico e politico valido e potente in grado di assecondarne effettivamente le manovre, creando le premesse di una leadership italiana. Certamente, almeno fino al 1936, le direttive di fondo, le strategie politiche non mutarono e Budapest e Roma proseguiranno a valutare conveniente il mantenimento di una politica di comune intesa. Tuttavia, se fino al 1934 questa linea di condotta poté essere mantenuta validamente,  negli anni seguenti dovette subire modifiche sostanziali a causa dell’avvento in grande scala della Germania sullo scenario europeo. Mentre infatti Berlino affilava le armi (e non solo metaforicamente) potenziando la propria struttura politico-economica, penetrando profondamente nel Centro-Europa, si assisteva ad un lento ma progressivo indebolimento delle posizioni politiche acquisite dalle Potenze democratiche, in primis dalla Francia che, non riuscendo a garantire continuità di assistenza politica ed economica alla Piccola Intesa, dovette segnare il passo nei Balcani a favore appunto della Germania, alla ricerca del proprio “Lebensraum”. In questo complesso gioco politico, l’Italia dovette cambiare strategia, annullando le posizioni di vantaggio che così faticosamente era stata capace di creare. I cardini della sua, tutto sommato, vincente politica danubiana fino al 1935, pian piano vennero meno: in Austria, a seguito del “putsch” di Vienna, che vide l’assassinio di Dolfuss, l’ultimo cancelliere federale antiannessionista, e l’avvento al potere di forze dichiaratamente filonaziste; in Ungheria, a causa dell’assorbimento di questo Paese nell’area economica tedesca. La debolezza strutturale dell’azione politica italiana dal 1935 in poi e la pochezza dell’industria italiana, annichilita da quella tedesca nella fase di conquista di questi mercati, ed infine, la scelta mussoliniana di concentrarsi sulla politica coloniale in Africa, attraverso il mito del ”posto al sole” al pari delle altre grandi Potenze, portarono con sé la perdita di tutte le posizioni di vantaggio così faticosamente conquistate nell’arco di un decennio, dal 1925 al 1935.


 

130 Archivio di Stato. Documenti Economici. Rapporto spedito dal Ministro delle Corporazioni a Mussolini. Roma, 18.11.1933. Prot.n. 30461.

131 Archivio di Stato. Documenti Economici. Dispaccio circolare n. 236798, spedito dal Ministro degli Esteri, alle Regie Autorità Diplomatiche e Consolari. Roma, 11.12.1933.

132 Archivio di Stato. Documenti Economici. Telegramma n. 1563 spedito da Colonna al Ministero degli Esteri. Budapest, 20.2.1934.

133 Archiviop Storico. Documenti Economici. Telegramma n. 809.R spedito da Colonna al Mussolini. Budapest, 22.2.1934.

134 Archivio Storico. Documenti Economici. Telegramma n. 827.R spedito da Colonna a Mussolini. Budapest, 23.2.1934.

135 Archivio Stoico. Documenti Economici. Documento della Lega delle Naioni -C.330.M.151.1934.II.A. - contenente la situazione finanziaria dell’Ungheria durante il secondo trimestre del 1934. Ginevra, 21.8.1934.

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