Il fantasma della libertà. “150 anni dalla nascita di Luigi Einaudi di Giovanni Monchiero”

Si è celebrato, il 24 marzo, il 150° anniversario dalla nascita di Luigi Einaudi, primo Presidente
della Repubblica eletto secondo le regole dettate dalla Costituzione. È stata l’occasione per
ricordare la grandezza di un uomo (è proprio il caso di dirlo) di altri tempi, economista di fama
internazionale, docente universitario, maestro di generazioni di studenti, pubblicista (nel linguaggio
di oggi) che amava parlare direttamente alla massa dei lettori dei grandi quotidiani.
Nei medesimi giorni sono stati resi pubblici, per iniziativa della figlia Marina, gli appunti sulla
politica redatti da Silvio Berlusconi nei suoi ultimi giorni di ospedale. Un inno alla libertà, alla
pace, alla giustizia, al cosmopolitismo, ai valori del cristianesimo. Appassionato, ingenuo e sincero.
Accostare due personaggi così diversi può apparire arbitrario, al limite dell’irriverenza. Tanto
riservato, parsimonioso, austero, “antico” e “torinese” l’uno, tanto debordante, munifico, vitaiolo,
“moderno” e “milanese” l’altro. Li univa l’amore per la libertà. Non solo nell’accezione di diritto
dell’individuo, ma in quella di condizione sociale che consente e favorisce l’intraprendenza dei
singoli, fondamento della prosperità comune. Citatissima, di Einaudi, questa felice sintesi del
liberalismo economico:” Migliaia, milioni, di individui lavorano, producono e risparmiano
nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la
vocazione naturale che li spinge non soltanto la sete di denaro.” Suppongo che per Berlusconi
fosse una sorta di Vangelo.
La variante scozzese dell’illuminismo, da Adamo Smith (docente di Filosofia Morale) in poi, fonda
sul senso comune la teoria del liberalismo, politico ed economico, che dopo una secolare lotta con il
socialismo nelle sue molteplici connotazioni, prima e dopo Marx, sembra oggi trionfante. Il
socialismo che sopravvive in Europa è, in fondo, un liberalismo attento all’equità sociale. Anche
gli stati che hanno tentato di realizzare il comunismo si sono convertiti al capitalismo, senza
diventare liberali.
Sembrerebbe un ossimoro, ma la storia è lì a smentire le nostre convinzioni, anche quelle che ci
sembrano più solide e profonde. Se non può esistere libertà politica senza libertà economica, il
viceversa non è scontato. Il capitalismo non ha bisogno dell’habitat di una società liberale per
sopravvivere, si adatta bene anche alle dittature. Per contro, la libertà economica e la prosperità che
normalmente ne deriva, non bastano a garantire la democrazia.
Dai tempi di Einaudi, e anche da quelli in cui si affermò Berlusconi, il mondo è profondamente
cambiato. Le nuove tecnologie hanno minato la capacità dello Stato di svolgere la necessaria
funzione di arbitro nella competizione tra gli individui per la ricchezza e il potere. Ne è derivata una
accumulazione spropositata ed ingiustificabile di finanza e di potere non legittimato che sovrasta e
condiziona il potere politico.
Contestualmente, si sono allentati i principi su cui si fonda la democrazia. Che necessita di
condizioni di contesto oggettive ma non può prescindere da convinzioni diffuse che orientino gli
individui e i governanti alla ricerca del bene comune.
Si diffondono, in occidente, modi di pensare e movimenti politici estremisti. Non è escluso che alle
prossime elezioni europee si affermino partiti antieuropeisti e che, in un futuro non lontano, possano
ottenere la maggioranza. La debole unione europea ne sarà travolta. Immediati ed ancor più
inquietanti, i rischi per gli Stati Uniti d’America: se eletto, Trump riesumerà l’isolazionismo, in
caso di sconfitta minaccia la guerra civile.

Abbiamo amato la libertà tanto da ritenerla irreversibile. Poi, quasi inconsapevoli, l’abbiamo vissuta
con leggerezza, progressivamente indebolita e ridotta ad un fantasma.