CAPITOLO SECONDO
IL
PARTIGIANO DEL CLNAI
Per il momento il futuro del Pd’A
(assumerà questa denominazione nel gennaio del ’43) si chiama “ Movimento per il rinnovamento politico e sociale” e approva nel mese di
maggio e di giugno in due differenti riunioni, la prima a Milano e la seconda a
Roma, un programma che si articola in sette punti.
Fin dall’inizio le componenti del nuovo
raggruppamento sono assai varie politicamente ed ideologicamente: repubblicane,
democratiche, socialiste, liberalsocialiste, cattoliche.
Così,
il futuro Pd’A si presenta con quelle caratteristiche che alla fine della
guerra
Non a caso, quel momento in cui si
preannuncia la crisi del regime, dopo El Alamein e Stalingrado, La Malfa e Tino
riescono a far pubblicare sul “New York times” un memoriale nel quale si
propone alla presidenza della Repubblica Benedetto Croce allo scopo di isolare
ed indebolire l’iniziativa monarchica
che avrebbe permesso “utilizzando il cosiddetto fascismo moderato e parte
dell’antifascismo” di salvare la vecchia classe dirigente più compromessa; la
cosa più curiosa è che proprio i due azionisti propongono il nome di colui che
difenderà il principio della “continuità dello Stato” e l’Istituto monarchico[1].
Il segretario del nuovo partito è Leo
Valiani : ma nel giro di pochi mesi si affermerà la leadership del
quarantaduenne ingegnere milanese.
Nel
gennaio del ’43 viene pubblicato il primo numero clandestino del giornale del
Pd’A “L ‘Italia Libera” contenente un “messaggio agli italiani” e un articolo
di presentazione intitolato “ chi siamo “ ; L’OVRA non sottovaluta gli
avvenimenti e nella documentazione relativa al drappello degli azionisti parla
di un’ ”avventura pericolosa perché in
grado di infiltrarsi nell’aristocrazia … sostenuta da appoggi finanziari
largamente elargiti dalla Banca Commerciale”[2].
Sarà proprio L. a partecipare in rappresentanza del pd’A alle
prime riunioni interpolitiche milanesi
il 24 giugno e il 4 luglio del ’43, che avrebbero dovuto costituire un primo
passo dell’unità antifascista.
Tuttavia i risultati di queste riunioni cui prendono parte Concetto Marchesi per il PCI, Casati e Cattani per i liberali, Gronchi e Mentasti per la DC ,e, Basso per il MUP, sono interlocutori.
Di fronte alle proposte dei comunisti
che chiedono tra l’altro l’immediata costituzione di un Fronte nazionale,
pesarono le incertezze di liberali e democristiani nonché la pregiudiziale
repubblicana del MUP e del Pd’A ( Marchesi propose l’esercizio di una certa
“pressione” sulla monarchia per l’arresto di Mussolini) .
Si arriva tuttavia alla costituzione di
un comitato delle opposizioni cosa ben diversa dal Fronte nazionale, almeno
com’è inteso dai comunisti.
L.
pone come condizione per l’adesione al fronte “ un accordo non solo per l’oggi
ma per domani, cioè l’esigenza di un programma di governo”[3].
I comunisti, come emerge da un
documento del centro interno del PCI, stilato da Negarville, nonostante
ritengano il Pd’A responsabile principale del “lento procedere delle
trattative “ (il PCI è convinto che
nel Pd’A esistano due correnti: una unitaria, l’altra “antiunitaria” e
“caparbiamente anticomunista”) decidono di accettare la pregiudiziale di
L. intendendola come “la richiesta di
maggiori garanzie di impegni più stretti” mirando in ultima istanza a
“rafforzare la corrente unitaria dei liberalsocialisti e a far cadere molte
diffidenze degli antiunitari”[4].
All’indomani della “rivoluzione di
palazzo” che pone fine al regime mussoliniano ancora una volta i partiti antifascisti entrano
in fermento: il mattino del 26 luglio 1943 a Milano in Via Monte di Pietà nello
studio dell’avvocato Tino – azionista – fu convocato il comitato delle
opposizioni.
L. e Ferruccio Parri – erano presenti
tra gli altri Pietro Malvestiti per la DC, Antonio Greppi per il PSI , Amendola e Grilli per il PCI –
rappresentavano il pd’A.
In
quella occasione liberali e democristiani si pronunciarono per una “fiduciosa
attesa nei confronti del governo Badoglio” mentre L. subordinava ogni altra
questione alla soluzione del problema istituzionale in un senso repubblicano[5].
Come ha evidenziato Paolo Spriano “la
discussione rivela immediatamente l’esistenza di una destra e di una sinistra “[6]
con alcune sfumature dal momento che lo stesso Parri sembra manifestare
preoccupazioni per la continuazione dello sciopero generale- preoccupazione
condivisa dal PLI e dalla DC in “fiduciosa attesa” –
mentre gli altri due
azionisti presenti alla riunione sono per l’opposizione intransigente a
Badoglio . Questa
divisione all’interno del comitato delle opposizioni milanese riemergerà
in due altre
occasioni: nei primissimi giorni di agosto L. propone, appoggiato dal comunista Roveda, di promuovere nelle
fabbriche libere elezioni regolari delle commissioni interne.
Il comitato delle opposizioni accetta nella
sostanza la proposta, ma l’opposizione del liberale Alessandro Casati – che
teme il riapparire dei consigli rivoluzionari del primo dopoguerra – sarà
fortissima
[7]. Dopo
l’otto settembre e il brusco” renversement des alliances “ di Badoglio
riemergono le differenziazioni.
L.
ricorderà molti anni più tardi: “ una prima differenziazione fu quella che
passò alla storia col nome di “attesismo…”
“ non è vero che al momento dell’armistizio, al momento dell’inizio
della lotta armata contro i tedeschi ci fosse identità di vedute sulla
necessità di combattere con le armi in pugno.
Quel fenomeno che prese il nome di
attesismo era un concreto pericolo che si manifestava o sotto forma di attesa
che gli avvenimenti evolvessero o sotto forma di discriminazione che proponeva
: “ combattiamo i tedeschi
e non i fascisti “ – “
cerchiamo di contrapporre i tedeschi ai fascisti e i fascisti ai tedeschi “ –
“lasciamo che si sbranino tra di loro”.
Ricordo la sera del 12 0 13 settembre 1943, pochi giorni dopo l’armistizio, in una casa di Corso Italia a Milano, Parri mi disse preoccupato : “senti, queste questioni si troncano agendo. Cominciamo l’azione militare e il resto verrà da sé. Cerchiamo di risolvere questi contrasti operando… “ .
E fu questa la strada su cui si avvio
la resistenza : operosità, immediato inizio dell’addestramento alla lotta”[8].
L. sarà uno dei protagonisti della
lotta partigiana fin dal primo momento, nel novembre ’43 i GAP uccidono il
segretario della federazione fascista di Milano.
Nel giorno dei funerali il giornale di
Farinacci esce con un titolo a tutta pagina, “ecco i mandanti”, tra i quali
figura proprio l’ingegnere
[9].
In quei mesi le formazioni
partigiane erano ancora in via di costituzione: si organizzavano le bande di GL
nel cunese guidate da Duccio Galimberti, quelle comuniste di Moscatelli in
Valsesia e di Sersandini in Liguria ma avevano ancora una consistenza
embrionale, L. , grande distributore di volantini
reagisce con sdegno al tentativo monarchico di
“impartire istruzioni “ sostenendo che in Italia la guerriglia non è possibile
[10],
e a modo suo intende dare una risposta chiara al quesito sulla continuità
giuridica dello stato fascista e sull’organizzazione dello stato che si dovrà
formare.
Alla fine del ’43 conferma infatti la sua leadership nel pd’A – nel gennaio successivo sarà rappresentante nel partito nel CLNAI – dando alle stampe un opuscolo nel quale dà un contributo determinante alla definizione politica del movimento azionista un vista dell’avvenire post fascista .
La visione iniziale di R.L. espressa in
questo documento rivela l’esigenza di un profondo rinnovamento dello stato
italiano ispirato ad un riformismo di chiara Matrice liberaldemocratica. L.
parte dal presupposto che la “rivoluzione” fascista ha rivelato le crepe del
regime liberale ed ha evidenziato, essendone il logico corollario , le
debolezze e le insufficienze del sistema partitico del primo dopoguerra e
soprattutto della classe politica:
“QUESTA CRITICA INVESTE TUTTA LA CLASSE
POLITICA,DELLA QUALE I PARTITI SONO LE ESPRESSIONI ORGANICHE, E CI AVVERTE DELL’URGENZA DEL SUO RINNOVAMENTO RADICALE,
RINNOVAMENTO SOLO POSSIBILE MERCE’ L’IMMISSIONE RISOLUTA NELLA VITA POLITICA DI
NUOVE FORZE PROVENIENTI DAI CETI POPOLARI CHE FINO AD OGGI NE SONO STATI
ESCLUSI DI FATTO… “[11].
Soltanto l’unione tra le forze popolari
e gli elementi più avanzati e dinamici della borghesia può favorire
l’evoluzione della società italiana, a questo scopo il Pd’A può essere
considerato un partito “medio” scrive L. “ma non nel senso che esso si ponga
stolidamente nel cosiddetto giusto mezzo cercando una opportunistica posizione
di equilibrio bensì nel preciso senso di
partito mediatore fra le forze vive e vitali della nostra tradizione nazionale
e la nuova società più giusta, più libera e più umana”[12].
L. sottolinea il carattere liberale del
nuova partito
[13],
antitotalitario e democratico – il Pd’A, afferma “riconosce un solo limite alla
sovranità popolare: la libertà…” e ribadisce con forza la pregiudiziale
antimonarchica:
“Il Pd’A. ravvisa nella monarchia
italiana il nucleo di concrezione di alcune tra le più resistenti forze sociali
e politiche del conservatorismo parassitario: il nazionalismo degli alti gradi
dell’esercito, il protezionismo agrario e industriale… il centralismo politico
ed amministrativo… una riforma di struttura della società nazionale non può
essere validamente intrapresa senza prima abbattere il nucleo stesso della
resistenza reazionaria cioè l’istituto regio “
[14].
Inoltre traccia con chiarezza le
distinzioni tra il Pd’A e le vecchie forze politiche, sente che il vecchio PLI
in uno Stato moderno e democratico è destinato a segnare il passo: “ il PLI sente profondamente i problemi della libertà
politica, ma non con altrettanta acuità le esigenze della giustizia e dell’uguaglianza.
Esso considera il fascismo come un accidente e non come un prodotto
costituzionale dello Stato italiano moderno e della attuale società politica in
generale e tende perciò ad un ripristino più o meno ammodernato dello stato
accentratore, monarchico e burocratico, quale preesisteva alla prima guerra
mondiale senza l’urgenza di riforme in profondità… “
[15].
Insomma il “liberale” L. denuncia
l’insufficienza del liberalismo meramente “formale” e “inconcludente”.
Particolarmente polemico in questa fase, L. è con il PCI. Pur riconoscendo il
ruolo indispensabile dei comunisti nella lotta contro il fascismo e vedendo nel
comunismo “uno stimolo potente che agisce in senso progressivo sulla società
civile costringendo ad accelerare il naturale rinnovamento delle istituzioni in
senso egualitario e come tale da affermare sul terreno della lotta politica e
non già da respingere in blocco, quasi fenomeno estraneo alla nostra società
liberale e cristiana “[16]
evidenzia le tendenze “dispotiche” e “totalitarie” del PCI sul terreno
politico.
“Sul terreno internazionale” scrive L.
“la nostra concezione dell’organizzazione federale degli Stati d’Europa ,
fondata sulla limitazione delle sovranità nazionali e sulla istituzione di una
sovranità federale, concezione organica, programmatica e veramente
rivoluzionaria si differenzia profondamente dal criterio comunista di
identificare la politica internazionale del proletariato con la politica estera
dell’Unione Sovietica e della tendenza a costituire l’unità europea mediante
una dilatazione dei confini dell’URSS “.
Dulcis in fundo, sul terreno economico,
l’ennesima stoccata: “l’egemonia sociale che noi auspichiamo è essenzialmente
una eguaglianza di possibilità in partenza per tutti; per il P.C. tende ad
essere ineluttabilmente un’eguaglianza nella servitù verso lo Stato
onnipotente”.
Più possibilista L. appare nei riguardi
del PSI. Tra i due partiti il Pd’A e il PSIUP vi è” una larga convergenza di
propositi” tanto che si potrà pensare per il futuro ad ”un grande partito
analogo al Labour Party alieno da grettezze dottrinali e classiste” per
“costruire le realizzazioni socialiste capaci di rinnovare la vita nazionale…”[17].
Pur mostrandosi scettico sulla
possibilità che i cattolici sostengano e condividano i principi e gli
obbiettivi del Pd’A
[18],
infine L. auspica l’ingresso nel partito dei cattolici riformatori e liberali.
Per quanto riguarda il programma
internazionale l’unica ipotesi valida per realizzare l’unità europea è quella
federalista:
“ Tre sono le soluzioni possibili per
l’unità europea:
1)
l’unificazione dell’Europa sotto la potenza militarmente ed economicamente più
forte è la soluzione del dispotismo la
colonizzazione dell’Europa avviata alla prosperità economica – la soluzione che
la Germania hitleriana ha tentato e per realizzare la quale ha scatenato la
presente guerra: contro di essa tutta l’Europa è insorta.
2)
La società delle nazioni. Il tentativo
venne fatto a conclusione della prima Guerra Mondiale e fallì
miseramente non già soltanto per la mala volontà degli uomini , bensì per i
difetti intriseci del sistema, che manteneva integra ed illimitata la sovranità
degli stati partecipanti all’istituto, con chi veniva inibito alla S.D.N.
Qualsiasi
potere autonomo che non fosse di mera polizia internazionale…
3)
L’unità federale degli Stati Uniti d’Europa. E’ questa la soluzione veramente
liberale e progressiva…”[19].
Il federalismo, per L. appare come la
strada più sicura da percorrere in vista di una unificazione europea quanto mai
necessaria dopo i tragici avvenimenti di quel periodo; da rilevare è che tutti
i partiti antifascisti nel 1943 avevano incluso la costituzione degli Stati
Uniti d’Europa nei loro programmi, ma con accenti diversi: se per gli azionisti
la soluzione federalista tout court era l’unica “liberale” e “progressiva” per
il PSIUP, ad esempio, l’Europa federale liberata dai protezionismi e dai
particolarismi capitalistici era il preludio della confederazione europea delle
repubbliche socialiste ispirata ad un modello che non era in questa fase quello
”nordamericano” di L. e degli azionisti.
Sul terreno economico le posizioni di
L. sono molto chiare: rifiuta l’idea di “piano economico di Stato” “inteso come
totale avocazione al governo della iniziativa economica”
“ Un sistema concepito in Russia” in
particolarissime condizioni …che sarebbe fatale nel nostro paese” che difetta
di risorse e capitali con popolazione povera e crescente, bisognoso perciò di
dare alle sue limitate risorse produttive l’impiego di massima efficienza e ai suoi prodotti il minimo costo; massima efficienza e minimo
costo che non possano determinati dal giudizio del produttore monopolistico
(anche se questo è lo Stato) ma solo assicurate dalla scelta operata dal
consumatore su di un mercato aperto alla concorrenza”[20].
Una scelta chiara per il libero mercato che nel quadro dell’affermazione del principio di equità liberale – un’eguaglianza di possibilità di partenza per tutti – esprime l’esigenza di profonde riforme strutturali del sistema capitalistico italiano in senso democratico e “sociale” : tra queste la perequazione dei patrimoni, la riduzione a dimensioni “umane” dei grandi complessi industriali, riforma agraria –“la rivoluzione italiana afferma L. dovrà essere, prima di tutto una rivoluzione contadina”[21] – assistenza contro qualsiasi forma di indigenza, legislazione antimonopolista, nazionalizzazioni finalizzate ad istituire servizi pubblici efficienti.
In questa impostazione economica è
evidente accanto ad un richiamo al socialismo premarxista
[22],
una posizione liberista certamente accentuata rispetto alle posizioni
degli anni 20 – per quanto riguarda gli
istituti di credito L. arriva a sostenere contro il “monopolio di stato” una
privatizzazione completa.
La sostanziale subordinazione, al
pensiero liberista non aveva però una matrice ideologica ma era dettata
dell’esigenza di superare la politica economica del fascismo: “l’avversione al
fascismo – disse L. a Miriam Mafai molti
anni più tardi - si era tradotta in un avversione per l’ingerenza pubblica
nella economia e quindi in una rivalutazione del liberismo.
Eravamo come ipnotizzati dalla
preoccupazione che ogni forma di statalismo sembrasse un omaggio ai fascisti e
molti di noi inoltre pensavamo l’economia ingovernabile, nel senso che si
dovesse fare affidamento alle forze spontanee “[23].
Del resto un ex-azionista di sinistra
come Vittorio Foa ha aggiunto a questo proposito che “l’intervento statale concepito come tipico
dell’economia fascista, la conoscenza di fatti e teorie che, soprattutto negli
anni trenta, caratterizzavano il capitalismo di stato anche in paesi
democratici , un forte provincialismo e isolamento culturale , tutto confluiva
verso una restaurazione antifascista liberista “[24].
Ma a parte l’impostazione economica la pubblicazione
dell’opuscolo che L. aveva scritto per conto dell’Esecutivo Alta Italia per le
implicazioni politiche determina sconcerto e preoccupazione a Torino e a Roma
dove la collaborazione tra gli azionisti e comunisti è molto solida – L. aveva
addirittura accusato il PCI di volere, in caso di vittoria “lasciare ripiombare
il paese NELLA INERZIA SERVILE DEL
DISPOTISMO “ – Per questo Leo Valiani viene inviato nel Nord
[25].
Sarà proprio Valiani il protagonista
della polemica con L. condotta sulle pagine di una rivista clandestina “Nuovi quaderni di Giustizia e Libertà” nel
corso del 1944.
L. intervenendo nel dibattito accesosi
tra Morandi, Spinelli e Valiani riguardo la composizione e i compiti dei
consigli operai, ribadisce la propria avversione per il piano economico
centrale di Stato. L’economia pianificata, secondo L. che si firma con lo
pseudonimo di RIO, deve considerarsi “una struttura economica autoritaria”
Poiché
il congiungere nelle stesse mani il potere economico e quello politico proprio
degli stati pianificatori avrebbe costituito per le società moderne un pericolo
per la libertà maggiore
“di quanto non sia apparsa
alla società medievale la congiunzione nelle stesse mani della spada e del
pastorale”[26]
.
RIO aggiunge che a volere la
pianificazione economica non sono soltanto “forze reazionarie” ma anche “forze
rivoluzionarie “ abituate al paternalismo e attratte dalle esperienze
sovietiche e nazista.
In realtà queste due esperienze hanno
ampiamente dimostrato che la pianificazione può funzionare in un ‘economia povera e in un economia di guerra.
Ma “un’economia di relativa abbondanza
è condizione fondamentale per la rivoluzione italiana, la quale non sarà se non
riuscirà a sollevare le plebi agricole dell’abbrutimento e della miseria”[27].
Anche in questo caso l’obiettivo deve
essere “la libera concorrenza in mercato aperto”. Occorre garantire alla
società (…) che tutti gli elementi si combinino spontaneamente secondo la
richiesta del mercato di consumo, unico giudice qualificato dell’iniziativa
economica, giudice non disarmato perché possiede nella facoltà dell’acquisto o
di rifiuto delle merci offerte dal produttore il suo valido braccio secolare” .
Se è giusto affermare come De Luna che
le posizioni di L. sono motivate anche dalla “crisi delle struttura dello
Stato”, devastante”[28]
vi era anche una motivazione politica fondamentale: la difesa della libera
concorrenza retta dal mercato si identifica in questa fase con la difesa della
democrazia.
A più riprese nel saggio L. sottolinea
“l’incompatibilità di una struttura politica democratica e di una struttura
economica autoritaria qual’ è senza dubbio una economia pianificata”.
La replica di Valiani a queste
considerazioni è immediata. La posizione libero scambista di RIO per Federico,
- lo pseudonimo di Valiani – ha un vizio di fondo:
inutile parlare di libero
scambio in una situazione di prosperità, perché essa può essere malamente
distribuita.
L’Italia e l’Europa, alla fine della
guerra si trovano in una situazione di grave difficoltà, non certo di
abbondanza.
Per uscire dalla crisi economica
occorre una pianificazione statale che Federico ritiene compatibile con il
mercato e l’impostazione federalista data dal Pd’A alla soluzione del problema
europeo:
“ I principi debbono adeguarsi alla
situazione di fatto. Tale situazione di fatto esige che per parecchi anni sia
data la precedenza al problema della produzione, al problema di come produrre
al massimo possibile di beni con l’impiego del massimo possibile di lavoratori.
Pensare che la libera concorrenza possa risolvere tale problema nel limite di
tempo richiesto dalle circostanze d’emergenza del dopo guerra, mi sembra illusorio”[29].
L. torna su questi temi nel successivo
fascicolo della rivista, con un saggio sulle riforme di STRUTTURA DELL’ECONOMIA INDUSTRIALE ITALIANA.
L’industria
italiana, grazie alla politica economica del fascismo – la nascita
dell’IMI e dell’IRI, il protezionismo
autarchico – è caratterizzata da una larghissima ingerenza della Stato. La classe imprenditoriale – scrive L. – “sempre
più aliena dalla virile anche se spesso brutale competizione della concorrenza
dalla incessante fatica di adeguare metodi produttivi alle imperiose esigenze
del mercato padrone e giudice obiettivo e spietato”[30]
ha perso “il suo vero titolo di nobiltà, riconosciuto dal Jaures, l’essere una
classe che lavora”[31]
e si è trasformato in un ceto parassitario, una casta di speculatori dipendente
in maniera esclusiva dallo Stato a cui chiede di continuo privilegi e
concessioni di ogni sorta.
L. è convinto che “si incorrerebbe in
un grave errore di prospettiva e in una sicura sterilità di risultati ove si
ponesse semplicemente la questione in termini di capitalismo – socialismo”
poiché “ la struttura economica da riformare è certamente anche capitalistica,
per quel che il termine può valere, ma non è soltanto e principalmente tale: è
una struttura complessa, con una contaminazione accentuata di capitalismo
privato e di capitalismo di Stato, di socialismo in parte genuino, in larga parte
spurio e deteriore . Il capitale come tale non appare come il fattore di
produzione privilegiato” l’obiettivo
fondamentale è una strategia di riforme
di struttura che portino alla distruzione della forma parassitaria assunta
nello schema corporativo del capitalismo italiano a favore di un sistema
realmente concorrenziale e dinamico. E per questo, d’accordo con Ernesto Rossi,
auspica forme di collettivizzazione in funzione antioligarchica e
antimonopolistica, e arriva a proporre “l’esplorazione dei grandi complessi
monopolistici e la redistribuzione rivoluzionaria di buona parte della
ricchezza “[32] ma
antepone con fermezza le riforme di struttura ad una politica delle
nazionalizzazioni. Se si nazionalizzassero infatti alcuni complessi industriali
parassitari così come si sono storicamente formati sotto il regime autarchico
“si rischierebbe di accollare allo Stato un apparato produttivo in stato,
potenziale o attuale di fallimento” , e l’industria autarchica, congelata di fatto
in una situazione di monopolio, anche in mano pubblica, contro-opererebbe “a
sfavore di ogni serio tentativo di pratica politica e amministrativa
democratica”.
Che cosa intendesse per riforme di
struttura in questo momento L. è detto con chiarezza: le riforme devono mirare
a risanare la produzione e a riconvertire l’industria di guerra verso altri
scopi – in primo luogo, la ricostruzione post-bellica del paese e l’inizio
dell’industrializzazione del Mezzogiorno. A lungo termine però il risultato auspicato
è una struttura economica completamente nuova ”caratterizzata dalla scomparsa
dell’oligarchia economica e finanziaria, dalla riduzione a dimensioni umane di
buona parte dei grandi complessi
industriali, dalla riapparizione di un ceto di imprenditori di medie industrie
(…) dall’esistenza di una moltitudine di modesti proprietari di titoli di
aziende industriali”[33].
In maniera puntuale L. elenca alcune di
queste riforme – la revisione delle norme sulle società per azioni, una
politica per la ricerca scientifica,
liberalizzazione degli scambi, ecc.- destinate a scontrarsi con una violenta
ostilità degli interessi capitalistici minacciati, ma largamente impopolari
anche tra le masse lavoratrici dipendenti dalle imprese da “riconvertire” e
“ridimensionare”.
Queste posizioni hanno indotto molti a
vedere nel pensiero economico di L. , nel periodo della resistenza un
“liberismo classico” che in realtà non si rivela come ha osservato Aureli, ad
una lettura attenta degli scritti e dei documenti[34].
In effetti L. non passò nell’arco di un
decennio da posizioni liberiste “assolute” a posizioni “dirigiste”
assolute poiché l’obiettivo delle
riforme da lui proposte fu sempre sostanzialmente identico: una rivoluzione
democratica che consentisse attraverso un minimo di programmazione economica,
di attenuare i gravi squilibri sociali e
regionali che da sempre caratterizzano lo sviluppo economico del nostro paese.
Le lodi sperticate al libero mercato
che si intravedono nei primi interventi durante la lotta clandestina di L. ,
nascono proprio dal prevalere in quel momento di uno dei motivi del riformismo
lombardiano: la lotta alle oligarchie e alle concentrazioni monopolistiche.
Per lui soltanto la fine dei monopoli
avrebbe aperto la strada ad un reale riformatore intervento dello Stato nella
economia; di qui la necessità di una “struttura economica radicalmente diversa”
in grado di affrontare i problemi più gravi del paese , il Mezzogiorno e la
disoccupazione di massa. Superare lo schema autarchico, rovesciare le baronie
dell’economia italiana erano punti principali del suo programma, coerenti con
le tesi di fondo del movimento azionista, del quale allora facevano parte
uomini come Foa o Ugo La Malfa, Rossi Doria ed Ernesto Rossi
Cambiano gli strumenti ma il fine è
sempre uguale: il problema italiano è quello di un radicale rinnovamento delle
istituzioni e delle strutture economiche . Le riforme di struttura sono
l’obiettivo principale sia del L.
“liberoscambista” del 1944 sia del L. “marxista “ degli anni ’60.
In entrambe le circostanze le proposte di L. sono, come si vedrà, da
inquadrare in un unico filone: quello di
una occasione “storica”. L’occasione di una rivoluzione democratica mancata. Ad
una intensa partecipazione al dibattito ideale e programmatico nella resistenza
nel corso del ’44 non corrisponde un impegno militare e politico diretto : L. è
gravemente ammalato e a lungo rimase immobilizzato a letto. Tutti lo credono
moribondo e i fascisti allentano la
sorveglianza intorno alla sua casa di Calamata in periferia di Milano.
Dopo la guerra l’avvocato Schinetti,
nominato vicequestore di Milano, su designazione del Partito d’Azione, troverà
un telegramma di Mussolini con cui si ordina di non arrestare L. per non farne
un martire[35].
Alla fine dell’anno sarà uno dei
principali ispiratori dell’iniziativa azionista destinata ad aprire un
dibattito sulle funzioni del CLNAI di grande importanza ai fini della
comprensione degli sbocchi della resistenza in Italia : nel novembre il Pd’A
invia una lettera agli altri partiti, superando le obiezioni della frazione di
destra del partito, in cui si chiedeva il rafforzamento dei CLN come organi di
democrazia diretta e la costituzione del CLNAI come il governo straordinario
dell’Alta Italia. In sostanza i CLN dovevano diventare gli organismi
fondamentali del nuovo Stato.
Ha scritto Tortoreto, in proposito, che
“il senso politico della lettera era evidente, tanto più nel momento della
crisi del primo governo Bonomi, al quale seguì un secondo governo del medesimo
di netta involuzione di destra. Si proponeva dunque, di introdurre
nell’ordinamento politico del paese
completamente in crisi, un potere del tutto nuovo sorto dal popolo , e con un
programma avanzatissimo.
L’antifascismo di destra contrapponeva
la sua soluzione: la restaurazione dello Stato prefascista,
depurato delle incrostazioni depositate secondo l’espressione crociana, dalla
invasione degli Hyksos. L’iniziativa azionista, secondo uno dei suoi autori,
R.L., conteneva, dunque, in concreto tutto il problema politico della
resistenza, perché provocava, ancora nel vivo della lotta armata un dibattito
sullo sbocco politico del movimento in atto al di là della vittoria sul
nazifascismo “[36].
La risposta del PCI alla richiesta del
Pd’A fu evasiva: in quel momento, cruciale per la lotta armata, i comunisti
subordinavano ogni altro proposito a
quello “dell’unità nazionale” ossia dell’alleanza con la destra antifascista.
La DC e il PLI risposero in gennaio, cioè due mesi dopo, rifiutando in maniera
decisa la proposta degli azionisti.
Il ritardo non fu casuale: intercorsero
tra i due documenti, nel mese di dicembre, gli accordi tra i rappresentanti del
CLNAI e
gli alleati, seguiti a poca distanza di tempo da quelli fra il CLNAI e
il governo Bonomi.
Questi accordi segnano “una sostanziale
sconfitta della resistenza”[37]:
i
rappresentanti del governo clandestino del Nord cedono su tutta la linea alle
esigenze della politica inglese e della destra monarchica ben rappresentata da
Bonomi
e
in cambio di un cospicuo aiuto finanziario accettano la direzione militare del
comando supremo alleato nonché la delega in base alla quale il CLNAI diveniva
una diretta emanazione del governo
romano.
Di conseguenza il rifiuto delle destre
giunse al momento opportuno, cioè quando le istanze espresse dalla “lettera
aperta” dell’esecutivo azionista per l’alta Italia, erano ormai svanite nel
nulla a seguito di quegli accordi.
Nelle risposte – gennaio – febbraio del
’45 – del PLI e della DC si rimanda retoricamente ogni scelta “alla futura
volontà del corpo elettorale “ e ci si abbandona,
Ciò evidenzia il vero significato
politico dell’intera vicenda: l’idea rivoluzionaria di L. ed altri di “una
rifondazione dello Stato dal basso”[38],
di una rivoluzione democratica, era destinata a soccombere.
Gli sviluppi dei drammatici avvenimenti
di quei mesi avrebbero visto prevalere ben altra realtà, quella della
continuità dello Stato. Nei primi mesi
del ’45 L. è uno dei protagonisti della
preparazione del piano insurrezionale in vista dell’avanzata militare alleata
nel nord in quanto prefetto designato di Milano[39].
Il 23 aprile, alla vigilia
dell’insurrezione L. viene avvicinato da un giornalista socialista, Carlo
Silvestri, che pur essendo stato una vittima del regime, negli ultimi anni
appare ai margini del mondo neofascista. Silvestri consegnò a L. una lettera
del duce in cui Mussolini offre una resa ponendo condizioni:
pare
che l’ingegnere si sia consultato con Valiani e poi abbia risposto a Silvestri
che
l’offerta
non poteva essere presa in considerazione[40].
In seguito L. ricorderà che tramite
questo primo approccio, o tentativo di approccio
con
gli uomini della resistenza – una lettera di quel tenore era pervenuta anche ai
socialisti – Mussolini aveva proposto di fornire i suoi uomini per mantenere
l’ordine fino all’arrivo degli alleati, questo era stato per lui l’estremo
tentativo di salvezza[41].
Il 25 aprile all’arcivescovado di
Milano L. su incarico del CLNAI partecipa all’ultimo confronto politico con
Mussolini (sono presenti anche Cadorna, Sereni e Marrazza ) pronto a discutere
la resa.
Molte volte negli anni seguenti anche
per smentire il Cardinale Schuster e monsignor Bicchierai che davano risalto
eccessivo all’opera di mediazione della Curia, L. ritornerà su quel drammatico
incontro:
“
Ricordo un Mussolini disfatto, rassegnato. Il cardinale Schuster mi presentò
come Gilberti, era il mio nome di battaglia nel comitato insurrezionale. Lui
fece: “Ah Gilberti”.Forse credeva che fossi io l’autore di un opuscolo del Pd’A
intitolato Socialismo d’oggi e di domani, di cui era invece autore Franco
Venturi…”[42].
Quanto ai termini del colloquio L.
disse nel ’72 a Staiano:
“Quando
siamo entrati Marrazza disse subito che non c’era altro che la resa senza
condizioni. – Mussolini disse: ”Ma io non mi aspettavo questo”. A questo punto
intervenne - Graziani che era entrato da poco dicendo: “Ma duce non possiamo
firmare una capitolazione senza aver informato i camerati germanici” .Fu allora
che il cardinale disse che i tedeschi stavano già trattando da tempo, un
segretario confermò che avrebbero firmato la resa entro 24 ore.
Mussolini gridò “questo è alto
tradimento” e domandò mezz’ora, un’ora, un’ora e un quarto. Poi telefonammo
noi. Erano le 7 e mezzo di sera del 25 aprile: Mussolini era partito per Como,
a Dongo tre giorni dopo fu giustiziato…[43].
In altre circostanze L. sottolineò come
l’opera della curia fosse stata rivolta ”con tenacia e continuità”[44]
ad evitare, in qualunque modo, l’insurrezione popolare contro i nazifascisti:
monsignor Bicchierai aveva redatto un progetto teso a garantire la ritirata
tedesca dall’Italia senza alcun intervento da parte delle forze partigiane,
progetto mai discusso né accettato dal CLNAI.
All’alba del 26 aprile 1945, l’ing. R.
L. si insedia nel palazzo della prefettura. In un proclama alla popolazione,
dopo aver invitato i cittadini a collaborare per disarmare e imprigionare i
fascisti rimasti in città, riafferma l’importanza dei CLN, “cellula organica
della rinnovata coscienza liberale e socialista del paese”.
Forse fu uno scatto d’orgoglio nel
momento in cui questi principi erano completamente disattesi nel Mezzogiorno e
i partigiani milanesi, padroni della città, si apprestavano, in base agli
accordi di Roma, a consegnare le armi agli alleati. Tuttavia il ”vento del
Nord” aveva appena cominciato a soffiare.
[1] G. De Luna: Storia del Partito d’Azione, Milano, 1982, pp. 42-44 – De Luna osserva che ad alimentare la pregiudiziale repubblicana concorrevano la riflessione sulle tare della soluzione monarchica degli esiti risorgimentali avviata da Amodeo e da Salvatorelli, la sedimentazione delle battaglie politiche condotte dagli ex combattenti dell’Italia Libera e del Partito Sardo d’Azione, dal Salveminiano “non mollare…”
[2] Ibidem, p. 53.
[3] Ibidem, pp. 60-66.
[4] Cit. in Paolo Spriano : Storia del Partito Comunista Italiano, la fine del fascismo, Torino, 1973, pp. 244-246.
[5] Cfr. “ Storia della resistenza” di P.Secchia e Filippo Frassati, 1965.
[6] Spriano, op. cit. , pp. 276-277. Spriano aggiunge che le conclusioni del comitato – che fa proprie le posizioni dei comunisti – mostrano la forza raggiunta dalla sinistra dal momento che si risolvono nella richiesta dell’armistizio, di un governo di unità nazionale, della liberazione dei detenuti politici, del ripristino delle libertà civili e politiche.
[7] Ibidem p. 295.
[8] L. – La resistenza italiana – conversazione tenuta il 24 gennaio 1975 nell’aula magna dell’Università cattolica di Milano, cit. , in Quazza , scritti sulla resistenza, Milano, 1977 , pp. 213-223.
[9] Villetti , Mondoperaio n 8-9 1984, op. cit. , p. 127.
[10] Ordine di operazione n. 333 / op. del 10.12.1943 cit. in L. , La resistenza p. 230.
[11] R.L. , Il Partito d’Azione, cos’è e cosa vuole, opuscolo clandestino del dicembre ’43, Firenze, 1945, p. 3 .
[12] Ivi , p. 5.
[13] Ivi , p. 7.
[14] Ivi , p. 8.
[15] Ivi , p. 9.
[16] Ivi , p. 10-12.
[17] Ivi , p. 14-15.
[18] “La libertà di opera di propaganda, di culto è da essi considerata come mezzo strumentale e non come fine e talvolta come concessione opportunistica, non mai come principio fondamentale della società civile. Per essi la verità è già tutta nell’insieme della chiesa, la dove per i liberali essa – si fa perennemente – quale conquista sull’errore e soluzione dei problemi sempre nuovi che ciascuna epoca pone all’intelletto degli uomini ; i cattolici perciò possono tollerare ma non mai ammettere in pieno diritto la libera esposizione e difesa di quello che reputano errore” .
[19] Ibidem, pp. 18-19.
[20] Ivi , p. 22.
[21] Ivi , p. 30.
[22] Richiamo che sarà per altro esplicito, con citazioni di Proudhow e degli Owen in due lettere sul socialismo e l’Europa, in “nuovi quaderni di GL” , n. 2-3, luglio – ottobre 1944, p.90.
[23] Mafai , op. cit. , p. 31.
[24] V. Foa , “Le strutture economiche e la politica del regime fascista “. in AA.VV. Fascismo e Antifascismo ,1918-1948 , Vol. I , Feltrinelli , Milano , 1962 , p. 285 .
[25] Cfr. De Luna, op. cit. , p. 124 .
[26] R. L. ,
art. cit. , pp . 89-90 .
[27] Ibidem ,cit. in Mafai , p. 31.
[28] De Luna , op. cit. , p. 221 .
[29] Federico in “Nuovi problemi di GL” , luglio - ottobre 1944, postilla all’art. di L. , cit. in Mafai , p. 32 .
[30] Cfr. RIO , Le riforme di struttura dell’economia industriale italiana in “Nuovi problemi di GL” novembre – dicembre 1944, cit. in Mafai , p. 32 .
[31] Ibidem , cit. in Tortoreto , op. cit. , p. 19 .
[32] Ibidem , cit. in De Luna . op. cit. , p 221.
[33] Ibidem.
[34] Romeo Aureli, il pensiero economico di Riccardo L. , Dalla segreteria del Pd’A allo schema Vanoni in “convegno sull’azionismo” , 1988 .
[35] Cfr. Mafai, op. Cit. , p. 22 R.L. int. cit. su “Mondoperaio” n. 11, 1979 , p.129 . Nel marzo del ’44 L. comincia a perdere sangue a fiotti e si salva per miracolo grazie ad un ‘iniezione endovenosa di coagulante fattagli da uno studente di medicina vicino di casa .
[36] Tortoreto, op. cit. , p. 14 .
[37] Ginborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Torino, 1989, p. 73 .
[38] De Luna, op. cit. , p. 283. Sulla risposta dei comunisti, cfr. A. Lepre, Storia della prima Repubblica, l’Italia dal 1942 al 1992 p. 31; secondo il quale rivelava anche una particolare concezione della democrazia non fondata sul diritto degli individui, ma mediata dalla loro partecipazione alla organizzazione di massa.
[39] Il CLNAI aveva deliberato la suddivisione tra i partiti antifascisti delle cariche amministrative nelle principali città, già nell’ottobre ’44. Tra gli altri L. era stato designato prefetto di Milano, Greppi, indicato dal PSIUP sindaco di Milano e Roveda, indicato dal PCI sindaco di Torino, cfr. Catalano, Storia del CNLAI .
[40] Cfr. F. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Torino, 1963 .
[41] Int. a C. Staiano in “Il Giornale” 10 ottobre 1972 .
[42] Int.
cit. , p. 129 .
[43] Cit. in Mafai, op. cit. , p. 23 Cfr. Deakin, op. cit. , p. 86-87-88 . La testimonianza di L. al processo Graziani .
[44] R. L. , Il libro bianco del cardinale Schuster in “ Il Ponte” n. 12, dicembre 1946 .