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Prefazione

     La ricostruzione della biografia politica di Riccardo Lombardi,una delle più eminenti e nobili figure del socialismo italiano ed internazionale, ad opera di Enzo Rosario Magaldi e Claudio Bolognino, con il contributo di altri compagni, non è solo un attestato di riconoscenza e di stima politica nei confronti del grande dirigente  socialista per il ruolo svolto lungo molti decenni di lotta politica.

    E’ anche un momento di un’opera di cui molti avvertono non solo l’urgenza ma l’ineludibile necessità sia storiografica sia politica per restituire una più veritiera dimensione alla storia del partito socialista e dei suoi uomini  e per ridefinire i termini corretti del socialismo riformista.

    Una storia travagliata, che certo non si è conclusa con la dissoluzione del PSI, e che potrà forse riemergere dai cavernosi abissi  in cui precipitò e ripresentarsi ,semmai in forme nuove e con nuovi uomini, per riprendere a contribuire a scrivere il corso futuro della politica italiana.

    Solo riscoprendo le autentiche radici del socialismo italiano, un patrimonio di lotte per l’avanzamento e il progresso delle classi  lavoratrici e della società intera di inestimabili e forse ineguagliabile valore, oggi disperso in tanti rivoli,sarà forse possibile  adempiere a questo possibile compito, anche  nel difficile, aspro  e talvolta  pericoloso panorama politico italiano, nel quale molti avvertono la mancanza di un autentico partito socialista.

    Non ha  la fatica di Magaldi e Bolognino un intento immediatamente politico,sebbene si presenti Riccardo Lombardi come un “lungimirante riformista”, forse per distinguerlo dai tanti che oggi parlano e praticano un  esangue e pallido riformismo.

    Ma essa felicemente contribuisce a far luce su uno spaccato storico, così ricco di travagli e di combattimenti, nel quale si erge e si staglia la forte personalità di Lombardi, con le sue così proprie caratteristiche, tali da farlo una figura unica e del tutto peculiare nel panorama pur così ricco  del socialismo novecentesco.

    Era la figura di Lombardi quasi ieratica e produceva un sentimento misto di rispetto e d’attrazione, ma il carisma suo non si traduceva in una adesione irrazionale e senza motivazione alle sue posizioni. Le sue tesi politiche erano tesi “ forti “.

    Egli invitava ai ragionamenti  come corollario inevitabile delle sue stringenti argomentazioni, che poste delle premesse ,diventavano  verità nelle loro conclusioni, con un meccanismo quasi di deduzioni necessarie. Essi  implicavano, presupponevano dei convincimenti, che erano anzitutto politici, e si svolgevano con vigoria  e con forza trascinante. La sua battaglia politica esprimeva così anche una fede, un “credo “ da misurare sempre nelle tempeste politiche.

    Questa biografia politica di Lombardi è un’indagine della sua vita lungo tutto l’arco dei suoi oltre ottant’anni,  che si dipana, nel suo svolgimento, come una missione    per affermare una causa: il socialismo nella libertà. Ora che da quasi  vent’anni Lombardi è scomparso e non è più tra noi ad incitare alla lotta per il socialismo e ad indicare le vie da perseguire, e ora che si comincia a misurare una distanza nella quale è possibile scorgere, al di là del contingente,la grandezza della sua personalità, la rivisitazione del suo pensiero e del ricchissimo crogiuolo di teoria ed azione , di analisi e di lotte, è un elemento necessario per una  feconda  e più puntuale comprensione della storia del PSI e della storia stessa del nostro paese nella seconda metà del novecento, presentata oggi da una incolta vulgata quasi tutta come storia di consociativismo, compromessi e brutture di ogni tipo. Essa  invece, come dimostra l’intera vita politica di Lombardi, è una storia di battaglia politiche, alcune al limite dell’eroismo perché come tanti altri anche Lombardi pagò di persona mettendo a repentaglio la propria vita, il che è la forma sublime  della testimonianza di una fede.Ciò, oggi,nell’Occidente può apparire quasi incomprensibile eppure senza quei gesti, senza quegli atti, senza quegli impegni di sacrifici, l’occidente, e anzitutto l’Italia, non sarebbe qual è.

    Il progresso e l’affermazione di una società di liberi ed eguali- ma quanta strada bisognerà ancora percorrere!- non avrebbero compiuto, in questa direzione, i passi che pure sono stati compiuti,in un cammino che si può interrompere certo,come di questi tempi, ma che riprenderà poi con più vigore e forza. Esprime questo una visione “idealistica” della politica ?  Certo. Ed allora in questo senso egli è un idealista:non perché  lo fosse nell’accezione di “astratto” dalla realtà come pure una copiosa documentazione lo dipinge in vita e lo ha dipinto poi,criticandolo e accreditando la tesi di una sua presunta incapacità di misurare il possibile col reale, in altri termini, a perseguire l’impossibile, il che nella politica pratica di oggi in cui non c’è più  molta idealità e fede,costituisce la massima ingiuria e l’accusa di  impoliticità, il massimo dileggio. Tutt’altro si evince da questa opera,in cui è delineato il pensiero di Lombardi sotto un triplice profilo. Il primo è dato, per così dire, dallo svolgimento interno del suo pensiero,dagli anni giovanili nei quali si andavano formando le prime convinzioni politico-culturali fino agli ultimi discorsi dell’ottuagenario che sia pure essenzialmente isolato nel suo partito continua a testimoniare i suoi convincimenti,anche dando scudisciate a chi di dovere. Il secondo è dato dal rapporto fra il suo pensiero – e le lotte politiche conseguenti – e quello del gruppo dirigenti del PSI nelle sue varie espressioni da Nenni a Morandi, da Basso a Foa,da De Martino a Craxi, nel quale, ad eccezione di brevi  e per altro significativi  periodi,fu quasi sempre in minoranza.Il terzo è dato dal dispiegarsi  della sua vicenda politica nel più largo contesto della storia d’ Italia, dall’avvento del fascismo alla sua caduta,dalla liberazione al frontismo,dal centro-sinistra al suo esaurimento,dall’alternativa alla governabilità.Ne viene fuori un Lombardi restituito alla sua vera dimensione politica come una personalità di eccezione,dalle inconfondibili caratteristiche,fin dal suo linguaggio,un linguaggio del tutto asciutto,ma pregno di cogenza  argomentativa ,nella quale la logica del discorso era tutt’uno con una trascinante fascinazione: ma una personalità tutta politica, che o nell’antagonismo di classe, o nello scontro politico,o nella dialettica della posizioni emerge sempre come una voce di grande ricchezza politica, che è tutta dentro le lotte che hanno segnato il movimento operaio e socialista del Novecento. Quasi sempre vinto ma mai vinto definitivamente. Talvolta vincitore ,ma mai con tentazioni egemoniche. Tanti sono i  "passaggi" delle sue proposte politiche nelle quali una cattiva lettura potrebbe individuare i caratteri di una quasi impossibilità  in sé di compiersi,di concretizzarsi,dato la loro scarsa assonanza con le  determinate condizioni in cui avrebbero dovuto calarsi per realizzarsi: rapporti di forza, esiti possibili, reazioni, conseguenze. Anzi per certi aspetti si potrebbe sostenere che ciò è la costante quasi sempre presente ed appariscente  del modo di essere politico di Lombardi.

    Tuttavia ciò non è un astrattezza generica del suo agire,ma deriva,a mio vedere,da una precisa ragione che essenzialmente  riposa su questo: Lombardi voleva con forza che la politica socialista fosse una politica che visibilmente avvicinasse la trasformazione socialista della società, l’avvento di un’altra società. Questo assillo  era la scaturigine    originaria del suo agire, e dei suoi tipici connotati. Cambiamenti dei modi di produzione e dei rapporti di produzione e conquista del potere,attraverso la conquista dei poteri,da parte della classe lavoratrice e della sua rappresentanza politica.Il suo socialismo perciò non era , non poteva essere, riformismo povero e rinunciatario, l’opaco riformismo di chi non si pone il problema di una società altra , di una diversa qualità dell’essere sociale. Era viceversa precisamente ciò che per tutto un periodo storico - e per Lombardi fino agli anni ottanta del XX secolo,fino cioè alla sua morte – ha significato il socialismo per la gran parte, forse tutti,dei socialisti: cioè l’avvento di un nuovo mondo – una visione quasi millenaristica – che si sarebbe affermato e conquistato attraverso le lotte del movimento operaio e della sinistra, nel quale si sarebbero potuto dispiegare al massimo le dignità e la libertà degli esseri umani,tutti cooperanti in una società rinnovata dalle fondamenta. In ciò, certo, se si vuole, la carica utopica del suo pensiero. Ma l’idea della trasformazione socialista non era né un omaggio a vecchie ortodossie- da Lombardi perpetuamente rimesse in discussione- né tanto meno un orpello o un abbellimento a copertura di un’azione politica tutt’affatto diversa, o perché compromissoria, o perché calata in una realtà del tutto spuria ed aliena rispetto a quella idealità. Viceversa l’idea della trasformazione socialista della società segna tutto il percorso politico di Lombardi come idea-forza, come ideale cardine dell’agire, come teoria, come fede incrollabile. Questa idea invero, pur esplicantesi in tante, anche contrastanti, forme politiche era di tutto il PSI dalla sua fondazione all’avvento del fascismo, nelle lotte antifasciste, e dalla liberazione fino agli anni ’60.Da allora divenne  l’idea di una parte, ancora maggioritaria del partito. Poi questa idea, a partire dalla seconda metà degli anni settanta, declinò fino a scomparire del tutto negli anni ottanta,assorbita dalle nuove categorie ( anche della destra) della modernizzazione ,dell’innovazione,   dei meriti  e dei bisogni, che divennero i capisaldi culturali del neoriformismo degli anni ’80, che vieppiù estesi si prolungano nel dopo duemila. Si potrebbe anche sostenere che la scomparsa del PSI, una formazione politica né socialdemocratica né comunista, coincida con la scomparsa di quella idea: forse è eccessivo o semplicistico affermare ciò, e comunque andrebbe argomentato ben più approfonditamente di quanto non è possibile fare in queste brevi note. Certo è tuttavia che Lombardi avvertì il rischio e la portata di queste assunzioni e fu tra i primi a parlare di mutamento genetico del partito , e della sua natura,  che ne metteva in discussione  origini e finalità. Soprattutto le finalità.

    Le origini erano  già date ed in modo incontrovertibile poggiavano sull’ideologia del socialismo scientifico, che ancora campeggiava nell’articolo 1 della statuto del PSI. Tuttavia anche su questo il nuovo corso craxiano intervenne con la sterile contrapposizione Marx-Proudhon, che più che un improbabile recupero postumo delle tematiche  proudhoniane, portarono  alla cancellazione e alla rottura della linea storica che riconduceva anche il socialismo italiano alle ascendenze marxiane. Ma soprattutto le finalità,storicamente acquisite ,erano rimesse in discussione.Proprio quelle finalità che si condensavano nell’idea della trasformazione socialista della società,così cara a Lombardi: essa è infatti da lui tematizzata in modo originale nelle varie fasi della vicenda storica e politica del PSI, in uno con il confronto e lo scontro interno al partito, alla sinistra, e nell’asprezza della lotta di classe e dei lavoratori. Solo alla sua luce, a mio giudizio , è possibile dare una corretta lettura tanto della tematica, centrale in Lombardi, del riformismo rivoluzionario quanto di quella successiva, ma del tutto coerente, dell’alternativa socialista e di sinistra. Il primo inteso come metodo e finalità, come organica strategia di cambiamento, la seconda come proposta politica nelle contingenze delle lotte politiche e dei rapporti di forza del tempo. Le “ discussioni” di Lombardi erano tutte interne a queste concezioni che appunto si riassumono nella visione del socialismo nella libertà. E solo alla luce di questo contesto di pensiero si può correttamente intendere tanto la sua posizione nel partito nell’epoca del frontismo, in cui il suo ruolo dirigente fu messo in discussione, e battuto, quanto la sua scelta di rimanere, nonostante la sua ostilità manifesta per l’operazione in corso, nel partito che nasceva dall’unificazione del PSI col PSDI. In esso,egli, pure ridotto a esigua minoranza, quasi una mera testimonianza politica,tuttavia ancora vedeva lo strumento più congeniale per le sue battaglie: e che questa scelta si rivelò provvida - contro ogni tentativo scissionistico e ogni illusione di continuare altrove la sua lotta- fu dimostrato dalle vicende successive nelle quali poi il ruolo di Lombardi si riaffermò con forza. Anche nell’epoca del frontismo, il suo contributo fu decisivo per fuoriuscire da quella fase politica e per aprirne una nuova - forse il più alto punto della sua elaborazione teorica- che poi dette vita al primo centro-sinistra,una delle stagioni riformiste più incisive nella storia italiana del secondo dopoguerra. Così come fu decisivo il suo contributo,successivamente, nella prima metà degli anni settanta per elaborare una prospettiva di superamento di un declinante centro-sinistra e affermare una nuova politica del PSI nella  prospettiva della costruzione dell’alternativa di sinistra al sistema di potere della DC. Ma questa lettura è appropriata anche ad altri momenti delle scelte lombardiane, e in modo particolare a tutto l’arco dei suoi rapporti a sinistra , in primo luogo ovviamente col PCI, ma anche con altre formazioni come i movimenti studenteschi ed operai di contestazione del sistema capitalistico e imperialistico. Tutti questi momenti sono sussimibili nella tematica delle modalità delle trasformazioni socialiste.

    Nella sua esemplarità Riccardo Lombardi fu anche una coscienza inquieta che mai si acquieta tanto nelle avversità, sapendo che esse possono  essere superate, quanto nelle vittorie, sapendole sempre provvisorie, da consolidare in vista di nuovi traguardi. Egli perciò sembra non accontentarsi mai, non perché vuole semplicemente di più ,come meri elementi quantitativi, ma perché vuole qualcosa di qualitativamente diverso sia rispetto all’esistente, sia rispetto alle conquiste realizzate: insomma gli ideali professati devono via via ma permanentemente concretizzarsi nella realtà. In tal senso egli può essere anche definito un massimalista, nell’accezione di un dirigente politico che compie le sue scelte non in ragione  di ciò che nella data realtà è possibile conseguire,strappare all’avversario, realizzare, un passo comunque avanti, anche se di limitata portata, quanto invece di ciò che deve essere ottenuto, perché legato ad un valore più alto, ad un obiettivo più avanzato, ad una convinzione più profonda. Quando nella famosa notte di S.Gregorio del giugno 1963 manda all’aria la formazione del primo governo di centro-sinistra, egli compie il gesto di rottura precisamente perché è consapevole che gli impegni programmatici prospettati non sono pienamente coerenti con i fini proposti e dichiarati dal partito e perché le riforme concordate  non sono pienamente corrispondenti all’idea  che esse dovessero essere  un volano per l’ipotesi trasformatrice delineata e teorizzata. Perciò la sua coscienza dell’essere socialista non si piega, in quel drammatico frangente, al realismo dei concreti rapporti politici,temendo  al contrario il ripiegamento nelle retrovie o peggio l’affermarsi di una deprecabile tendenza rinunciataria confliggente con gli ambiziosi progetti della propria parte politica.Un metodo di azione massimalista dunque, ma calato dentro, praticato come principale strumento operativo di una compiuta strategia delle riforme,concepite come trama organica per iniziare la prima fase della costruzione del socialismo,per la conquista,per così dire, di avamposti come base per successivi traguardi riformatori. In ciò forse è da individuare la peculiarità più propria dell’essere socialista di Lombardi. Cioè una singolare costruzione teorico-politico-pratica per cui il massimalismo si invera  nel riformismo, e il riformismo si fa col massimalismo. Questa endiadi che ha costituito la croce del movimento operaio e la costante delle sue divisioni, delle sue scissioni,e quindi dei drammi collettivi e individuali di tanta parte dei gruppi dirigenti e dei militanti socialisti e anche della sinistra più in generale, fino agli attuali esiti, in Lombardi si congiungono in una sintesi, in una fusione fluida di elementi,momenti aspetti lungo tutto il percorso di almeno quarant’anni. La coerenza di Lombardi,allora è qui,contro ogni ipotesi o tentativo trasformistico o opportunistico, o grevemente revisionistico , cioè nel suo modo, costante nel tempo, di essere socialista, nella pur vistosa mutevolezza delle fasi della lotta politica. Perciò non ha molto senso la critica di astrattismo rivoltagli, né di intellettualismo, né di utopismo, né di illuminismo: sebbene questi elementi non fossero a lui estranei,come nemmeno all’ideale di un conservatore è assente una qualche carica astratta o utopica. Ma al di là di ciò se in Lombardi c’è una forma di utopia,essa non è meramente il sogno di un’ ideale società, esistente in qualche remoto luogo, ma è la ricerca, attraverso la lotta politica, della costruzione  di una società diversa e migliore. Insomma Riccardo Lombardi è pienamente un combattente politico. Lo fu quando fu colpito con la violenza dallo squadrismo fascista. E lo fu, in tutt’affatto diverso contesto, quando fu relegato a posizioni minoritarie nell’aspre contese interne del PSI. La sua carica combattente è pari alla sua concezione liberatrice del genere umano come missione storica del socialismo. Un combattente quindi, non un sognatore. L’idealismo della sua formazione e del suo rifiuto dell’accettazione della realtà esistente si misura e si tempra costantemente nello stadio agonistico della lotta politica, dove non c’è mai tregua, dove non si può dare “ il riposo del guerriero”, perché ogni attesa rischia di rivelarsi come uno spazio,benché minimo, di concessione all’avversario. Certo, sebbene Lombardi non fosse alieno dall’accettare accordi con i suoi interlocutori, in un periodo come l’attuale in cui pare che se non c’è  compromesso anche con l’avversario , o anche fra forze antagoniste, sembra non  potersi dare buona politica, consistendo questa ,pare,nella ricerca della mediazione presa quasi come un valore in sè, nella quale quindi questo metodo diventa la pietra di misura della giustezza di una linea, colui che , viceversa, pur non rinunciando alla dimensione del rapporto con l’altro, mira però essenzialmente a misurare la validità di una politica e dei suoi contenuti dalla vicinanza-lontananza dagli ideali assunti,appare come un impolitico, come se la politica consistesse nell’accondiscendenza per l’altro. Questo non fu Lombardi: il suo modo di intendere e praticare la politica, pure accettando, quando occorreva, compromessi, non può essere ad essi ridotta, giacchè non si è mai svilita , in pratiche deteriori : Lombardi non ha mai cucito la propria politica come una sorta di vestito buono per tutte le stagioni,sminuendo il suo senso o la sua pregnanza, ma anteponeva il suo credo anche nelle circostanze avverse in cui essa si sviluppava.

    Come è ben documentato nel libro di Magaldi, Bolognino e degli altri autori, in cui l’accidentato percorso delle battaglie politiche di Lombardi nelle sue vittorie, poche, e nelle sue sconfitte, molte. Delle vittorie non si compiaceva più di tanto,perché conosceva il loro costo e i sacrifici che avevano comportato. E per le sconfitte non si lamentava né  si bacchettava  perché sapeva che erano il prezzo che si pagava a battaglie ritenute giuste. Ma anche al di là della portata e delle conseguenze di vittorie e sconfitte che è sempre  difficile  misurare sia allorché si è protagonisti o partecipi,sia quando se ne valuti retrospettivamente il valore, e su di esse si discetta, non vi è dubbio che lungo l’intero percorso della sua milizia il suo ruolo, le sue idee, le sue posizioni, le sue proposte sono state o determinanti o comunque condizionanti le scelte e la linea politica del partito socialista. Determinanti, per esempio, allorché nel ’48 dopo la sconfitta del fronte popolare egli guidò la riscossa autonomista, sebbene essa visse solo per un breve periodo. O quando impose dopo il ’56 alla strategia dell’incontro con i cattolici della DC le caratteristiche  riformatrici necessarie ai fini della coerenza con la professata  visione trasformatrice della realtà. O ancor quando, sia pure anche  qui per un breve periodo, rese impossibile la formazione del primo governo organico di centrosinistra con la diretta partecipazione dei socialisti.

    Fu condizionante quando pur non esercitando una funzione di  direzione e partecipazione  ad una maggioranza, la sua posizione, nonostante la forza relativamente esigua di cui poteva disporre, tuttavia incideva, sia pure parzialmente, nella concreta delineazione e sviluppo dell’iniziativa politica del partito:nella formazione della nuova maggioranza del partito, dopo la seconda scissione socialdemocratica nel ’69,che fu all’origine del recupero della natura più autenticamente socialista del PSI; o, soprattutto, quando elaborò la sua concezione dell’alternativa che intorno alla metà degli anni ’70 fu sostanzialmente assunta dal partito,imprimendogli una svolta alternativistica forse prematura, ma ricchissima di suggestioni teoriche e politiche; o anche nell’affermarsi del cosiddetto nuovo corso del PSI di Craxi, a cui Lombardi aderì con mal riposta fiducia in quel che comunque , inizialmente, gli sembrava la via adeguata e giusta per rendere politicamente perseguibile, finalmente, la politica dell’alternativa socialista e di sinistra, da lui ormai a lungo agognata e perseguita. Che egli sia stato anzitutto un combattente politico coi  suoi successi e i suoi insuccessi, e non un velleitario  idealista, né un ideologo avulso dalla concretezza del lo scontro politico, lo si coglie anche dai suoi rapporti col marxismo. Anzi, per meglio dire , dall’uso che egli fece del marxismo nell’elaborazione delle sue strategie politiche.Alla domanda rivoltagli a metà degli anni ’70 nel corso di un’ampia, importante e significativa intervista pubblicata agli inizi del ’76, se si considerasse un marxista egli affermò che non poteva rispondere né con un sì né con un no,perché, disse, non c’è “un’ortodossia marxista o un marxismo originario a cui riferirsi per riconsiderarlo nella sua presunta purezza”. Lombardi quindi negava la vulgata di una presunta verità già data perché sosteneva, viceversa, che “esiste una varietà di esperienze e di verifiche che non si prestano ad essere unificate, e il marxismo,meno ancora di qualsiasi altra teoria, si presta ad essere considerato avulso dalla prassi….” ,dove si evince la sua piena coscienza che è la prassi,appunto la concreta azione politica la verifica pratica del valore di un idea pur anche ben argomentata. E se ciò valeva per l’interpretazione del marxismo ancora più avrebbe dovuto valere, come canone metodologico, per un militante protagonista politico. Ed egli arriverà  perfino a citare,quasi identificandosi in questo con  il rivoluzionario cubano, Che Guevara, allorché questi sosteneva che non considerava necessario essere marxista perché, interpretava supponendo Lombardi,intendeva dire che dal marxismo non si può prescindere giacche” esso costituisce l’antecedente e il retroterra necessario di qualsiasi analisi teorica e di qualunque pratica politica”. Il marxismo si configurava quindi per Lombardi, e come tal veniva utilizzato, come il sostrato, la base permanentemente sussistente di qualunque nuova analisi delle strutture economiche e della società che ambisse a porsi come nuova coscienza teorica del socialismo.

    E questo sostrato conservava una sua validità anche “ prescindendo dalle verifiche e dalle smentite che il corso della storia ha dato alle sue previsioni presunte come rigorosamente scientifiche…” Lombardi aveva piena consapevolezza che la caducità del marxismo  come ( quella) teoria che aveva già in sé l’esito della previsione del corso storico come ineluttabile  darsi era già pienamente dispiegata non solo davanti allo sguardo indagatore dell’osservatore o dello storico, ma soprattutto dentro un processo storico, in cui egli ben per tempo e prima di tanti altri si era    criticamente collocato, e in cui ben diversamente si era sviluppata la concreta lotta delle classi e dei suoi effetti.Tuttavia metteva in guardia dalle ricorrenti revisioni e dalle ipotesi terzaforziste, pressocchè conseguenti: si sarebbe scivolati e scaduti nella socialdemocratizzazione, cioè con parole ancora di Lombardi nella citata intervista nella “rinuncia al carattere rivoluzionario dell’azione socialista”. E specificava per meglio far intendere il suo pensiero ed evitare ogni equivoco “ rivoluzionario anche se pacifico, che non cessa di essere rivoluzionario per il fatto che,in determinate condizioni, che non sempre esistono, del resto,essa è pacifica,l’attesa del socialismo come termine dello sviluppo spontaneo della società capitalistica”. La lettura di Marx da parte di Lombardi non è quindi una lettura interna ai testi di Marx e dei marxisti, in una esegesi mirante ad enucleare e a coltivare la verità interna, per poi tradurle in una presunta pratica ortodossa, ma per Lombardi inevitabilmente ossificata. E ‘ una lettura invece che gli consente di leggere le contraddizioni dell’economia capitalistica,vecchie e nuove contraddizioni, nella loro materiale concretezza a cui il corso storico le ha portate, al fine di aggredirle politicamente,agendo su di esse con adeguate lotte, per superarle nella costruzione graduale di una nuova società fondata su diversi modi e rapporti di produzione.Essenziale era quindi il compito di rivedere e aggiornare i concetti marxiani “nel contesto…della profonde trasformazioni della società attuale” e che esso si imponeva ed era “….felicemente in corso di attuazione”,in ciò assumendo le spinte e le suggestioni teoriche derivanti dalle forme e dai contenuti dell’azione antagonista al sistema dei movimenti studenteschi ed operai che avevano scosso e agitato, e continuavano ad operare e agitare le società occidentali dalla metà degli anni ’60 ancora a metà degli anni ’70.Lombardi respingeva tanto la lettura deterministica del marxismo,quanto la lettura storicistica, in quanto entrambe non si sottraevano all’esistenza e all’idea di un elemento estraneo ed esterno,cioè di una presunta razionalità della storia con un fine già scritto,perché in ciò era in germe la radice teorica di ogni dispotismo e che poteva essere dedotto anche da una cattiva interpretazione del marxismo inteso come filosofia della storia.La ragione di ciò era nella convinzione che fosse necessaria questa critica di fondo al marxismo, meglio a certe interpretazioni e utilizzazioni del marxismo,che alla prova dei fatti si  erano rivelate catastrofiche, per schermare il socialismo e renderlo “impenetrabile a qualsiasi tentazione autoritaria o dispotica”. E che questa attitudine critica sarebbe stata molto più adeguata  che non il ricorso “ all’eredità del primo socialismo libertario”.Da un lato si può quindi certamente sostenere che Lombardi non fu marxista , e non si considerava tale in una acritica adesione a tutto l’impianto teorico-poltico marxiano, dall’altro tuttavia, nell’analisi delle sue concezioni non  vi è dubbio che egli abbia assunto come propria,e cercato con coerente caparbietà nella lotta politica,la visione antagonista e contestativa dell’ordine economico capitalistico e delle connaturali  e connaturate disuguaglianze che generava,che era propria di Marx. E lungo tutto l’arco delle sue riflessioni, delle sue elaborazioni, in uno con le sue lotte politiche, si può  sostenere che egli abbia praticato un metodo di analisi marxista , un metodo del tutto originale e specifico anche nel confronto con altri dirigenti del movimento operaio e socialista italiano. Le sue analisi economico –sociali,delle ineguaglianze interne ed internazionali come portato inevitabile della materiale  costituzione capitalistica delle società occidentali sono , nella loro pregnante concretezza,esempio di come si debba, come premessa  di ogni proposta politica ,dare una base di lucida consapevolezza teorica ai movimenti di lotta dentro e fuori i partiti.Il lascito più stringente e più attraente di Lombardi mostra,al di là delle sue posizioni politiche, e della sua indomita tempra di militante di una grande causa,la stretta connessione  di una “teoria” e di una “pratica”, ovvero di una prassi politica non cieca e quindi mai opportunistica e di una teoria politica non empirea, e quindi mai velleitaria. E se la sua costruzione teorico-pratica( o pratico-teorica) poche volte si è affermata maggioritaria nel partito,e meno che mai nella sinistra,tuttavia essa nella sua coerente organicità – anche nello sviluppo di momenti e fasi politiche tanto diverse – ha segnato uno dei più punti più alti della presenza socialista e del suo imperituro valore. E averlo ricordato,così efficacemente, sebbene non senza qualche elemento sottoponibile a diversa valutazione, e questo farebbe giustamente parte di un dibattito storiografico, non è tra gli ultimi meriti di questa importante fatica di Magaldi, Bolognino e di tutti gli altri che hanno collaborato.

Guido De Martino

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