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CAPITOLO SECONDO

IL PARTIGIANO DEL CLNAI

         Intorno alla prima metà del 1942 un vasto schieramento di intellettuali fra cui Francesco Elora, Ugo La Malfa, Luigi Salvatorelli, iniziarono quel processo aggregativo che porterà alla nascita di un nuovo movimento politico : il Partito d’Azione.   Di questo schieramento fanno parte alcuni militanti di GL fra cui Ferruccio Parri e il nostro R. L. .

         Per il momento il futuro del Pd’A (assumerà questa denominazione nel gennaio del ’43) si chiama  “ Movimento per il rinnovamento  politico e sociale” e approva nel mese di maggio e di giugno in due differenti riunioni, la prima a Milano e la seconda a Roma, un programma che si articola in sette punti.  

         Fin dall’inizio le componenti del nuovo raggruppamento sono assai varie politicamente ed ideologicamente: repubblicane, democratiche, socialiste, liberalsocialiste, cattoliche.

Così, il futuro Pd’A si presenta con quelle caratteristiche che alla fine della guerra ne determineranno lo scioglimento: la netta divisione che ancora non affiora in superficie in due “componenti” o “ anime” : una liberaldemocratica, l’altra socialisteggiante, tuttavia profondamente unite dalla pregiudiziale antimonarchica e dall’idea della necessità di profonde riforme atte a rimuovere le cause che hanno portato alla dittatura.

         Non a caso, quel momento in cui si preannuncia la crisi del regime, dopo El Alamein e Stalingrado, La Malfa e Tino riescono a far pubblicare sul “New York times” un memoriale nel quale si propone alla presidenza della Repubblica Benedetto Croce allo scopo di isolare ed indebolire l’iniziativa   monarchica che avrebbe permesso “utilizzando il cosiddetto fascismo moderato e parte dell’antifascismo” di salvare la vecchia classe dirigente più compromessa; la cosa più curiosa è che proprio i due azionisti propongono il nome di colui che difenderà il principio della “continuità dello Stato” e l’Istituto monarchico[1].

         Il segretario del nuovo partito è Leo Valiani : ma nel giro di pochi mesi si affermerà la leadership del quarantaduenne ingegnere milanese.

Nel gennaio del ’43 viene pubblicato il primo numero clandestino del giornale del Pd’A “L ‘Italia Libera” contenente un “messaggio agli italiani” e un articolo di presentazione intitolato “ chi siamo “ ; L’OVRA non sottovaluta gli avvenimenti e nella documentazione relativa al drappello degli azionisti parla di un’ ”avventura pericolosa perché  in grado di infiltrarsi nell’aristocrazia … sostenuta da appoggi finanziari largamente elargiti dalla Banca Commerciale”[2].

         Sarà proprio L.  a partecipare in rappresentanza del pd’A alle prime riunioni interpolitiche  milanesi il 24 giugno e il 4 luglio del ’43, che avrebbero dovuto costituire un primo passo dell’unità antifascista.

         Tuttavia i risultati di queste riunioni cui prendono parte Concetto Marchesi per il PCI, Casati e Cattani per i liberali, Gronchi e Mentasti per la DC ,e, Basso per il MUP, sono interlocutori.

         Di fronte alle proposte dei comunisti che chiedono tra l’altro l’immediata costituzione di un Fronte nazionale, pesarono le incertezze di liberali e democristiani nonché la pregiudiziale repubblicana del MUP e del Pd’A ( Marchesi propose l’esercizio di una certa “pressione” sulla monarchia per l’arresto di Mussolini) .

         Si arriva tuttavia alla costituzione di un comitato delle opposizioni cosa ben diversa dal Fronte nazionale, almeno com’è inteso dai comunisti.

L. pone come condizione per l’adesione al fronte “ un accordo non solo per l’oggi ma per domani, cioè l’esigenza di un programma di governo”[3].

         I comunisti, come emerge da un documento del centro interno del PCI, stilato da Negarville, nonostante ritengano il Pd’A responsabile principale del “lento procedere delle trattative    “ (il PCI è convinto che nel Pd’A esistano due correnti: una unitaria, l’altra “antiunitaria” e “caparbiamente anticomunista”) decidono di accettare la pregiudiziale di L.  intendendola come “la richiesta di maggiori garanzie di impegni più stretti” mirando in ultima istanza a “rafforzare la corrente unitaria dei liberalsocialisti e a far cadere molte diffidenze degli antiunitari”[4].

         All’indomani della “rivoluzione di palazzo” che pone fine al regime mussoliniano ancora una volta i partiti antifascisti entrano in fermento: il mattino del 26 luglio 1943 a Milano in Via Monte di Pietà nello studio dell’avvocato Tino – azionista – fu convocato il comitato delle opposizioni.

         L. e Ferruccio Parri – erano presenti tra gli altri Pietro Malvestiti per la DC, Antonio Greppi  per il PSI , Amendola e Grilli per il PCI – rappresentavano il pd’A.

In quella occasione liberali e democristiani si pronunciarono per una “fiduciosa attesa nei confronti del governo Badoglio” mentre L. subordinava ogni altra questione alla soluzione del problema istituzionale in un senso repubblicano[5].

         Come ha evidenziato Paolo Spriano “la discussione rivela immediatamente l’esistenza di una destra e di una sinistra “[6] con alcune sfumature dal momento che lo stesso Parri sembra manifestare preoccupazioni per la continuazione dello sciopero generale- preoccupazione condivisa dal PLI e dalla DC in “fiduciosa attesa” – mentre gli altri due azionisti presenti alla riunione sono per l’opposizione intransigente a Badoglio . Questa divisione all’interno del comitato delle opposizioni milanese riemergerà in due altre occasioni: nei primissimi giorni di  agosto L. propone, appoggiato dal comunista Roveda, di promuovere nelle fabbriche libere elezioni regolari delle commissioni interne.

   Il comitato delle opposizioni accetta nella sostanza la proposta, ma l’opposizione del liberale Alessandro Casati – che teme il riapparire dei consigli rivoluzionari del primo dopoguerra – sarà fortissima [7]. Dopo l’otto settembre e il brusco” renversement des alliances “ di Badoglio riemergono le differenziazioni.

L. ricorderà molti anni più tardi: “ una prima differenziazione fu quella che passò  alla storia col nome di  “attesismo…”  “ non è vero che al momento dell’armistizio, al momento dell’inizio della lotta armata contro i tedeschi ci fosse identità di vedute sulla necessità di combattere con le armi in pugno.

         Quel fenomeno che prese il nome di attesismo era un concreto pericolo che si manifestava o sotto forma di attesa che gli avvenimenti evolvessero o sotto forma di discriminazione che proponeva : “ combattiamo i tedeschi  e non i fascisti “ – “ cerchiamo di contrapporre i tedeschi ai fascisti e i fascisti ai tedeschi “ – “lasciamo che si sbranino tra di loro”.

         Ricordo la sera del 12 0 13 settembre 1943, pochi giorni dopo l’armistizio, in una casa di Corso Italia a Milano, Parri mi disse preoccupato : “senti, queste questioni si troncano agendo. Cominciamo l’azione militare e il resto verrà da sé. Cerchiamo di risolvere    questi contrasti operando… “ .

         E fu questa la strada su cui si avvio la resistenza : operosità, immediato inizio dell’addestramento alla lotta”[8].

         L. sarà uno dei protagonisti della lotta partigiana fin dal primo momento, nel novembre ’43 i GAP uccidono il segretario della federazione fascista di Milano.

         Nel giorno dei funerali il giornale di Farinacci esce con un titolo a tutta pagina, “ecco i mandanti”, tra i quali figura proprio l’ingegnere [9]. In quei mesi le formazioni partigiane erano ancora in via di costituzione: si organizzavano le bande di GL nel cunese guidate da Duccio Galimberti, quelle comuniste di Moscatelli in Valsesia e di Sersandini in Liguria ma avevano ancora una consistenza embrionale, L. , grande distributore di volantini  reagisce con sdegno al tentativo monarchico di “impartire istruzioni “ sostenendo che in Italia la guerriglia non è possibile [10], e a modo suo intende dare una risposta chiara al quesito sulla continuità giuridica dello stato fascista e sull’organizzazione dello stato che si dovrà formare.

         Alla fine del ’43 conferma infatti la sua leadership nel pd’A – nel gennaio successivo sarà rappresentante nel partito nel CLNAI – dando alle stampe un opuscolo nel quale dà un contributo determinante alla definizione politica del movimento azionista un vista dell’avvenire post fascista .

         La visione iniziale di R.L. espressa in questo documento rivela l’esigenza di un profondo rinnovamento dello stato italiano ispirato ad un riformismo di chiara Matrice liberaldemocratica. L. parte dal presupposto che la “rivoluzione” fascista ha rivelato le crepe del regime liberale ed ha evidenziato, essendone il logico corollario , le debolezze e le insufficienze del sistema partitico del primo dopoguerra e soprattutto della classe politica:

         “QUESTA CRITICA INVESTE TUTTA LA CLASSE POLITICA,DELLA QUALE I PARTITI SONO LE ESPRESSIONI ORGANICHE, E CI AVVERTE  DELL’URGENZA DEL SUO RINNOVAMENTO RADICALE, RINNOVAMENTO SOLO POSSIBILE MERCE’ L’IMMISSIONE RISOLUTA NELLA VITA POLITICA DI NUOVE FORZE PROVENIENTI DAI CETI POPOLARI CHE FINO AD OGGI NE SONO STATI ESCLUSI DI FATTO… “[11].

         Soltanto l’unione tra le forze popolari e gli elementi più avanzati e dinamici della borghesia può favorire l’evoluzione della società italiana, a questo scopo il Pd’A può essere considerato un partito “medio” scrive L. “ma non nel senso che esso si ponga stolidamente nel cosiddetto giusto mezzo cercando una opportunistica posizione di equilibrio bensì  nel preciso senso di partito mediatore fra le forze vive e vitali della nostra tradizione nazionale e la nuova società più giusta, più libera e più umana”[12].

         L. sottolinea il carattere liberale del nuova partito [13], antitotalitario e democratico – il Pd’A, afferma “riconosce un solo limite alla sovranità popolare: la libertà…” e ribadisce con forza la pregiudiziale antimonarchica:

         “Il Pd’A. ravvisa nella monarchia italiana il nucleo di concrezione di alcune tra le più resistenti forze sociali e politiche del conservatorismo parassitario: il nazionalismo degli alti gradi dell’esercito, il protezionismo agrario e industriale… il centralismo politico ed amministrativo… una riforma di struttura della società nazionale non può essere validamente intrapresa senza prima abbattere il nucleo stesso della resistenza reazionaria cioè l’istituto regio “ [14].

         Inoltre traccia con chiarezza le distinzioni tra il Pd’A e le vecchie forze politiche, sente che il vecchio PLI in uno Stato moderno e democratico è destinato a segnare il  passo: “ il PLI  sente profondamente i problemi della libertà politica, ma non con altrettanta acuità le esigenze della giustizia e dell’uguaglianza. Esso considera il fascismo come un accidente e non come un prodotto costituzionale dello Stato italiano moderno e della attuale società politica in generale e tende perciò ad un ripristino più o meno ammodernato dello stato accentratore, monarchico e burocratico, quale preesisteva alla prima guerra mondiale senza l’urgenza di riforme in profondità… “ [15].

         Insomma il “liberale” L. denuncia l’insufficienza del liberalismo meramente “formale” e “inconcludente”. Particolarmente polemico in questa fase, L. è con il PCI. Pur riconoscendo il ruolo indispensabile dei comunisti nella lotta contro il fascismo e vedendo nel comunismo “uno stimolo potente che agisce in senso progressivo sulla società civile costringendo ad accelerare il naturale rinnovamento delle istituzioni in senso egualitario e come tale da affermare sul terreno della lotta politica e non già da respingere in blocco, quasi fenomeno estraneo alla nostra società liberale e cristiana “[16] evidenzia le tendenze “dispotiche” e “totalitarie” del PCI sul terreno politico.

         “Sul terreno internazionale” scrive L. “la nostra concezione dell’organizzazione federale degli Stati d’Europa , fondata sulla limitazione delle sovranità nazionali e sulla istituzione di una sovranità federale, concezione organica, programmatica e veramente rivoluzionaria si differenzia profondamente dal criterio comunista di identificare la politica internazionale del proletariato con la politica estera dell’Unione Sovietica e della tendenza a costituire l’unità europea mediante una dilatazione dei confini dell’URSS “. 

         Dulcis in fundo, sul terreno economico, l’ennesima stoccata: “l’egemonia sociale che noi auspichiamo è essenzialmente una eguaglianza di possibilità in partenza per tutti; per il P.C. tende ad essere ineluttabilmente un’eguaglianza nella servitù verso lo Stato onnipotente”.

         Più possibilista L. appare nei riguardi del PSI. Tra i due partiti il Pd’A e il PSIUP vi è” una larga convergenza di propositi” tanto che si potrà pensare per il futuro ad ”un grande partito analogo al Labour Party alieno da grettezze dottrinali e classiste” per “costruire le realizzazioni socialiste capaci di rinnovare la vita nazionale…”[17].

         Pur mostrandosi scettico sulla possibilità che i cattolici sostengano e condividano i principi e gli obbiettivi del Pd’A [18], infine L. auspica l’ingresso nel partito dei cattolici riformatori e liberali.

         Per quanto riguarda il programma internazionale l’unica ipotesi valida per realizzare l’unità europea è quella federalista:

         “ Tre sono le soluzioni possibili per l’unità europea:

1) l’unificazione dell’Europa sotto la potenza militarmente ed economicamente più forte  è la soluzione del dispotismo la colonizzazione dell’Europa avviata alla prosperità economica – la soluzione che la Germania hitleriana ha tentato e per realizzare la quale ha scatenato la presente guerra: contro di essa tutta l’Europa è insorta.

2) La società delle nazioni. Il tentativo  venne fatto a conclusione della prima Guerra Mondiale e fallì miseramente non già soltanto per la mala volontà degli uomini , bensì per i difetti intriseci del sistema, che manteneva integra ed illimitata la sovranità degli stati partecipanti all’istituto, con chi veniva inibito alla S.D.N.

Qualsiasi potere autonomo che non fosse di mera polizia internazionale…

3) L’unità federale degli Stati Uniti d’Europa. E’ questa la soluzione veramente liberale e progressiva…”[19].

         Il federalismo, per L. appare come la strada più sicura da percorrere in vista di una unificazione europea quanto mai necessaria dopo i tragici avvenimenti di quel periodo; da rilevare è che tutti i partiti antifascisti nel 1943 avevano incluso la costituzione degli Stati Uniti d’Europa nei loro programmi, ma con accenti diversi: se per gli azionisti la soluzione federalista tout court era l’unica “liberale” e “progressiva” per il PSIUP, ad esempio, l’Europa federale liberata dai protezionismi e dai particolarismi capitalistici era il preludio della confederazione europea delle repubbliche socialiste ispirata ad un modello che non era in questa fase quello ”nordamericano” di L. e degli azionisti.

         Sul terreno economico le posizioni di L. sono molto chiare: rifiuta l’idea di “piano economico di Stato” “inteso come totale avocazione al governo della iniziativa economica”

         “ Un sistema concepito in Russia” in particolarissime condizioni …che sarebbe fatale nel nostro paese” che difetta di risorse e capitali con popolazione povera e crescente, bisognoso perciò di dare alle sue limitate risorse produttive l’impiego di massima efficienza  e ai suoi prodotti  il minimo costo; massima efficienza e minimo costo che non possano determinati dal giudizio del produttore monopolistico (anche se questo è lo Stato) ma solo assicurate dalla scelta operata dal consumatore su di un mercato aperto alla concorrenza”[20].

         Una scelta chiara per il libero mercato che nel quadro dell’affermazione del principio di equità liberale – un’eguaglianza di possibilità di partenza per tutti – esprime l’esigenza di profonde riforme strutturali del sistema capitalistico italiano in senso democratico e “sociale” :  tra queste la perequazione dei patrimoni, la riduzione a dimensioni “umane” dei grandi complessi industriali, riforma agraria –“la rivoluzione italiana afferma L. dovrà essere, prima di tutto una rivoluzione contadina”[21] – assistenza contro qualsiasi forma di indigenza, legislazione antimonopolista, nazionalizzazioni finalizzate ad istituire servizi pubblici efficienti.

         In questa impostazione economica è evidente accanto ad un richiamo al socialismo premarxista [22], una posizione liberista certamente accentuata rispetto alle posizioni degli  anni 20 – per quanto riguarda gli istituti di credito L. arriva a sostenere contro il “monopolio di stato” una privatizzazione completa.

         La sostanziale subordinazione, al pensiero liberista non aveva però una matrice ideologica ma era dettata dell’esigenza di superare la politica economica del fascismo: “l’avversione al fascismo – disse  L. a Miriam Mafai molti anni più tardi - si era tradotta in un avversione per l’ingerenza pubblica nella economia e quindi in una rivalutazione del liberismo.

         Eravamo come ipnotizzati dalla preoccupazione che ogni forma di statalismo sembrasse un omaggio ai fascisti e molti di noi inoltre pensavamo l’economia ingovernabile, nel senso che si dovesse fare affidamento alle forze spontanee “[23].

         Del resto un ex-azionista di sinistra come Vittorio Foa ha aggiunto a questo proposito che  “l’intervento statale concepito come tipico dell’economia fascista, la conoscenza di fatti e teorie che, soprattutto negli anni trenta, caratterizzavano il capitalismo di stato anche in paesi democratici , un forte provincialismo e isolamento culturale , tutto confluiva verso una restaurazione antifascista liberista “[24].

         Ma a parte  l’impostazione economica la pubblicazione dell’opuscolo che L. aveva scritto per conto dell’Esecutivo Alta Italia per le implicazioni politiche determina sconcerto e preoccupazione a Torino e a Roma dove la collaborazione tra gli azionisti e comunisti è molto solida – L. aveva addirittura accusato il PCI di volere, in caso di vittoria “lasciare ripiombare il paese  NELLA INERZIA SERVILE DEL DISPOTISMO “ – Per questo Leo Valiani viene inviato nel Nord [25]. Sarà proprio Valiani  il protagonista della polemica con L. condotta sulle pagine di una rivista clandestina  “Nuovi quaderni di Giustizia e Libertà” nel corso del 1944.

         L. intervenendo nel dibattito accesosi tra Morandi, Spinelli e Valiani riguardo la composizione e i compiti dei consigli operai, ribadisce la propria avversione per il piano economico centrale di Stato. L’economia pianificata, secondo L. che si firma con lo pseudonimo di RIO, deve considerarsi “una struttura economica autoritaria”

Poiché il congiungere nelle stesse mani il potere economico e quello politico proprio degli stati pianificatori avrebbe costituito per le società moderne un pericolo per la libertà maggiore  “di quanto non sia apparsa alla società medievale la congiunzione nelle stesse mani della spada e del pastorale”[26] . 

         RIO aggiunge che a volere la pianificazione economica non sono soltanto “forze reazionarie” ma anche “forze rivoluzionarie “ abituate al paternalismo e attratte dalle esperienze sovietiche e nazista.

         In realtà queste due esperienze hanno ampiamente dimostrato che la pianificazione può funzionare  in un ‘economia povera e in un economia di guerra.

         Ma “un’economia di relativa abbondanza è condizione fondamentale per la rivoluzione italiana, la quale non sarà se non riuscirà a sollevare le plebi agricole dell’abbrutimento e della miseria”[27].

         Anche in questo caso l’obiettivo deve essere “la libera concorrenza in mercato aperto”. Occorre garantire alla società (…) che tutti gli elementi si combinino spontaneamente secondo la richiesta del mercato di consumo, unico giudice qualificato dell’iniziativa economica, giudice non disarmato perché possiede nella facoltà dell’acquisto o di rifiuto delle merci offerte dal produttore il suo valido braccio secolare” .

         Se è giusto affermare come De Luna che le posizioni di L. sono motivate anche dalla “crisi delle struttura dello Stato”, devastante”[28] vi era anche una motivazione politica fondamentale: la difesa della libera concorrenza retta dal mercato si identifica in questa fase con la difesa della democrazia.

         A più riprese nel saggio L. sottolinea “l’incompatibilità di una struttura politica democratica e di una struttura economica autoritaria qual’ è senza dubbio una economia pianificata”.

         La replica di Valiani a queste considerazioni è immediata. La posizione libero scambista di RIO per Federico, - lo pseudonimo di Valiani – ha un vizio di fondo:

 inutile parlare di libero scambio in una situazione di prosperità, perché essa può essere malamente distribuita.

         L’Italia  e l’Europa, alla fine della guerra si trovano in una situazione di grave difficoltà, non certo di abbondanza.

         Per uscire dalla crisi economica occorre una pianificazione statale che Federico ritiene compatibile con il mercato e l’impostazione federalista data dal Pd’A alla soluzione del problema europeo:

         “ I principi debbono adeguarsi alla situazione di fatto. Tale situazione di fatto esige che per parecchi anni sia data la precedenza al problema della produzione, al problema di come produrre al massimo possibile di beni con l’impiego del massimo possibile di lavoratori. Pensare che la libera concorrenza possa risolvere tale problema nel limite di tempo richiesto dalle circostanze d’emergenza del dopo guerra,  mi sembra illusorio”[29].

         L. torna su questi temi nel successivo fascicolo della rivista, con un saggio sulle riforme di  STRUTTURA DELL’ECONOMIA INDUSTRIALE ITALIANA.

L’industria italiana, grazie alla politica economica del fascismo – la nascita dell’IMI  e dell’IRI, il protezionismo autarchico – è caratterizzata da una larghissima ingerenza della Stato. La  classe imprenditoriale – scrive L. – “sempre più aliena dalla virile anche se spesso brutale competizione della concorrenza dalla incessante fatica di adeguare metodi produttivi alle imperiose esigenze del mercato padrone e giudice obiettivo e spietato”[30] ha perso “il suo vero titolo di nobiltà, riconosciuto dal Jaures, l’essere una classe che lavora”[31] e si è trasformato in un ceto parassitario, una casta di speculatori dipendente in maniera esclusiva dallo Stato a cui chiede di continuo privilegi e concessioni di ogni sorta.

         L. è convinto che “si incorrerebbe in un grave errore di prospettiva e in una sicura sterilità di risultati ove si ponesse semplicemente la questione in termini di capitalismo – socialismo” poiché “ la struttura economica da riformare è certamente anche capitalistica, per quel che il termine può valere, ma non è soltanto e principalmente tale: è una struttura complessa, con una contaminazione accentuata di capitalismo privato e di capitalismo di Stato, di socialismo in parte genuino, in larga parte spurio e deteriore . Il capitale come tale non appare come il fattore di produzione  privilegiato” l’obiettivo fondamentale è una strategia  di riforme di struttura che portino alla distruzione della forma parassitaria assunta nello schema corporativo del capitalismo italiano a favore di un sistema realmente concorrenziale e dinamico. E per questo, d’accordo con Ernesto Rossi, auspica forme di collettivizzazione in funzione antioligarchica e antimonopolistica, e arriva a proporre “l’esplorazione dei grandi complessi monopolistici e la redistribuzione rivoluzionaria di buona parte della ricchezza “[32] ma antepone con fermezza le riforme di struttura ad una politica delle nazionalizzazioni. Se si nazionalizzassero infatti alcuni complessi industriali parassitari così come si sono storicamente formati sotto il regime autarchico “si rischierebbe di accollare allo Stato un apparato produttivo in stato, potenziale o attuale di fallimento” , e l’industria autarchica, congelata di fatto in una situazione di monopolio, anche in mano pubblica, contro-opererebbe “a sfavore di ogni serio tentativo di pratica politica e amministrativa democratica”.

         Che cosa intendesse per riforme di struttura in questo momento L. è detto con chiarezza: le riforme devono mirare a risanare la produzione e a riconvertire l’industria di guerra verso altri scopi – in primo luogo, la ricostruzione post-bellica del paese e l’inizio dell’industrializzazione del Mezzogiorno. A lungo termine però il risultato auspicato è una struttura economica completamente nuova ”caratterizzata dalla scomparsa dell’oligarchia economica e finanziaria, dalla riduzione a dimensioni umane di buona parte dei grandi  complessi industriali, dalla riapparizione di un ceto di imprenditori di medie industrie (…) dall’esistenza di una moltitudine di modesti proprietari di titoli di aziende industriali”[33].

         In maniera puntuale L. elenca alcune di queste riforme – la revisione delle norme sulle società per azioni, una politica  per la ricerca scientifica, liberalizzazione degli scambi, ecc.- destinate a scontrarsi con una violenta ostilità degli interessi capitalistici minacciati, ma largamente impopolari anche tra le masse lavoratrici dipendenti dalle imprese da “riconvertire” e “ridimensionare”.

         Queste posizioni hanno indotto molti a vedere nel pensiero economico di L. , nel periodo della resistenza un “liberismo classico” che in realtà non si rivela come ha osservato Aureli, ad una lettura attenta degli scritti e dei documenti[34].

         In effetti L. non passò nell’arco di un decennio da posizioni liberiste “assolute” a posizioni “dirigiste” assolute  poiché l’obiettivo delle riforme da lui proposte fu sempre sostanzialmente identico: una rivoluzione democratica che consentisse attraverso un minimo di programmazione economica, di attenuare i gravi squilibri sociali  e regionali che da sempre caratterizzano lo sviluppo economico del nostro paese.

         Le lodi sperticate al libero mercato che si intravedono nei primi interventi durante la lotta clandestina di L. , nascono proprio dal prevalere in quel momento di uno dei motivi del riformismo lombardiano: la lotta alle oligarchie e alle concentrazioni monopolistiche.

         Per lui soltanto la fine dei monopoli avrebbe aperto la strada ad un reale riformatore intervento dello Stato nella economia; di qui la necessità di una “struttura economica radicalmente diversa” in grado di affrontare i problemi più gravi del paese , il Mezzogiorno e la disoccupazione di massa. Superare lo schema autarchico, rovesciare le baronie dell’economia italiana erano punti principali del suo programma, coerenti con le tesi di fondo del movimento azionista, del quale allora facevano parte uomini come Foa o Ugo La Malfa, Rossi Doria ed Ernesto Rossi destinati a portare avanti queste tesi negli anni successivi in forze politiche diverse e con differenze non irrilevanti.  

         Cambiano gli strumenti ma il fine è sempre uguale: il problema italiano è quello di un radicale rinnovamento delle istituzioni e delle strutture economiche . Le riforme di struttura sono l’obiettivo principale sia  del L. “liberoscambista” del 1944 sia del L. “marxista “ degli anni ’60.

   In entrambe le circostanze  le proposte di L. sono, come si vedrà, da inquadrare in un  unico filone: quello di una occasione “storica”. L’occasione di una rivoluzione democratica mancata. Ad una intensa partecipazione al dibattito ideale e programmatico nella resistenza nel corso del ’44 non corrisponde un impegno militare e politico diretto : L. è gravemente ammalato e a lungo rimase immobilizzato a letto. Tutti lo credono moribondo e i fascisti allentano    la sorveglianza intorno alla sua casa di Calamata in periferia di Milano.

         Dopo la guerra l’avvocato Schinetti, nominato vicequestore di Milano, su designazione del Partito d’Azione, troverà un telegramma di Mussolini con cui si ordina di non arrestare L. per non farne un martire[35].

         Alla fine dell’anno sarà uno dei principali ispiratori dell’iniziativa azionista destinata ad aprire un dibattito sulle funzioni del CLNAI di grande importanza ai fini della comprensione degli sbocchi della resistenza in Italia : nel novembre il Pd’A invia una lettera agli altri partiti, superando le obiezioni della frazione di destra del partito, in cui si chiedeva il rafforzamento dei CLN come organi di democrazia diretta e la costituzione del CLNAI come il governo straordinario dell’Alta Italia. In sostanza i CLN dovevano diventare gli organismi fondamentali del nuovo Stato.  

         Ha scritto Tortoreto, in proposito, che “il senso politico della lettera era evidente, tanto più nel momento della crisi del primo governo Bonomi, al quale seguì un secondo governo del medesimo di netta involuzione di destra. Si proponeva dunque, di introdurre nell’ordinamento politico del  paese completamente in crisi, un potere del tutto nuovo sorto dal popolo , e con un programma avanzatissimo.

         L’antifascismo di destra contrapponeva la sua soluzione: la restaurazione dello Stato prefascista, depurato delle incrostazioni depositate secondo l’espressione crociana, dalla invasione degli Hyksos. L’iniziativa azionista, secondo uno dei suoi autori, R.L., conteneva, dunque, in concreto tutto il problema politico della resistenza, perché provocava, ancora nel vivo della lotta armata un dibattito sullo sbocco politico del movimento in atto al di là della vittoria sul nazifascismo “[36].

         La risposta del PCI alla richiesta del Pd’A fu evasiva: in quel momento, cruciale per la lotta armata, i comunisti subordinavano ogni altro proposito   a quello “dell’unità nazionale” ossia dell’alleanza con la destra antifascista. La DC e il PLI risposero in gennaio, cioè due mesi dopo, rifiutando in maniera decisa la proposta degli azionisti.

         Il ritardo non fu casuale: intercorsero tra i due documenti, nel mese di dicembre, gli accordi tra i rappresentanti del CLNAI  e  gli alleati, seguiti a poca distanza di tempo da quelli fra il CLNAI e il governo Bonomi.

         Questi accordi segnano “una sostanziale sconfitta della resistenza”[37]:

i rappresentanti del governo clandestino del Nord cedono su tutta la linea alle esigenze della politica inglese e della destra monarchica ben rappresentata da Bonomi

e in cambio di un cospicuo aiuto finanziario accettano la direzione militare del comando supremo alleato nonché la delega in base alla quale il CLNAI diveniva una diretta  emanazione del governo romano.

         Di conseguenza il rifiuto delle destre giunse al momento opportuno, cioè quando le istanze espresse dalla “lettera aperta” dell’esecutivo azionista per l’alta Italia, erano ormai svanite nel nulla a seguito di quegli accordi.

         Nelle risposte – gennaio – febbraio del ’45 – del PLI e della DC si rimanda retoricamente ogni scelta “alla futura volontà del corpo elettorale “ e ci si abbandona, in particolare nella lettera del PLI, all’elogio dello stato prefascista.

         Ciò evidenzia il vero significato politico dell’intera vicenda: l’idea rivoluzionaria di L. ed altri di “una rifondazione dello Stato dal basso”[38], di una rivoluzione democratica, era destinata a soccombere.

         Gli sviluppi dei drammatici avvenimenti di quei mesi avrebbero visto prevalere ben altra realtà, quella della continuità dello Stato.  Nei primi mesi del ’45  L. è uno dei protagonisti della preparazione del piano insurrezionale in vista dell’avanzata militare alleata nel nord in quanto prefetto designato di Milano[39].

         Il 23 aprile, alla vigilia dell’insurrezione L. viene avvicinato da un giornalista socialista, Carlo Silvestri, che pur essendo stato una vittima del regime, negli ultimi anni appare ai margini del mondo neofascista. Silvestri consegnò a L. una lettera del duce in cui Mussolini offre una resa ponendo condizioni:

pare che l’ingegnere si sia consultato con Valiani e poi abbia risposto a Silvestri che

l’offerta non poteva essere presa in considerazione[40].

         In seguito L. ricorderà che tramite questo primo approccio, o tentativo di approccio

con gli uomini della resistenza – una lettera di quel tenore era pervenuta anche ai socialisti – Mussolini aveva proposto di fornire i suoi uomini per mantenere l’ordine fino all’arrivo degli alleati, questo era stato per lui l’estremo tentativo di salvezza[41].

         Il 25 aprile all’arcivescovado di Milano L. su incarico del CLNAI partecipa all’ultimo confronto politico con Mussolini (sono presenti anche Cadorna, Sereni e Marrazza ) pronto a discutere la resa.

         Molte volte negli anni seguenti anche per smentire il Cardinale Schuster e monsignor Bicchierai che davano risalto eccessivo all’opera di mediazione della Curia, L. ritornerà su quel drammatico incontro:

“ Ricordo un Mussolini disfatto, rassegnato. Il cardinale Schuster mi presentò come Gilberti, era il mio nome di battaglia nel comitato insurrezionale. Lui fece: “Ah Gilberti”.Forse credeva che fossi io l’autore di un opuscolo del Pd’A intitolato Socialismo d’oggi e di domani, di cui era invece autore Franco Venturi…”[42].

         Quanto ai termini del colloquio L. disse nel ’72 a Staiano:

“Quando siamo entrati Marrazza disse subito che non c’era altro che la resa senza condizioni. – Mussolini disse: ”Ma io non mi aspettavo questo”. A questo punto intervenne - Graziani che era entrato da poco dicendo: “Ma duce non possiamo firmare una capitolazione senza aver informato i camerati germanici” .Fu allora che il cardinale disse che i tedeschi stavano già trattando da tempo, un segretario confermò che avrebbero firmato la resa entro 24 ore.

         Mussolini gridò “questo è alto tradimento” e domandò mezz’ora, un’ora, un’ora e un quarto. Poi telefonammo noi. Erano le 7 e mezzo di sera del 25 aprile: Mussolini era partito per Como, a Dongo tre giorni dopo fu giustiziato…[43].

         In altre circostanze L. sottolineò come l’opera della curia fosse stata rivolta ”con tenacia e continuità”[44] ad evitare, in qualunque modo, l’insurrezione popolare contro i nazifascisti: monsignor Bicchierai aveva redatto un progetto teso a garantire la ritirata tedesca dall’Italia senza alcun intervento da parte delle forze partigiane, progetto mai discusso né accettato dal CLNAI.

         All’alba del 26 aprile 1945, l’ing. R. L. si insedia nel palazzo della prefettura. In un proclama alla popolazione, dopo aver invitato i cittadini a collaborare per disarmare e imprigionare i fascisti rimasti in città, riafferma l’importanza dei CLN, “cellula organica della rinnovata coscienza liberale e socialista del paese”.

         Forse fu uno scatto d’orgoglio nel momento in cui questi principi erano completamente disattesi nel Mezzogiorno e i partigiani milanesi, padroni della città, si apprestavano, in base agli accordi di Roma, a consegnare le armi agli alleati. Tuttavia il ”vento del Nord” aveva appena cominciato a soffiare.



[1]  G. De Luna: Storia del Partito d’Azione, Milano, 1982, pp. 42-44 – De Luna osserva che ad alimentare la pregiudiziale repubblicana concorrevano la riflessione sulle tare della soluzione monarchica degli esiti risorgimentali avviata da Amodeo e da Salvatorelli, la sedimentazione delle  battaglie politiche condotte dagli ex combattenti dell’Italia Libera e del Partito Sardo d’Azione, dal Salveminiano “non mollare…”

[2]  Ibidem, p. 53.

[3]  Ibidem, pp. 60-66.

[4]  Cit. in Paolo Spriano : Storia del Partito Comunista Italiano, la fine del fascismo, Torino, 1973, pp. 244-246.

[5]  Cfr. “ Storia della resistenza” di P.Secchia e Filippo Frassati, 1965.

[6]  Spriano, op. cit. , pp. 276-277. Spriano aggiunge che le conclusioni del comitato – che fa proprie le posizioni dei comunisti – mostrano la forza raggiunta dalla sinistra dal momento che si risolvono nella richiesta dell’armistizio, di un governo di unità nazionale, della liberazione dei detenuti politici, del ripristino delle libertà civili e politiche.

[7]  Ibidem p. 295.

[8] L. – La resistenza italiana – conversazione tenuta il 24 gennaio 1975 nell’aula magna dell’Università cattolica di Milano, cit. , in Quazza , scritti sulla resistenza, Milano, 1977 , pp. 213-223.

[9]  Villetti , Mondoperaio n 8-9 1984, op. cit. , p. 127.

[10]  Ordine di operazione n. 333 / op.  del 10.12.1943 cit. in L. , La resistenza p. 230.

[11]  R.L. , Il Partito d’Azione, cos’è e cosa vuole, opuscolo clandestino del dicembre ’43, Firenze, 1945, p. 3 .

[12]  Ivi , p. 5.

[13]  Ivi , p. 7.

[14]  Ivi , p. 8.

 

[15]  Ivi , p. 9.

[16]  Ivi , p. 10-12.

[17]  Ivi , p. 14-15.

[18]  “La libertà di opera di propaganda, di culto è da essi considerata come mezzo strumentale e non come fine e talvolta come concessione opportunistica, non mai come principio fondamentale della società civile. Per  essi la verità  è già tutta nell’insieme della chiesa, la dove per i liberali essa – si fa perennemente – quale conquista sull’errore e soluzione dei problemi sempre nuovi che ciascuna epoca pone all’intelletto degli uomini ; i cattolici perciò possono tollerare ma non mai ammettere in pieno diritto la libera esposizione e difesa di quello che reputano errore” .

[19]  Ibidem, pp. 18-19.

[20]  Ivi , p. 22.

[21]  Ivi , p. 30.

[22]  Richiamo che sarà per altro esplicito, con citazioni di Proudhow e degli Owen in due lettere sul socialismo e l’Europa, in “nuovi quaderni di GL” , n. 2-3, luglio – ottobre 1944, p.90.

[23]  Mafai , op. cit. , p. 31.

[24]  V. Foa , “Le strutture economiche e la politica del regime fascista “. in  AA.VV. Fascismo e Antifascismo ,1918-1948 , Vol. I , Feltrinelli , Milano , 1962 , p. 285 .

[25]   Cfr. De Luna, op. cit. , p. 124 .

[26]  R. L. , art. cit. , pp . 89-90 .

[27]  Ibidem ,cit. in Mafai , p. 31.

[28]  De Luna , op. cit. , p. 221 .

[29]  Federico in “Nuovi problemi di GL” , luglio - ottobre 1944, postilla  all’art. di L. , cit. in Mafai , p. 32 .

[30]  Cfr. RIO , Le riforme di struttura dell’economia industriale italiana  in “Nuovi problemi di GL” novembre – dicembre 1944, cit. in Mafai , p. 32 .

[31]  Ibidem , cit. in Tortoreto , op. cit. , p. 19 .

[32]  Ibidem , cit. in  De Luna . op.  cit. , p 221.

[33]  Ibidem.

[34]  Romeo Aureli, il pensiero economico di Riccardo L. , Dalla segreteria del Pd’A allo schema Vanoni in “convegno sull’azionismo” , 1988 .

[35]  Cfr. Mafai, op. Cit. , p. 22  R.L. int. cit. su “Mondoperaio” n. 11, 1979 , p.129 . Nel marzo del ’44 L. comincia a perdere sangue a fiotti e si salva per miracolo grazie ad un ‘iniezione endovenosa di coagulante fattagli da uno studente di medicina vicino di casa .

[36]  Tortoreto, op. cit. , p. 14 .

[37]  Ginborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Torino, 1989, p. 73 .

[38]  De Luna, op. cit. , p. 283. Sulla risposta dei comunisti, cfr. A. Lepre, Storia della prima Repubblica, l’Italia dal 1942 al 1992 p. 31; secondo il quale rivelava anche una particolare concezione della democrazia non fondata sul diritto degli individui, ma mediata dalla loro partecipazione alla organizzazione di massa.

[39]  Il CLNAI aveva deliberato la suddivisione tra i partiti antifascisti delle cariche amministrative nelle principali città, già nell’ottobre ’44. Tra gli altri L. era stato designato prefetto di Milano, Greppi, indicato dal PSIUP sindaco di Milano e Roveda, indicato dal PCI sindaco di Torino, cfr. Catalano, Storia del CNLAI .

[40]  Cfr. F.  Deakin,  Storia della Repubblica di Salò, Torino, 1963 .

[41]  Int. a C. Staiano in “Il Giornale” 10 ottobre 1972 .

[42]  Int. cit. , p. 129 .

[43]  Cit. in Mafai, op. cit. , p. 23 Cfr. Deakin, op. cit. , p. 86-87-88 . La testimonianza di L. al processo Graziani .

[44]  R. L. , Il libro bianco del cardinale Schuster in “ Il Ponte” n. 12, dicembre 1946 .

 

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