Troppi supertecnici senza un lavoro
L’articolo seguente evidenzia come Luigi Covatta riesce quasi sempre a sistematizzare il pensiero riformista proiettandolo nella vita quotidiana, trovando un risvolto pratico all’approccio dei problemi.
Enzo Rosario Magaldi
 (25 maggio, 2007) Corriere della Sera
CONTRAPPUNTO
Che senso hanno gli specialisti se mancano gli operai?
«Più operai e meno master inutili», ha scritto sul “Corriere Economia” del 21 maggio Giulio Sapelli, studioso per nulla nostalgico delle tute blu, delle ciminiere e delle mitologie che attorno ad esse fiorirono e sfiorirono nel secolo scorso.
Era ora. Da troppo tempo, infatti, ci si arrende al luogo comune per cui nella società dell’ informazione c’ è spazio solo per i supertecnici e per il lumpenproletariat dei call center e delle pizze a taglio. E da troppo tempo l’ ossequio a questo luogo comune produce masse di spostati ricchi di diplomi e privi di occupazione. Sapelli, ovviamente, non ignora che, per quanto si moltiplichino, gli operai costituiranno comunque una minoranza della forza lavoro. Né predica il ritorno al fordismo e alla catena di montaggio. Anzi, invece di rimpiangere la classe operaia», auspica la formazione di «operai di classe», impiegati in una neoindustria che sempre più deve eliminare la fatica fisica e consentire alle persone che lavorano nelle imprese di esprimere il meglio di se a partire dal lavoro», proponendo di rivalutare all’ uopo l’ istruzione tecnica. E ricordandoci che la società dei servizi non è fatta solo di software, ma anche di hardware, e cioè di automobili, di aeroplani, di satelliti, di telefoni, di altre macchine utensili e di computer, fermo restando che comunque il software puù essere utilizzato anche per renderne meno faticosa la produzione. Può sembrare paradossale che Sapelli indirizzi la sua provocazione a Confindustria, auspicando che sia essa a promuovere «politiche atte a ricostruire l’ orgoglio professionale e meritocratico dei ceti operai». Logicamente, questo dovrebbe essere il mestiere dei sindacati. Ma l’ importante è che almeno una delle due parti che animano il conflitto industriale metta l’ accento sull’ aggettivo piuttosto che sul sostantivo. Se Confindustria si occuperà innanzitutto dell’ industria, oltre che delle sorti complessive del Paese, anche i sindacati se ne occuperanno, smettendo forse di limitarsi a trasferire le forme del conflitto industriale al pubblico impiego. Nell’ Ottocento il movimento sindacale nacque fra le aristocrazie operaie, non fra gli sfruttati dai padroni delle ferriere. Ora puà rinascere alla stessa maniera, e dare di nuovo il proprio contributo insostituibile allo sviluppo e alla coesione sociale, a rischio in una società composta da una ristretta elite di supertecnici affermati e da una vasta massa di supertecnici mancati.
Luigi Covatta