La parabola della X

Tratto dall’inserto di Repubblica, segnalo il seguente articolo condividendone gran parte dell’analisi.

Enzo Rosario Magaldi

La parabola della X

di Raffaele Panizza

CAMBIAMENTI: Cinica, infantile, autoriferita: la generazione dei trentenni sembrava predestinata a cambiare il mondo a colpi di Internet. Fino a ieri. Perché oggi è l’ora dei thirtysomething

“Il futuro, ormai, è in mano ai tredicenni. Gli unici nati già con il sistema operativo giusto per affrontare quello che gli altri hanno faticato anche solo ad avvicinare.”

Lo strazio è finito: la Generazione X – quella autodescrittasi con paranoica costanza come cinica, infantile, relativista, pavida, arrotolata su se tessa, indecisa, spaventata e sinceramente oltremodo grafomane volge finalmente al tramonto. Non ha più energie. Non spinge più: se non un ingombrante passeggino in stile trekking-fuoristrada che occupa gran parte del marciapiede dove gli altri, e questa è soltanto per caso una riuscita metafora, scalpitano per avere campo libero. Sia di monito per tutti il quartiere di Park Slope, a Brooklyn, culla di scrittori (Jonathan Lethem, Rick Moody, Christopher Sorrentino, Jumpa Lahiri, Jonathan Safran Foer, Nicole Krauss) che hanno tracciato pagine memorabili su questi ultimi decenni di cultura pop: divenuto un’enclave middle class, è stato ribattezzato dagli ultimi abitanti single della zona “strollersmania”, a causa dell’insopportabile congestionamento provocato da goffi padri a spasso coi relativi bambini, nei pomeriggi di sole.

Insomma: la X si estingue. E non soltanto perché i suoi esponenti più precoci, quelli nati all’inizio degli anni Sessanta, sono ormai totalmente assorbiti dal tentativo di salvare il loro secondo matrimonio (secondo l’Istat, l’unica forma di unione formalizzata che faccia segnare in Italia un trend crescente), dopo aver dichiarato solennemente davanti a una platea di vecchi amici divorziati che mai e poi mai nessuno al mondo avrebbe messo loro di nuovo le manette.

E non è neppure perché i trentenni, per quanto siano gli unici ancora in grado di esibirsi in energici colpi di coda, sembrano impegnati più che altro a inventarsi lavori Internet based cercando risposte a interrogativi che sanno sinceramente di ultima spiaggia. Tra i più diffusi, dopo essere stati sommersi da pubblicità di laptop wi-fi con gente in cravatta e calzoncini che lavora seduta a picco su una scogliera, c’è questo: come diavolo faccio a guadagnare un milione di euro in un solo anno, e possibilmente senza muovermi da casa? (Un giovane inglese ha avuto l’illuminazione: si è messo a vendere spazi pubblicitari online, della grandezza di un pixel, a 1 dollaro ciascuno: ne ha guadagnati 800 mila in un battibaleno e si è beccato del genio da quelli del Guardian).

Ah, la new economy. A qualcuno era sembrata davvero la salvezza. Ma non è certo un caso che la parabola degli Xgeners sia stata aperta e chiusa dalla stessa persona e proprio su questi stessi argomenti: lo scrittore canadese Douglas Coupland, uno capace di azzardare profezie che poi, immancabilmente, si autorealizzano. Nel suo libro del 1991 intitolato proprio Generation X, descrivendo un gruppo di tre amici «sovraistruiti e sottoccupati» che per reagire a un mondo ipercommercializzato e all’angosciante minaccia della crisi economica decidedeva di trasferirsi nel deserto della California, faceva fluire una volta per tutte questo termine nelle vene pulsanti del mondo pre-internettaro (anche se in assoluto la definizione era stata creata dalla giornalista inglese Jane Deverson in un’inchiesta sulla gioventù britannica pubblicata nel 1964). Mentre con il suo ultimo romanzo, intitolato Jpod, descriveva proprio una non meglio precisata società della new economy impegnata nella realizzazione di videogame, dove alcuni scazzati creativi, dopo essersi illusi di sfuggire al destino triste dei loro genitori imparando un lavoro tecnologico e libertario, finivano invece n un tritacarne di pixel che avrebbe fatto orrore anche a un operaio della Ford.

Ecco che fine fanno quelli della generazione X: obbligati a vivere in un mondo nuovo, dotati però di un cervello vecchio, diventano servi della gleba di un latifondo virtuale. Sempre lì a lamentarsi di essere stati catapultati in un’epoca che richiede molteplici competenze, spirito d’adattamento e flessibilità, con la costante coltivazione di aneliti paranoici sulla possibilità di mollare tutto e aprire una gelateria in qualche angolo del Costarica. Succede ancora oggi, a ogni festa, a ogni cena.

Altro che X generation: questa è stata la Whining generation, la generazione lamentosa, che come tutti i bambini viziati non ha mai fatto altro che parlare di sé. Basta buttare un occhio alle sue colonne sonore: My generation, degli Who, e Yourgeneration, di una band guarda caso chiamata proprio Generation X e guidata da Billy ldol, che non faceva altro che scrivere canzoni per giovani e sui giovani come WiId youth, oppure Youth Youth Youth. Anche se i veri maître à penser di questo spicchio di secolo sono gli Oasis dei fratelli Noel e Liam Gallagher, che con britannica sintesi hanno pubblicato nel 1994 un album imprimendo contemporaneamente nell’acciaio la risposta che ciascun insicuro appartenente alla generazione X vorrebbe dare a qualsiasi domanda troppo diretta relativa alle sue scelte umane e professionali: Definitely maybe. Assolutamente forse.

Lo stesso Coupland • classe 1961, è il tipico prodotto di questa generazione sommersa dì informazioni senza essere dotata degli strumenti biologici adatti a sedimentarli in un giusto e sano livello di superficialità. Basti pensare che per anni, per uno strano tamtam su internet, tutti si sono convinti che l’autore vivesse in Scozia dilettandosi col collezionismo di meteoriti. Niente di più falso. Coupland vive a Vancouver, colleziona arte e sponsorizza e fa fund raising per fondazioni artistiche, operazioni per le quali si presta sovente come testimonial di una nota marca di vodka. Circostanza per la quale non manca mai di giustificarsi, sottolineando i motivi nobili del suo prezzolamento: e questa moralità pelosa, coccodrillosa, per esempio, è tipica della generation X. Fatto sta che a furia di sentirselo dire, e incapace a causa di un’educazione accademica e polverosa di prendere le nozioni e le suggestioni con la dovuta non partecipazione, alla fine si è messo a collezionare meteoriti veramente.

Ma al di là delle considerazioni più ciniche, bisogna ammettere che c’è più di un valido motivo anagrafico (se è vero che la generazione X parte con la classe 1961 e arriva quasi fino al 1978, c’è qualcuno che sta iniziando a scollinare pericolosamente verso i cinquant’anni) e più di una sfortunata contingenza economica a determinare il fatto che i figli dei figli del baby boom smetteranno presto di avere la benché minima influenza sulla cultura contemporanea (salvo arroccarsi in qualche posizione di potere). Persino la generazione successiva, quella chiamata Generazione Y, Net generation, Millennials, Echo boomers, iGeneration, Second baby boom, Google generation, MySpace generation, MyPod generation, Generation next, Nintendo generation, Me generation and Cynical generation non ha fatto la differenza: l’una e l’altra si sono fuse insieme, come il metallo delle Twin towers l’11 settembre.

Il fatto vero è un altro: il mondo, ormai, è in mano ai tredicenni, gli unici nati già con il sistema operativo giusto per affrontare quello che gli altri hanno arrancato per agganciare. I thirtysomething ci hanno creduto, è vero, scaricando musica e video alla velocità di 56k. Ma la sensazione è che non c’è nessuno che erigerà mai monumenti ai pionieri. Come del resto nessuno si chiede più cosa serva e cosa desideri chi è arrivato prima. Il prossimo giugno a New York si terrà l’ennesima edizione di What teen want, il conclave internazionale di esperti di marketing che si scervellano per capire come diavolo fare a vendere prodotti alla generazione nata nel 1992. Infilarsi nei blog? Produrre sneaker sempre più personalizzate? Giornali di moda che aiutino il passaggio diretto dai fumetti Winx club a Velvet? Come diamine si parla a questa gente che si è persa lo scoppio della guerra nell’ex Jugoslavia, che ha perso l’inizio di Tangentopoli, l’attentato a Falcone e Borsellino, persino il discorso dell’allora presidente della Re pubblica Oscar Luigi Scalfaro a reti unificate che diceva «Io non ci sto!»?

Gente che dopo aver fatto 7 ore ininterrotte di snowboard , essersi costruita i salti con una paletta retrattile infilata nello zaino, ti dimostra la propria amicizia offrendoti una barretta energetica in gelatina (un Carb-BOOM al gusto banana- cannella, per la precisione). Ecco lo stacco generazionale: mentre gli X boys hanno dato vita a Slowfood, e hanno fomentato tutte le paranoie ecologiche possibili quali sfogo postumo alle tossine accumulate col millenarismo della Guerra fredda, i ragazzini crescono sotto il motto del superfood, secondo una capacità innata di accettare con distacco i dati di fatto, adoperare con apparente amoralità gli strumenti che il mondo mette a disposizione, e agire di conseguenza. La pubblicità bombarda con messaggi sessuali? E noi saremo sempre più sexy, faremo l’amore sempre prima, e leggeremo libri per ragazzi come Il chiodo fisso, di Burgess Melvin, un teenbook dello stesso autore di BiIly Elliot con tanti preservativi colorati in copertina. Età di lettura consigliata: 14 anni. E mentre ancora si discute di tribù, loro hanno capito che la sintesi dell’indifferenza è l’arma vincente. Funzionano i My chemical romance, ad esempio, o i The Rakes, mirabili creature mitologiche metà Sex Pistols e metà Louis Miguel.

Sono cresciuti in regime di multitasking e multi-dadding. Mica come gli Xgeners, venuti su con madri abbandonate che hanno sacrificato tutto ai figli facendoli crescere con strane paranole relative al sesso e alla possibilità di santificazione del corpo mortale. Vedere donne finanziariamente non autosufficienti è il primo pa sso per creare ragazzini squilibrati . E questo, forse, accadrà sempre meno.

E poi. Quella dei trenta-quarantenni è stata la generazione show off: comprare molto, per mostrarsi molto. Per loro invece comprare non significa mostrare, ma fare delle cose precise con gli oggetti che si sono presi. Una gonnellina cortissima, ad esempio, è richiamo sessuale, che cerca una risposta subito. Idem le mutande che escono dai pantaloni, e le polo Xxs. In questo senso, i vescovi anglicani ci sono rimasti male quando hanno scoperto che i tredicenni non hanno alcuna familiarità con il concetto di “peccato”. E infine, il lavoro: Marco Tomatis, che con Loredana Frescura scrive libri per ragazzi oltre a insegnare in una scuola media (in uscita il loro ultimo Un anno dopo, l’amore, Fanucci editore), racconta che quando si parla del futuro professionale, i ragazzini rispondono così: spero di poter vivere in uno stato dì «disoccupazione felice». Questo sì che è spirito di adattamento. Questo sì che è un hardware pronto a essere craccato e trasformato in una macchina meravigliosa. Anche il sogno dei Xeners era lo stesso. Ma loro non hanno avuto il coraggio di spingere il loro nichilismo fino in fondo, e l’hanno soltanto sfiorato.

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