Se dev’essere ammuina socialista, meglio desistere

(da “il Nuovo Riformista” del 08 marzo 2007)

Emanuele Macaluso e Michele Salvati sono fra i miei migliori amici. Emanuele, con la sua rivista, ha offerto a me e a tanti altri socialisti un’oasi preziosa nella traversata del deserto che da più di dieci anni stiamo conducendo.

Michele, fra l’altro, ha riportato all’onor del mondo l’attualità delle intuizioni della Conferenza socialista di Rimini, che giusto un quarto di secolo fa scandalizzò non poco la sinistra d’allora. Adesso però uno mi propone di mettermi in fila dietro a Gitti, con la speranza di non restare fuori dall’aula magna come gli studenti della Statale; l’altro di mettermi in fila dietro a Boselli, che solo un anno fa aveva sepolto la questione socialista sotto la Rosa saldamente impugnata da Pannella. Ci deve essere qualcosa che non funziona. Può darsi, ovviamente, che a non funzionare sia soltanto il mio cervello. Per cui mi sottopongo volentieri alla perizia dei lettori esternando schematicamente quello che penso.

Il partito democratico nasce male. Invece di unire rischia di dividere. Divide, a quanto pare, i Ds. Potrebbe dividere, prima o poi, la Margherita, specialmente se l’èntente fra Mastella e Follini si allargherà al centro. Unisce soltanto i socialisti, se bisogna dar credito ai risultati del convegno di Bertinoro.

Le prime due sono buone notizie. Era tempo che i Ds mettessero in discussione un’identità che, come ha documentato da ultimo Andrea Romano, è più antropologica che politica, e che aveva resistito senza troppa fatica all’esperimento di contaminazione della “Cosa due”. Ed è tempo che si sciolga l’equivoco della Margherita, partito sorto con l’ambizione di essere esso il partito democratico, e che invece si è ridotto a contenitore di cose diverse, postdemocristiani e neocattolici, con l’aggiunta di laici redenti e laici irredenti.

Anche la terza sarebbe una buona notizia. Se avesse un fine, e una strategia per perseguirlo. Il fine non può che essere quello di recuperare gli elettori di centrosinistra che dal 1994 votano a destra, che tra l’altro è il modo più sicuro per assicurare la prevalenza dei riformisti nel centrosinistra. Gli strateghi, però, non possono essere gli stessi che in questo compito hanno già fallito, sia quando hanno inseguito il loro elettorato in partibus infidelium, sia quando hanno piantato le loro insegne nel campo della tradizione. Non è (solo) questione di persone. È questione di sostanza politica. L’elettorato laico-socialista non è mai stato particolarmente sensibile ai temi identitari. Ha apprezzato, invece, il ruolo sistemico svolto dal Psi nei primi cinquant’anni della Repubblica, e specialmente dopo il 1956. E potrebbe apprezzare chi svolgesse un ruolo analogo nei frangenti in cui si trova oggi il sistema politico. Altrimenti l’unità socialista rischia di essere un caciocavallo appeso, come caciocavalli appesi, al di là delle apparenze e delle autosuggestioni, sono stati in fondo finora Ds e Margherita.

L’unità socialista, insomma, non può negarsi l’orizzonte del partito democratico. Può negarne la configurazione attuale. Può perfino sfruttarne tatticamente le contraddizioni. Ma deve avere come obiettivo, a sua volta, quello della ricomposizione dei riformismi italiani, e come ambizione quella di offrire una sintesi politico-culturale che unisca davvero ciò che oggi semplicemente si assiema.

Nell’epoca di Second life può non essere visionario immaginare due percorsi paralleli verso lo stesso obiettivo. Ma non c’è bisogno di rifugiarsi nella realtà virtuale per prendere atto che anche l’unificazione fra Ds e Margherita è una soluzione provvisoria del problema, e che il cantiere rimarrà inevitabilmente aperto.

Se è orientata a questa prospettiva, ben venga l’unità socialista. Se invece serve solo a fare ammuina, non ce n’è bisogno. L’unità non è un bene in sé. Nel 1963, dopo la rottura con Nenni, Riccardo Lombardi rifiutò di fare il segretario del partito con i voti dei “carristi”, anche se questo poteva evitare la scissione. Privilegiò il progetto politico del centro-sinistra rispetto alla tutela dei vecchi cimeli. Anche perché sapeva che della società italiana di allora ne sapevano più Saraceno e Lombardini che non Vecchietti e Valori (così come, probabilmente, oggi Bayrou ne sa più della Royal della società francese, e Treu più di Cremaschi di quella italiana). Personalmente, sono rimasto lombardiano. E penso che, con tutti i suoi limiti, il cervello mi funzioni ancora.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *