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RICCARDO LOMBARDI

 CAPITOLO PRIMO 

ANTIFASCISTA A MILANO

    Il 18 settembre 1984 moriva a Roma Riccardo Lombardi. Nonostante l’età - aveva 83 anni - l’emozione tra i militanti della sinistra fu forte e moltissimi il giorno dopo vollero rendere l’estremo saluto al “vecchio” L., a” Riccardo” come era affettuosamente chiamato nel PSI. Rossana Rossanda lo chiamò sul “Manifesto” il “compagno Lombardi”e Norberto Bobbio “un uomo libero”; Pietro Ingrao scrisse un articolo sull’ ”Unità” intitolato” un uomo che non si rassegnò mai” e “Miriam Mafai parlò di un “solitario della sinistra”.

    Un’avversario storico, Indro Montanelli dopo averlo definito ”un guastatore con l’animo di poeta” ricordò che era ”uno dei pochi uomini politici che non sono stati mai assillati dal problema del potere. La sua ambizione era più quella di ispirare una politica che di farla…”e aggiunse:  ”…c’è una cosa che al momento dell’addio bisogna dargli atto: l’immacolata onestà…anche noi che non abbiamo condiviso nessuna delle battaglie politiche di L. dobbiamo riconoscere che furono tutte disinteressate. Siamo convinti che commise molti errori ma erano errori che sapevano di bucato, non di fogna.   E questo fa di lui nella fauna politica del nostro paese un esemplare purtroppo singolare e degno di generale rispetto”.

   Anche Livio Labor, cattolico-socialista amico e compagno di tante battaglie affermò che era scomparso “un grande poeta del socialismo che affascinava i giovani soprattutto perché era ed appariva politico incorrotto e incorrutibile distaccato da ogni voluttà di potere personale”, lo storico Giuseppe Tamburrano ricordò la povertà del suo ufficio  e riferì le sue parole: “mi disse: è indigenza, non povertà, con la sua risata immobile che era tutta luce di intelligenza”.

   Ma tutti, amici e nemici, sottolinearono, in quei giorni un altro aspetto fondamentale del carattere di Riccardo L. :la straordinaria umanità.

   Alcuni citarono ”la riscossa” del generale Cadorna, che rievocando il giorno dell’incontro tra Mussolini e i rappresentanti del CLNAI all’arcivescovo di Milano, citò testualmente le parole mormorate da L. quando Mussolini ebbe finito di parlare: “in fondo mi fa una grande compassione”.

   Sul piano più strettamente politico Tamburrano- in un articolo sull’Espresso del settembre 1984 – riconobbe una dote fondamentale che pochi politici italiani hanno avuto: la coerenza.

   In nome della coerenza L. fu ostile al PCI nell’immediato dopoguerra, convinto che il socialismo del nostro paese non dovesse avere dei modelli imposti dall’esterno, e coerentemente elaborò le strategie delle riforme di struttura quando si cominciò a prospettare un ingresso del governo dei socialisti ; quando si rese conto che la sua strategia per la “fuoriuscita dell’Italia dal capitalismo” non si sarebbe  mai concretizzata nel quadro di una collaborazione con la DC, ruppe con Nenni e finì all’opposizione nel partito.

   Coerente fu anche negli anni del PSU, contrario alla unificazione con i socialdemocratici convinto che fosse principalmente lo snaturamento del partito, e negli ultimi anni quando si oppose alla strategia berlingueriana del “compromesso storico” e propose l’alternativa democratica ormai certo che il sogno del socialismo si sarebbe avverato soltanto attraverso il collegamento con le forze e i movimenti presenti nella società , e soprattutto, mandando la DC all’opposizione.

   Poco prima di morire ebbe ancora la forza per far sentire la sua voce e criticare il craxismo imperante. La figura di L. è una delle più affascinanti dell’antifascismo italiano anche per l’antidogmatismo e l’anticonformismo.

   La sua vita fu percorsa dalla costante ricerca di proposte e soluzioni adeguate ad una società in trasformazione che lo portarono ad esperienze sempre diverse- dal cattolicesimo modernista al marxismo fino al socialismo non marxista- e contribuirono a formare il suo spirito critico, sempre insoddisfatto dai risultati raggiunti.

   Nel PSI portò con se la cultura e l’impronta razionalistica che avevano segnato l’esperienza del Partito d’Azione.  Non a caso durante l’ultimo congresso del PDA aveva detto: “Quando si è stati nel Partito d’Azione si porta per tutta la vita il marchio di questa appartenenza. Noi siamo come i cattolici che quando hanno ricevuto uno dei sacramenti, il sacramento dell’ordine, non lo perdono più, anche in caso di apostasia.

  Anche gli azionisti che sono usciti dal partito portano e porteranno quest’abito mentale ovunque essi siano. E molti compagni che si sono allontanati da noi, ovunque vadano, se all’inizio sono stati veramente azionisti rimarranno sempre tali.

   Questo sacramento dell’ordine lo portano tutta la vita”. L’idea stessa di profonde modifiche nelle strutture sociali  e politiche del paese costituiva il programma degli azionisti – in particolare quelli del nord Italia – all’indomani della liberazione.

    La formazione giellina ed azionista contribuirono in maniera determinante all’elaborazione della strategia riformistica di L. : durante gli anni del centro-sinistra la destra economica e sociale accuserà proprio due ex azionisti,  L. e La Malfa di sostenere una interpretazione “radicale” del programma di riforme. Alla domanda “potessi ricominciare la tua vita, la rifaresti tale e quale?” L. rispondeva sovente “a parità di condizioni? Si senz’altro”.

   “Riccardone” come era chiamato affettuosamente dai compagni di liceo e di università – aveva ricevuto un’educazione rigorosa e severa da parte della madre fervente cattolica, ma non bigotta – e forse negli anni della prima giovinezza aveva appreso che non bisogna mai pentirsi delle proprie azioni e delle proprie scelte fatte con senso di responsabilità e coerenza. La famiglia viveva a Regalbuto, in provincia di Enna, dove L. nacque il 16 agosto 1901[1]. Il padre, tenente dei carabinieri trasferito in  Sicilia alla fine del secolo scorso morì quando il bambino aveva appena tre mesi.

   I due figli  Riccardo e Ruggero furono educati dalla madre siciliana. La formazione culturale dei ragazzi è essenzialmente cattolica: il primo libro che L. leggerà sarà di S.Tommaso  d’Acquino. Il fratello rimarrà fedele a questa impostazione culturale anche negli anni  successivi e si iscriverà alla DC. I due fratelli restano in ottimi rapporti: entrambi eletti nel parlamento repubblicano spesso collaboreranno a Montecitorio, in particolare quando Ruggero sarà nominato sottosegretario ai trasporti nel 1962, nel primo governo di centro – sinistra presieduto da Amintore Fanfani. Dopo aver trascorso gli anni del ginnasio e del liceo a Caltanissetta si trasferì a Catania dove iniziò gli studi universitari, iscrivendosi alla facoltà di ingegneria.

   Qui avvengono le sue prime letture, in una città, come ebbe a dire in un’intervista  molti anni dopo lo stesso L. – “molto vivace, dominata dall’ombra di tre grandi personaggi: Verga, de Roberto, Capuana “ [2] .

   In quell’intervista L. ricordò di aver visto Verga una volta di sfuggita in casa di amici e di avere frequentato a quel tempo l’editore del Pascoli, che aveva pubblicato anche i primi due libri di Adolfo Omodeo.

   Sono anche gli anni in cui L. approfondisce ed esaurisce la sua esperienza cattolica; s’immerge nel “trattato di filosofia neotomista” di Messineo, si incuriosisce per  l’estetica di Croce, ma soprattutto si interessa al movimento cattolico modernista, attento, in particolare, a ciò che accade in Francia.

   Legge , infatti, il Manuel  di  Alfred Loisy storico delle religioni scomunicato nel 1908 per i suoi scritti polemici. Insomma giovanissimo  il nostro si appassiona agli scritti ereticali e nel  clima catanese delle prime lotte per l’emancipazione  contadina guidata dagli uomini del nascente movimento di don Sturzo, comincia ad interessarsi di politica.

   La sua passione per la politica esplode a Milano dove la madre decide di trasferirsi nel 1919  e dove  L. si iscrive al Politecnico. “vi trovai un ambiente assai stimolante” dichiarò molti anni dopo.

   C’erano personaggi singolari come il conte Lucidi che editò pochi numeri di una rivista, “Cahier internationaux”, su cui scrivevano Romain Rolland, Henri Barbusse, William Morris. Un luogo di ritrovo degli studenti della sinistra era la sala dell’Associazione dei commercianti, dove vennero a parlare Rolland e Barbusse[3].

    A Milano comincia ad interessarsi di economia percorrendo tutti i giorni i bollettini di borsa e iniziando a leggere alla rinfusa un po’ di tutto, dai manuali più elementari a Keynes. Sono per lui anni difficili: per sbarcare il lunario si dà da fare  con qualche  lezione privata, abitando in stanze mobiliate non sempre riscaldate.

   “Si andava alle lezioni  del Politecnico anche perché ci si poteva scaldare” ammetterà in seguito[4]. Il clima politico nella Milano del 1919 è surriscaldato: tra gli studenti del Politecnico gli scontri sono spesso violenti ed in occasione della visita degli studenti alle sistemazioni idrauliche del Po a Piacenza la delegazione milanese di cui faceva parte L. , subisce un’aggressione da parte dei fascisti.

   Con loro, infatti, vi era il leader degli studenti socialisti Passerini che i fascisti erano riusciti ad espellere dal consiglio comunale di Piacenza.

   In questo periodo L. appare ancora fortemente legato al movimento cattolico:

si iscrive al partito popolare, appena fondato da Don  Sturzo ed entra subito in contatto con personaggi come Romano Cocchi, Enrico Tulli e Speranzini, portavoce nel PPI di un radicalismo contadino, che di lì a poco sarebbe stato definitivamente battuto [5].  

   Quando, infatti, la sinistra del partito, guidata da Guido Miglioli, che proponeva l’esproprio delle proprietà superiori ai 25 ettari sarà clamorosamente sconfitta al Congresso di Napoli del 1920, L. parteciperà ad una piccola scissione di un gruppo che si auto appellerà “Bandiera Bianca” [6] .

  Nonostante l’uscita dal partito, L. continuerà a collaborare con Miglioli[7], e quando questi fonderà nel 1923 il settimanale “Il Giornale d’Italia” L. figurerà tra i principali collaboratori.

Negli anni tra il ’21 e il ’23 L. è tra i più intransigenti oppositori del fascismo nascente. Nel 1922 è nel gruppo di operai e di studenti che si oppongono alle squadre fasciste della Lomellina calate a Milano durante lo sciopero ” legalitario ” del 1 agosto [8].

   Banfi ricorderà come il giovane L. alto e forte, ottimo tiratore di scherma, riuscisse a mettere in fuga, sotto i portici di Piazza del Duomo un gruppo di fascisti che aveva cercato di aggredire Filippo Turati che usciva di casa.                  

   Frattanto continuerà gli studi e proprio quando comincia a conoscere la dottrina marxsista attraverso la lettura del “Manifesto” e del “Il Capitale” inizia e termina la breve collaborazione al “Domani d’Italia” occupandosi  di una serie di articoli soprattutto di economia [9].

   ‘E evidente l’influenza di Keynes e del solidalismo cattolico in questi primi interventi di L. è possibile intravedere i temi di una riflessione che lo porterà lontano:

la spaventosa  arretratezza delle campagne italiane, il prevalere nel nostro apparato industriale di “criteri di speculazione più che di produzione” – L. già denuncia i meccanismi di protezione dell’industria italiana e il suo carattere parassitario.

-         le dure condizioni della classe operaia, la fame nel mondo e perfino – per lui, un cattolico – quello che in “ Capitalismo nuovo?” chiama ”Il demone Malthus”, il colossale problema demografico.

Lombardi  arriva ad elaborare una non troppo rudimentale strategia delle riforme: propone la riduzione dell’orario di lavoro, prende ad esempio l’Inghilterra e la Germania laddove le ferrovie, i trasporti  e le industrie elettriche erano state nazionalizzate o socializzate.

   La  guerra per L. ha svelato” il fallimento del sistema capitalistico” “nella sua filosofia, nella sua morale, nella sua compagine economica” [10]; per questo auspica in Italia l’adozione di proposte come quella della riduzione  dell’orario lavorativo a 8 ore” contro la quale il capitalismo si prepara a sferrare la sua offensiva” [11], la proposta che rimarrà, ancora negli anni 70, un suo cavallo di battaglia.

   Uno di questi scritti ha una bellissima notazione religiosa: “dalla Germania tormentata, una voce profetica si è levata ad indicare vie nuove in nome dei valori dello spirito, la voce di Walther Rathenau (…) la speranza in un avvenire migliore non ci abbandona. Avrà il nostro secolo il suo più grande San Bernardino? (…) Noi guardiamo all’orizzonte con lo sguardo di uomini religiosi”.

   Pur avendo accettato il principio della lotta di classe ed essendo affascinato dal riformismo economico d’oltralpe L. appare quanto mai legato alle sue convinzioni religiose ed alla formazione cattolica .

   In uno degli articoli in questione , “lo stato tra industriali e agrari”,  il giovane Lombardi ancora legato alla sinistra cattolica , i cui rappresentanti, nelle campagne lombarde avevano assistito alle brutali violenze delle squadracce al servizio degli agrari, sente il bisogno di smascherare le contraddizioni del governo fascista, del quale, nell’ultimo anno di democrazia formale fanno parte anche alcuni esponenti di quel partito popolare dal quale soltanto pochi anni prima si era distaccato.

    L. denuncia l’ipocrisia di Mussolini che in barba alle pompose e magniloquenti dichiarazioni di principio, avverse al “socialismo di Stato” aveva salvato l’Ansaldo sotto la pressione della potentissima lobby della famiglia Perrone e nel contempo aveva respinto la proposta della FIOM che di fatto avrebbe nazionalizzato l’Ansaldo.

  In realtà secondo lombardi, il fascismo in ascesa già rilevava pienamente le sue tendenze interventistiche in economia[12].

   In “Dottrina e realtà” l’ultimo articolo pubblicato da L., sul domani d’Italia denuncia tutta la carica autoritaria insita nel corporativismo sindacale e tenta di smascherare la “truffa della rivoluzione nelle fabbriche che avrebbe secondo i fascisti, definitivamente risolto il problema della conflittualità:”

  “infatti i conti  e le pretese innovazioni nel regime dei rapporti tra capitale e lavoro, la pretesa rivoluzione operatasi nell’organizzazione sindacale, si riducono ad una miserevole truccatura superficiale che ha cambiato solo il nome e non l'essenza delle cose…”

   Questi sono gli ultimi interventi scritti di L. prima che la rigida morsa della dittatura fascista ponesse dei limiti seri alla libertà di stampa e di espressione.

   Dal quel momento in poi L. che nel frattempo si era laureato in ingegneria industriale, si getta a capofitto nell’attività politica, in seguito racconterà ad Emanuele Tortoreto: “ L’attivismo in quegli anni era per me un assillo, ero disponibile a collaborare con l’uno o con l’altro organismo antifascista, purchè non fosse dormiente ” [13].

   A partire dal 1923, anno in cui aderisce alle formazioni milanesi degli arditi del popolo R. L. parteciperà ad una serie di azioni in difesa delle organizzazioni operaie, entrando in contatto tramite Cocchi e Tulli, due ex popolari, con giovani esponenti del Pcd’I [14]. Profondamente impressionato dal rapimento e dall’uccisione nel giugno del’24 di Matteotti, pensa verso il 15-17 giugno, con elementi decisi e coraggiosi tra i quali C. Sforza, A. Marea, Cocchi e Tulli ad un colpo di mano per catturare e far uccidere Mussolini. Il progetto fu però abbandonato, probabilmente perché sconsigliato dagli elementi più moderati[15].

   Negli anni successivi L. partecipa a tutta una serie  di manifestazioni contro il fascismo: insieme ad un gruppo  di giovani arditi grida in faccia al re “Viva Matteotti”, durante una sua visita a Milano, protegge i testimoni a favore del quotidiano ”Giustizia” durante il processo subito per aver accusato il ras Farinacci di imboscamento, partecipa ad alcune azioni di protesta e diffusione di volantini in occasione della fucilazione dell’anarchico Della Maggiora, processato a Massa Carrara con l’accusa di strage per aver ucciso un solo fascista e primo  condannato a  morte del tribunale speciale[16].

   Di lì a poco L. si avvicinerà al partito comunista, anche sulla scorta della lettura di Marx, ma soprattutto perché impressionato dalla efficienza nell’azione degli antifascisti comunisti. Il nome di battaglia era ”lince” deformazione dell’originario ”l’ing” che stava per “l’ingegnere” – nel frattempo L. era diventato un professionista stimatissimo , e amava ricordare che in quegli anni nel suo ufficio ”mentre in una stanza si stavano impacchettando i manifestini nell’altra c’era la guardia di Finanza che controllava i registri delle tasse” – conosce e diventa amico di Grieco, Li Causi

 che era suo vicino di caseggiato, di Rivazzoli e di Giuseppe di Vittorio che aiuterà   ad espatriare in Francia al momento delle leggi eccezionali ospitandolo in casa sua, assieme alla madre, per otto giorni.

   Del resto parte dei contatti e dei preparativi per il progetto di evasione di Antonio Gramsci avvennero proprio in casa di L.: nel maggio del 1928, infatti, Gramsci che era stato tradotto a Milano da Ustica nel ’27, sarebbe stato trasferito dal carcere di San Vittore al tribunale speciale ma il piano di evasione sfumò, soprattutto per il suo  rifiuto. L’uomo del PCD’I  (PCI)  al quale però è maggiormente legato quel periodo è Angelo Tasca, che incontra frequentemente a Lucerna e al quale invia a Parigi rapporti dettagliatissimi sulla situazione economica italiana e sulle attività antifasciste. Di lui ricorderà: “era un uomo di immense conoscenze culturali, una specie di Emilio Sereni  per intenderci. Sicuramente uno degli uomini più intelligenti che io abbia mai conosciuto. Uno dei primi a capire che cosa stava succedendo nel movimento comunista.” [17].

   Tuttavia , L. non aderì mai al P.C. , neppure negli anni in cui più si era avvicinato alle lotte clandestine del partito – del resto aveva conosciuto anche antifascisti come Riccardo Bauer ed Ernesto Rossi e si era adoperato anche per la rete di espatri clandestini organizzati dal gruppo d’ ”Italia Libera”, che avrebbe poi dato vita a “Giustizia e Libertà” – “la mia mancata adesione al PCI – dirà molti anni dopo in un intervista – stava piuttosto nella mia abitudine ad accedere a diverse fonti culturali a quel mio certo eclettismo che allora era un vero e proprio sincretismo. Sapevo bene per cosa lottare” [18].

   L. è portato fin da allora a porre l’obbiettivo, lo scopo e l’azione per raggiungerlo al primo posto, al di là dei preconcetti e senza pregiudizi ideologici.

   Proprio durante questa attività clandestina, in stretto contatto con militanti e funzionari comunisti L. incontra la donna della sua vita, Ena Viatto, una giovane funzionaria del partito proveniente da Parigi[19]. Assieme a lei ed altri compagni organizza l’azione che lo porterà al brutale arresto da parte dei fascisti: servendosi della tipografia di un carissimo amico, vecchio socialista riformista, Brenno Cavallari, fece stampare dei volantini per celebrare il 1° agosto del 1930 la giornata internazionale della pace e li fece distribuire in città, usando il tubo di scappamento del taxi di alcuni compagni. I fascisti milanesi stavano celebrando quel giorno solennemente i funerali di un milite, tale Orazio Porcu, assassinato per una faccenda di donne e poiché la distribuzione dei volantini avvenne anche in quella occasione vollero  dare un significato politico all’intera faccenda volendo fare del Porcu un martire del fascismo. In seguito ad una ”spiata”, L. viene individuato ed arrestato mentre stava rincasando, di lì viene tradotto alla sede della federazione fascista in via Belgioioso dove viene messo a confronto con uno dei taxisti, cui erano stati consegnati i volantini, Lucchetti che massacrarono di botte per ore continuava a negare. In quella occasione la brutalità dei fascisti fu inaudita: fino alle quattro del mattino quando fu portato nel carcere di S.Vittore L. fu riempito di botte, che gli causarono la rottura del polmone; da quel momento L. non è stato più bene, l’emottisi provocata dalla bastonatura lo portò spesso sul punto di morire e a lungo gli attacchi e le emorragie non gli diedero tregua.

 L’arresto di L. fu l’occasione per un vero e proprio conflitto tra l’OVRA e la federazione del fascio. Nella notte tra il 2 e il 3 agosto il titolo di testa del “Corriere della Sera”- Complotto antifascista scoperto a Milano, arrestati i responsabili – viene cambiato , con un intervento da Roma e il Ministro degli Interni avoca a sé tutta l’inchiesta preannunciando l’arrivo a Milano di funzionari romani della polizia segreta.

   Quindici giorni dopo a S. Vittore, L. viene interrogato dal vicecapo dell’OVRA Petrilli: “Notai subito che non aveva intenzione di spingere a fondo l’interrogatorio” ricorderà L. “a casa mia avevano trovato inchiostro simpatico a strafottere, ma quasi non se ne faceva cenno nel verbale, Petrilli mi dava del lei in un momento in cui era quasi obbligatorio il voi ” [20].

   Il Petrilli ricordò a L. che doveva essere grato a “quegli imbecilli” (i fascisti milanesi) che arrestandolo, avevano di fatto distrutto la rete che l’OVRA pazientemente stava ordendo attorno all’ingegnere, allo scopo di smascherare l’intera organizzazione antifascista a Milano. “Non si faccia comunque delle illusioni” aggiunse “ noi sappiamo aspettare ” [21].

   In queste come in altre occasioni l’idiozia dei picchiatori del regime aveva fortunatamente favorito i suoi avversari. L. viene rilasciato 20 giorni più tardi e passa  tre mesi a Sortenna, per curare i danni provocati dalla bastonatura. Tornato a Milano perde i contatti con i comunisti.

   Nel partito è in atto la cosiddetta “svolta” : già nel settembre 1929 il cc ha chiesto formalmente agli organi dell’Internazionale la ratifica dell’espulsione di Tasca, che rifiuta la formula della “fascistizzazione della  socialdemocrazia” e ribadisce la necessità di un fronte unico antifascista.

   In quella occasione Togliatti affermò sprezzantemente “ noi non siamo una associazione di accademici in cui, dopo che ognuno ha fissato la propria tesi, ognuno va avanti come prima ” [22].

   Evidentemente questo atteggiamento non poteva essere condiviso da L. ,ormai convinto che davanti alla stabilizzazione del regime fascista era necessario superare le tradizionali barriere ideologiche al di là della sterile distinzione tra “cultura operaia” e “cultura borghese”. Il rifiuto del dogma, l’assoluta convinzione della necessità di una maggiore apertura mentale per comprendere i fenomeni economici in atto in anni di profonde trasformazioni lo porteranno ad approdare sulla sponda giellista.

   Per il momento sospetto ai comunisti per i rapporti con Tasca, malato e costretto a curarsi dovrà sospendere temporaneamente ogni attività politica – ben presto seguito dalla moglie – e riprenderà a tempo pieno l’attività di ingegnere.

   “Nel frattempo continuavo ad occuparmi di economia, anche se, come al solito, non in modo sistematico. Avevo già letto Keynes; in quegli anni conobbi Shumpeter, seguivo – il giornale  degli economisti – avevo seguito con entusiasmo che oggi giudico eccessivo l’esperienza del New Deal e quella dei primi piani quinquennali sovietici, ma nei confronti dell’URSS andavo maturando un atteggiamento di tipo trotkista …”.                                                                                                        La critica dello stalinismo, il fascino del programma liberatorio di Giustizia e Libertà , il movimento fondato a Parigi nel ’30 da Emilio Lussu e Carlo Rosselli -.

un programma che prevedeva tra l’altro imponenti cambiamenti nelle fabbriche e nelle campagne e una riforma della Stato con la garanzia di ampie autonomie regionali e locali – portano L. ad un ravvicinamento all’attività antifascista.    

   Tuttavia questa ripresa delle iniziative sarà ancora molto ridotta. Del resto in questi anni, l’ing. L. è un sorvegliato speciale : i rapporti della prefettura si susseguono dal 1931, data del suo arresto, al 1943 [23].

   Gli ultimi rapporti  non danno “luogo a rilievi” ma L. ”viene vigilato non avendo finora dato sicure prove di ravvedimento politico” [24] : parole tanto più ridicole se si pensa che di lì a poco l’ing. ex galeotto diverrà uno dei capi della resistenza del Nord Italia. Frattanto il regime fascista pare consolidarsi.

   Gli anni ’30 sono densi di avvenimenti: l’ascesa al potere di Hitler in Germania, la disastrosa sconfitta del movimento operaio in quel paese, la repressione staliniana in Unione Sovietica, la guerra civile spagnola.

   Proprio alla tragedia della  guerra spagnola è legato uno dei grandi rimorsi di R.L.:

  “il rimorso di non avervi potuto prendere parte, le mie condizioni fisiche erano penose, sputavo sangue ogni momento. Ricordo di aver accompagnato Guido Picelli che mi raccomandò di non fare la pazzia di venire in Spagna, dove sarei stato più di impaccio che di aiuto” [25]. A quel tempo in Italia le organizzazioni politiche sembravano tutte disperse e relativamente esigue. Gli anni dal ’32 al ’38 sono universalmente considerati come quelli in cui il fascismo ha avuto certamente un’adesione di massa, specialmente grazie a fattori internazionali : accordo con gli U.S.A. e l’Inghilterra per la regolamentazione dei debiti, accordo con il Vaticano, la stessa avventura etiopica che suscitò un certo interesse popolare.

   In seguito L. racconterà di aver per la prima volta considerato il Partito Fascista come” un partito reazionario di massa: il primo esempio di moderno partito reazionario ” [26].

   L. è anche uno dei testimoni più attenti alla polemica esplosa tra ”Giustizia e Libertà” e i comunisti, sul problema dell’entrismo nelle organizzazioni fasciste – indicato, non senza difficoltà interne, da parte del PC e non condiviso dagli altri partiti antifascisti – e sull’appello che i comunisti lanciarono in occasione della campagna etiopica, malvisto da tutti gli altri.

   Molti anni più tardi L., in una dura polemica con Giorgio Amendola, ricorderà l’episodio contestando il suo giudizio in base al quale la posizione di GL era sbagliata, data l’esiguità della rete organizzativa in Italia delle formazioni antifasciste: “Anche il numero di atti di polizia testimonia che una certa rete organizzativa specialmente del PCI era certamente meno esigua di quanto oggi si dica …[27] ”. Tuttavia ammetterà che il gruppo del quale faceva parte (GL) avendo iniziato la sua azione più di recente e con gruppi più selezionati aveva soprattutto una organizzazione di quadri, per giunta non diffusi in tutto il paese, almeno fino all’innesto nel gruppo dei “liberalsocialisti” che aprirono una prospettiva importante nel Centro e nel Mezzogiorno d’Italia.

   In questa fase della lotta antifascista uno dei motivi di polemica tra GL e i comunisti riguarda anche un attivismo volontaristico esasperato di GL .

    I comunisti accusano GL di essere un gruppo “terrorista” avventurista e di individualisti che trascuravano il problema di massa. L. sosterrà in proposito che in quelle critiche vi era una parte di vero: “in quel momento si dava privilegio anche a quell’azione individuale all’azione dei gruppi di avanguardia alle cosiddette azioni esemplari …” ma ricorderà che “ è difficile in un periodo in cui tutti i partiti, sia quelli già esistenti che quelli in formazione, cercavano, oltre che una loro identità ideologica, anche un loro modo specifico d’azione, non pensare che le azioni esemplari fossero anche strumentali al fine di caratterizzare le singole organizzazioni ” [28] .

    L’esperienza di questi anni sarà fondamentale per la straordinaria avventura della resistenza, fatta in gran parte di grandi azioni esemplari e gesti individuali. Un contributo eccezionale sarà quello degli uomini del P d’A in gran parte provenienti proprio da GL.

   Nel 1939, alla vigilia della nuova ecatombe provocata dal nazifascismo, Arialdo  Banfi incontra R.L. nel suo ufficio a Milano, in corso Italia, dove si occupa di pompe idrauliche cercando di mimetizzare la sua attività clandestina.                                                  

    L. riprende febbrilmente i contatti con gli antifascisti dandosi appuntamento con loro in questura. Qui avveniva la diffusione della stampa clandestina [29].

   Poco tempo dopo, dal balcone di palazzo Venezia, Mussolini pronuncia la sua dichiarazione di guerra.

    E il 10 giugno 1940, anniversario della morte di Mussolini. L’esule Pietro Nenni scrive nel suo diario : “è una guerra senza ragione senza scusa e anche senza onore…”. Alla fine della catastrofe inizierà una stagione piena di auspici e di speranze, grazie al “vento del Nord”.

   R. Lombardi sarà uno dei protagonisti di quella stagione e della lotta straordinaria che l’aveva preceduta.



[1] Per queste notizie cfr. S. Colarizzi: L., in Il parlamento italiano, vol. XVIII. Milano, 1991, p. 331, R. Villetti: la lezione di Lombardi in “Mondoperaio”, 1984, n. 8-9 , p. 4; M. Mafai: L. Milano,1976, pp. 15-16.

[2]  R. L. : Nel corso di una vita in “Mondoperaio”, novembre 1979, pp. 127-129.

[3] Ivi  p. 127.

[4] Ibidem.

[5] Mafai L. , cit. , p. 16.

[6] Cfr. E. Tortoreto: La politica di Riccardo Lombardi dal 1944 al 1949. Ed. Movimento operaio e socialista, 1972, introduzione.

[7] Arialdo Banfi rievocherà nel 1938 la fortissima amicizia  tra L. e Miglioli anche dopo la guerra, quando entrambi parlamentari li rivide spesso insieme a Montecitorio.

[8] Colarizzi : L. , cit.

[9] Cfr. art. in “Domani d’Italia”: Le conquiste sociali e la produzione, n. 4, 28 gennaio 1923; Capitalismo nuovo? n. 5, 4 febbraio ’23; Fiamme di guerra sull’orizzonte internazionale n. 6, il febbraio ’23;  Lo Stato tra industriali e agrari n. 9, 4 marzo ’23, come fu risolto Inghilterra il problema della disoccupazione n. 10, 11marzo ’23; Dottrina e realtà, n. 13, 1 aprile ’23.

[10] Capitalismo nuovo? , cit.

[11] Le conquiste sociali e la produzione, cit.

[12] Viletti: art. cit. , p. 5.

[13] Tortoreto: op. cit. , introduzione.

[14] Mafai, op. cit. p. 18.

[15] R. De Felice: Mussolini il fascista, p. 635, Torino, 1966.

[16] Mafai, op. cit. , p. 19; Tortoreto: introd. ,cit.

[17] Nel corso di una vita, cit. , p. 128.

[18] Ibidem

[19]  Scrive la Mafai nella sua Biografia di L: :” il loro incontro sembra uscire da uno spezzone del-sospetto- di Maselli, solo che si svolge a Milano anziché a Torino, ma è lo stesso grigiore delle strade, gli stessi tram,  gli stessi appuntamenti furtivi. Ena aveva il suo numero di telefono e d  allora è sua moglie.

[20] Int. cit. , p.128

[21] Mafai, op. cit. , p. 21.

[22] Cfr. P. Spriano: Storia del PCI: gli anni della clandestinità, Torino, 1969, p. 227

[23]  Cfr.  ACS Rapporto del Ministero dell’Interno, Dir. Gen. PS. Risposta della prefettura di Enna  alla D. G. del 22.4.31. L’8 dicembre 1930 è documentato il rapporto tra un comunista foggiano e R.L.  27 giugno 1939. Il rapporto afferma : “ informo che R.L. abita in via Calamatta 28, serba buona condotta morale, non esplica attività politica né svolge propaganda contro il regime…continua la vigilanza “ .

[24]  Rapporto del 9 feb.1940, luglio 1943.

[25] Int. cit. p. 128 e 129.

[26]  Nove domande a R. L. : né rivoluzione compiuta, né rivoluzione tradita, intervista in Almanacco Socialista de “Il compagno”, 1976, p. 94.

[27] Ibidem, p. 93; per la polemica L. – Amendola, Avanti : 25  aprile – 25 maggio 1975.

[28]  Ibidem, p. 93.

[29]  Banfi,Intervento cit. , p. 363.

 

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