“Impreparati”e “Cattivi maestri” Le riflessioni di fine Luglio di Giovanni Monchiero

L’estate sta volando e a metà settembre dovrebbero riaprire le scuole. Il condizionale è d’obbligo perché, come tutti, la scuola è stata colta di sorpresa dalla prima ondata della pandemia che ha sconvolto l’anno scolastico 2019-20. È giunta impreparata, come tanti, alla seconda ondata che ha travolto l’anno scolastico successivo, trascorso quasi totalmente in didattica a distanza.

Un terzo anno in queste condizioni sarebbe imbarazzante. Fa bene quindi il Ministro Bianchi ad assicurare che la data del 12 settembre sarà rispettata. Speriamo che riesca a mantenere l’impegno senza ridare slancio alla pandemia come avvenne l’autunno scorso. Circola un dato statistico secondo il quale l’85% personale della scuola avrebbe completato il ciclo vaccinale. Performance migliore di quella del personale sanitario. Clamoroso, se fosse vero. E anche qui il periodo ipotetico è opportuno.

Messa a dura prova dal Covid, la scuola italiana non ne è uscita bene. Siamo il paese europeo che più a lungo ha fatto ricorso alla didattica a distanza e quello nel quale questa innovazione ha dato gli esiti peggiori.  I risultati delle prove “Invalsi” che misurano i livelli di apprendimento, sono inquietanti. Gli studenti insufficienti in matematica al Sud raggiungono il 60% alle Medie e il 70% alle Superiori. Il 60% di carenze in italiano registrate alla Maturità è anche peggio, perché la lingua madre dovrebbe essere stata pienamente appresa già alle Elementari, tutt’al più alle Medie. Sembra tardi impararla alle superiori. I grafici dimostrano che i dati 2021 sono i peggiori di sempre, ma non è che quelli relativi agli anni pre-Covid fossero particolarmente incoraggianti.

Lo sottolinea con onestà il prof. Giannelli, Presidente dell’associazione dei dirigenti scolastici: “Se ci concentriamo solo sulla DaD, sbagliamo. I risultati erano disastrosi anche due anni fa”.   Questa la premessa di un intervento che evidenzia programmi da migliorare e docenti da formare. A lume di naso verrebbe da aggiungere la persistenza le aule-pollaio, fenomeno incomprensibile in un paese da decenni in costante calo di natalità.   

Ad accrescere le mie preoccupazioni,  un’intervista radiofonica con un’insegnante scelta perché rappresentante sindacale e mamma di una bambina delle elementari: un completo giro d’orizzonte sui problemi della scuola. L’insegnamento, afferma assertiva la mamma, deve essere in presenza. La DaD non garantisce adeguato apprendimento e, poi, la scuola serve anche ad assistere i bambini mentre i genitori vanno al lavoro. Come darle torto?

 Basta con le classi pollaio! – tuona l’insegnate costretta a vivere con i suoi studenti in spazi angusti, incompatibili con il Covid e a portare, per ore e ore, la mascherina che certo non facilita la comunicazione fra docente ed alunni. E anche qui, siamo tutti portati a darle regione.

Infine, conclude con tono sapienziale la sindacalista, vaccinare i bambini è inutile, forse pericoloso. Vaccinare gli insegnati non sarebbe sufficiente ad evitare il formarsi di focolai in classe e poi non li si può obbligare, lo dice la Costituzione. E il cerchio è chiuso.

 Far funzionare la scuola sarebbe indispensabile. Nei fatti è impossibile.

20 luglio 2021

Cattivi maestri

Zangrillo è tornato! Ha ripetuto, pari pari, la frase che gli diede un anno fa imperitura fama: “Il virus è clinicamente morto”. 

Non che prima il prof. Alberto Zangrillo fosse uno sconosciuto: primario al San Raffaele, docente universitario e prorettore, medico personale di Silvio Berlusconi. Un uomo che non aveva bisogno di pubblicità e che, tuttavia, non si trattenne dal procurarsene altra annunciando la morte del virus che, dall’autunno in poi, avrebbe mietuto in Italia altre 100.000 vittime.  Una delle topiche più clamorose della storia della medicina lo ha trasformato in bersaglio prediletto della satira, di qualsiasi forma e qualità.

Il passaggio dalla fama alla celebrità (negativa, ma non importa) deve essere stato così appagante che il prof. Zangrillo non si è rassegnato a rientrare nei panni del medico stimato e famoso e ha voluto riguadagnare l’attenzione di tutti, riprendendo la sua bufala sublime nel contesto di un’intervista pacata ed illuminata da buoni consigli, come vaccinarsi e portare la mascherina che, senza quel colpo di coda, sarebbe di certo passata inosservata. Nella società dell’iper-comunicazione il buon senso non interessa a nessuno.

La ricerca esasperata dell’effimero successo televisivo o “social” è alla base delle tante inutili polemiche fra uomini di scienza che hanno caratterizzato l’epoca del Covid. E la confusione ingenerata da chi dovrebbe coltivare l’oggettività non è del tutto estranea alle manifestazioni del week end contro il green pass e le politiche vaccinali del governo.

Non c’erano soltanto complottisti, negazionisti, no-vax, mestatori di professione, centri sociali e Casa Pound, fra le migliaia di persone scese in piazza. C’erano esponenti dell’opposizione parlamentare e persino di partiti di governo, spinti dall’opportunismo politico più che da qualsiasi altra considerazione.  Ma c’erano anche cittadini seriamente confusi, dubbiosi della scienza. Con loro, ad Alessandria, il prof. Garavelli, infettivologo a Novara, che si è giustificato dicendo di essere lì non per protestare ma per illuminare i dimostranti: se questa erano le intenzioni la via prescelta non ha certo contribuito alla chiarezza! 

E c’era anche tanta gente seriamente convinta di partecipare ad una battaglia per la libertà. L’argomento delle libertà conculcata dalla “dittatura sanitaria” è diventato centrale sin da quando, una decina di giorni fa, Macron annunciò che la Francia avrebbe adottato il “green pass”. La proposta suscitò, qui in Italia, reazioni immediate. “Il green pass in salsa francese è costituzionalmente irricevibile. Gravissimi gli effetti sui diritti e sulle libertà dei cittadini” – twittò  Ginevra Cerrina Ferroni, vicepresidente del Garante per la Privacy, seguita immediatamente da un altro collega, Guido Scorza, che rievocò i valori della rivoluzione francese e la presa della Bastiglia.

Non voglio spostare il discorso sulle autority che ritengo gravino inutilmente sulla già debole e contorta amministrazione pubblica. Il guaio è che la Cerrina Ferroni è professore ordinario di Diritto Costituzionale all’università di Firenze. Se vede nelle politiche sanitarie un pericolo per i diritti dei cittadini, qualcuno potrebbe anche prenderla sul serio.   Il dibattito sulla libertà, fatto proprio dagli agitatori e dalla destra, non è assente fra le élite.  Analogamente a quanto avvenuto fra i medici, intellettuali e giuristi discutono animatamente sul diritto alla salute e se e quanto contrasti con quello alla libertà.

Da uomo della strada dotato di una modesta cultura di base osservo umilmente che il dettato dell’art. 32 è chiarissimo e non necessità di sottili interpretazioni. Aggiungo sottovoce che non ritengo possa essere tutelata la libertà di contagiare.  E mi attendo dai giuristi che riconoscano a livello teorico il mio diritto ad essere curato con tutte le avvertenze atte a preservarmi dal contagio.

Si direbbe che fra i depositari del sapere si stia facendo strada una sorta di dottrina della doppia verità. Nella veste di docenti respingerebbero all’esame lo studente che dichiari l’inutilità dei vaccini o il divieto costituzionale delle campagne vaccinali. Quando vanno in tv o sui social, invece, si sentono liberi di dire qualsiasi cosa.

 

26 luglio 2021