Le considerazioni e riflessioni di Giovanni Monchiero del mese di febbraio 2024

Dinastie

Domani saranno celebrati nel duomo di Torino i funerali di Vittorio Emanuele di Savoia. La salma
sarà poi tumulata nella basilica di Superga, nella cripta che accoglie molti suoi avi.
La solennità di questa scelta è stata fortemente criticata da Massimo Firpo, professore emerito di
Storia Moderna, figlio di Luigi, con il quale discussi la mia tesi di laurea. Studioso di fama
internazionale, Luigi Firpo era uomo di grande fascino, raffinata e spettacolare eloquenza, bon
vivant e presidente della federazione italiana di Bridge. Per un paio di decenni coltivò, dalle colonne
de “La Stampa”, il giornalismo di opinione. I suoi “Cattivi Pensieri” erano per me, corsivista del
settimanale locale, modello e punto di riferimento.
Mi sono quindi accostato all’articolo con il rispetto dovuto al docente e la stima e la riconoscenza
che mi legano al padre. Condivido le critiche rivolte a Vittorio Emanuele III. Il complesso della
statura fisica gli impedì di maturare la saldezza d’animo che si richiede ad un re. L’inerzia
all’avvento del fascismo, il titolo di Imperatore ottenuto grazie al massacro di inermi, le leggi
razziali, la fuga da Roma dopo l’armistizio, sono responsabilità che giustificano la condanna
all’esilio sancita nella parte transitoria della Costituzione.
Ed anche la figura del nipote, cui Torino sta per dare l’ultimo saluto, appare in complesso grigia e
non esente da demeriti. Nato erede al trono e costretto a sposare una ereditiera per conservare uno
status economico elevato, Vittorio Emanuele, forte del prestigio di famiglia, si dedicò ad
intermediazioni lucrose ma non sempre limpide. La sua condizione di rampollo di una antica casa
reale gli giovò all’isola di Cavallo, quando non venne ritenuto colpevole per un colpo di fucile che
uccise un turista tedesco. Per contro lo espose, dopo il rientro in Italia, alla iniziativa giudiziaria di
un cacciatore di celebrità come il giudice Woodcock, famoso per le sue inchieste contro i potenti
destinate quasi sempre a concludersi con il proscioglimento degli indagati. Vittorio Emanuele venne
arrestato per reati infamanti, a partire dallo sfruttamento della prostituzione, e assolto con formula
piena, come tutte le persone coinvolte nell’inchiesta.
La storia delle dinastie è costellata di eroi e di cialtroni, di lungimiranti e sprovveduti, di
parsimoniosi e scialacquatori. Questo limite, implicito nelle monarchie ereditarie, è da sempre tra
gli argomenti che fanno preferire la repubblica. Repubblicani siamo e resteremo. La nostra
democrazia potrà anche trasformarsi in una dittatura, mai più in una monarchia.
Nel valutare l’opportunità di accogliere a Superga l’ultimo Savoia, credo però sia giusto guardare
alla dinastia che ha governato il Piemonte per secoli, facendo di una regione periferica e povera lo
stato che avrebbe unificato l’Italia. La basilica è li a celebrare la più grande vittoria mai riportata
sugli ingombranti vicini d’oltralpe. Il Principe Eugenio, alla guida di un esercito imperiale inferiore
di numero, liberò Torino dall’assedio sbaragliando le truppe di Luigi XIV. Riposa a Vienna nella
Cattedrale di Santo Stefano, come si conveniva al Maresciallo del Sacro Romano Impero, già dai
contemporanei ritenuto il più abile stratega militare della sua generazione. A Superga sono sepolti
Duchi e Re di Casa Savoia. Di molti il Piemonte conserva un grato ricordo, altri ispirano un sorriso
di benevolenza. Vittorio Emanuele vi troverà appropriata dimora.
La storia è comprensiva per le miserie degli uomini che la cronaca fa di tutto per ingigantire. È di
stamane la notizia che John Elkann, presidente di Stellantis e amministratore delegato della Exor, la
finanziaria degli Agnelli, è indagato dalla procura di Torino a seguito di una denuncia della
mamma, Margherita, che lo accusa di avere fatto la cresta nello spartire l’eredità del nonno.

Anche per le grandi famiglie borghesi conviene attendere il giudizio della storia.

9 febbraio 2024

                                    occhio per occhio

Nei giorni successivi al 7 ottobre apparve subito evidente che l’enormità dell’aggressione subita, i
1400 morti, le centinaia di ostaggi, gli orrori contro civili inermi, avrebbero spezzato il difficile
equilibrio su cui si reggeva la convivenza armata fra israeliani e palestinesi.
Nessuno si era mai spinto sino a definire “pace” il mezzo secolo di non belligeranza seguito alla
guerra del Kippur. Non lo consentivano le tensioni permanenti fra i due popoli, le masse di profughi
concentrati a Gaza, nel Libano, a Jenin e in altre città dei territori occupati, gli insediamenti dei
“coloni” in Cisgiordania al di fuori dei confini riconosciuti, l’assassinio di Rabin da parte di un
sionista estremista, la conseguente prima elezione di Netanyahu, i 712 Km di muro, testimone del
consolidamento dell’odio.
Non lo consentiva, soprattutto, lo stillicidio di attentati cui Israele rispondeva con l’applicazione
sistematica della legge del taglione. Ad ogni atto terroristico seguiva l’assassinio dell’esecutore
materiale o di un esponente dell’organizzazione più alto in grado, l’abbattimento dell’abitazione in
cui viveva, l’arresto di presunti complici, anche solo vicini di casa. Ricordo di avere visto, una
decina d’anni fa, in una sala d’essai, un film-documentario, “I Guardiani di Israele”, dedicato
all’attività dello Shin Bet, il servizio segreto interno. L’autore era riuscito ad intervistare sei
dirigenti che, con grande obiettività, raccontavano le proprie azioni e ne spiegavano la strategia. La
vendetta mirata – inconcepibile in un moderno stato di diritto – appagava la sete di giustizia delle
vittime degli atti terroristici e appariva comprensibile agli stessi nemici. Quella che noi
consideriamo una legge barbarica è, invece, stata posta da millenni come limite ragionevole di
qualsiasi rivalsa. Sulla sua applicazione si sono retti, per mezzo secolo, i rapporti fra ebrei e
palestinesi.
Mi stupì, in quel film, l’intervento di un superpoliziotto, critico nei confronti della politica del
governo, a suo vedere troppo restrittiva di diritti dei palestinesi. Le scelte pratiche del Shin Bet
avrebbero potuto solo rimandare il momento del necessario confronto, ma non all’infinito.
Il 7 ottobre segna la fine dell’occhio per occhio. Israele si rese subito conto che non avrebbe potuto
sgozzare civili, stuprare donne, catturare ostaggi. Poteva compiere qualche azione dimostrativa
contro i palazzi di Hamas e poi accettare il fatto compiuto, oppure scatenare una vera guerra e
combattere contro una armata irregolare che vive in mezzo alla popolazione civile.
Ha scelto la seconda ipotesi, uccidendo migliaia di abitanti di Gaza e affamando tutti gli altri.
Persino gli Stati Uniti invocano una tregua e propongono la pace garantita dalla costituzione di due
stati. Netanyahu, per ora, fa orecchie da mercante, ma l’opinione pubblica occidentale, e persino
quella interna, non è più con lui.
Le nostre società, peraltro, non tendono a maturare convinzioni profonde. Preferiscono dividersi
con faziosità da stadio, imprimendo progressiva ferocia all’espressione dei propri pregiudizi. La
parola di pace di Mons. Parolin è stata contestata non solo dall’ambasciatore di Israele, che ha
successivamente sfumato il suo giudizio. Su una chat di amici, molto filoisraeliani, ho sentito
rievocare i tempi in cui la Chiesa accusava gli ebrei di “deicidio” e attribuire a quel retaggio
culturale l’atteggiamento “troppo imparziale” del Vaticano.
I filoisraeliani sono, in Italia, una minoranza sparuta e silente. Ben più visibili quelli che stanno con
i palestinesi, sfilano in cortei, proclamano l’antisemitismo fino ad insultare Liliana Segre. Lo ha
fatto, la settimana scorsa, Elena Basile, già funzionaria alla Farnesina che, immemore della

prudenza diplomatica di cui pure dovrebbe avere acquisito pratica, ha accusato la reduce dai campi
di sterminio di comportarsi come un gerarca nazista. L’insensatezza dell’accusa fa il paio con la
rozzezza del linguaggio, adatto però alle comparsate televisive sulle quali la Basile ha costrutto un
ruolo di opinionista.
Lasciando le miserie della dialettica quotidiana, vorrei aggiungere che la storia non predilige
soluzioni lineari. A volte avanza per cammini tortuosi. In Palestina, la legge del taglione sarà messa
da parte. I crimini del 7 ottobre e la reazione spropositata di Israele possono condurre solo allo

sterminio o ad un processo di pacificazione.

16 febbraio 2024