Pubblicato sul numero di di Mondoperaio articolo di Giuseppe Picciano e Enzo Rosario Magaldi:”La democrazia degli algoritmi”Suggestioni, populismo e poco altro. La democrazia degli algoritmi non concede spazio a idee e confronti. Anzi, sempre più spesso sui social la superficialità del messaggio si accompagna al turpiloquio. Politici di professione e leader di partito, che durante la tanto vituperata Prima Repubblica avrebbero al massimo fatto i portaborse,

 cavalcano furbescamente la tendenza ricorrendo ai messaggi coinvolgenti e diretti, cercando di massificare il pubblico dei destinatari. Sarebbe illusorio cercare, in questo virtuale esercizio solipsistico dei leader di partito, tracce delle origini della comunicazione politica, risalenti alla polis di Socrate e Platone con la quale la persuasione rappresentava un elemento essenziale nella lotta politica al fine di convincere l’uditorio in relazione alla concretezza delle tesi proposte. No, nell’era della pseudodemocrazia digitale il confronto è stato bandito perché scomodo e pericoloso. L’obiettivo è un altro: i social sono terreno per sperimentare una comunicazione immediata con l’elettorato attraverso l’uso di un linguaggio diretto e la possibilità di costruire sia una narrazione di sé con la quale il pubblico possa facilmente identificarsi sia di intercettare, più o meno scientificamente, l’opinione dominante del momento.

C’è anche una componente psicologica. «L’uomo utilizzatore – ragiona Massimiliano Padula, presidente del Copercom – tende a percepire i social sempre meno come oggetti, vivendo le esperienze che fa attraverso di essi in modo più naturale. Le logiche del digitale hanno, in un certo senso, smaterializzato la tecnologia, normalizzando e umanizzando le pratiche a essa legate. Oggi, il tempo dei media è vissuto in piena continuità con i tempi sociali che scandiscono la nostra quotidianità. Media oggi significa essere connessi, sempre e ovunque».

I social media hanno determinato un cambiamento nel modo di interagire tra elettore ed eletto, tra personaggio pubblico e seguaci, offrendo la possibilità di studiare l’audience basandosi su una serie di dati analitici disponibili in tempo reale, capaci di restituire una visione complessiva dell’evoluzione di uno scenario politico, di un territorio, di un candidato, di una comunità. Una squadra di professionisti monitorano i social network. Analizzano gli argomenti più discussi di qualunque genere, quindi selezionano il sentimento dominante degli internauti. A quel punto il leader politico rilascia dichiarazioni in linea con il pensiero prevalente in modo da essere perfettamente in sintonia col pensiero comune.

Restano però la desolante carenza di contenuti e l’assoluta autoreferenzialità degli attori in campo non disgiunta, sovente, da maleducazione o mancanza di tatto. Il ministro che esprime il proprio pensiero a ruota libera senza aver informato i colleghi crea un problema mediaticamente irrisolvibile. Un leader che si produce in una serie di considerazioni sulle prospettive del partito senza essersi preventivamente confrontato con la base genera un clima di disorientamento e, paradossalmente, di sfiducia dal quale egli stesso rischia di non riemergere. Bisognerebbe tornare quindi al classico comunicato stampa, prima di rilasciare personali considerazioni? Probabilmente no, il solo lancio di agenzia oggi sarebbe antistorico e persino ridicolo. Tuttavia se un capo di governo, un ministro, un leader di partito affidassero il proprio pensiero prima a un comunicato ufficiale per poi liberarlo nel mare magnum della rete potrebbe diventare una buona pratica.

Tale procedura potrebbe contribuire a rallentare la comunicazione compulsiva di taluni “professionisti della dichiarazione” che non temono, per diverse volte al giorno, di pontificare su argomenti anche antitetici. Per capire che cosa questo significhi in termini pratici, è sufficiente richiamare le parole di Marshall McLuhan, quando sosteneva che nell’era dell’informazione istantanea il rumor diventa la cosa reale. «Questo fenomeno – ha ricordato di recente Raffaele Lo Russo, segretario della Federazione nazionale della stampa – è stato amplificato nell’era dei social, con notizie false che diventano vere. Oggi si assiste sempre più ad una sorta di cyberguerra, una guerra di dati che trova nella manipolazione in rete un terreno molto fertile, dovuto alla volatilità delle emozioni». Se questo fenomeno, avverte Derrick De Kerckhove, che di McLuhan ha raccolto l’eredità, restituisce slancio a un certo tipo di politica, sono tanti i pericoli che minano la democrazia. Per questo occorre rimettere al centro la qualità dei contenuti, la correttezza e l’etica.

Viene in ogni caso da chiedersi se quello in cui ci muoviamo sia un luogo di espressione di libertà, di ascolto, interazione o un mondo senza regole, in cui tutto è concesso, una sorta di “Far Web”. Quando larghi strati della popolazione mondiale usano Facebook, Twitter, Instagram e YouTube, raggiungendo milioni di persone in tempo reale, diventa fondamentale capire il ruolo giocato dai social media nel processo di consolidamento delle percezioni politiche.

Queste piattaforme sono diventate funzionali all’organizzazione delle campagne elettorali e dei più disparati messaggi. Una semplice condivisione o un retweet permettono di veicolare notizie e informazioni a una velocità tale da raggiungere facilmente la cosiddetta viralità. E’ la democrazia degli algoritmi, ma l’informazione e la democrazia, quella vera, sono in serio pericolo.

                                                                Giuseppe Picciano,Enzo Rosario Magaldi